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Autore: Earth    03/09/2014    10 recensioni
"... E così i giorni passarono, tra le rovine della piccola città, mentre i gabbiani planavano silenziosi e Rechercher contava fino a trentasette. Il sole rincorreva la luna, il vecchio Hoffen litigava con le pagine strappate dei libri e Glemme raccontava a Tobia le favole dei fiori, delle nuvole e delle stelle, che avevano perduto le loro briciole e di come le lucciole le avessero mangiate..."
~ Terza classificata al Contest - Favole&Surrealismo indetto da Melinda Pressywig sul forum di EFP.
~ Vincitrice del premio "Miglior film d'animazione" al Contest - OscarEFPiani 2015 indetto da Frandra sul forum di EFP.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4^ classificata, e vincitrice del premio speciale Il cantico delle creature , al contest di Biancarcano: Oggetti e giocattoli dimenticati...o ricordati?

Autore su ffz e su efp: _Earth_ (forum), Earth (sito EFP)
Originale o fandom: Originale
Titolo: L'isola degli oggetti perduti
Oggetto utilizzato: Un pupazzo, una bambola, una balleria a molla e un vecchio burattino (ah, anche un ombrello).
Come è stato utilizzato l'oggetto: Mi sento in dovere di avvertire tutti i lettori che i personaggi di questa favoletta sono dei giocattoli!

[ 3^ classificata al Contest - Favole&Surrealismo indetto da Melinda Pressywig sul forum di EFP. ( Immagine scelta: Immagine 11 );

Vincitrice del premio "Miglior film d'animazione" al Contest - Oscars EFPiani 2015 indetto da Frandra sul forum di EFP. ]

L'isola degli oggetti perduti



C'era una volta, tra le onde di un mare lontano, imbevute della luce rossa del tramonto, un messaggio in bottiglia.
Nuotava lento, accompagnato dalle storie del vento e coccolato dalle acque misteriose e solitarie dell'oceano.
Quella sera, mentre il sole si ritirava stanco oltre la linea infinita dell'orizzonte, qualcosa andò a sbattere contro la bottiglia. Era un oggetto che galleggiava, sembrava una gigantesca scodella da minestra, una barchetta dalla forma strana con un albero maestro a cui erano cadute tutte le vele. Era verde e un po' malconcia.
Una manina si affacciò dall'insolita nave raccogliendo la bottiglia e il suo messaggio e tirandoli a bordo del veliero.
A guardare bene, la scodella da minestra non era altro che un vecchio ombrello, che ormai, da diverso tempo, aveva imparato l'arte della navigazione e la bellezza della vita dei lupi di mare e, assieme al suo capitano Tobia, il proprietario della mano ladra, solcava i sette mari.
Tobia osservò la bottiglia dal vetro opaco che aveva appena trovato, ne scrutò il tappo di sughero per qualche secondo e poi, con un sonoro "pop!", l'aprì.
Sfilò il piccolo foglietto stropicciato dalla pancia della bottiglia; ne osservò la calligrafia sottile e incerta: la carta era di un rosa pallido, macchiato dai raggi curiosi del sole e per un attimo gli sembrò di conoscere quelle lettere storte, scritte di fretta da una mano che ancora tentenna con penne e calamaio.

Ripiegò il foglietto e lo rimise al suo posto assieme al tappo di sughero; poggiò la bottiglia sul fondo dell'ombrello e guardò in su, verso un mucchietto di gabbiani che continuavano a giragli intorno come avvoltoi.
E mentre osservava la danza degli insoliti rapaci sentì Hitta gracidare; si voltò e vide la ranocchietta che, aggrappata al manico dell'ombrello, accennava a qualcosa verso nord: nascosta dietro le onde arancio che le volteggiavano intorno e protetta dalle nuvole rosse, che si rincorrevano vorticose in quel cielo non esattamente azzurro, si poteva scorgere un’isola.

Quando arrivarono alla costa le stelle avevano preso il comando del cielo.
Un'ultima onda li accompagnò a riva e Tobia, seguito a ruota da Hitta che canticchiava allegra, saltò giù dalla sua nave-ombrello.
La sabbia era chiara, fine e bianca come quella nelle cartoline, e, mentre il pupazzo correva attorno al suo veliero senza vele per portarlo a riva, i suoi piedini, zuppi di acqua e sale, vi lasciavano sopra orme sbilenche.
Sì, avete capito bene: Tobia era un pupazzo, una bambola di pezza, come quelle con cui giocavano i vostri nonni, una di quelle bambole che se ne sta seduta su di uno scaffale impolverato a guardare il mondo con i suoi occhi disegnati. Tobia era un giocattolo.

Mentre si addentrava nella cupa boscaglia, che si arrampicava sulle dune dietro la spiaggia, sentì una vocetta contare:
«Nove, dieci, undici.»
Il Capitano si guardò intorno: forse gli abitanti dell'isola sapevano che strada doveva prendere. Così si voltò e fece qualche passo verso la voce che elencava numeri: «sedici, diciassette, diciotto», ma non fece nemmeno in tempo a fare due metri che un curioso essere gli si parò davanti.
«Alto là!» disse «chi sei? E dove credi di andare? Qui non vogliamo sconosciuti, quindi vediamo di presentarci» e così dicendo porse una mano in avanti in segno di saluto «io sono Hoffen, studioso capo dell'isola nonché primo cittadino.»
Tobia osservò la mano di legno. Il suo proprietario era un burattino dai vestiti sgualciti, aveva un grosso cappello a cilindro nero e un paio di malconci occhiali sul naso.
«Piacere mio signor studioso capo dell'isola nonché primo cittadino» rispose poi stringendogli la mano «io sono Tobia, sono approdato qui, poco fa, assieme alla mia amica Hitta» e così dicendo indicò la ranocchietta verde e gialla che gli era saltata sulla spalla «a bordo di Ilios, la mia nave».
Hoffen lo squadrò da capo a piedi, poi, mentre il vento gironzolava annoiato qua e là solleticando le foglie delle palme, gli sorrise e, saltellando, tornò indietro verso la spiaggia.
Tobia rimase a guardarlo qualche istante trotterellare lungo le dune biancastre in direzione del bagnasciuga poi, chiedendosi se fosse saggio o no quello che stava per fare, lo seguì.
«Fermo! Dove stai andando?» gridò mentre correva dietro alla strana marionetta.
«Che cosa stai cercando?» gli chiese Hoffen arrestandosi, ad un tratto, sopra un vecchio tronco semi ammuffito.
Tobia si bloccò, sbatté gli occhietti disorientato «Ma… come fai a sapere che sto cercando qualcosa?»
«Lui sa sempre tutto».
Una nuova voce s'intromise nello sgomento di Tobia.
Il Capitano spostò lo sguardo e vide, a pochi metri dietro la schiena di Hoffen, una bamboletta dai capelli scuri e disordinati avvicinarsi.
«E tu chi saresti?» le chiese diffidente.
«Benvenuto su “L'isola solitaria degli oggetti perduti” » disse lei sorridendogli « il mio nome è Glemme e lui, Hoffen, sa sempre tutto. Allora, cosa stai cercando?»
Tobia tentennò un po', doveva forse fidarsi dei due sconosciuti? In fondo non erano altro che due giocattoli vecchi e malconci – come lui.
«Sto cercando la strada per tornare a casa.»

Tobia raccontò di quando era stato acquistato, in quella piccola boutique del centro, in una calda e colorata giornata di primavera, e di come la bambina che gli era stata affidata non era affatto una bambina, bensì un’avventuriera, temeraria ed inarrestabile.
E ricordò di quando era stato abbandonato, su di una panchina alla stazione, in quella notte piena di stelle.
Di come aveva incontrato Ilios, coraggioso ombrello, veterano di tempeste e pic-nic al parco, e di come insieme avevano deciso di solcare i sette mari per tornare.

«Mi spiace per la tua sorte» Hoffen si sistemò gli occhiali «se può consolarti ho avviato una ricerca sulle bottiglie di champagne che se ne vanno in giro per l'oceano.»
Tobia lo guardò interrogativo.
«Le avrai viste sicuramente» spiegò «sono come i piccioni viaggiatori: portano messaggi. Mappe segrete, indizi. Per tornare.»

La marionetta spiegò di come l'isola su cui si trovavano fosse la casa di vecchi giochi che i bambini avevano dimenticato in un vecchio armadio, in fondo a un baule o a casa della nonna. Di come tutti loro, prima o poi si ritrovassero lì, in un modo o nell'altro, insieme alle scarpe che avevano perso la loro anima gemella, ai libri che erano stati lasciati sui sedili dei treni e agli orecchini delle signore, i quali trovavano molto più interessante ascoltare le avventure di un marinaio puzzolente che i pettegolezzi di quattro zitelle in un salotto profumato. E poi Glemme si offrì di accompagnare Tobia a visitare la vecchia cittadella, la capanna stregata dove le cornacchie lanciavo incantesimi e i campi delle farfalle bianche e blu.
E l'alba arrivò.
Poi nuovamente se ne andò.

«No fermo!» Tobia rimase immobile con un piede a mezz'aria.
Doveva essere abbastanza ridicolo in quella posizione perché sentì Glemme ridere forte.
«Dai, scemo, cosa fai?» disse tra una risata e l'altra cercando di riprendere fiato.
«Non hai sentito? Qualcuno ha gridato di fermarsi» certo che quel posto, per essere un'isoletta solitaria, era pieno di gente.
«Tobia, ti presento Rechercher» e così dicendo la bambola indicò una piccola ballerina a molla a pochi metri da loro.
Il Capitano rimise il piede a terra.
«Stai attento» lo rimproverò la ballerina zoppicando verso di lui «così si perderanno tutte le conchiglie» e fece un gesto con la mano ad abbracciare tutta la spiaggia.
Tobia si guardò intorno: il bagnasciuga era disseminato di piccoli gruppetti di conchiglie, sparsi qua e là, come i puntini neri di una coccinella.
Rechercher squadrò l'espressione meravigliata del pupazzo da sotto in su, poi gli sorrise dolcemente.
«Ti piacciono le conchiglie?» chiese in un sussurro «a me tanto, le sto cercando tutte, tutte quelle del mare» continuò con aria cospiratoria.
«Rechercher lascia stare, Tobia ha cose più importanti a cui pensare che giocare con te» disse Glemme dandole un buffetto sulla testa.
La ballerina parve rattristarsi: si guardò la punta delle scarpette e fece per andarsene.
«No, aspetta» la fermò, però, lui «a me piacciono le conchiglie» e non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che Rechercher lo afferrò per un braccio e lo trascinò vicino ad un mucchietto di quei gusci vuoti e lucidi.
«Sono trentasette» gli disse lasciandolo e tirando su una piccola conchiglia rosa pallido «sono sempre trentasette. Tu sai cosa viene dopo il trentasette?» e adesso stava puntando i suoi occhietti scuri in quelli di Tobia.
«Emm... » tentò di rispondere lui, ma si accorse che aveva le mani piene di granelli di sabbia e di essersi perso un pezzo della conversazione.
Rechercher, evidentemente, lo capì e cercò di spiegarsi meglio:
«Se metti un orecchio qui» disse indicando la parte concava della conchiglia che stringeva in mano «puoi sentire il rumore delle onde» la risistemò nel mucchio e continuò «io le cerco sempre: quelle intatte, quelle rotte, quelle scolorite, quelle grandi e quelle piccole. Le raccolgo tutte e le sistemo, le conto. Sono arrivata quattro volte a trentasette. Tu sai cosa viene dopo? »
A Tobia tornarono alla memoria i compiti di matematica, quelli fatti in salotto sotto le minacce della mamma; un numero indeterminato di cifre e pastelli colorati gli affollò la mente, ma, prima che potesse mettere insieme una frase di senso compiuto, Glemme decise che era ora di andarsene.
«Non vorrei interrompere la vostra chiacchierata » disse con il tono di una maestra che richiama per l'ennesima volta i suoi alunni dopo la ricreazione «ma vedi, Rechercher, io e Tobia stavamo andando da Hoffen, su alla biblioteca, per accertarci che le sue ricerche sulle lettere stiano andando per il meglio quindi » e qui sfoderò un sorriso grosso come uno spicchio di luna «arrivederci.»
La ballerina li salutò. Non sembrava esattamente convinta delle parole di Glemme, ma non replicò e li lasciò scivolare via verso la cittadella.
«Scusala, fa sempre così con i nuovi arrivati» disse la bamboletta quando furono abbastanza lontani e i ciuffi d'erba cominciavano a diventare sempre più numerosi tra le dune chiare «è un po' matta.»

E così i giorni passarono, tra le rovine della piccola città, mentre i gabbiani planavano silenziosi e Rechercher contava fino a trentasette. Il sole rincorreva la luna, il vecchio Hoffen litigava con le pagine strappate dei libri e Glemme raccontava a Tobia le favole dei fiori, delle nuvole e delle stelle, che avevano perduto le loro briciole e di come le lucciole le avessero mangiate.

Una sera Tobia se ne stava seduto sulla panchina in riva al mare. Pensava a come le onde si divertissero a rubare ricordi dalle coste per poi seppellirli sul fondo degli oceani. Si passò distrattamente una mano tra i capelli sfiorando, poco sopra l'orecchio sinistro, l'asta della freccia che gli ornava la testa.
Quel piccolo dardo era ormai l'ultimo ricordo indelebile di un tempo lontano, pieno di avventure; l'ultima scheggia di quei giorni che non avrebbe mai dimenticato.
Tobia si ritrovò a pensare al tempo passato, a quando era stato un eroe, un azzurro principe, alle principesse che aveva salvato; a quando aveva combattuto contro i draghi e sconfitto i mostri sotto il letto, a come aveva rubato biscotti e preso il tè con le fate dei boschi. Alle pareti della sua stanza che erano diventate castelli incantati, palcoscenici gremiti di applausi e lunghe strade di Parigi. A tutto il tempo perduto che non sarebbe mai tornato.
Si passò una mano sulla cravatta sfilacciata. Quella sera, quando lei era scomparsa, quando era stato dimenticato, era una sera calda, e in quel momento, come allora il cielo pullulava di stelle.
«Va tutto bene?» la voce di Glemme, flebile come il pigolare di un pulcino, lo riportò al presente.
La bambolina si era avvicinata alla panchina e adesso vi si stava arrampicando, con non poche difficoltà.
Si sedette accanto a Tobia a osservare le onde che andavano e venivano – come una vecchia altalena. « Hoffen dice che domani si alzerà il vento e che se non vuoi che il mare porti via Ilios ti conviene sistemarlo più a riva.»
«Non ha scoperto nulla sulle lettere nelle bottiglie? »
«No, ma è convinto che vengano da loro» rispose ridacchiando «dice di voler convocare il consiglio dei gabbiani così da poter mettere in atto un piano per poter tornare dai bambini.»
Tobia la osservò per qualche istante ridere delle sue stesse parole.
«Cosa c'è di così divertente?» le chiese dopo un po'.
Glemme gli sorrise e scosse la testa: «voi altri avete tutta questa fretta di scappare via» gli rispose «di tornare a quella vita che ricordate, piena di giochi e risate, raccontate tutti di quando eravate al fianco delle piccole streghe, dei piccoli re, delle astronaute, dei piloti.» E mentre parlava Glemme si sistemò quello che rimaneva del fiocco rosa che un tempo avrebbe dovuto acconciarle i capelli, e poi riprese «Ma io non sono mai stata con nessuno.»
«Cosa?» chiese Tobia incredulo «che significa “nessuno”?»
«Significa che non mi sono persa» rispose lei schietta «Sono stata sempre qui.»
Per un po' si sentì solo la voce del vento, che giocava con le fronde delle palme, poi però Tobia si sentì in dovere di dire qualcosa: «Mi dispiace.»
«A me no» rispose lei «Non mi dispiace non aver perso nulla, non dover ritrovare niente.»
E allora Tobia capì.
Comprese che non era vero che erano stati buttati via, dimenticati o abbandonati, ma che si erano solo persi e l'unica cosa che dovevano fare era iniziare a cercare, cercare la strada di casa e trovare la via giusta per non dimenticarselo.
Il Capitano saltò giù dalla panchina e cominciò a correre sulla sabbia bianca verso il boschetto.
«Ehi Tobia! Ma dove vai?» gridò Glemme rincorrendolo.
«Trentotto!»
«Cosa?»
«Di' a Rechercher che dopo il trentasette viene il trentotto! »
Tobia sentì Glemme ridere e rise anche lui.

La mattina seguente, quando ancora il sole era basso sul mare, quando ancora il cielo era rosso e arancio, mentre le onde correvano veloci con il vento, raccolse tutti i messaggi, tutti quei messaggi che se ne stavano appisolati sulla spiaggia e che, ora ne era certo, appartenevano a loro, ai bambini, e poi salpò.
Partì a bordo di Ilios, con la fidata Hitta, deciso a ritrovarla, a far sapere a tutti i bimbi del mondo che lui e tutti gli altri abitanti dell'isoletta solitaria si erano solo persi, e che prima o poi sarebbero tornati a casa.

E qui finisce questa storia.
Forse qualcuno si aspettava un "E vissero per sempre felici e contenti" in questo caso mi dispiace, ma non posso ancora dirlo. Perché? Per il semplice fatto che se in una sera d'estate vi recherete in spiaggia e guarderete verso le onde, verso il mare nero, verso l'orizzonte inafferrabile, forse, se osserverete bene, riuscirete ancora a scorgere un attempato ombrello verde che solca i sette mari guidato dal piccolo Tobia che ancora va cercando, per questo vecchio globo, la sua avventuriera.






Earth's note:
Credo che sia giunto aggiungere due righe ( anche perché se no finisce che me lo scordo per sempre pure io -.-'' ). Ma che vuole questa adesso ? vi chiederete voi. E bene voglio spiegarvi da dove sono saltati fuori i nomi dei giochi che hanno animato l'isola degli oggetti perduti di cui (spero) avete appena letto ^.^
- Hoffen la marionetta-primo-cittadino: il suo nome "hoffen" in tedesco significa "speranza";
- Glemme la bambola: la parola "glemme" in norvegese significa "dimenticare";
- Ilios la nave-ombrello: in greco "ilios" significa "sole";
- Rechercher la ballerina: in francese "recherche" significa "cercare" e aggiungendo la erre alla fine diventa "ricerca";
- Hitta la rana: il termine "hitta" in svedese significa "trovare".
E credo sia tutto.
Tobia è l'unico che nn è stato scelto per il suo significato, ma solo perché mi piaceva il suono. Cmq per parcondicio... il nome "Tobia" deriva dall'ebraico Tobijah e significa "gradito al Signore" :-)
Ora è proprio tutto tutto. Ciao ciao.

   
 
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