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Autore: wiston87    28/08/2014    0 recensioni
Un giorno un’uomo si decise a scrivere il più corto romanzo auto-referenziale infinito del mondo. Prese dunque il suo quaderno, ed iniziò a scrivere: “Un giorno un’uomo si decise a scrivere il più corto romanzo auto-referenziale infinito del mondo. Prese dunque il suo quaderno, ed iniziò a scrivere: “Un giorno un’uomo si decise a scrivere il più corto romanzo auto-referenziale infinito del mondo. Prese dunque il suo quaderno, ed iniziò a scrivere: “un giorno ...
Genere: Comico, Demenziale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno un’uomo si decise a scrivere il più corto romanzo auto-referenziale infinito del mondo. Prese dunque il suo quaderno, ed iniziò a scrivere: “Un giorno un’uomo si decise a scrivere il più corto romanzo auto-referenziale infinito del mondo. Prese dunque il suo quaderno, ed iniziò a scrivere: “Un giorno un’uomo si decise a scrivere il più corto romanzo auto-referenziale infinito del mondo. Prese dunque il suo quaderno, ed iniziò a scrivere: “un giorno ...
 
Per quante volte egli scrisse quelle due righe? Non lo sappiamo.
Tuttavia, possiamo quantomeno avere un resoconto di quel che accadde.
Egli aveva iniziato con l’idea di questo romanzo molto corto, il più corto che sia mai stato scritto, e si era dunque, inizialmente, assai eccitato all’idea di venire ricordato nella storia a venire almeno per un qualcosa.
“Chi è costui?”, avrebbe esclamato un passante indicandolo.
“Non lo sai? E' l’uomo che ha scritto il romanzo più corto del mondo!”, avrebbe risposto il suo compare, dandogli una gomitata e strizzandogli l’occhio.
Di certo non era granché essere riconosciuti per un’opera tanto modesta, ma era pur sempre meglio di nulla, ed anche se sapeva che la sua fama non si sarebbe sparsa oltre quei pochi passanti, egli si accontentava tuttavia di questo poco con elegante modestia.
In ciò c’era anche, naturalmente, una certa componente di spirito distruttivo: una tendenza interiore in virtù della quale egli, volendo essere ricordato per quella misera cosa non pensava certo con ciò di fare granché, ma solo di rispecchiare con essa la miseria assoluta della sua esistenza, capace solo di produrre in letteratura un misero romanzo di due righe.
Esso non diventava così, però, facente parte di un significato ben più grande di quello che gli stava dando ora, giacché nella miseria più schifosa era pur sempre racchiuso un primato?
Scrivere il romanzo più corto del mondo non equivaleva allora a scrivere il più lungo; solo con molta meno fatica?
Queste riflessioni di natura psicologica e speculativa sul significato della propria opera lo colsero per mezzo minuto appena e furono subito abbandonate.
Anzitutto perché esse non servivano affatto, non dovendo egli scriverle; se l’avesse fatto il romanzo si sarebbe allungato, perdendo il suo primato.
In secondo luogo perché il significato di quello poteva essergli conferito da chi l’avrebbe poi letto, e quel che lui avrebbe pensato su di esso non contava nulla di nulla, se non come sollazzo interiore per svagarsi un po’ negli sconfinati campi aperti dell’ermeneutica letteraria.
Infine perché, posto che egli avesse avuto quest’idea fulminea, ancora non aveva risposto alla domanda fondamentale, domanda in virtù della quale abbandonò immediatamente le sue riflessioni su un opera che ancora non era nata che in astratto: che cosa diamine doveva raccontare, precisamente, questo romanzo più corto del mondo?
Dovendo cercar risposta a questa domanda, la sua mente capitolò improvvisamente sulla sublime idea che gli stava già davanti nel momento stesso in cui la poneva: il romanzo avrebbe parlato del suo scrivere il romanzo più corto del mondo; di questo e nient’altro!
Non si poteva certo inventare chissà quale grande trama, dovendo questo esser per definizione ridotto all’essenziale.
Avendo posto però questo punto fermo, si rese subito conto che il romanzo non era più un semplice romanzo; era autoreferenziale. E cioè: parlava di se stesso, e di se stesso soltanto.
E ne parlava nell’istante stesso in cui iniziava ad esistere.
Era dunque il più corto romanzo autoreferenziale del mondo!
Ma questo, ancora non gli bastava.
Non che fosse un uomo con molte pretese, questo lo si è già detto: egli si sarebbe certamente accontentato di scrivere il romanzo più breve del mondo, e solo per caso egli era giunto ad ideare il più breve romanzo autoreferenziale, ma, mentre estraeva il suo vecchio quaderno e la sua penna nera, gli venne in mente che potevano in effetti esserci al mondo romanzi più brevi ancora di quello che lui ora si accingeva a scrivere. E' pur vero che ponendo un  ulteriore restrizione fortuita, e avendolo reso autoreferenziale egli aveva ristretto il campo delle probabilità entro cui potevano esistere romanzi che lo battessero in questa speciale rincorsa verso l'alto, però non sussisteva ancora, con ciò, la certezza assoluta del suo primato.
Ed egli doveva subito porre rimedio a questo dubbio.
Cosa avrebbe mai dovuto fare? Andare alla biblioteca del paese e chiedere: “mi dia un elenco dei romanzi più brevi mai scritti? Romanzi che non superino le due righe di lunghezza?”
La bibliotecaria gli avrebbe riso in faccia, come chiunque avesse udito quella domanda assurda; forse persino lui stesso prima di quel glorioso giorno avrebbe irriso il conduttore di una curiosità tanto sciocca.
Eppure... eppure tali romanzi tanto brevi esistevano di certo, se non nelle biblioteche quantomeno negli archivi di qualche segreta società letteraria intenta a schedare tutto quel che giornalmente accade, millennio dopo millennio... entro le strette mura celebrali di ogni letterato del mondo, di ogni topo e tipo da biblioteca, di ogni fottuto bibliofilo che avesse scritto prima di lui un romanzo che non fosse di due righe.. ma di una riga e tre quarti!
Che fare dunque?
C'era un unica soluzione: porre una terza restrizione al campo delle probabilità, rendendo il romanzo ancor più singolare.
Unico.
E la restrizione gli capitò, come quella dell’auto-referenzialità, senza che neanche dovesse sforzarsi di pensarci su: gli fu sufficente appoggiare la penna sul foglio e scrivere quelle due righe per rendersi conto che dopo i due punti, e dopo aver aperto le virgolette, egli doveva raccontare quel che lo scrittore aveva scritto nel romanzo autoreferenziale più corto, e poi raccontarlo ancora e ancora e ancora, in modo tale che avrebbe potuto passare l’eternità a riaprire una parentesi dopo l’altra, un inscatolamento continuo di matriosche sempre più piccole entro cui viveva quel romanzo infinito.
Il più breve romanzo autoreferenziale infinito del mondo.
Cos’era accaduto però, in quel loop eterno entro il quale egli, dovendo trarre il massimo profitto dalla sua idea, e non volendo d'altro canto alzarsi da tavola finché non avesse terminato il lavoro, si dimenticò ipnotizzato com'era dall’estasi, che avrebbe dovuto scrivere all’infinito per terminarlo?
Passò tre giorni e tre notti ipnotizzato nel suo orgasmo creativo, scrivendo migliaia e migliaia di volte quella stessa frase incastonata in successione infinita nella precedente e nella successiva, come anelli di un enorme catena senza fine... la catena della follia che gli cingeva il collo e gli impediva di rialzarsi, se non per prendere un altro delle decine di quaderni ingialliti che aveva posato sul tavolo per continuare a scrivere.
Talvolta, nel breve attimo di pausa in cui il cervello prendeva un microsecondo di respiro tra la fine di una frase e l’inizio della successiva, identica, egli aveva come il lontano bagliore di un dubbio metafisico... se cioè un romanzo così fatto dovesse essere considerato il più breve o il più lungo del mondo, giacché era a ben vedere entrambe le cose nello stesso identico tempo... oh, enorme miseria della logica umana, incapace di comprendere i folli sofismi dell’estetica, della bellezza, dell’amore e della paura della morte e d’una quantità infinita di altre cose...
Al terzo giorno del suo sproloquio, un amico preoccupato, che non l’aveva visto né andare al lavoro né uscire di casa per troppo tempo, bussò alla sua porta e, dal momento che lui non apriva, fu costretto a farsi prestare un doppione delle chiavi da una vicina di casa, e ad entrare di soppiatto.
Quando giunse al tavolo dell’impavido scrittore, l’amico in un primo momento non si accorse di nulla... e come avrebbe mai potuto?
“Victor! Come stai? Sono entrato con un doppione delle chiavi che mi ha dato la Niki... eravamo un po’ preoccupati giù al pozzo fumante, sono tre giorni che non ti fai vedere!”
Victor pareva non averlo neanche sentito, continuava a scrivere con la velocità di una frase ogni cinque secondi. il ritmo un pò rallentato rispetto agli inizi, con una frase ogni due, ma se si tien presente che chiunque altro sarebbe stramazzato al suolo dopo meno di mezza giornata, si potrà perdonargli questa lieve flessione.
“Spero che non sia un problema per te se sono entrato senza il tuo permesso... non vorrei essere di disturbo mentre scrivi, a proposito, cosa stai scrivendo?". Gettò un’occhiata distratta sui fogli, senza neanche leggerne il contenuto, solo per smorzare la tensione ed il lieve imbarazzo che aveva provato quando Victor non aveva risposto ne l’aveva salutato: in fondo lui, per quanto amico, era pur sempre ospite senza invito in casa altrui. "Sai, sono passato anche perché.. al lavoro sono parecchio preoccupati, per non dire arrabbiati, del fatto che non ti fai vedere...potevi almeno dare un avviso o... che ne so... prenderti qualche giorno di ferie se avevi da fare!”
Vuoto totale: Victor è imperterrito sui suoi fogli di carta. La presenza di Andrei sembra solo aver fatto aumentare lievemente il ritmo della sua scrittura, forse per compensare il disturbo che gli sta dando;  disturbo che, benché egli non ne fosse del tutto consapevole (l’amico gli appariva ora come un discorso immensamente complesso udito da un ubriaco, o il chiacchiericcio senza senso di un’enorme folla), c’era una piccola parte di lui che ancora si occupava del mondo esterno, dando man forte alla sua mano e comandandole di andare più veloce, sempre più veloce nello scrivere, per rischiare di cadere in distrazione e da lì dover abbandonare per sempre il compito del romanzo ciclopico.
“Victor? Mi stai ascoltando? Potresti almeno smettere di scrivere quando ti parlo!”.
La testa di Victor divenne di colpo rossa come la brace.
Le tempie, iniziarono a pulsare come un cuore malato, ingorgato da etti di catrame e sulla soglia di un infarto perenne.
Le versioni di quel che accadde da lì a poco non sono unanimi. C’è chi afferma di aver udito un boato, come uno schiocco di fucile mal calibrato; chi di aver sentito un tuono tanto rombante che pareva dover preannunciare l’apocalisse imminente.
Quel che è certo, è che quando la testa di Victor esplose come una bomba all’idrogeno, solo i riflessi felini dell’amico gli impedirono di venir spazzato via come il resto della stanza. D’istinto, prese la pila di quaderni già compilati e si parò con essi, venendo però sbalzato fuori dalla finestra in caduta libera per cinque metri.
L’anno successivo, su una sedia a rotelle, vinse il premio nobel per la letteratura.
  
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