Prima che tu arrivassi
Acqua.
Non aveva importanza che fosse calda o
fredda.
Viveva solo per tuffarsi e immergersi
in un mondo tutto suo, fatto dei riflessi di luce sulla superficie
increspata
della piscina, del suono delle bracciate poderose dei compagni di
squadra e
dell’odore pungente del cloro che gli pizzicava le narici
nonostante tutti gli
anni di nuoto praticato.
Haruka Nanase era questo. Si lasciava
vivere senza sapere cosa avrebbe fatto una volta terminati gli studi
– e non
c’era giorno in cui Makoto non si premurasse di
domandarglielo – e si rifugiava
nella dimensione a cui sentiva di appartenere davvero:
l’acqua.
Non aveva bisogno d’altro.
O almeno si era illuso che le cose
stessero realmente così. Se ne era quasi convinto.
Se solo non fosse tornato lui.
Era già trascorso un anno da quando
Rin Matsuoka – il suo rivale, il suo metro di paragone, il
suo stimolo – aveva
deciso di lasciare
l’Australia per finire gli studi in Giappone. Haruka
ricordava di essere stato
felice di rivederlo – se gli altri avessero percepito quale
morsa gli aveva
serrato lo stomaco nel momento in cui aveva incrociato lo sguardo
dell’amico,
non avrebbero mai giudicato fredda
la
sua reazione – ma allo stesso tempo aveva sentito di odiarlo.
Perché era tornato?
Perché proprio in quel momento?
Perché non aveva rivolto la parola a
nessuno di loro per tutto quel tempo?
Perché
aveva smesso di scrivergli, quando invece glielo aveva promesso?
Non aveva risposta a nessuna di quelle
domande. L’unica certezza era che non poteva fare a meno di
ripetersele di
continuo, scervellandosi su quali motivazioni avessero ricondotto in
patria
Rin.
Rin, che era partito bambino ed era
tornato con le sembianze di un giovane uomo.
Makoto aveva provato a mediare tra
loro due, ma Haruka si era di colpo reso conto che chiunque si
frapponesse tra
lui e l’amico – fosse stato proprio Makoto, Nagisa,
Rei o l’onnipresente Gou –
non costituiva altro che un ulteriore ostacolo da sormontare. Essere
cosciente
che ci fosse qualcuno che tentava di migliorare il già
gelido rapporto con Rin
rendeva le cose ancor più complicate perché stava
a significare che niente era
più come prima.
Ma Haruka desiderava riavere il suo
rivale.
Voleva tornare a nuotare con lui.
Gareggiare anche solo una volta al suo
fianco avrebbe cancellato in un istante gli anni di separazione e la
vecchia
squadra – i vecchi bambini
– sarebbe
tornata più unita che mai.
E lo avevano fatto. Avevano vinto
insieme, coronando il sogno di un’estate.
Poi il nulla.
Ognuno era tornato alla propria vita.
Quello era il loro ultimo anno alle
superiori. Presto la bella stagione sarebbe volta al termine e
l’autunno li
avrebbe separati di nuovo, portando ciascuno in una diversa
Università.
-Avete deciso cosa fare dopo?-.
Rin non aveva usato mezze parole,
quando aveva deciso di fermarsi a parlare con Haruka e Makoto. E non si
era
fatto alcun problema ad ammettere che avrebbe perseguito il sogno di
diventare
un professionista, qualunque cosa fosse successa da lì in
avanti.
-E tu, Haru? Qualche idea?-.
Al contrario. Non ne aveva nessuna.
-Voglio solo nuotare. Ed essere
libero-.
Makoto aveva sorriso e Rin sospirato.
Haruka si era detto che molto probabilmente nessuno dei due aveva
capito cosa
intendesse realmente dire.
Libero. Gli altri lo avevano preso in
giro spesso, credendo che fosse solo la tipologia del suo stile.
No.
Libero voleva dire “senza catene”.
Significava potersi esprimere senza timore di essere giudicato.
Libero era tutto ciò che voleva essere
al mondo.
Perché Haruka si era sempre sentito
prigioniero di se stesso ed era stanco della vita che stava conducendo.
Una vita che non gli aveva ancora
permesso di stare con l’unica persona che gli aveva dato la
possibilità di
essere solo, semplicemente Haru.
La stessa persona che era tornata
diversa da come lui l’aveva conosciuta, si era evoluta di
nuovo ed ora non
aveva tempo materiale per stargli accanto.
Rin era l’ingrediente mancante per
completare la sua personale ricetta della felicità.
Ciò che li avrebbe
amalgamati e uniti per sempre sarebbe stata la pura, trasparente acqua.
Eppure si erano reciprocamente evitati
e continuavano a farlo nonostante bramassero di stare insieme.
“Perché ho
paura”, aveva pensato Haruka.
“Perché sono un codardo”, si era detto
Rin, il cui stato d’animo non era troppo diverso da quello
dell’amico.
Ma entrambi, seppur nel mare di
silenzio in cui paradossalmente affogavano ogni volta che si vedevano,
non
facevano che ripetersi la stessa cosa: “In
fuga senza nessuno da amare. Ero
così,
prima che tu arrivassi”.
Scappare, sì. Lo avevano fatto tutti e
due, Haru mettendo tutto se stesso nel nuoto nel vano tentativo di
liberarsi
del fantasma di Rin e quest’ultimo rifugiandosi in Australia
proprio quando il
sentimento per il compagno era diventato più forte.
Se solo avessero trovato il coraggio
di parlare, di chiarire ciò che c’era stato e che
c’era ancora tra di loro,
avrebbero capito che l’uno era la via di fuga
dell’altro. Liberi entrambi,
liberi insieme.