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Autore: ArtemisiaSando    29/08/2014    0 recensioni
[Ryse: Son of Rome]
Ancora una volta un incipit per una nuova sezione. Questo racconto è ispirato alla recente opera videoludica Crytek: "Ryse: Son of Rome".
Roma. Epoca neroniana. Marius Titus è un giovane aspirante soldato, nato e cresciuto in una nobile famiglia romana presto conoscerà il sapore amaro della guerra e della sconfitta in terre lontane, ma non tutto è ancora perduto. Un incontro cambierà il suo destino per sempre...
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Terzo

Estel si tenne alla larga dal peristilio più a lungo che poté nei due mesi che seguirono, né Marius diede segno di volerle parlare una seconda volta. La vita riprese tranquilla nella fastosa villa romana, Estel poteva ancora sentire il clangore delle spade quando attraversava le stanze adiacenti al ginnasio e questo le era più che sufficiente.

A volte lo vedeva durante i pasti familiari ed i banchetti per gli ospiti, ma non seppe mai dire se i chiari occhi verdi ricambiassero il suo sguardo. Più lontano il giovane Marius rimaneva da lei, meglio sarebbe stato per entrambi.

Arrivò l’autunno e con sé portò un fermento che a stento la ragazza riuscì a comprendere appieno. All’improvviso Giulia aveva costantemente bisogno di lei, riusciva a trascinarla intere giornate nei mercati di stoffe, cercando la più morbida, la più colorata da adattare a nuove vesti invernali. Le cucine traboccavano di cibo ed ogni singolo servo era impiegato in una meticolosa pulizia della villa, ogni tenda andava lavata, cambiata, inamidata. Ogni pavimento lustrato a lucido, liberato dalle foglie morte che s’intromettevano guidate dal vento che scendeva dalle colline.

Estel adorava l’autunno, i suoi colori, i profumi, per questo a volte si attardava nel cortile rabbrividendo alla brezza della sera, incurante delle foglie che s’intrecciavano ai suoi capelli, della polvere che sporcava i calzari.

Era una fredda mattina di novembre quando septa Livia la pizzicò con le stoffe sbagliate, mentre immergeva fugacemente i piedi nell’acqua fredda del laghetto nel peristilio, ormai coperto di foglie sbiadite. Le gridò talmente forte da farle dolere le orecchie, mentre le strappava di mano i panni puliti, ma la ragazza quasi non l’ascoltava. Avrebbe voluto dirle di ascoltare il vento invece, di guardare il cielo limpido di quella mattina piuttosto che concentrarsi su cose futili come le stoffe per l’inverno, e la donna sembrò intuire quella sua impudenza perché, prima che Estel potesse sottrarsi, aveva già sollevato la mano per colpirla.

- Come osi alzare lo sguardo? Sciocca ragazzina! Barbara impudente! Capisci quello che ti sto dicendo? –

Non chiuse gli occhi, pronta a ricevere il colpo, ma con sua sorpresa la mano rimase sospesa a mezz’aria come trattenuta da una forza invisibile. Quella forza non era altro che la solida presa di qualcuno, qualcuno con mani rozze, grandi, rovinate dall’elsa del gladio e dal legno dei pilum.

- Non colpirla. – esordì tranquilla la voce che Estel aveva imparato a conoscere nei mesi passati alla villa, una voce profonda, raspante eppure gentile allo stesso tempo.

In quel momento dopo mesi di sguardi rubati i profondi occhi verdi del ragazzo incontrarono quelli di lei ed Estel quasi si pentì di essere stata tanto vigliacca, di aver anteposto le proprie paure ai sentimenti che aveva provato quel giorno.

- Le barbare portano guai, signore. E questa più di altre! Troppo bella, l’ho detto a tua madre, ma non vuole ascoltarmi. È una ribelle, una piantagrane! E quel che è peggio non capisce la metà delle cose che le chiedo! – continuò a sbraitare la septa agitando il polso nella solida stretta di Marius, eppure Estel non aveva orecchie che per il leggero respiro che lasciava il petto forte di lui.

- Sciocchezze e superstizioni. Mia sorella non si è mai lamentata e tu dovresti fare altrettanto. Cosa le avevi chiesto? – si accigliò, ma lo sguardo era fermo mentre apriva le dita liberando il braccio della donna, segni rossi dove la mano si era chiusa qualche istante prima.

- Un’anfora e lino … LINO, non cotone! – sbottò lei in risposta massaggiandosi il polso, gli occhi scuri ancora fissi nei suoi, sfidandola ad aprire bocca. Marius non si lasciò impressionare dalla furia della septa, piuttosto si allontanò di qualche passo, recuperando un vaso malconcio dal bordo della vasca di marmo.

- Ecco la tua anfora. Dirò a qualcun altro di portarti il lino e ora vai. – la voce dell’uomo era di nuovo sicura mentre porgeva l’oggetto alla septa Livia, congedandola definitivamente. Lei sembrò sul punto di ribattere, ma gli occhi verdi di lui, fissi ed orgogliosi sembrarono farla desistere.

- Si, signore. – biascicò abbassando lo sguardo e, come era arrivata, tornò sui propri passi, sparendo nelle stanze aperte.

Estel guardò il cortile tornare tranquillo e silenzioso, mentre il ragazzo, più alto e possente dell’ultima volta che le era stato così vicino, si accostava a lei.

 

- Mi spiace, non conoscevo la parola. E distinguere le stoffe mi riesce ancora difficile. – sussurrò Claudia, lo sguardo dorato che vagò per un istante fra i propri occhi e l’acqua sporca ai loro piedi. Sembrava più bella dell’ultima volta che l’aveva vista così da vicino, osservò Marius con un certo disagio. Eppure non le avrebbe permesso di scappare, non una seconda volta.

- Non fa niente. Non è colpa tua. La septa sa essere una donna terribile quando vuole, ti consiglio di non sfidarla. – rispose lasciandosi scappare un sorriso, se non fosse stato troppo grande era sicuro che Livia avrebbe volentieri dato qualche scapaccione anche a lui.

- Non è mia intenzione essere impudente, ma mio padre mi ha insegnato a non abbassare mai lo sguardo di fronte a nessuno. – soffiò sollevando i brillanti occhi d’oro sui suoi e di nuovo Marius sentì distintamente il cuore fallire un battito.

- Tuo padre è un uomo saggio. – sorrise dissimulando la tensione, c’era qualcosa in lei, qualcosa che non esisteva in nessuna delle figlie degli altri generali o senatori. Non era solo bella, selvaggia, era anche forte, sveglia e Marius era sicuro che nascondesse più doti di quante una vita da schiava avrebbe mai potuto permetterle di dimostrare.

- Lo era. – annuì la ragazza ed i folti capelli ramati brillarono di nuovi colori alla luce del mattino.

 

- Quando hai un dubbio chiedi pure a me, non aspettare che alla septa prudano le mani. – sorrise lui e ad Estel sembrò il sorriso più bello e sincero che avesse mai visto. Lo guardò nei begli occhi verdi e seppe di aver trovato qualcosa di più importante del proprio dolore, di più profondo della paura, più vero della solitudine.

- Si. Grazie … – rispose dopo un poco, ma il sorriso di lui non era scomparso. Sentì il tintinnio dei bracciali ai propri polsi, ma per una volta non se ne curò, era la prima persona a guardarla e non vedere altro che lei, non una donna, non una schiava, non un corpo, né denaro.

Estel sentì nella gola il sapore amaro delle lacrime, ma le ricacciò indietro. Non poteva ricambiare quella sua gentilezza, forse non avrebbe mai potuto.

- Dovere. –

   
 
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