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Autore: vento in tempesta    03/09/2014    3 recensioni
Un breve omaggio al videogame più disturbante a cui io abbia mai giocato..
In questa One shot voglio farvi rivivere i momenti più inquietanti (seppur con qualche piccola modifica) di quella lontana notte di fuoco in cui, preda innocente di un lucido folle, una famiglia felice venne spazzata via dalle fiamme.
Buona lettura!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le stelle dominavano il cielo come gelide sovrane notturne.

L’aria era fresca, quasi immobile, e la bassa  temperatura aveva spinto anche i nottambuli più ostinati al coperto, in qualche locanda o in luoghi più riparati. Era una serata tranquilla e monotona e Alice, dopo essersi a lungo crogiolata davanti al camino della confortevole biblioteca di famiglia, si accingeva ora a raggiungere la sua adorata stanza per concedersi un lungo e meritato riposo. Com’era piacevole la sua vita! A soli sette anni la piccola dimostrava già una fervida fantasia, che coltivava inventando storie e mondi immaginari in cui a volte si perdeva. Aveva una splendida famiglia: un padre rispettabile, stimato decano della prestigiosa università di Oxford, una madre amorevole seppur apprensiva e un’amatissima sorella, Elizabeth, dal carattere gentile e schietto. Una meravigliosa storia che sembrava presagire un altrettanto lieto fine insomma.
Sorridendo stanca, la piccola chiuse piano la porta e ,accompagnata dal suo fedele gatto Oreste, percorse piano piano la strada che la divideva dal suo amato lettino; appoggiò prudentemente la lampada ad olio all’inizio del corridoio e nella penombra camminò fino a raggiungere la porta della sua camera. Accompagnata dalla sua ombra tremolante, la bimba si coricò stancamente e si addormentò coccolata dalle morbide coperte di seta, al sicuro nella sua grande casa. Lontano lontano, spinti dal lieve vento del nord, i regolari rintocchi di un campanile scandivano la mezzanotte e vegliavano serene il placido sonno della città.
Ma qualcuno, quella notte, non si era lasciato incantare dalle grazie di Morfeo.
Sul lungo viale che portava alla dimora della famiglia Liddel, una scheletrica figura si muoveva furtiva, protetta dal buio della notte.
Il giovane studente Angus Bumby si fermò davanti alla casa, contemplandone compiaciuto le forme neogotiche che, illuminate solo dalla luna, gettavano sula strada ombre lugubri e gelide. Il suo volto emaciato e asciutto, protetto dal freddo solo dalla puntuta barba rossiccia, era immobile, mentre gli occhi scrutavano le finestre del piano superiore: come due gelidi spilli di ghiaccio, sondavano morbosi e febbrili le tende delle camere da letto, alla ricerca di qualche movimento.
Tutto era silenzio: la famiglia del suo professore dormiva profondamente. Un ghigno di eccitata follia si disegnò sul volto dell’allucinato ragazzo che, con più sicurezza, prese a camminare sul vialetto della casa.
Arrivò davanti al mastodontico portone d’ingresso: con agili mani Angus armeggiò con la serratura, e in un istante l’uscio si aprì davanti alla sua spigolosa figura.
conosceva bene la dimora dei Liddel: molto spesso il suo professore l’aveva invitato a prendere un tè proprio lì; e, durante uno di quei piacevoli pomeriggi, aveva avuto la possibilità di conoscere la primogenita della famiglia: Elizabeth. Ne era rimasto ammaliato fin dal primo istante: possedeva una bellissima chioma bruna, che incorniciava soavemente il suo volto; la pelle di porcellana, le piccole labbra carnose e i grandi occhi la rendevano simile ad una bambola, una meravigliosa bambola vivente. Immediatamente si era sentito pervadere dal desiderio: più volte aveva tentato di avvicinarla, ma era sempre stato respinto con sdegno. Quella ostinata ragazzina! Per troppe volte si era preso gioco di lui. E ora, in quella notte, si sarebbe finalmente vendicato della sua insolenza.
La casa era avvolta nel silenzio. Raccolta la chiave della stanza in cui dormiva la sua ossessione, Angus iniziò a salire le scale. Un gradino dopo l’altro, l’inquietante sagoma raggiunse il corridoio del piano superiore, avvolto nella luce soffusa della lampada ad olio che placida vegliava il sonno della famiglia a addormentata.


Alice stava vivendo una meravigliosa avventura nel suo Paese delle Meraviglie, quando uno strano rumore la ridestò dal sonno. Un lieve senso di angoscia le rapì il cuore, mentre attenta tese le orecchie il più possibile, nel tentativo di cogliere l’origine del suono.
Tap, tap, tap…
erano passi. Davanti alla porta della sua camera si disegnò  un’ombra inquietante e straordinariamente secca. Poi, come in un incubo, un uomo nero comparve sull’uscio.
L’allucinata figura si muoveva agile ma leggermente ingobbita, e si dirigeva verso la camera di sua sorella.
Poi, come richiamato da un infernale istinto, l’uomo nero girò il volto verso la bambina che, gelata dal terrore, rimase immobile, con i grandi occhi fissi su quella agghiacciante visione.
Il mostro e la fanciulla si scrutarono: entrambi erano immobili.
Come in un tacito patto, Alice finse di dormire. E quel chiudere gli occhi, quello scegliere di fuggire, di abbandonare la sorella al proprio destino lo pagò caro.
Angus raggiunse la fine del corridoio: con una maniacale lentezza aprì la porta di Elizabeth, che ignara di tutto dormiva silenziosa. Accecato dalla sua mente perversa, chiuse la porta dietro di sé, mentre con il respiro affannoso si avvicinava sempre di più all’indifesa ragazza.
Alice vide l’uomo nero introdursi nella camera della sua amata sorella; avrebbe potuto fare qualcosa: alzarsi, chiamare i suoi genitori, urlare… ma forse era troppo piccola per capire la quantità immensa di male che in quel momento si era annidata nella sua casa. Accecata dal terrore, scelse di dimenticarsi ciò che aveva visto. Ignorò l’uomo nero, ignorò i passi, ignorò persino i lamenti di sua sorella che, a pochi metri da lei , subiva la violenza di un pazzo troppo lucido per essere tale.
E così, mentre Alice fuggiva nel paese delle meraviglie, Angus Bumby godeva nel vedere il pallido volto di Elizabeth, incorniciato dai suoi bellissimi capelli bruni, perdere vita soffocato da due grandi mani scheletriche. Era finalmente riuscito a possederla, la bambola di porcellana era stata sua. E, come ogni giocattolo usato, era ora diventato inutile.
Uccisa Elizabeth, Il giovane uscì furtivo dalla camera, chiudendola a chiave. Dopo di che prese la lampada ad olio poggiata all’inizio del corridoio e con essa diede fuoco all’enorme casa: il suo crimine sarebbe morto nelle fiamme, e con esso l’intera famiglia Liddell. Contemplò orgoglioso il suo operato, mentre tra le mani ossute stringeva ancora la chiave della stanza della sua bambola di porcellana. Poi, leggero, svanì nel buio.
Alice si svegliò in preda al panico: un forte odore di bruciato le impediva di respirare bene, mentre una luce innaturale investiva l’intero corridoio. Vide Oreste, il suo gatto, fuggire dalla finestra: con un balzo lo seguì, trovando nel fresco vento notturno la salvezza.
Intontita dal fumo sentì le urla dei suoi genitori, che invano pregavano Elizabeth di aprire la porta: ma ahimè, la ragazza sembrava dormire molto profondamente. Tutto iniziò a vorticare, le voci si fecero soffuse, il corpo divenne impossibile da sostenere: la piccola Alice si abbandonò alle braccia dei soccorritori.
Sentì un’ultima volta le voci dei suoi genitori, o forse erano solo scherzi della sua mente. Il mondo diventò un covo di sussurri mentre la bambina dai capelli corvini fuggiva nel suo Paese delle meraviglie: le stelle erano scomparse, padrona del cielo era la casa in fiamme ora.
In quella notte di fuoco Alice fuggì lontano. Guardò il cielo rosso di fuoco.
Poi tutto divenne buio.


 
   
 
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