Thin
Thin Thread
-
Un
filo sottile sottile
Man, it's been a long night
Just
sitting here, trying not to look back
Still
looking at the road we never drove on
And
wondering if the one I chose was the right
one
Oh,
but I'm scared to death
That
there may not be another one like this
And
I confess that I'm only holding on by a thin
thin thread
Sad,
Maroon 5
Nina
osserva le
gocce di pioggia appiattirsi e scivolare sul vetro dell’unica
finestra del suo
camerino. Ha lo sguardo stanco, il correttore è sbiadito e
lascia intravedere
le ombre delle occhiaie. Indossa gli abiti di scena di Elena -i
pantaloncini di
jeans e una camicia troppo larga. È notte, è
tardi, ha da poco finito di girare
e ormai sarebbe a casa, se solo un temporale non l’avesse
sorpresa quando già
aveva indossato il giubbotto di pelle; perciò ha su anche
quello, anche il
giubbotto.
Nina
se ne sta
infagottata sulla sedia con le rotelle, allunga la mano di tanto in
tanto verso
la bottiglia d’acqua sulla scrivania perché,
cavolo, il disgustoso sapore del
sangue finto non ne vuole sapere, di sparire dalla sua bocca. Candice
ride
nell’altra stanza, e la sua risata spicca
nell’indistinto vociare che le fa da
sottofondo. Ma a Nina piace starsene sola, almeno per qualche minuto al
giorno;
la pioggia, il rumore che fanno le gocce quando si schiantano sul
vetro, le
piace. Le dà il tempo di pensare, di raccogliere le idee, di
tornare in sé dopo
aver pianto e sofferto nei panni di una donna che ha subito la perdita
più
straziante, quella dell’amore della sua vita. Girare scene
così pregne di
dolore la destabilizza. Girare scene in cui soffre di un dolore
devastante è, a
sua volta, devastante; e quando Damon la guarda in quel
modo, nel modo che è tutto di Ian, le fa tremare le
ginocchia.
Perché forse, forse c’è stato troppo
per fare come se non ci fosse stato
niente. Perché forse, e solo forse, guardare Ian con gli
occhi della ragazzina
ingenua e inesperta che era cinque anni prima non è
possibile, semplicemente.
Forse non riusciranno mai a ritrovare un equilibrio, mai,
perché essere amici
nel senso più puro del termine significherebbe dimenticare,
e nessuno dei due
può dimenticare. Nina non può dimenticare che le
stesse mani che sul set le
tengono il viso o, tutt’al più, stringono le sue,
mesi prima la toccavano
ovunque riuscissero ad arrivare e le davano tutto ciò che
chiedeva. Nina non
può dimenticare che la passione con cui Ian la bacia sul set
non è che un
quarto di quella con cui la spingeva nel camerino tra un ciak e
l’altro. Non
può dimenticare i sorrisi rubati, i doppi-sensi che solo lei
era in grado di
decifrare, e i vestiti scambiati nella fretta di rivestirsi, lei con la
sciarpa
di lui, lui con il cappello di lei. E non fa più male
ricordarlo, ormai. Ormai
di tutto ciò che è stato resta solo una
cicatrice. È giusto così, questo pensa
Nina mentre fissa la pioggia e si sente una puntina soddisfatta,
perché ora, se
ripensa ai baci di Ian e le vengono i brividi, non fa male.
È guarita, si sente
bene, si sente pronta ad andare avanti, perché a volte la
vita non lascia
alternative e bisogna far così, adattarsi, scegliere
sé stessi.
«Posso
entrare?»
Il
cuore di Nina
salta un battito. Per la voce improvvisa, per il fatto che quella voce
l’ha
riconosciuta e una parte di lei, quella bambina, quella che proprio non
ce la
fa a crescere, è ad un tratto su di giri.
«Certo.»
risponde
dopo un attimo di perplessità. «Certo che puoi
entrare.»
Ian
entra con cautela,
per poi richiudere la porta. Lui, più che perplesso, sembra
imbarazzato. Nina
l’ha visto poche volte così; l’ultima
è stata meno di un’ora prima, quando
Damon le ha sussurrato di andare avanti. Move
on, ha detto, e Nina si è sentita così
piccola in confronto a lui, a
quell’uomo saggio che le parlava dalle labbra di un
personaggio fittizio.
Per
quanto in
imbarazzo, Ian è terribilmente bello. Ha i capelli
stravolti, i vestiti di
Damon sono sgualciti, il viso è tirato, eppure è
bello. Ha bisogno di dormire,
pensa Nina. Ma, nella penombra dovuta alla luce soffusa
dell’abat-jour, quando
incontra il suo sguardo non ha dubbi: l’azzurro ghiacciato
dei suoi occhi cela
una scintilla, un guizzo, un potenziale incendio.
«Non
smette di
piovere.» sente il bisogno di dire, virando bruscamente
sull’argomento ‘tempo’.
Ma la verità è che quella scintilla, negli occhi
di Ian, l’ha vista mille e
mille volte: sa riconoscere un uomo innamorato.
«Smetterà.»
Ian,
il perpetuo
ottimista. Accenna un sorriso, lei si sforza di ricambiarlo.
La
pioggia
riempie il silenzio. C’è una tensione, tra loro,
che non c’è mai stata prima.
Una tensione strana, che le fa venire freddo: la tensione da
‘cose non dette’.
Perché Nina si è arrabbiata, perché
Ian non ha ritenuto suo dovere
giustificarsi; perché entrambi sono stanchi di combattere
per non perdersi,
perché tra loro è tempesta continua, e allora
perché sperare nell’azzurro del
cielo?
Ciononostante
Ian
si muove per il camerino di Nina, cerca di trovare le parole per
spiegare a lei
e a sé stesso che cosa ci fa lì, che cosa vuole.
«Non
c’è mai
stato niente prima.» tira
fuori a un
certo punto. «Mentre stavamo insieme non esistevano altre
donne.»
Nina
non può. Non
può sentirsi dire cose simili, non importa quanto lui sia
sincero -oppure,
forse, proprio per questo.
«Non
mi devi
spiegazioni, sul serio.»
«Lo
so.» e lui
annuisce, fa un passo verso di lei, la guarda da su, scruta i suoi
occhi scuri
e grandi, persi, e combatte contro sé stesso per non
stringerla, per non
baciarla tra i capelli, per non sussurrarle che gli dispiace.
«Voglio solo
dirtelo perché si leggono tante cose, sui giornali, su
internet, e molte non
sono vere.»
«Lo
so, Ian. Lo
so, non ho mai pensato che tu… che voi…»
Nina
stringe gli
occhi, li tiene così per qualche istante, chiusi; non ce la
fa, non è pronta.
«Bene.»
dice
precipitosamente lui, ma non se ne va. Restano entrambi immobili,
spostano lo
sguardo per la stanza semi-buia, e se capitano occhi negli occhi si
scansano.
Si conoscono, sono consapevoli di quanto sia facile sbagliare quando si
trovano
nella stessa stanza, e la luce è scarsa, e la porta
è chiusa.
«È
perché
lavoriamo insieme, Neens.» mormora Ian, frantumando il
silenzio. «È per questo
che è così difficile, sai… andare
avanti senza guardare indietro.»
«Te
la stai
cavando bene.»
È
un commento
rancoroso, e Nina se ne pente subito. Non è arrabbiata, non
con lui, non più.
Sta per scusarsi, ma lui l’anticipa; quando parla il suo tono
non è polemico,
ma sicuro, controllato.
«Sì,
me la sto
cavando bene. Sto bene, Nina. Sto
bene, sono felice, non posso sentirmi in colpa per questo.»
«Non
devi
sentirti in colpa per questo. Sto bene anche io. Non adotto cavalli e
non mi
concedo lunghi weekend romantici a New York, ma sto bene.»
Stavolta
Nina
sorride: è sincera. Ian ricambia, ha ancora più
voglia di stringerla, ma non lo
fa. Cavolo, se è bella quando sorride; è bella
perché anche i suoi occhi sorridono,
e il suo viso si anima, prende vita, trasmette emozioni positive.
Sembra di
nuovo piccola così, rannicchiata su una sedia girevole, i
capelli spettinati e
gli occhi appena più aperti del solito, segno che
è attenta, che è coinvolta. È
bella di una bellezza naturale e spontanea, se fosse un fiore sarebbe
un fiore
selvatico.
Ian
lo sa, lo sa
perfettamente che non riuscirà mai ad esserle indifferente,
che averla intorno
costantemente equivarrà a una costante lotta contro i suoi
istinti. Lo sa,
perché non potrebbe andare in modo diverso.
«Non
ti ho fatto
i complimenti per l’ennesimo premio…»
«E
io per i VMA.
Sei stata brava, sul palco. Quando quel tipo…»
«Trey?»
«Sì,
lui. Forse
ha un po’ esagerato.»
«Gli
hanno detto
di dire così.» e Nina alza le spalle,
perché non ha importanza. Perché se
l’è
cavata, e l’ha fatto da sola.
«Te
la sei cavata
bene, comunque.» conclude Ian, forse leggendole nel pensiero.
Ormai
potrebbe
andarsene, perché la pioggia ha perso di forza, batte meno
contro i vetri, il
silenzio non è capace di riempirlo più. Invece
sceglie di restare, di prendere
uno sgabello, di sedersi di fronte a Nina. Lei appare tranquilla,
più a suo
agio ma perennemente attenta a misurare i propri movimenti, le proprie
parole.
«Non
volevo che
lo scoprissi così.»
Perché
lo sa,
Ian, che Nina ha visto gli scatti che lo immortalavano con Nikki
insieme a
tutto il resto del mondo. Ian sa che non se l’aspettava, sa
che si è ritrovata
un uragano addosso senza alcun preavviso, e non può fingere
che gli stia bene,
l’averla messa in una simile posizione.
«Mi
dispiace.»
continua, e le prende le mani, entrambe. Nina si irrigidisce, vuole
liberarsi
di quella presa, ma è salda, e lei forse non vuole
liberarsene poi così tanto.
Le mani di Ian sono calde, grandi, sicure; sono mani a cui aggrapparti,
mani
che sanno tenerti.
«Mi
dispiace, ma
è… è successo tutt’insieme,
Nikki è sempre stata lì, ma io non
l’avevo mai
davvero vista, capisci? Non me n’ero accorto e quando
l’ho fatto…»
«Quando
l’hai
fatto hai realizzato che lei, invece, ti aveva visto da un bel
po’.»
Stavolta
Nina non
può evitare un sorriso amaro, e neanche se ne pente. Le
è rimasto il diritto di
parlare francamente su questioni che, dopotutto, la riguardano. Ian la
lascia
fare, non replica, anzi, le sorride di rimando, inclina il capo da un
lato, la
guarda da un’angolazione diversa. Vorrebbe toccarle le
labbra, aggiustarle in
un sorriso sereno, genuino. Ma l’unica cosa che concede a
sé stesso è farle una
carezza, muovendo lentamente il pollice sul dorso della sua mano,
più piccola e
anche più fredda rispetto alle sue.
«Non
importa il
modo in cui io l’abbia scoperto. Non ha nessuna importanza,
perché non cambia
le cose. Tu e Nikki siete una coppia ed
è…»
Nina
si blocca,
prende fiato, guarda il dito di Ian carezzarle il dorso della mano.
Deve ancora
metabolizzare, forse, che la sua amica e il suo ex ragazzo siano ormai
una
coppia, e anche molto affiatata, a giudicare dalle volte in cui
l’ha vista sul
set negli ultimi giorni. Quella mattina le ha perfino detto ciao. Un
passo
avanti, pensa con una smorfia.
«Neens,
se anche
io non stessi con Nikki…»
«Noi
due siamo
incompatibili» completa per lui, ripescando una sorta di
motto, parole che, nel
corso dei mesi precedenti, aveva detto e si era sentita dire
innumerevoli
volte. Parole in cui avevano condensato la fine della loro relazione,
la loro fine e saltuariamente erano
pronti
a ricordarsele a vicenda. La loro soluzione prevede accettare
l’inesistenza di
una soluzione.
E
infatti Ian
annuisce, le fa il suo sorriso obliquo, un po’ amaro,
sconfitto, ma capace di
far invertire alla Terra il senso di rotazione, giusto per rendere
l’idea. È
cambiato tutto, ma alcune cose non possono cambiare.
Ancora
silenzio,
però stavolta Ian non può ignorare che non piove
più e che questo rende la sua
presenza lì, seduto di fronte alla sua ex fidanzata ma
attuale co-star, collega
di lavoro, amica ‘work in progress’, totalmente
inappropriata. Ed è per questo
che le sfiora appena una mano con le labbra, per congedarsi con
l’eleganza che
lo contraddistingue.
Invece
si ritrova
incatenato ai suoi occhi da Bambi, sente le sue dita sottili
stringergli le
mani per non lasciarlo andar via, e non vede altro se non le sue labbra
schiuse, e sa che il suo respiro è accelerato e Dio, quanto poco basterebbe per
toglierglielo del tutto. Intreccia
le dita di una mano alle sue, un incastro perfetto, naturale, e Nina
stringe,
lo lascia fare e risponde ad ogni singolo gesto. Lo mette in
difficoltà, pur
essendolo lei per prima. Glielo legge negli occhi, Ian, che vorrebbe
fermarsi
ma che vuole di più non fermarsi. Lo vede il modo in cui gli
guarda le labbra e
la conosce, sa che sta pensando a come sarebbe se solo si avvicinasse
di
qualche centimetro. Lui sa come finirebbe, se lei cedesse: cederebbe
anche lui.
Si attraggono, si sfidano a resistere l’uno
all’altra, giocano con gli sguardi
e lo fanno inconsciamente; lo fanno perché non possono non
farlo. Perché quello
che si sono dati è stato folle e immenso e devastante; un
passato del genere
non può che essere invadente.
I
loro nasi si
sfiorano e nessuno dei due ammetterebbe di essersi avvicinato
all’altro; le
mani, però, sono strette, appiccicate, non si lasciano. Poi
Nina apre gli
occhi, spinta dall’istinto di conservazione: non vuole
ripiombare nel vortice
da cui è a stento riuscita a uscire, non vuole illudersi che
Ian sia suo, che
le appartenga davvero. In realtà, Ian non è mai
stato meno suo di così,
e non importa quanto lo stringe forte, la cosa
non cambierà. Sono incompatibili, loro due.
«Non
roviniamo
tutto.»
È
Ian a dirlo,
perché le dita di Nina non lo stringono più
così tanto da fargli male. Ora la
sua mano è morbida, non c’è
l’urgenza di qualche attimo prima.
Lei
annuisce, si
schiarisce la gola, cerca di darsi un contegno, eppure sussulta quando
le
labbra di Ian le lasciano un bacio morbido sulla fronte; chiude gli
occhi per
assaporare i brividi dell’epilogo di una storia, la loro. Ha
caldo, ha i
battiti accelerati.
«Ci
passerà.»
sussurra lui, le labbra ancora a pochi millimetri dalla sua pelle. Lui
che ha
il sapore dei baci di un’altra donna sulle labbra e ne
è geloso, dopotutto,
perché Nikki gli piace, perché potrebbe perfino
innamorarsene e non credeva che
avrebbe mai amato qualcuno come ha amato Nina. È per questo
che si allontana,
perché è cresciuto; entrambi lo sono.
«La
voglia di
strapparci i vestiti di dosso?»
Ian
ride, ride
forte, di gusto, si sfoga per gli istinti repressi. Anche Nina ride, si
porta
la mano davanti alla bocca ma non riesce ugualmente a nascondere la
candida
curva delle sue labbra.
Restano
lì, seduti
l’uno di fronte all’altro, ad ascoltare le ultime
tracce delle loro risate
confuse l’una nell’altra mentre guardano il buio
dietro i vetri. È ora di
tornare a casa, ognuno alla propria. È ora di tornare alla
vita, ognuno alla
propria.
È
Ian ad alzarsi
per primo e a mettere a posto lo sgabello.
«Non
vai a casa?»
chiede a Nina, nel vederla ferma al suo posto. Lei lo sta semplicemente
osservando: lo vede diverso, consapevole, lucido.
«Tra
poco.»
Sa
quello che
vuole, Ian. Sa chi vuole e, per la
prima volta da un po’, Nina si rende conto di non essere lei,
quella persona.
Non ne è sorpresa, non prova gelosia: è
rassegnata, ha accettato che le cose
non potevano che andare così. C’ha provato a farla
funzionare, e anche lui l’ha
fatto, e si sono distrutti. Ora va meglio.
«Ian?»
Lui
si volta, la
porta già aperta, lo sguardo interrogativo.
«Sono
felice che
tu sia felice.»
Spazio
autrice.
Prima
ff che
pubblico, risultato di un paio d’ore di totale immersione
perché boh, tutto il
caos che è nato attorno alla questione Ian-Nikki-Nina mi ha
ispirata, diciamo
così.
Ognuno
ha la
sua opinione sulla faccenda eppure nessuno conosce la
verità. Questa è la mia
verità, il modo in cui mi piace immaginare adesso Ian e
Nina: due persone che
stanno cercando di andare avanti per conto proprio ma senza perdersi.
Spero
che
questo primo –forse ultimo, chi lo sa- esperimento non sia
uscito troppo male e
vi invito a farmi sapere cosa ne pensate (:
Un
abbraccio e,
in ogni caso, grazie per aver letto <3