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Autore: Sephirah    20/09/2008    1 recensioni
i batteri possono subire mutazioni
in una roccaforte di sopravvissuti viene sviluppato un prototipo del vaccino al virus di Cripping. La squadra d'esplorazione ha il compito di salvare i superstiti delle città limitrofe e ripulirle dagli infetti, avvalendosi di un'arma speciale: un ragazzo dagli occhi smeraldo sopravvissuto al virus trasformatosi in un ibrido. Beatrice ha deciso di morire, ma non senza combattere. Racconto breve sui sopravvissuti alla strage che cercano di risorgere dalle ceneri, due anni dopo la morte di Robert Neville. [Io sono leggenda]
Ora che siamo rimasti in pochi, salvare il mondo è più facile, no?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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i am legend Prologo:
Un colpo sulla porta, e poi un altro ancora, e di nuovo, sempre più forte. Per fortuna era blindata. Eppure chissà quanto ancora avrebbe retto sotto quei colpi.
Ma in quei lunghi e solitari anni Beatrice aveva imparato che bisognava sempre guardare il lato positivo delle cose. Per esempio quei colpi così violenti sulla porta
impedivano agli altri rumori di raggiungerla. Non sentiva i lamenti e le grida inumane che venivano da fuori, appena oltre le finestre sigillate.
Beatrice rimaneva ferma, senza fare il minimo rumore, nascosta dietro alla cassettiera della camera da letto con tutte le luci spente, immersa nella più totale oscurità. Aveva le gambe raccolte al petto e stringeva in mano una piccola torcia agli ultravioletti, che non le sarebbe servita a niente in termini pratici, ma che le avrebbe regalato, in caso, un'ultima soddisfazione.
Un altro colpo, poi niente. Dalla porta non arrivava più nessun suono. La ragazza rimase ad ascoltare, e alla fine decise che era andato via, che aveva rinunciato, e provò a rilassare i muscoli, scoprendo, con sua somma sorpresa, che non aveva muscoli da rilassare. Così si accorse di non aver avuto paura.
Il tempo del terrore era finito quando il flagello di Cripping aveva reso il mondo un luogo silenzioso, perché avere paura era diventata una norma. Beartice poggiò la piccola torcia a terra, accanto a lei, e cercò con la mano, senza alzarsi, l'interruttore della luce appena sopra di lei, tastando il muro nel buio.
Quando la finestra sussultò la ragazza si ritrasse ancora di più nell'ombra, afferrando di nuovo la torcia e stringendola in grembo. La finestra subì un'altro colpo, più violento del precedente. Beatrice escluse che avesse potuto sentirla: li separavano tre centimetri di acciaio, e comunque lei non si era mossa. Ma quello continuava a sferzare il metallo con sempre maggior violenza, e aveva cominciato ad incrinarlo. Gli occhi ambrati della ragazza scivolarono nel buio verso il letto. ci si sarebbe potuta nascondere sotto. Oppure sarebbe potuta uscire di soppiatto dalla stanza, ben attenta a non far rumore, e raggiungere il ripostiglio delle scope, dove il padre due anni prima aveva riposto un fucile a pompa, poco pratico ma letale, e le aveva detto di usarlo per le emergenze, solo per quelle.
Così Beatrice analizzò le varie alterative alla propria morte certa e scoprì di averne diverse in grado di darle almeno qualche possibilità in più di non crepare.
Invece non si mosse, rimase a guardare incantata l'acciaio piegarsi e sformarsi sotto i colpi violenti.
Cinque anni prima il mondo era cambiato drasticamente, e lei e tutti gli altri non avevano potuto far altro che accettarlo, e abituarsi. Due anni prima lei era rimasta sola. Ora aveva la voce arrochita dal silenzio, perché non c'era più nessuno con cui parlare.
E quando arrivò un altro colpo possente e si sentì l'acciaio schioccare si rese conto che poteva andare bene anche così. Aveva resistito, era stata in grado di abituarsi a vedere il mondo cambiare e diventare muto, si era abituata a sopravvivere e aveva accettato la realtà in cui viveva come una disgrazia ma anche come la sua vita, aveva deciso che avrebbe protetto quello che considerava importante e che avrebbe continuato a vivere, perché la vita era diventata una cosa di valore.
Ma adesso era rannicchiata nel buio come uno scarafaggio e si accorse che non le importava. Che le avevano portato via tutto e che se volevano potevano prendersi anche quello.
La finestra non avrebbe retto ancora per molto. Se volevano entrare, che fosse. se volevano entrare, potevano farlo. Sarebbe morta, e le andava bene, ma decise che
li avrebbe lo stesso bruciati con la torcia, quegli stronzi.
L'acciaio si incrinò irreparabilmente, un altro colpo ancora e poi sarebbe tutto finito, ma dall'ingresso esplose un boato e la casa si illuminò a giorno.
Beatrice sobbalzò e la investì un calore insopportabile e l'odore del fuoco che brucia. Sentì delle voci arrivare dall'atrio, voci umane. Dopo un istante di sgomento cercò di raggiungerle, ma la finestra cedette e quello che una volta era un uomo riuscì ad entrare nella sua casa, si eresse in piedi e la fissò con i suoi occhi neri e affamati. La ragazza si rese conto in un solo istante, con una lucida consapevolezza, che non poteva scappare. Abbandonò le braccia lungo i fianchi, mentre la creatura allungava una mano glabra e diafana verso di lei.
Un lampo, un colpo, il rumore di uno sparo, e poi lei volava, sospesa nell'aria, e poi di nuovo a terra ma molto più in là di prima. C'era qualcosa che la bloccava,
che le impediva di muoversi. Sembravano braccia.
L'avevano presa, l'avrebbero uccisa, ed improvvisamente non andava più bene, improvvisamente sopravvivere era tornato ad essere una cosa importante. Urlò, cercò di liberarsi, ma la presa attorno a lei si fece d'acciaio e una mano le scivolò sulla bocca. Beatrice si paralizzò: un comportamento troppo complesso per essere uno di loro.
Poi sentì una voce, la prima dopo troppo tempo, la prima davvero reale, che non fosse delle sue allucinazioni, bella e calda, limpida, umana.
"Fai silenzio. Va tutto bene"
 
Anna ricaricò in fretta, perché sapeva che ne sarebbero venuti parecchi altri, ma la finestra sfondata poteva essere un problema serio. Sfilò una bomba fumogena dalla cintura e la lanciò nel vuoto. Istantaneamente la stanza si riempì del disgustoso odore dell'aglio. Almeno così potevano stare tranquilli per un paio di minuti. Cercò i compagni nell'ombra e fece loro rapidi cenni. Quelli eseguirono, dividendosi. Lei si diresse di nuovo verso l'atrio, dove avevano fatto saltare la porta blindata, ed imbracciò il fucile.
Dodici, forse quindici infetti avanzavano come fulmini verso di loro. Anna si mise sulla soglia della porta e premette il grilletto, osservandoli stramazzare al suolo.
L'ultimo di loro arrivò pericolosamente vicino, ma cadde a terra come tutti gli altri. Ma già ne arrivavano di nuovi, e bisognava sbrigarsi perché tutto quel chiasso ne avrebbe attirati ancora di più. Poi gli altri due membri della squadra le scivolarono accanto e insieme lasciarono la postazione per dirigersi al furgone blindato.
Non era più importante non farsi vedere. Quello che avevano potuto fare lo avevano fatto. Impiegarono pochi secondi per arrivare al mezzo, e quando fu a pochi centimetri dalla portiera Anna sfilò un altro fumogeno all’aglio contro l’orda di creature che li stavano inseguendo. Sentì dei colpi di mitragliatrice affianco a lei e vide con la coda dell’occhio che li stavano circondando. Dovevano andarsene.
“Dove sono gli altri?!” gridò nel buio, senza vedere i compagni.
Ma nel caos degli spari nessuno le rispose.
Poi qualcosa le scivolò di fianco. Fulminea Anna puntò la pistola, ma una mano più veloce della sua afferrò l’arma e la scansò, lasciando intravedere nel buio degli occhi smeraldi dal taglio affilato.
“Con quella rischi ancora di farmi male, sai?”
I muscoli della ragazza si rilassarono. Allora notò che il compagno portava qualcuno in spalla. Una ragazza dall’aria smarrita, totalmente immobile. Non fecero in tempo a scambiare una parola di più. Una delle creature superò il muro di proiettili e li raggiunse. Anna venne morsa al braccio, riafferrò la pistola e sparò alla testa del nemico. Dall’altro lato del furgone esplose l’ennesimo fumogeno all’aglio. Il compagno dagli occhi smeraldi si coprì il viso, infastidito.
“Andate via, me la sbrigo io”
Anna obbedì immediatamente, senza discutere, e diede l’ordine di salire sul mezzo. Prese posto sul sedile del passeggero, ed ascoltò immobile il rombo del motore e i ruggiti delle creature che si scagliavano nel vuoto nel tentativo di fermarli.
 
C’era un odore pungente di sangue secco e terra. Erano in molti, non ci mise tanto a capire che erano in toppi. Quella città era loro.
Le luci della macchina furono presto lontane, ma nel buio così fitto erano ancora ben visibili. Ma lui era lì per questo, per evitare che li seguissero. Cominciò a correre nella direzione opposta, cercando di fare più rumore possibile, rovesciando tutto quello che gli capitava a tiro. In meno di dieci secondi lo circondarono, bloccandogli ogni via d’uscita.
Inarcò un sopracciglio: un comportamento complesso, insolito per loro.
Ma non importava. Non gli servivano uscite.
Rimanevano immobili a guardarlo, come se aspettassero qualcosa, poi uno di loro balzò in avanti e gli fu addosso.
Bastò scostarsi appena, scivolare di lato, la sua mano si chiuse sul collo della creatura e ne accompagnò il movimento, scaraventandolo via. Poi, in un soffio di vento, gli furono tutti addosso.
La mano libera andò alla cintura ed estrasse un fumogeno. Lo lanciò in aria, poi le braccia tornarono raccolte accanto al corpo. Colpì alla gola quello immediatamente davanti a sé, lo scavalcò e scivolò tra gli altri come un ombra, sfuggendo ai loro attacchi, sfiorandoli appena. Nell’istante in cui fu sufficientemente lontano, il fumogeno toccò terra, e l’odore di sangue e terra venne scansato da quello pungente dell’aglio.
La ragazza continuava a stringersi a lui saldamente, ma non sarebbe andato troppo lontano con quel carico così prezioso, così delicato.
Svoltò a sinistra, cercando di recuperare il furgone corazzato dei compagni, e passò le mani attorno alle gambe della ragazza per sorreggerla. Corse più veloce che poteva, ma non riusciva a seminarli. Dovevano essere così affamati che nemmeno l’aglio li aveva fermati.
“Devi fare una cosa, te la senti?” domandò alla sconosciuta. Lei annuì contro la sua schiena.
“C’è una pistola nella fondina a sinistra, sulla cintura. Prendila e spara”
Lei scosse la testa.
“Non ti preoccupare” cercò di rassicurarla lui. Aveva già il fiato corto. “Sono talmente tanti che almeno uno lo prendi”
Dopo un lungo istante di esitazione la ragazza eseguì. Si levò il suono del suo sparo, una, due, tre volte, e caddero dei corpi, e gli altri li scavalcarono.
 
Beatrice eseguiva l’ordine che le era stato impartito senza rendersene davvero conto. In una sorta di trance sentiva il rumore attutito dei corpi che cadevano, orribilmente vicini. Troppo vicini. Aveva la vista appannata, cercò di mettere a fuoco. Riuscì a distinguerli appena mentre si muovevano veloci nel buio. Uno di loro le arrivò ad un soffio dal braccio e la graffiò. Sembrò come se tanti spilli le pungessero la pelle, il dolore si diffuse ed arrivò fino alla punta delle dita. Allora si rese conto che non avrebbero resistito a lungo, che tra poco li avrebbero presi. Ma anche il tempo della disperazione era finito da tanto, e così provò solo una rabbia prepotente. Era arrabbiata per non essersi portata il fucile, arrabbiata per il dolore al braccio, arrabbiata per l’orrore di Cripping e tutto il male che aveva portato, ma soprattutto arrabbiata perché le avevano rovinato l’unico cazzo di vestito buono che aveva, e adesso le toccava crepare con la maglietta sgualcita e macchiata di sangue. Era così arrabbiata che prese la mira con cura e aspettò finché non fu assolutamente sicura di centrare il bersaglio. Sparò a quello che l’aveva morsa, e lo mancò. Beatrice bestemmiò Dio, poi tirò la pistola in testa all’infetto e questa volta lo prese. Si lasciò sfuggire un sorriso di soddisfazione, poi cominciò a piangere in silenzio.
 
Erano quasi arrivati, sentiva lontano il rumore del furgone che correva sulla strada. Poi altri due infetti gli tagliarono la strada e gli si scagliarono contro. Cercò di scartarli ma portava un fardello troppo pesante e non ci riuscì. Lo colpirono in pieno e cadde a terra. Sentì la ragazza perdere la presa e cadere più in là. Non sarebbe riuscita a salvarla.
Di nuovo l’aria si impregnò dell’odore dell’aglio, e le creature si ritrassero un istante prima di ucciderli. Il fumogeno era caduto proprio a fianco della ragazza, che stava inerme a terra, forse svenuta o forse rassegnata. La voce di uno dei suoi compagni gli giunse dall’ombra dietro di lui.
“Giù la testa!”
Obbedì. Una scarica di proiettili illuminò l’asfalto a giorno, e i volti sfigurati degli infetti, tirati come teschi. Alcuni caddero, ma nessuno si mosse. Avevano fame. Dovevano mangiare. Avrebbero mangiato.
Afferrò la ragazza e se la rimise in spalla, un peso morto che gravava inerte sulle sue spalle. Riprese a correre, cercando di ignorare l’odore disgustoso della bomba fumogena. Lasciò indietro il compagno.
Così avrebbero mangiato.
I lampi della mitragliatrice si fecero sempre più lontani, e alla fine si spensero. Impugnò un’altra granata e la fece esplodere dietro di sé. Vide i fari del furgone guizzare davanti a lui. Corse più che poteva. C’era quasi. Ma quelli già tornavano, perché il cibo non era bastato, non li aveva saziati. E ora che avevano assaggiato ne volevano ancora. Ma ormai era arrivato.
Uno degli infetti li raggiunse, morse la ragazza al collo e lei gridò di dolore, ma riuscì a dimenarsi e ricacciarlo indietro.
Saltò, in alto, nonostante gli bruciassero i muscoli delle gambe, sul tetto di un garage, e poi su un altro. A frotte lo seguirono. Erano sempre di più.
Ma ormai era arrivato.
Ripose tutte le sue energie nell’ultimo salto. Uno di loro gli graffiò appena una gamba, un istante prima dello stacco, poi lui atterrò sul furgone.
Anna sentì il tonfo sul metallo e capì che era il suo compagno. Premette l’interruttore installato al posto della radio ed azionò i fari all’ultravioletto in cima al furgone blindato. Inondando la strada di luce nera.
Il ragazzo dagli occhi smeraldi fece scattare la maniglia del portellone posteriore e si infilò nella vettura, richiudendo immediatamente. Li sentì gridare di dolore mentre la luce li feriva, li uccideva. Rimase ad ascoltarli. Poi depositò il suo carico prezioso, la fece sdraiare a terra, mentre Anna gli chiedeva dove fossero gli altri due compagni che erano rimasti fuori.
Ma lui non rispose. Li stava ascoltando morire.
“Avevano fame. Dovevano mangiare”
  
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