Ricordati di guardare il tramonto
Capitolo I
Roma,
2004.
Esiste
un momento, nella vita di ogni essere umano, in cui bisogna
scegliere.
Ma
non una scelta come quella del liceo, dell'università, del
matrimonio o dell'avere figli, scelte importanti ma quasi banali e
scontate in una società che fa il possibile per omologare
tutti gli
individui.
No, la scelta che tutti prima o poi fanno è quella che
spacca il mondo in due strade; da una parte il proprio passato,
dall'altra un futuro troppo diverso per essere la sua naturale
conseguenza.
Molti il momento di questa scelta neanche lo vivono
ufficialmente, perché quando si scontrano con la
possibilità di
scambiare il passato per il futuro fanno finta di non vederla,
convinti che sia un errore del destino o, se sono più
cattolici, una
trappola del Diavolo.
Si vanteranno poi per tutta la vita di non
esserci caduti, sicuri che il loro percorso si stato l'unico
moralmente ed umanamente possibile.
Altri, invece, sono
affascinati e spaventato insieme da questa opportunità e
provano in
ogni modo possibile a far conciliare passato e futuro per la durata
di tutta la loro esistenza. Fallisce nell'impresa oltre il novanta
percento della popolazione, e il restante dieci non andrà
mai a
letto felice per due sere consecutive.
In fine c'è chi ha il
coraggio di fare questa scelta sapendo che o la va o la spacca, che
indietro non si potrà mai tornare e che non esisteranno mai
più le
mezze misure.
Sono poche le persone così coraggiose da affrontare
il futuro o così codarde da volersi scordare completamente
del loro
passato, ma sono anche le uniche che non avranno mai rimorsi o
rimpianti. Perché quando prendi in mano la tua vita, quando
decidi
per te a costo di andare contro tutti, allora sai che la scelta
è
giusta a prescindere dal dopo.
Claudia Petrolini aveva ventuno
anni appena compiuti quando aveva deciso di fare parte di
quest'ultima categoria.
Era estate e Roma assomigliava a una
bambina, piena di colori, rumori, luci e cose da scoprire.
O
almeno questa era la situazione nel centro, in quelle vie sempre
affollate di cittadini romani e turisti.
Nel quartiere di Claudia
la storia era diversa. Quando era bambina passava le estati nel
cortile che congiungeva il suo palazzo e gli altri dello stesso
isolato, un posto ombroso e fresco dove non c'erano pericoli ma solo
altri ragazzini con cui passare il tempo.
La maggior parte dei
genitori, lì, faceva il possibile perché i loro
figli non si
muovessero mai da quel cortile.
I piccoli che giovavano in quella
zona venivano spesso da situazioni familiari complesse, erano bambini
difficili e irrequieti, ed era facile venissero alle mani per
questioni da poco, facendo presagire un futuro lontano da un
qualsiasi tipo di scalata sociale o miglioramento delle condizioni di
vita rispetto a quella delle famiglie di origine.
Certo,
c'erano anche ragazzini che malgrado le disagiate condizioni
socioeconomiche da cui venivano volevano riscattarsi, magari
studiando, ma erano considerabili mosche bianche.
A quattordici
anni, nell'estate tra la terza media e la prima superiore, iniziava
l'esodo.
Dal cortile al mondo lì fuori, pochi passi che cambiano
per sempre le vite di quei ragazzini.
Nascevano,
lontano dal cortile, nuovi gruppi, nuove compagnie, e spesso bastava
scambiarsi uno o due anni di età, lasciarsi giusto il tempo
di
qualche stagione, per ritrovarsi in strada troppo diversi da prima,
separati per sempre pur continuando a vedersi ogni giorno nelle vie
del quartiere o addirittura nell'androne di casa.
Lì di licei non
ce ne erano, solo un paio di istituti tecnici e, ovviamente, le
scuole elementari e medie che tutti quei ragazzini si erano trovati a
frequentare.
Il fratello maggiore di Claudia, Gianluca, aveva
passato gli anni delle superiori proprio come tutti i suoi coetanei
della zona, studiando in uno di quei due istituti e girando a vuoto
nei pomeriggi – forse troppi – in cui non c'era
nulla da
fare.
Solo dopo la maturità, vedendo la fine poco auspicabile che
stavano rischiando i suoi amici, aveva deciso che no, quella vita non
gli sarebbe piaciuta.
Si era iscritto ad ingegneria e sognava di
fare un lavoro qualsiasi ma appagante.
I due ragazzi erano stati
cresciuti dal padre, Oreste Petrolini, dopo che la madre era scappata
da quel modo di vivere e da quel quartiere con un facoltoso avvocato
quando Gianluca aveva otto anni e Claudia solo quattro.
La
bambina era stata iscritta a scuola con un anno di anticipo nella
speranza del padre che, stando più vicina al fratello
durante gli
studi, il rapporto tra i due figli potesse crescere con
loro.
Fortunatamente era successo, anche se forse il merito non
era stato della scelta del padre, ma per Claudia era stato meglio
così.
Il signor Oreste aveva una piccola libreria, una bella
sfida in un posto come quello.
Eppure con ciò che portava a casa
era riuscito a tirare su i due figli, a farli studiare e a regalare
loro una vita dignitosa.
Nell'estate del 1996, a tredici anni,
anche Claudia – naturalmente un anno prima rispetto agli
altri –
aveva superato gli esami di terza media e aveva avuto la
libertà di
uscire dal cortile.
Ma non ne aveva poi approfittato così tanto,
almeno non quanto facevano gli altri ragazzi di solito.
Stupendo,
ma neanche troppo, tutti quelli che la conoscevano si era iscritta
per l'anno scolastico seguente al liceo classico, malgrado non fosse
comodissimo rispetto a casa sua, e così aveva deciso di
passare i
mesi estivi a riposare e preparasi, anche iniziando a studiare,
all'avventura che avrebbe intrapreso dal settembre successivo.
Non
erano mancate certo giornate al mare con parenti e amici, ma per il
resto della stagione Claudia si era chiusa in casa o nella libreria
del padre a preparare se stessa per la quarta ginnasio.
Gli
anni delle superiori erano volati in un lampo, portandole via tempo
ma regalandole parecchie soddisfazioni.
Ultima tra tutte il voto
di maturità, un cento tondo, l'unico del suo anno.
Aveva
mancato per un soffio la lode, a causa dei continui sette in
educazione fisica, ma era stata felice del suo percorso scolastico.
E lo stesso era valso per suo padre, che nei cinque anni di
superiori aveva ammirato gli impegni e gli sforzi della figlia.
Era
particolare il loro rapporto, forte come se più che parenti
fossero
amici.
Non erano certamente mai mancati i litigi e le discussioni
tipici della difficile età di Claudia, le incomprensioni
classiche
che prima o poi tutti i rapporti genitori-figli attraversano, ma le
avevano affrontate sempre al meglio, forse perché abituati
ad essere
soli. Oreste aveva cresciuto senza aiuto la sua bambina e lei non
voleva distruggere tutto quello che avevano costruito insieme.
Anche
l'estate della maturità, quella che ad esame finito veniva
considerata da tutti i ragazzi libera e spensierata, forse
perché
era vista come l'ultima prima dell'età adulta, Claudia
l'aveva
passata sui libri, preparando con dedizione il test di ammissione
alla facoltà di Medicina.
Fosse stato per lei avrebbe iniziato
lo studio per quella maledetta prova di ingresso che a malincuore
temeva di non superare già molti mesi prima, durante l'anno
scolastico, ma alla fine lo studio per la maturità le aveva
prosciugato tutto il tempo e le energie a sua disposizione.
A
differenza di cinque anni prima, quando pur passando i mesi estivi
sui libri qualche giornata di mare e divertimento se l'era concessa,
quella volta non aveva tolto una sola ora allo studio, cercando con
tutta se stessa di realizzare il suo sogno.
Aveva deciso di
diventare medico tanto tempo prima, da bambina, ma mentre cresceva
più volte aveva cambiato idea sulla specializzazione da
prendere
dopo la laurea; prima pediatria, poi chirurgia, poi alle scuole medie
aveva cambiato completamente pensando di curare gli animali e non gli
esseri umani diventando veterinaria e ancora, al ginnasio, era stata
a lungo indecisa tra cardiologia e ostetricia.
Fino a che,
durante le vacanze di Natale del terzo anno di superiori, parlando
con un'amica di famiglia uscita da poco da un brutto periodo a causa
di un figlio con problemi di salute, non aveva avuto l'ispirazione e
deciso a cosa avrebbe dedicato la sua vita da medico.
Neuropsichiatria infantile, sarebbe stata quella la
specializzazione che avrebbe cercato di prendere una volta laureata.
Ma
con calma, c'era tempo.
Prima si sarebbe dovuta laureare,
ovviamente, e prima ancora c'era quel test di ammissione che tanto la
spaventava.
E che invece, come tutti tranne lei si aspettavano,
aveva superato al meglio.
Il signor Oreste aveva capito subito che
mantenere agli studi universitari non uno ma due figli sarebbe stato
economicamente pesante ma pazienza, per aiutarli ad avere un futuro
degno dei loro sogni avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Gli
ottimi voti scolastici avevano inoltre fruttato a Claudia una borsa
di studio, e lei avrebbe fatto tutto il possibile per non perdere
quel piccolo aiuto.
Verso la fine del primo anno di studi aveva
conosciuto Davide, studente di giurisprudenza di due anni
più grande
che in breve era diventato il centro dei suoi pensieri.
Non
era passato molto tempo e la cosa si era dimostrata reciproca, tanto
che quell'estate, finalmente libera davvero perché era
riuscita a
terminare in luglio l'anno accademico, l'aveva passata con lui come
fidanzata ufficiale.
Aveva smesso di frequentare i ragazzi del
suo quartiere parecchi anni prima, all'inizio delle superiori, e non
era stato strano per lei conoscere e fare amicizia con persone che
venivano da realtà completamente diverse rispetto alla sua.
Con
i compagni di università, ad esempio, era facile che ci
fossero
differenze sociali anche marcate, ma a vent'anni, se ci si trova bene
insieme, non si fa troppo caso a certi argomenti che paiono passati
da secoli.
Non ci faceva caso Davide, di famiglia borghese, non
ci facevano caso neanche i suoi genitori, che avevano anzi preso
subito in simpatia quella ragazza di borgata, e nemmeno il signor
Oreste pensava troppo a chi fosse e da dove venisse il ragazzo con
cui si frequentava sua figlia, a lui bastava che la giovane fosse
amata e rispettata come meritava.
In fine Claudia, dal canto suo,
aveva smesso da parecchi anni di pensare alle differenze sociali, e
le sarebbe piaciuto poter distruggere le classi economiche e in
generale le disparità e le disuguaglianze che secondo il
suio modo
di vedere le cose stavano alla base di tutti o quasi i problemi del
mondo.
Era comunista, Claudia Petrolini.
Senza vergogna, senza
la necessità di volerlo nascondere ma anche senza il bisogno
di
ostentarlo troppo.
Viveva bene in compagnia dei suoi ideali non
pensando a ciò che poteva dire la gente ma, piuttosto,
pensando a
cosa lei e i suoi valori avrebbero potuto fare per gli altri.
Era
diventata comunista, o forse sarebbe stato più giusto dire
che aveva
capito di esserlo, come se fosse stato qualcosa che aveva sempre
avuto dentro, a quindici anni, nell'estate tra la quinta ginnasio e
la prima liceo.
Era un agosto particolarmente caldo, a Roma, e
quell'anno gli affari in libreria non erano andati troppo bene.
Ma
Gianluca si era diplomato un mese prima e il padre non aveva voluto
togliergli la gioia del viaggio di maturità, anche a costo
di
rinunciare alle sue ferie e tenere aperto il negozio tutta
l'estate.
Claudia non aveva avuto problemi, le bastava fare
qualche giornata di mare a Ostia con le sue amiche e per quelle non
c'era bisogno che di qualche spicciolo per i biglietti.
Nella
città di mare, in realtà, la famiglia Petrolini
aveva una casa
proprio a pochi metri dalla spiaggia. Era stata acquistata parecchi
anni prima dai nonni paterni dei due ragazzi e, dopo che erano venuti
a mancare, era passata al signor Oreste.
L'uomo sapeva che se
l'avesse venduta avrebbe ricavato abbastanza soldi da poter almeno
fingere per qualche mese di vivere una situazione economica normale,
ma era troppo legato a quella villetta, troppi ricordi.
Avrebbe
fatto una scelta del genere solo in completa assenza di
alternative.
E poi, tolto quell'anno, era sempre riuscito a
sfruttarla almeno un paio di settimane ogni estate per staccare dalla
vita di città e fare un po' di mare insieme ai figli,
un'opportunità
che diversamente non avrebbero potuto avere.
Quindi pazienza, i
sacrifici nella vita toccano a tutti e per quella volta Oreste
Petrolini ne avrebbe fatto uno in più.
Tanto, nella maggior parte
di quei cocenti giorni estivi, aveva avuto al suo fianco in libreria
l'adorata figlia, e in fondo non poteva chiedere di meglio.
Claudia
aveva finito presto i compiti delle vacanze estive per essere libera
e, come faceva sempre, aveva cercato qualcosa da leggere tra i libri
in vendita.
Per caso era finita tra quelli che parlavano di
economia e politica e, sempre per caso, le era capitato tra le mani
“Il manifesto del partito Comunista” di Karl Marx e
Friedrich
Engels, il libro capostipite e vangelo dei movimenti di estrema
sinistra dell'intero pianeta.
Fino a quel momento la ragazzina e
la politica erano stati due mondi totalmente separati, lontani anni
luce l'uno dall'altra.
Certo, sapeva un minimo quello che
succedeva nel suo paese, era logico, ma per il resto non si era mai
interessata troppo alla gestione dello stato democratico e alle varie
idee ed opinioni che concorrevano in questa.
Non c'era neanche
troppo da fargliene una colpa, ad essere sinceri, lì dove
era
cresciuta non esistevano sezioni di partito, circoli giovanili o
altro che potesse far avvicinare i ragazzi alla politica.
La
sera, quando era l'ora dei telegiornali, i televisori del quartiere
dove viveva Claudia erano accesi su telenovele o programmi che
avevano a che fare con tutto meno che con l'informazione.
Soltanto
a casa Petrolini il signor Oreste non perdeva mai un'edizione del
notiziario delle venti. Lo seguiva in cucina mentre preparava la
cena, più ascoltandolo che dando peso alle immagini, a suo
dire
sempre troppo cruente.
Finito anche il meteo Oreste Petrolini
spegneva l'apparecchio, chiamava i figli a tavola e cenava con loro
chiacchierando e facendosi raccontare dai ragazzi la giornata appena
trascorsa, come pensava fosse giusto fare in una famiglia normale.
Claudia, che di solito mentre il padre cucinava si trovava a
fargli compagnia finendo di ripassare o fare i compiti per il giorno
seguente, ogni tanto buttava l'orecchio per ascoltare ciò
che il
giornalista di turno diceva, e a questo doveva le poche cose che
sapeva sulla situazione politica o economica dell'Italia e in
generale del mondo.
Per tale motivo lei per prima si era stupita
quando aveva capito in quale reparto stesse cercando la sua lettura
successiva, ma alla fine aveva deciso di farsi guidare dal destino
che l'aveva portata lì e aveva scelto di leggere Marx.
Non era
stata una lettura semplice, non era riuscita a divorare quel libro
rapidamente come era solita fare con tutti gli altri, anzi, c'erano
state parti che aveva dovuto leggere più volte per
comprendere
totalmente, ma alla fine della lettura la ragazzina aveva provato un
piacevole bisogno di continuare a fare ricerche su Marx e sul
comunismo in generale.
Niente di più semplice; dal crollo del
muro di Berlino erano passati meno di dieci anni e commenti sul
comunismo e su tutto il male che aveva fatto in parecchi decenni
nell'Est Europa si trovavano continuamente senza bisogno di cercare
troppo.
Ma quelle parole – spesso esageratamente di parte –
non bastavano a saziare la curiosità di Claudia che, poco
per volta,
aveva cominciato a cercare le sue risposte da sola, nei libri
più
moderni e nei classici del comunismo anche Italiano.
Pian piano
aveva iniziato a farsi una sua idea politica e storica, capendo che
quell'ideologia fosse la sua strada e che era vero, quello che era
successo per un lungo periodo in Unione Sovietica poteva considerarsi
terribile, ma allo stesso tempo doveva esserci per forza un modo per
far combaciare il comunismo e la democrazia.
La storia del
Partito Comunista Italiano, scioltosi da pochi anni, in fondo lo
confermava.
Qualche mese dopo la prima lettura di Marx, una sera
che Gianluca non era in casa, la giovane aveva detto al padre di
essere comunista.
Il signor Oreste, che a differenza della
maggior parte dei suoi connazionali non aveva mai nutrito particolare
odio verso i rossi quanto un generale disappunto verso tutte le idee
politiche non aperte al confronto democratico, era rimasto stranito
da quella dichiarazione.
Non
tanto per l'orientamento politico che la figlia gli aveva detto di
avere, quando per l'idea stessa che Claudia fosse già
così
cresciuta da poter avere idee in quel frangente.
Non si era
accorto, come spesso accade ai genitori, di quanto rapidamente la sua
bambina stesse diventando una giovane donna, cambiando nel corpo e
maturando nei pensieri.
Anche quello politico.
Quella sera
avevano parlato a lungo. Il signor Petrolini si era ricordato di
averla vista leggere “Il Manifesto” di Marx durante
le calde
giornate estive in libreria, ma non ci aveva fatto troppo caso e dei
libri sul comunismo che la figlia aveva letto successivamente non si
era neanche accorto.
Claudia, durante quella chiacchierata, aveva
raccontato al padre delle sue opinioni e delle ricerche che
continuava a fare.
Lui l'aveva ascoltata con passioni e affetto,
capendo i suoi pensieri e scoprendo qualcosa in più sulla
sua
piccola.
Dopo quella sera nulla era cambiato tra padre e figlia,
se non che si conoscevano ancora meglio.
In
Claudia, però, erano col tempo mutate molte cose; dopo aver
chiarito
con se stessa le sue posizioni e avere studiato il possibile a
riguardo aveva iniziato a cercare di fare qualcosa di concreto per
portare avanti le sue idee.
Così, tanto al liceo quanto poi
all'università, aveva partecipato a collettivi e guidato
manifestazioni di protesta andate più o meno bene.
A vent'anni
aveva seguito un programma Europeo e frequentato sei mesi di
università in Spagna, a Madrid.
Avrebbe voluto fare di più,
inizialmente, ma poi si era ricreduta pensando a quanto le sarebbero
mancati suo padre, Gianluca e Davide.
Soprattutto Davide.
La
loro relazione era il meglio che Claudia potesse desiderare, e non
avrebbe mai avuto il coraggio di porre fine al loro amore solo per
via della lontananza.
Davide aveva scoperto praticamente subito
il pensiero politico della sua amata, e non era mai stato un
problema.
Benché molto più moderato anche lui era solito
definirsi di sinistra, o comunque non gli era mai passato per la
testa di votare destra, né tanto meno i centrismi di
ispirazione
cattolica.
Nell'estate in cui Claudia aveva compiuto ventuno anni
avevano deciso di mettere via un po' di soldi e fare un paio di
settimane negli Stati Uniti solo loro due.
Prima di atterrare
nella Grande Mela, tappa iniziale del loro viaggio, avevano compilato
un questionario necessario all'ingresso negli Usa e, tra le altre,
avevano dovuto rispondere a una domanda che gli chiedeva se fossero
mai stati iscritti al Partito Comunista.
Entrambi avevano
ovviamente risposto di no e Davide, per scherzare, aveva anche preso
in giro la fidanzata.
Ma a lei quella domanda aveva dato da
pensare.
A oltre dieci anni dallo scioglimento del PCI in Italia
si stava facendo strada una nuova forza di estrema sinistra che
pareva volerne prendere il posto: Il Partito Comunista degli
Italiani, in breve PCdI.
Il nome non era poi così diverso da
quello originale e il cambiarlo era stata semplice necessità
dettata
da noiosi fatti di diritti, copyright e cose del genere.
Si
trattava di una forza nuova e giovane proprio perché giovani
erano i
suoi membri.
Certo, c'erano anche quelli che un tempo si
sarebbero chiamati grigi burocrati, era naturale ed era proprio da
loro che qualche anno prima era partito il progetto, ma per il resto,
quando era capitato che il partito riuscisse ad eleggere qualche
consigliere comunale, regionale, o, alle ultime elezioni politiche
era miracolosamente accaduto, qualche parlamentare, erano sempre
stati uomini e donne sotto i cinquant'anni – fatta eccezione
per
qualche Senatore – e, spesso, sotto i quaranta.
Quando sarebbe
tornata dall'America Claudia si sarebbe iscritta a quel partito, ne
era certa.
Lo aveva deciso alla fine della vacanza e aveva
pensato di comunicarlo a Davide l'ultima sera del loro soggiorno,
durante la cena di nuova New York, città da cui sarebbero
ripartiti
per l'Europa.
Ma non ne aveva avuto il tempo, perché proprio in
quella serata, passata in un ristorantino di Little Italy scelto per
abituarsi all'idea di tornare a casa, Davide aveva chiesto alla sua
amata di passare tutta la vita insieme, di sposarsi presto, il prima
possibile.
E Claudia era scoppiata in un pianto pieno di gioia,
perché domanda più bella non avrebbero potuto
fargliela.
Aveva
preso l'aereo il giorno dopo con gli occhi ancora lucidi di
felicità,
e appena arrivata a casa aveva buttato le braccia intorno al collo
del padre e gli aveva comunicato la felice novità.
Il signor
Oreste, che aveva visto Gianluca sposarsi un paio di anni prima e da
poco sapeva che la moglie del primogenito aspettava un bambino, era
stato contentissimo di quella notizia, anche se gli si stringeva il
cuore a pensare che entro poco sarebbe rimasto solo nella casa in cui
aveva sempre vissuto fin dal 1975, anno del matrimonio con la madre
dei ragazzi.
I due giovani avevano deciso di iniziare i
preparativi per le nozze in autunno, così da dire il loro
sì,
ovviamente in modo civile, la primavera successiva.
Ma dopo la
gioia immensa della proposta, una volta tornata a Roma, Claudia aveva
dovuto dire al padre e al fidanzato di volersi iscrivere al PcdI.
Ed
era stata questa la scelta che lei aveva avuto il coraggio di fare e
che molti non avrebbero mai fatto.
Oltre a non essere argomento
di discussione solito la politica era, nel suo quartiere, considerata
come un male, un qualcosa che andava allontanato il più
possibile.
Secondo tutti, infatti, gli uomini grigi sempre ben
vestiti erano solo maledette sanguisughe alle quali del popolo
interessava poco o niente.
E sì che quella zona poteva essere
stata scordata dallo Stato prima ancora che da Dio e dagli uomini, ma
per la ragazza questo non era di certo un buon motivo per disprezzare
la politica in ogni sua sfumatura.
Anzi,
secondo lei doveva casomai essere l'esatto contrario; tutta
quell'assenza di Stato, tutti quei ragazzini che parevano abbandonati
a loro stessi avrebbero dovuto, per Claudia, spronare tutti a fare
qualcosa per migliorare la situazione ed evitare che cose simili
capitassero ancora.
Ma invece nulla, nessuno si era mai
interessato alla cosa.
Forse era successo, in realtà, una o due
volte, e quella gente era stata subito vista male e considerata come
fosse appestata.
Anche Claudia avrebbe fatto quella fine, lo
sapeva. Appena la voce della sua decisione fosse arrivata alle
orecchie degli abitanti del quartiere lei sarebbe stata come mai
esistita, mai conosciuta.
Probabilmente sarebbe stato anche
peggio, perché era comunista e i pochi che in zona votavano
lo
facevano a destra, ma pazienza.
Qualcuno avrebbe detto che dalla
figlia di Oreste Petrolini bisognava aspettarselo, era sempre stata
così strana, così diversa dagli altri, chiusa in
casa o in libreria
a studiare senza quasi mai uscire con gli altri ragazzi.
A lei di
cosa avrebbe detto la gente importava poco, anche perché una
volta
sposata con Davide sarebbe andata a vivere ben lontano da
lì, e
l'unica cosa che si augurava era che la sua scelta non avesse
ripercussioni su suo padre e sull'attività commerciale con
cui
tirava avanti da praticamente sempre, perché se fosse
accaduto
qualcosa del genere non se lo sarebbe mai perdonata.
Prima di
andare via però doveva fare una cosa, doveva salutare quello
che da
parecchi anni era considerabile il suo unico amico in quel pezzo di
città, Oscar.
Oscar aveva tre anni più di Claudia ma in prima
media era stato bocciato due volte.
Lei frequentava la scuola un
anno avanti e al terzo tentativo del ragazzino di arrivare in seconda
si erano ritrovati nella stessa classe.
Non era stato un male, per
quanto la differenza tra una bambina di dieci anni e un
preadolescente di tredici fosse forte si erano subito trovati bene
insieme e già dopo poche settimane erano diventati amici
stretti.
Anche lui era assiduo frequentatore del cortile, ma giocava con
tutt'altra gente rispetto a Claudia, motivo per cui lì non
si erano
mai incontrati.
L'amicizia tra i due era stata positiva per Oscar,
perché grazie alla ragazzina era riuscito a superare bene
tutti i
tre anni di scuola media senza più fermarsi, e alla fine del
percorso aveva discusso a lungo con i genitori pregandoli di
lasciarlo iscrivere al liceo scientifico, ma non c'era stato verso di
convincerli.
Liceo significava università, e loro non avevano
né
i soldi né la voglia di farlo studiare e diventare dottore
in chissà
cosa.
La madre di Oscar faceva le pulizie, il padre aveva un banco
di frutta e verdura al mercato del rione, lui era il primo di quattro
fratelli e gli altri tre erano tutti molto più piccoli.
In casa,
quindi, c'era un costante bisogno di soldi e il necessario per fargli
frequentare l'università era utopico potessero averlo.
Così il
ragazzo si era iscritto all'istituto tecnico di zona per prendere un
diploma che gli consentisse di iniziare a lavorare subito per dare
una mano ai genitori.
I primi due anni erano stati molto
positivi, ma con l'inizio del triennio i suoi voti erano calati
parecchio ed era stato bocciato.
A quel punto, tre anni indietro
rispetto al dovuto, aveva deciso di lasciare definitivamente gli
studi e cercare qualcosa da fare, iniziando con l'aiutare suo padre
al mercato.
Per Claudia era stata come una sconfitta personale,
perché in quei sei anni aveva fatto il possibile per
spronare
l'amico ad andare avanti e studiare, cercando anche i modi
più
assurdi per fargli frequentare un giorno l'università.
Ma le cose
erano andate diversamente e pazienza, loro sarebbero rimasti amici
comunque, anche se da quel momento si sarebbero sicuramente visti di
meno.
Oscar aveva saputo fin da subito dell'interessamento della
ragazza per Marx e l'ideologia comunista.
Non ne era stato
entusiasta ma neanche troppo contrario, dopo tutto sapeva che Claudia
era diversa dagli altri ragazzi del quartiere. E poi, comunque,
quando stavano insieme avevano bene altro di cui parlare.
Crescevano
troppo in fretta e si vedevano troppo poco per non passar quel tempo
a raccontarsi tutta la loro vita, altro che parlare di politica o
simili.
Ma quel giorno Claudia doveva assolutamente dirlo, ad
Oscar, dirgli che si era iscritta al partito, che aveva deciso di
mettersi al servizio dello Stato e dedicare alla politica la sua
intera vita.
E sperava che il suo migliore amico fosse contento
per lei, lui che era stato il primo che aveva chiamato quando aveva
scoperto di essere passata al test di medicina, ancora prima di suo
padre.
Si era però tragicamente sbagliata, purtroppo,
perché la
reazione del ragazzo era stata totalmente opposta.
- Vuoi andare a
fare la serva?- Le aveva chiesto. - Vuoi fare quella che distrugge la
vita degli altri? Vuoi fare lo stesso lavoro di chi parla parla ma
poi non fa nulla, è questo che vuoi fare della tua vita?-
Claudia
era rimasta a dir poco sconvolta da quella risposta, ma era una
ragazza abbastanza forte ed intelligente da poter rispondere
all'amico facendo valere le sue ragioni senza urlargli addosso.
-
In realtà io voglio fare l'esatto contrario, Oscar. Io
voglio
cambiare le cose, o almeno iniziare a fare qualcosa del genere. Te lo
ricordi? Ne parlavamo anche insieme quando mi chiedevi
perché fossi
tanto fissata con Marx e con il comunismo. Adesso ho soltanto deciso
di dedicare la mia vita a questo, per quanto possibile, di non
lasciare che le mie rimangano solo parole.-
Gli aveva parlato con
tutta la sincerità possibile, quella che usava sempre e solo
con
lui, perché erano migliori amici e si faceva
così.
Ma l'altro
pareva non volersi muovere di un solo passo dalle sue posizioni.
-
È bello, Clà. Sarebbe bello ma non funziona
così, e forse lo sai
anche meglio di me. Prima che tu cambi il sistema o qualsiasi altra
cosa è lui che cambia te. E poi scusa, la laurea che stai
prendendo
in medicina? Tutti gli sforzi che hai fatto in questi anni e che
ancora stai facendo non servono a nulla? Vuoi buttare tutto
all'aria?-
Claudia sospirò. - Non voglio buttare all'aria proprio
un bel niente, io mi laureerò e realizzerò il mio
sogno come
medico, ma questo non significa che non possa cercare di fare
qualcosa per il mio paese, anzi.-
- È colpa di Davide, vero? Ti
ha convinta negli Stati Uniti che il modello di vita americano era
sbagliato e tu quindi hai deciso di iscriverti al partito comunista.-
Oscar parlava con una sintassi elementare,con frasi degne di un
bambino di dieci anni e cercando di ripetere a pappagallo concetti
che nella sua mente erano vaghi e confusi.
Ripescava frasi
anticomuniste sentite da piccolo, quando ancora c'era la
Guerra
Fredda, e le mischiava a quelle sentite più avanti, incapace
di
scindere le situazioni in cui le aveva udite per il semplice fatto
che non aveva la più pallida idea di quali potessero essere
i
contesti storici, sociali e politici in cui qualcuno aveva detto
questa o quell'altra cosa.
E a Claudia tutto quel voto pneumatico
che l'amico aveva in testa, quella mancanza totale di interessi,
curiosità e ideali di ogni genere, faceva male,
perché aveva
provato a lungo a convincerlo del fatto che vivere non fossero solo
alzarsi e lavorare per guadagnare il necessario ad andare avanti.
Ma
evidentemente, non c'era riuscita.
Nonostante tutto però provò a
sorridere, perché quando aveva sentito il nome di Davide il
suo
sguardo, proprio come quello di ogni ragazza innamorata, si era
illuminato facendole ricordare che doveva dire ad Oscar un'altra cosa
importantissima.
- No, Davide non è neanche comunista, figurati.
Ma c'è una cosa che devo dirti a riguardo. Io e Davide ci
sposiamo,
Oscar. Abbiamo deciso di passare la vita insieme.-
Lo sguardo del
giovane si fece strano.
Non aveva nulla contro Davide, lo vedeva
felice con Claudia. Soprattutto vedeva felice lei e questo gli
bastava, ma non era stupido, sapeva che se si fosse sposata sarebbe
andata via, iscritta al partito o meno.
- Sei venuta a dirmi
addio, Clà?-
Anche il suo tono di voce si era fatto cupo, triste,
completamente diverso da quello che aveva avuto fino a poco
prima.
Erano seduti uno di fronte all'altra, sulla loro solita
panchina,quella dei loro pomeriggi insieme in quegli anni.
Claudia
tentò di prendergli le mani, lo faceva sempre quando i loro
discorsi
diventavano più tristi, ma Oscar le tirò
indietro, quasi a dirle,
silenziosamente, che era il caso di allontanarsi perché
secondo lui
sarebbe stato meglio così.
La ragazza provò a parlargli, allora,
a dirgli che non sarebbe andata in quel modo e che il loro rapporto
sarebbe stato sempre più forte di ogni sua decisione, ma era
stato
tutto inutile.
Oscar si era alzato dopo poco e l'aveva guardata
con gli occhi pieni di lacrime che mai e poi mai avrebbe pianto.
-
È finita, quindi, e non lo negare. Sono felice del fatto che
tu sia
venuta a dirmelo.-
- Oscar non è così, e lo sai anche tu.-
Provò
a dirgli un'ultima volta.
- Sta' zitta! Lo sai anche tu cosa? Tu
lo sai, Claudia, tu sai che per me non c'è più
posto nella tua
vita, smettila di mentirti da sola!-
La ragazza avrebbe voluto
abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma non
riuscì a
farlo.
Tra loro si era formato come un muro invisibile, lo stesso
che lei aveva visto per tutti quegli anni tra la sua vita e quella
dei suoi coetanei nel quartiere.
Claudia sospirò guardandolo il
silenzio, scendendo dolorosamente a patti con l'idea che lui avesse
ragione; non ci sarebbe stato più spazio per il loro
rapporto nella
vita che lei presto avrebbe intrapreso.
Rimasero senza parlare
per alcuni minuti che parvero piccole eternità.
Il sole iniziava
a calare, la sua intensità si riduceva rapida in quella
serata di
settembre, così rapida che in poco tempo il ragazzo fu in
grado di
guardarlo fisso senza avere problemi.
E fu proprio mentre
osservava la palla infuocata illuminare Roma di uno splendido
arancione come se fosse una canzone di Antonello Venditti che
parlò
di nuovo.
- Io spero solo che tu sappia a cosa vai in contro,
Claudia.- Disse tornando a guardare la ragazza. - Mi auguro che tu
possa realizzare qualcosa, anche se la vedo difficile. Mi mancherai,
ma non cercarmi. Non apparteniamo più alla stessa vita o
allo stesso
mondo.
Però
una cosa te la chiedo; ricordati di guardare il tramonto. Sempre,
anche se diventerai qualcuno di importante, che tanto i palazzi del
potere stanno sui colli e da lì si vede bene.
Te guardalo,
sempre, così magari ti ricorderai di me e di questi anni che
ti
apparterranno fino alla fine della tua vita. Buona fortuna, Claudia.-
Oscar si girò, le diede le spalle e iniziò a
camminare rapido,
svoltando al primo incrocio per tornare verso casa.
La ragazza
rimase ferma, impietrita dalle sue parole e dalla freddezza con cui
era andata via.
Tentò di chiamarlo urlando ma fu tutto inutile,
lui era già lontano, troppo.
In quel momento si rese contro di
come, forse, non erano così lontani poi solo da pochi attimi.
E
pianse.
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Dopo lunghi ripensamenti ho deciso di postarla
No, non è un racconto politico e la situazione dell'Italia -
descritta nel prossimo capitolo - è completamente mutata da
quella reale.
Per il resto niente, è una storia triste e felice come
sempre accade, e spero di poter rendere al meglio ogni sua parte.
Ringrazio da ora chiunque la leggerà <3