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Autore: nevermore997    03/09/2014    2 recensioni
Arianna ama i limoni, odia gli abbracci, pecca d'accidia e ritiene che queste informazioni siano più che sufficienti per presentarsi al prossimo. Tra le sue amiche che la considerano una sottospecie di oracolo aggiusta-guai, il ragazzo dei suoi sogni che l'ha appena scaricata e la perenne accusa di essere un tipo che "pensa troppo", non ha certo bisogno di altri guai.
Eppure sembra che la vita di Arianna non sia destinata ad essere ordinaria. Da una serata in discoteca che a primo impatto sembra insignificante, la nostra protagonista si ritrova catapultata in un delirio di alcolici forti, truffe in corso, accoppiamenti improbabili, amici scomparsi e soprattutto Lorenzo, quel ragazzo così bello che sembra deciso a rovinarle l'esistenza.
Riuscirà Arianna a garantire alle sue amiche Emma, Giorgia, Stefania e Valentina la serata indimenticabile che ha promesso? E soprattutto riuscirà ad evitare ulteriori complicazioni e sistemare, finalmente, la sua vita disastrata?
A voi le disavventure di una ragazza cinica e sarcastica che non chiede altro che cinque minuti di pace.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SERATE INDIMENTICABILI
condite con una buona dose di alcolici, truffe, drammi e.. beh, disastri.
 
Come sempre prima delle feste al Red, ovvero il locale che rappresenta il massimo della vita notturna che il nostro buco di città possa offrire, ci ritroviamo a prepararci a casa di Giorgia, la quale, per sua grande fortuna (o sfortuna, a seconda dei punti di vista) abita a cento metri dalla discoteca. Io sono, prevedibilmente, di pessimo umore.
«Perché? Per quale assurda ragione ci troviamo sempre alle nove se non mettiamo piede alle feste prima di mezzanotte?», mi lamento, molto ragionevolmente.
«Chiudi il becco, Arianna», mi zittisce Stefania, la quale certo non farà carriera grazie a gentilezza e pazienza. Si sta già iniziando a truccare, cosa che sicuramente le provocherà la solita crisi isterica verso le undici perché “oddio oddio oddio mi è colato tutto, ma perchè cavolo avete lasciato che mi truccassi così presto?!”
Questa volta mi rifiuto di essere io a rifarle per quattro volte di fila lo smoky eye perché “come l’avevo fatto prima non va bene” ma “non può farselo da sola perché le tremano le mani dall’agitazione”. Sia ben chiaro.
«E dai Arianna, rilassati», mi dice Giorgia, la pacifista del gruppo, presumibilmente con la convinzione che il suo sguardo comprensivo e la sua voce da psicologa d’infanzia siano rassicuranti (nota bene: si sbaglia.) Le rivolgo uno sguardo supplichevole, tuttavia decido di essere il più gentile possibile con lei perché tra le mie cinque cosiddette migliori amiche, finora è l’unica che non mi ha ancora fatto venire l’istinto di strozzarla. E sono qui solo da venti minuti.
«Non so, Giorgina», bofonchio, sedendomi accanto a lei sul letto della sua camera. «Ho un bruttissimo presentimento, non sono troppo in vena di venire a questa festa.»
Lei sospira e so già che questo discorso andrà a parare dove non voglio.
«Ma hai bisogno di questa festa! Voglio dire... lo sai... per la cosa di Lorenzo.»
«Quale cosa di Lorenzo?», le chiedo, sbattendo angelicamente le ciglia. Lei mi scocca l’occhiata di chi preferirebbe infilare la testa in un secchio di anguille piuttosto che rispondere.
«Insomma... lo sai.»
«A capodanno lui mi ha baciata dopo che io gli stavo dietro da mesi per poi scaricarmi la settimana dopo dicendo che era confuso e si è lasciato trascinare troppo, lasciandomi sprofondare nell’oblio più assoluto? E’ di questo che stai parlando?»
Mi fissa. Mi fissano tutte. Addirittura Emma e Valentina hanno smesso di farsi le unghie per accarezzarmi con i loro inutili sguardi compassionevoli. Generalmente la “cosa di Lorenzo” è un argomento tabù, vi lascio immaginare il perché.
«Oh, Arianna», mi dice Giorgia, e si protende in avanti per abbracciarmi. Mi scosto bruscamente, ho come la sensazione che ne abbia più bisogno lei di quanto io non ne avrò mai.
«Smettila», le dico, e sorrido. «Non ti devi preoccupare per me. Sto bene».
Beh, quest’ultima parte non è proprio vera, considerato il fatto che ho passato l’ultimo mese praticamente reclusa nella mia stanza guardando telefilm tristi (sconsiglio a qualunque persona con un minimo di voglia di vivere rimasta di guardare quattro stagioni di fila di Grey’s Anatomy), mangiando salatini (per una che detesta i dolci sono l’equivalente culinario dei mars) e convincendomi che trascorrere le giornate lacrimando come la Madonna di Pompei è vergognoso in quanto comportamento estremamente poco maturo. Ma loro queste cose non le sanno, e non c’è nemmeno verso che le vengano a sapere. In fin dei conti, sono o non sono l’invincibile Arianna? Se posso risolvere i problemi di tutte loro, posso risolvere anche i miei. Da sola. Fine della discussione.
Giorgia mi sorride e grazie al cielo nel giro di venti secondi le mie cosiddette pene amorose vengono dimenticate, per spostare la conversazione a qualcosa di molto più serio: come vestirsi?
«Io metto il vestito di pizzo nero», annuncia Valentina, con un sorriso radioso. Un’ottima scelta, anche se è un po’ monocromatica, ma comunque vada è sempre bella.
«Io volevo mettere il vestito senza maniche di Arianna ma non lo so.. con il mio fisico sta da schifo», commenta Stefania, corrucciata. Stefania prima delle feste è capace di toccare vette di insopportabilità inimmaginabili, soprattutto quando inizia a lagnarsi del suo “brutto fisico” (vedi: due chilometri di gambe magre ed alta un metro e settantacinque).
«Chiudi il becco, Stefi», la zittisce Emma, esprimendo ad alta voce il pensiero universale. Lei arriccia le labbra indispettita e per un attimo, solo per un attimo, sembra che vada tutto egregiamente, dal momento che nessuno le presta più attenzione. Si sa, i momenti di gioia sono effimeri.
«E tu Arianna, che ti metti?», mi chiede innocentemente Giorgia.
Ahia, ahia, ahia. Speravo tanto di evitare questa domanda.
«Mah... non so, pensavo a qualcosa di semplice.»
Quattro paia di occhi mi fulminano. Questa conversazione finirà malissimo.
«Del tipo?», indaga Valentina, con voce durissima.
«Ehm, ecco, i pantaloncini di jeans ed il top a fiori.»
«NON SE NE PARLA NEMMENO.»
Uh. Aggressive.
«Sono una sedicenne emancipata e per quanto mi riguarda credo di essere abbastanza matura per scegliere il mio...»
«Stai zitta Arianna», mi interrompe Valentina, avvicinandosi con fare minaccioso. «Da qui in poi ci pensiamo noi».
 
«Non so ragazze... non sono esattamente convinta.»
Mi guardo allo specchio con fare perplesso. Certo, questo vestito blu è bellissimo, ma non sarà un po’ troppo corto? Ed il trucco non sarà esagerato? Le uniche cose di cui sono soddisfatta sono i capelli (diamo a Giorgia quel che è di Giorgia: con piastre e ciocche è assolutamente un fenomeno), sistemati in una catasta di boccoli che li fa sembrare quasi accettabili, e le scarpe, le meravigliose tacco dodici di Emma che siccome “ne ho bisogno” mi sono state gentilmente concesse. Se questi sono i benefici, d’ora in poi cercherò di farmi scaricare ogni volta che si presenterà l’occasione.
«Ti risulta di avere voce in capitolo? Sei bellissima e noi non abbiamo nessuna intenzione di farti cambiare d’abito», mi ammonisce Stefania, ma sorride. Ci hanno messo due ore a sistemarmi tutta e si sono già fatte le undici, ma miracolosamente non sembrano arrabbiate.
«Ne è valsa la pena», sostengono. «Ne avevi bisogno.»
Forse non sono poi così insensibili come le reputo.
«Va bene», mi arrendo, e loro esultano come se avessero vinto alla lotteria.
«Adesso veloci però, dovete prepararvi anche voi! Stefi, muoviti, io e te che siamo già pronte adesso organizziamo una campagna di sostegno. Tu resta in camera a fare il trucco e io mi occupo dei capelli in bagno, intesi?»
Stefania annuisce ed in un attimo ci dividiamo. Giorgia è già pettinata, quindi passa subito al trucco, mentre Valentina si sta ancora vestendo, così in bagno mi segue Emma. Ha dei meravigliosi capelli lunghi e ricci ma questa sera mi chiede se posso lisciarli, ed io acconsento. Me ne sto tranquillamente occupando, quando la sento sospirare.
«Che c’è? Ti ho bruciato un orecchio?»
«No, no... non è questo. E’ solo che, beh, lo so che non vuoi sentirtelo dire ma mi dispiace tanto, Arianna.»
Incrocio il suo sguardo abbattuto nello specchio e capisco che si sente in colpa. Si sente in colpa perché con questa storia di Lorenzo non mi ha mai presa sul serio, perché non mi ha mai appoggiata, perché non ha mai sperato che potessimo avere un futuro. In realtà la capisco. Chi lo spererebbe? Le sorrido.
«Emma, non ti preocc...»
«No, non dirmi di non preoccuparmi, perché tu dici sempre a tutti così. Ci dici sempre di stare tranquille, che non hai bisogno di nulla e nel frattempo risolvi i problemi di tutti senza pensare ai tuoi. Ti metti sempre dopo a tutti quanti, non ti sfoghi mai con nessuno, come fai a dirmi di non preoccuparmi?»
Aiuto, una cosa simile non me l’aspettavo affatto. Le lancio uno sguardo di sguincio e mi accorgo che ha le lacrime agli occhi. Dimentico la piastra sul marmo del lavandino, mi piego e la abbraccio. Emma è praticamente l’unica persona sulla faccia del pianeta che sia mai riuscita a farsi abbracciare da me.
«Emma dai, non ti pre.. ehm, insomma, lascia perdere. Quello che fai per me basta e avanza. Non devi mai pensare il contrario, capito?»
Non è colpa mia se sono un po’ chiusa. Non è colpa mia se mi sento un’eroina tuttofare convinta di potersi tirar fuori in solitaria da ogni sorta di schifo. Non è colpa mia, certo, ma nemmeno sua.
«Tu sei la mia migliore amica», biascica, tirando su col naso.
«E tu la mia.»
«Siamo tutte preoccupate per te, anche se tu ovviamente continuerai ad ignorare la cosa», replica, questa volta con una punta di risentimento.
Urge una frase confortante e persuasiva di quelle che tiro fuori in occasioni del genere. Pensa Arianna, pensa.
«Ho trovato.»
«Che cosa?»
Sorrido.
«Questa sarà la nostra serata, Emma. Ti prometto solennemente che sarà indimenticabile. La renderò unica. Va bene?»
Sorride e mi abbraccia di nuovo. La lascio fare. E’ pur sempre la mia migliore amica.
«Sei bellissima anche se odi che te lo si dica», si sente in dovere di aggiungere. Cerco di trattenere uno spasmo di fastidio, ma tanto lo sa che non amo i complimenti. «Quello stronzo non sa cosa si perde».
Sorrido di nuovo, ma questa volta è un sorriso decisamente più maligno.
«No, ma forse questa sera potrebbe venirlo a sapere.. che ne dici?»
«Conosco quel tono. Questa serata finirà.. malissimo.»
 
«Ma perché fa così freddo?!»
Ecco la solita conversazione che si ripete ogni anno quando andiamo alla festa di gennaio del Red. Stefania, che indosserebbe un maglioncino anche il dieci di agosto, si lamenta del freddo, Giorgia le da manforte e si pente del modo in cui si è vestita... aspetta che arriva...
«Infatti, si gela! Accidenti ragazze, come mi è venuto in mente di mettere vestito e collant con questo freddo?!»
A quel punto io, che puntualmente sono troppo agitata e scombussolata per provare qualunque tipo di sensazione fisica, recito prontamente la mia battuta.
«Andiamo, non fa così freddo.»
Emma e Valentina sono troppo impegnate a tremare come gelatine e battere i denti. Mi scappa una risatina leggermente isterica e Stefania mi guarda come se fossi psicopatica, ma tutto sommato è un buon segno. La routine ha sempre l’effetto di confortarmi un po’. Arriviamo all’entrata del Red a mezzanotte meno dieci, puntuali come non lo siamo mai state. Dieci minuti di coda e... si va in scena.
 
Non appena metto piede (un piede fasciato da una meravigliosa decolletè nera con dodici centimetri di tacco, per chi dovesse essere interessato) dentro alla nostra minuscola discoteca provinciale, mi assale il presentimento che questa serata avrà imprevedibili conseguenze. Non riesco a capire se sia un buono o un cattivo segno, ma conoscendo la natura di tutte le mie sensazioni fino ad oggi... non ci resta che piangere.
«Brutto presentimento?», mi chiede Stefania, a voce altissima per sovrastare la musica, senza nemmeno guardarmi in faccia. Devo riconoscerlo, quando si tratta di interpretare le mie espressioni facciali è la migliore.
«Già», rispondo semplicemente.
«Un buon Whisky te lo farebbe passare?»
«Decisamente si.»
Ci avviamo verso il bancone, lei camminando decisa, io guardandomi attorno più ansiosamente che mai. C’è un sacco di gente che conosciamo, eppure di Lorenzo sembra non esserci traccia. Conoscendolo, potrebbe benissimo anche essersene già andato: quest’estate una volta se n’è andato da una festa alla quale stavo cercando di pedinarlo civilmente alle dieci e mezza, che è esattamente l’ora a cui io sono arrivata. In anticipo.
La cosa che mi lascia perplessa è che non si vede nemmeno il suo migliore amico Mattia, nonché fidanzato di Emma, che solitamente ha orari più ragionevoli (vedi: non prima delle due di notte). Emma non sembra preoccupata.
«Ma Mattia?», le chiedo, mentre ci appoggiamo al bar. Lei fa spallucce.
«Dev’essere qui da qualche parte, in fin dei conti siamo appena arrivate.»
«ARIANNA!»
Oddio, chi mi chiama gridando in una stanza affollata? Non faccio neanche in tempo a girarmi che un paio di braccia mi avvolge contro la mia volontà. Quando riesco a divincolarmi vedo che il responsabile è un ragazzo alto e moro, di almeno diciott’anni e dall’aria familiare. Si, ma chi è?
«Giusto, giusto, Arianna che ama i limoni, odia l’affetto e pecca di accidia.»
Queste parole mi ricordano improvvisamente dove devo averlo conosciuto: al campeggio estivo dell’anno scorso. Avevo usato questa medesima frase per presentarmi, nella speranza di dissuadere chiunque dal fare amicizia con me. A quanto pare non ha funzionato, perché questo tizio di cui non riesco proprio a ricordare il nome sembrava felicissimo di vedermi. Do un colpetto discreto a Emma, che era in campeggio anche lei e se la cava leggermente meglio di me con i nomi. Grazie al cielo, capisce al volo.
«Si chiama Riccardo. Accidenti Arianna, è incredibile che non te lo ricordi, siamo stati assieme per tutte e due le settimane!», bisbiglia.
Giusto, giusto... Riccardo. Certo.
«Oh ciao Emma, ci sei anche tu! Lasciati abbracciare! Complimenti ragazze, siete veramente due meraviglie questa sera! Amanti dell’alcool proprio come l’anno scorso?»
Ricordandosi questo particolare , glielo concedo, ha saputo rifarsi dal complimento.
«Proprio come l’anno scorso. Oh, a proposito, queste sono le nostre amiche Giorgia, Valentina e Stefania.»
Salutano tutte con un sorriso e Riccardo cerca di ricordare i nomi.
«Allora, c’è Giorgia, poi ehm... Virginia? No, no, Valentina. E Stefania. Ciao, Stefania», la saluta, con un sorrisino particolarmente svenevole. Lei ride lusingata. Qualcosa mi dice che questa serata per lei avrà esiti estremamente positivi: Riccardo è senza dubbio una bella presenza ed è simpatico addirittura a me, che in linea di massima mi limito a detestare tutti.
«Sai, Riccardo, anche le mie amiche amano l’alcool», butto lì, allusiva. Lui ride di gusto.
«Non  cambi proprio mai eh? La solita sfacciata con il faccino da angelo. Scommetto che continui a maltrattare tutti i poveretti che ti fanno il filo proprio come la scorsa estate.»
Non ricordo che ci fossero poi così tanti poveretti e non ricordo neanche di essere stata, ehm, particolarmente sgradevole. E poi, ultimamente sono io quella che viene maltrattata. Questo forse è meglio tenermelo per me. Grazie al cielo Riccardo cambia argomento.
«Comunque sia, Ari, ci tengo a dirti che ha funzionato anche stavolta. Posso scegliere per voi, signorine?»
Le mie amiche sorridono con la gioia malata che solo l’alcool a scrocco può provocare.
«Certo, certo, fai tu», tubano tutte e quattro all’unisono. Ruffiane.
«Emma.. mi pare di ricordare che il tuo drink fosse quell’intruglio assurdo di nome Midori.»
«Midori Lemon», precisa lei, ridendo.
«Giusto. Un Midori Lemon per Emma, per favore. Dunque, Giorgia, io e te non ci conosciamo ma mi sembri il tipo da classici intramontabili, perciò che ne dici... di uno Spritz?»
Giorgia sorride ed annuisce, colpita. Solitamente è ancor più sofisticata, del genere Chardonnay e Lambrusco, ma quando si sente in vena di trasgredire il suo drink è proprio quello.
«Per Valentina prendiamo un Mohijto?»
La summenzionata Valentina sembra distratta. Si guarda attorno in preda ad una sensazione che conosco, dal momento che è quella che provo io in ogni minuto della mia vita: sembra ansiosa.
«Vale, va tutto bene?», le chiedo.
«Cosa? Oh, si, Mohijto, benissimo grazie», borbotta, continuando a guardarsi attorno. Mi riprometto di occuparmene più tardi. Riccardo le passa il suo drink e si concentra  su Stefania, alla quale rivolge un sorriso che mi sembra particolarmente radioso.
«Per due occhi così dolci ci vuole qualcosa di dolce», si pronuncia, con il complimento peggiore che sia mai esistito. Sono tentata di girare sui tacchi (letteralmente... incredibile quanto mi gasi indossare scarpe alte!) ed andare via, ma Stefania sembra in brodo di giuggiole, quindi sto a guardare cercando di reprimere i conati di vomito.
«Una Vodka alla pesca. Che ne dici?», chiede lui, con tono languido.
«La mia preferita», mente spudoratamente lei, perché è risaputo che la pesca le fa schifo. Cosa non si fa per un bel paio di addominali! Passandole il drink, Riccardo le sfiora la mano. Lei abbassa lo sguardo. E’ felice.
«Ed infine... la nostra Ariannina», ridacchia lui, battendomi un colpo sulla spalla. Io alzo gli occhi al cielo. Non è segreto a nessuno il fatto che io abbia un problema con l’alcool, ovvero che mi fa lo stesso effetto dell’acqua frizzante. Lo reggo troppo. Non so come sia possibile. Forse è colpa del mio sistema immunitario che mia madre ha reso indistruttibile nutrendomi praticamente solo di crusca, grano saraceno ed arance fino a che non sono cresciuta abbastanza da scoprire da sola le magie dei McDonalds.
«Per te ci vuole roba forte, altro che drink frutta e ombrellini», commenta, sovrappensiero.
«Sono nelle tue mani.»
«Direi... ma si dai, facciamo Tequila.»
«Perfetto, così con la scusa mi mangio anche una bella fettina di limone.»
«Vacci piano Ari, chi ha parlato di una Tequila sola?»
Si rivolge alla barista, che sta aspettando con aria spazientita.
«Tre Tequila sale e limone per la mia acida amica, signorina.» Al suo sguardo supplichevole di chi non vuole passare la serata a pulire vomito nei bagni, risponde annuendo con sicurezza. «Mi creda, sono strettamente necessarie.»
 
Incredibile quante cose possano succedere in mezz’ora. Fatto sta che, allo scoccare di mezzanotte e mezza, Riccardo ha una mano sulla gamba di Stefania, la quale sembra essersi completamente dimenticata della nostra esistenza, Giorgia ha bevuto due Sambuche ed è nel bel mezzo di un delirio alcolico mentre Valentina sembra essere misteriosamente sparita. Per quanto mi riguarda, ho bevuto un Montenegro ed un Jack Daniels (offerte da un caro, carissimo ragazzo che ha tentato di provarci con me prendendomi da bere. Ho accettato l’alcool, ma non le avances, grazie molte) e la Vodka alla pesca che mi ha rifilato Stefania senza nemmeno averla toccata (questa si che è vera amicizia) e sono nel pieno delle mie facoltà mentali. Emma, seduta accanto a me, sembra sempre più annoiata ed infastidita, anche perché il bar è appena stato invaso dal gruppetto di Altea, famosa per essere la ragazza più fastidiosamente bella ed oca di tutta la scuola. Ogni volta che mi vede mi squadra dall’alto in basso come se fossi grumo di capelli e catarro rimasto incastrato nello scarico del lavandino. Non è una bella sensazione, se mai ve lo steste chiedendo. Tornando ad Emma, mi scocca un’occhiata complice ed io mi decido: in fin dei conti, le ho pur sempre promesso una serata meravigliosa.
«Stefi, noi andiamo a cercare Valentina», ho la decenza di avvertirla.
«Si brave andatevene ciao», mi liquida, senza nemmeno guardarmi in faccia e continuando a ridere alle battute di Riccardo. Alzo gli occhi al cielo, ridendo. Se non altro qualcuno si diverte.
Così io ed Emma ce ne andiamo, trascinando via anche Giorgia, la quale al momento si sta esibendo in una canzone che presumo sia di sua invenzione, dal momento che è un lirico che dice “put your hands up in the air, santus santus dominus”. Mi ricorda un infelice miscuglio tra Sister Act e gli One Direction. Proviamo ad inoltrarci nella pista da ballo, dove la musica è assordante e veniamo sballottate tra centinaia di corpi sudaticci e danzanti. Giorgia barcolla sui tacchi, forse anche per via dell’alcool, così siamo costrette a fermarci ogni cinque passi per non farla cadere. Peccato che ad ogni pausa si fermi ed inizi a ballare sfrenatamente.
«Dobbiamo portarla fuori dalla pista!», mi urla Emma, trapanandomi i timpani anche più della musica house.
«Assolutamente!», rispondo.
Mi giro per fare dietrofront ed ecco che lo vedo. Lorenzo. Maledico me stessa perché non riesco a fare a meno di pensare che sia assolutamente meraviglioso. Rimango paralizzata per qualche istante mentre vivo qualche flashback della sera di capodanno: le stelle, le sue mani, il suo sorriso...
Ma aspetta. C’è qualcosa che mi lascia perplessa. Sta ridendo come un pazzo mentre indica qualcosa vicino al dj. Ok, è sempre stato un ragazzo allegro, ma adesso questa risata è veramente un po’... troppo.
«Emma, guarda», le dico, dandole un colpetto.
Proprio in quel momento accanto a Lorenzo appare Mattia, che lo afferra per un braccio con aria spaesata. Si gira e, a differenza del suo amico, ci vede.
«Oh, si, è Mattia! Grazie Arianna!», mi dice Emma, ed in men che non si dica si defila in direzione del suo fidanzato.
«Cosa?! E vorresti lasciarmi correre dietro a questa qua da sola?!», le urlo.
«Mi dispiace!», mi grida dietro, senza voltarsi.
Sporca insensibile, c’è un girone dell’inferno per quelli come lei. Vorrei correrle dietro e prenderla a sprangate, ma Giorgia si è aggrappata al mio braccio con tutto il suo dolce peso e mi sta accarezzando i capelli borbottando
«Ti boglio bene Barianna. Ti boglio tanto tanto bene. Eheheheheheheh.»
Impotente, non mi resta che guardarla mentre si butta tra le braccia di Mattia, ma mi accorgo che lui è distratto, e lo è perché sta guardando me. Con la peggiore delle sue occhiate omicide, per la precisione.
Spalanco gli occhi con fare interrogativo e lui, con un movimento secco e furioso della mano, mi fa cenno di raggiungerlo. Rifletti Arianna, rifletti. Se andrai, sicuramente incontrerai Lorenzo, e tu non vuoi incontrarlo, giusto?
Sbagliato, dice la vocina nella mia testa, perché in realtà tutto quello che vorrei io è andare da lui con le lacrime agli occhi ed implorarlo di abbracciarmi e fingere che vada tutto bene, per una volta. Ma non posso. Non devo. Arianna l’eroina non può cedere ad una simile debolezza, ma so che se lo vedo non potrò evitare di soffrirne nemmeno con tutta l’autoipnosi di questo mondo. Tuttavia non riesco a spiegarmi la furia di Mattia e credo che sia decisamente il caso di andare a dare un’occhiata. Sono lì, che mi crogiolo nell’indecisione, quando qualcuno sembra decidere per me.
«ARIANNA GUARDA CHI C’E’!», grida Giorgia e prima che io possa dire una parola mi sta già trascinando verso la parte opposta della discoteca. Non ho che un secondo per girarmi verso Mattia e scusarmi allargando le braccia, mentre lui mi fissa scuotendo la testa.
«C’è il tuo amico Daniele, Arianna! Saluta Daniele, Arianna!», mi strilla Giorgia, distogliendomi dai miei pensieri. Mi giro e vado praticamente a sbattere contro Daniele Benini, il mio caro amico delle medie, che mi guarda con aria perplessa. L’ho sempre apprezzato per la sua straordinaria capacità di adattamento a qualunque tipo di situazione. Anche in questo momento, si limita a guardarmi con espressione ironica. Sono consapevole che il mio aspetto non è dei migliori, tra i capelli scompigliati e il braccio inondato di bava di Giorgia.
«Io e lei ci conosciamo?», mi chiede, facendo un cenno a Giorgia.
«No, e per il tuo bene vi sconsiglio di conoscervi per molto altro tempo ancora», rispondo, esasperata. Ride. Ha l’ottima qualità di trovarmi estremamente divertente.
«Sei in forma, Arianna.»
«Se ti piacciono le ragazze incasinate e con le braccia ricoperte di saliva allora si, sono decisamente in forma», replico. Ride di nuovo.
«Vado nel fumè, venite?», propone.
Adoro Daniele, perché dice queste cose nella maniera più innocente che si possa immaginare, senza doppie intenzioni o strani significati. Vuole la mia compagnia perché lo faccio ridere. Fine. Perché non può essere così semplice con tutti?
«Che tu sia benedetto Daniele», gli rispondo.
«Siiiiiii fumiamoooooo», rincara la dose Giorgia, afferrando Daniele con la mano libera e trascinandoci entrambi in direzione sala fumatori.
«Lei normalmente fuma?», è tutto ciò che mi chiede Daniele.
«Non sa neanche da che parte sta il filtro», gli rispondo.
Lo sapevo che non dovevo venire a questa festa.
 
Arrivati nel fumè Daniele, molto gentilmente, concede a Giorgia ben due delle sue sigarette (una non basta perché  la mia geniale amica, nel tentativo di accenderla, la brucia proprio nel mezzo). Al mio rifiuto insiste per offrirmi almeno da bere ed io mi ritrovo a scolarmi il mio sesto shottino senza aver speso neanche un centesimo. Un’Anima Nera, questa volta. Fortissimo come piace a me.
«Guarda Arianna», mi dice Giorgia in un occhio (ma sospetto l’abbia scambiato per il mio orecchio) «c’è Lorenzo.»
Per la seconda volta nella serata, ho un tuffo al cuore. Mi giro di scatto ed eccolo lì assieme ad un gruppo di amici. Sta ancora ridendo come se gli fosse appena capitata la cosa più spassosa al mondo, ma c’è dell’altro. Sta fumando. Strano, ero sicura che avesse smesso. Con un Montenegro nella mano destra ed una sigaretta nella sinistra, ha tutto l’aspetto di un boss della mafia. Un’altra delle tante cose che mai e poi mai uscirà dal mio cervello.
«Non mi interessa», liquido Giorgia, gelidamente.
«Ma come, si che ti interessa, dai, chiamiamolo! Lorenzo, vieni qui!», grida iniziando a sbracciarsi. Potrei ucciderla. Grazie al cielo Daniele accorre in mio aiuto.
«Guarda Giorgetta, ti do un’altra sigaretta!»
«Hai fatto la rima!»
Gli scocco uno sguardo di gratitudine.
«Daniele non so come ringraziarti, mi stai salvando la serata ed io ti ho pure scroccato da bere.»
Mi sorride.
«E così... tu e quello là.»
Sospiro.
«Già.»
«Lo conosco. Era il migliore amico di Luca», mi dice, con un’occhiatina allusiva. Sentendo il nome di Luca, rabbrividisco. Luca è una mia avventura (o disavventura.. come già detto, il punto di vista è fondamentale) estiva. Da quando ha saputo che avevamo avuto dei trascorsi, Daniele ha sempre cercato di accoppiarci. Non mi è dato di sapere il perché.
«Daniele..»
«Sto scherzando. Sei perfetta per quello lì», mi dice, ed io lo guardo ad occhi sgranati, perché capisco che è sincero.
«Io, beh... anche se, in realtà... insomma, grazie», farfuglio. Lui ride.
«Figurati, piccoletta. Oh, guarda, parla del diavolo e spuntan le corna.. ciao Luca.»
Mi giro di scatto e sbatto il naso dritta contro il torace di Luca, che è in piedi dietro di me. Mi basta un’annusatina per capire che è ubriachissimo. Non che io lo abbia visto sobrio poi tante volte, ripensandoci.
«Ciao Arianna», biascica, si china su di me e mi bacia in piena bocca.
E’ tutto maledettamente inaspettato e i miei riflessi non sono abbastanza pronti per farmi spostare in tempo. Restiamo attaccati per cinque secondi prima che io riesca a spostarmi con l’orrore dipinto in faccia.
«Che cosa cavolo...»
«VI SIETE BACIATI!», interviene Giorgia, gridando come una pazza.
«Tu sei ubriaca!», le urla di rimando Luca, compiaciuto.
«Anche tu!»
«Andiamo a bere ancora!»
«Certo!»
E si allontanano a braccetto. Ci tengo a precisare che è la prima volta in vita loro che si rivolgono la parola. Sono esterrefatta, pietrificata, non riesco nemmeno a muovermi. Daniele, in piedi accanto a me, si sta contorcendo dalle risate.
«Tu lo sapevi», realizzo improvvisamente, senza neanche guardarlo in faccia. Lui continua a trovare la cosa molto divertente. Gli rivolgo la più cattiva delle occhiate del mio repertorio. Spalanca le braccia in segno di scusa.
«Che posso farci Arianna, sono mesi che ripete che vuole baciarti, stasera si è deciso! Avresti dovuto vedere la tua faccia! Che scena! Che scena!»
Sono indecisa se mettermi a piangere.
«Se ti può consolare...» Daniele finalmente riesce a smettere di ridere. «Se ti può consolare, comunque, per me il tuo amico ci è rimasto male.»
«Quale amico?»
«Lorenzo.»
«Ci ha visti?!»
Ma di che mi preoccupo? Tanto a lui non importa nulla.
«Si. Ora se n’è andato ma…»
Veniamo interrotti da Mattia che mi si piazza davanti.
«ARIANNA DEAGOSTINI», urla, e sono certa di non aver mai visto in vita mia una persona tanto arrabbiata.
«Buonasera anche a…»
«VIENI SUBITO CON ME.»
Detto questo parte di gran carriera verso l’uscita del fumè, lasciandomi paralizzata per la seconda volta in dieci minuti. Daniele sembra vagamente colpito.
«Che succede?»
«Non ne ho idea», ammetto.
«Vuoi che venga con te?»
«No, non ti preoccupare, faccio da sola.»
«Già, tu fai da sola.»
«Daniele…»
So già che mi pentirò amaramente di quello che sto per dire, ma ho pensato che se una cosa la senti davvero conviene buttarla fuori, prima di perdersela.
«Si?»
«Se dovessi avere bisogno tu… ecco insomma…»
Ha capito. Mi appoggia una mano sulla spalla ed è la cosa giusta da fare.
«Quando vuoi, piccoletta. E adesso muoviti, altrimenti lo perdi.»
Con il sorriso più grato di cui sono capace, mi precipito fuori dal fumè. Correre su questi tacchi fa dannatamente male, ma devo trovare Mattia. Sto passando davanti al bar, l’ho visto in fondo alla stanza, su uno dei divanetti. Ha un’aria estremamente corrucciata. Sto per raggiungerlo quando, improvvisamente, qualcuno mi stringe il braccio in una morsa e mi trascina verso i bagni.
«Hey, ma che cos…»
«Sta zitta Arianna, sono io.»
E’ Valentina. Una Valentina decisamente ubriaca, aggiungerei. Ma perché diamine sono l’unica immune all’alcool?
«Vale, scusa ma io veramente dovrei…»
«Ti ho detto di chiudere il becco.»
Mi trascina imperterrita verso i bagni. Prego il Signore che Mattia non mi veda proprio in questo momento, fatto sta che succede. Sono piuttosto sicura che la strana parola che prende forma sulle sue labbra sia “ti uccido”.
«Vale, mi vuoi dire che cavolo sta succedendo? Che cavolo hai fatto per tutta la sera? Chi ti ha preso da bere? Non eri senza soldi?», riesco a dire, una volta trascinata nel bagno stranamente deserto del Red. Lei finalmente mi molla il braccio e mi incatena al muro con uno sguardo serissimo.
«Ti sto per dire una cosa che tu non dovrai mai rivelare a nessuno.»
Ricambio lo sguardo. E’ ubriaca, ma ubriaca del genere conscio, ubriaca del genere “mi sfogo finché posso”. Non tipo Giorgia, che tra due ore si ritroverà baciare selvaggiamente Luca su un divanetto e domani mattina non ne avrà assolutamente nessun ricordo. Scaccio l’infausto pensiero dalla testa per concentrarmi su altro.
«Devo sedermi?»
«Ecco, insomma…»
«Ok, devo sedermi.»
Mi lascio scivolare lungo il muro fino ad arrivare allo zozzo pavimento del bagno. Tanto peggio di così non può andare, no?
«Dimmi tutto”.
«Hai presente la festa in quell’hotel spettacolare a cui sono stata la settimana scorsa?»
Ricordo solo vagamente, però decido comunque di annuire.
«Beh, ero ubriachissima, non mi ricordavo neanche il mio nome. Ti basti sapere che il giorno dopo un tizio mi ha scritto dicendomi che avevo passato l’intera serata accusandolo di essere una mela.»
«Arriva al dunque.»
Valentina sa che i miei modi spicci non sono cattiveria, ma il mio sistema per stare vicina alla gente. Infatti mi fa un sorriso stanco.
«Ecco io... ho baciato una persona nei bagni quella sera.»
«Ma è una notizia fantastica! Avanti, dimmi, chi hai baciato?»
«Credimi Ari. Non lo vuoi sapere.»
«Certo che voglio saperlo.»
«Perché tu mi vuoi bene, giusto?»
Le scocco un’occhiata perplessa, mentre un pensiero rapidissimo lampeggia all’improvviso nel mio cervello. Le voglio bene, le voglio un bene dell’anima per davvero (anche se non lo ammetterei nemmeno sotto tortura), ma se salta fuori che ha baciato Lorenzo non so come potrò evitare un trauma psicologico e probabilmente anche un assassinio. Oddio, tutto lascia presagire proprio questo. E adesso che faccio?
«…certo che ti voglio bene. Dimmi, chi hai baciato?»
«Altea.»
Altea. Altea?! Quella Altea?!
«Altea?! Ma ha gli zigomi da squalo!»
Non lo avessi mai detto. Valentina scoppia a piangere e mi butta le braccia al collo, inondandomi la spalla e i capelli di lacrime.
«Oh Arianna, lo vedi perché ho deciso di dirlo a te? Perché chiunque al tuo posto avrebbe commentato “oh, non sapevo che fossi lesbica!”, per poi iniziare una tiritera su quanto egli sia una persona tollerante, che accetta i gay, e non c’è proprio niente di male se lo sono anche io. Tutto quello che fai tu è un commento sugli zigomi. Perché sei una cinica maledetta che capisce davvero tutti quanti, ecco cosa sei.»
Non riesco a trattenere un sorriso e ricambio l’abbraccio.
«E sei anche una che non spreca gli abbracci», aggiunge, ridendo un po’.
La stringo ancora per qualche secondo, per poi staccarmi bruscamente.
«Adesso alzati ed asciugati la faccia.»
«Che cosa?»
Mi guarda senza capire.
«Devi reagire. Subito anche. Dovete parlarne. A meno che non lo abbiate già fatto.»
Lei fa spallucce.
«Lei ha provato a scrivermi una volta ma io non le ho risposto. Anche questa sera ha provato a parlarmi, ma io la sto evitando. Sono terrorizzata. E’ per questo che me ne sono andata dal bar all’inizio e non mi sono fatta vedere per tutta la sera. Mi stavo nascondendo.»
Scuoto la testa e con un colpo secco la tiro in piedi.
«Ma che fai?!»
«Non c’è verso che io ti lasci mandare tutto alle ortiche così!»
«Ma che stai dicendo? Arianna , lei è una delle più belle ragazze della scuola, è praticamente perfetta, perché dovrebbe volere me?»
Alzo gli occhi al cielo. Le mie amiche hanno il potere di demolire completamente la mia pazienza.
«Punto primo, se ti ha baciata un motivo c’è, giusto? Non essere stupida Vale, ha anche provato a contattarti! Le interessi! Punto secondo tu sei bellissima e speciale e piaci a chiunque, maschio e femmina, figuriamoci se non piaci a lei. Punto terzo, il più importante di tutti. Non dire mai più che è perfetta. Valentina, dannazione, guardala. Ha dei dannatissimi zigomi sporgenti.»
Ottengo esattamente l’effetto desiderato, ovvero farla ridere ed alleviare la tensione. Sono o non sono una superamica da Oscar?
Proprio in quel momento la porta del bagno si spalanca, dando la prova del fatto che, proprio come ha detto Daniele, basta parlare del diavolo perché ne spuntino le corna. Altea, munita del solito sguardo superiore  e stretta in un vestitino beige, fa capolino nella stanza sudicia. Vedendo me e Valentina così vicine, sgrana gli occhi.
«Ciao...», accenna, e sta per fare dietrofront quando io la fermo.
«Resta immobile. Me ne sto andando ed, ecco... voglio uscire per prima. Perché ho paura delle, ehm, porte. Delle porte che si chiudono.»
Mi guarda come se fossi assolutamente fuori di testa. Sentite, sono già un’amica fantastica, non si può pretendere che io sia brava anche ad inventare scuse. Prima che io possa andarmene con dignità però, Valentina mi tira a se e mi sussurra una cosa nell’orecchio.
«E comunque Arianna... l’hai detto tu stessa. Se qualcuno ti bacia, c’è un motivo.»
Vorrei risponderle qualcosa, spiegarle che le situazioni sono diverse, che si sbaglia, ma Altea mi scocca un’occhiata che non promette nulla di buono, così le faccio un sorriso stanco ed esco dal bagno.
 
Non posso credere che la mia serata si sia evoluta in questo modo. Sono le una e venti e sto vagando come un’anima in pena da venti minuti in cerca di Mattia, o di Emma, o di Giorgia e Nicola, o di Stefania e Riccardo, o anche di Daniele, ma non trovo nessuno. In questa topaia di discoteca ho incontrato si e no ogni singola persona che conosco («Arianna, quanto tempo! Sei bellissima stasera!», «ciao Ari, come stai? Vieni, ti offro da bere!», «Arianna..? Come mai hai quella faccia stralunata e sembri sul punto di suicidarti?») tranne loro. Si può essere altrettanto sfigati? Come se non bastasse le scarpe mi stanno letteralmente torturando. Sento che mi sta per venire un attacco d’ansia, quindi mi fermo. Resto immobile dove sono, cercando di respirare normalmente. Forse se chiudo gli occhi tutto svanirà semplicemente, oppure il pavimento si spalancherà per risucchiarmi dritta al centro della terra dove alberga Lucifero, brucerò all’inferno per l’eternità e..
«Arianna..? Arianna! Arianna, non ci credo, finalmente ti ho trovata, ti sto correndo dietro da ore!»
Spalanco gli occhi, ringraziando mentalmente il Signore per questo miracolo. E’ Mattia. Lo scruto per qualche secondo. Non sembra più arrabbiato, anzi, mi ricorda molto me stessa: sembra esattamente sull’orlo del panico.
«Mattia, oddio, sei tu», balbetto, conficcandogli le unghie nel braccio per assicurarmi che sia reale e che non sia sul punto di svanire in una nuvoletta di nebbia da un momento all’altro.
«Devi aiutarmi!»
«Mi vuoi spiegare che sta succedendo a questa dannatissima serata?»
Fa un sospiro.
«Vieni fuori.»
Mi trascina nell’anticamera della discoteca, davanti al banco del guardaroba. Lì la musica è meno forte e si può parlare in santa pace. Mi guardo attorno con un moto di disgusto. Siamo circondati da coppiette che si baciano come se fossimo nel bel mezzo dell’ultima notte al mondo. Ma aspetta un attimo, chi sono quei due imboscati dietro alla pianta ornamentale?
«Stefania e Riccardo!», esclamo, sbigottita.
Grazie al cielo non mi sentono e continuano imperterriti a, ehm, insomma, darsi da fare. Mattia non presta attenzione. Sembra veramente preoccupato, ma gli è spuntata di nuovo in faccia un’espressione estremamente poco pacifica. Decido di adottare la tecnica dell’attacco frontale, anche perché per quanto mi riguarda è l’unica che abbia mai funzionato.
«Adesso tu mi spieghi che cosa accidenti sta andando storto in questa serata e soprattutto mi dici per quale incomprensibile motivo sembri furioso con me, dal momento che non ho fatto assolutamente nulla di male.»
Mi fissa dritto negli occhi.
«Mi devi aiutare a cercare Lorenzo», dice soltanto.
«Lorenzo? Perché?», mi informo, imponendo a me stessa di non sbiancare né di sembrare interessata. Dentro di me però, sono tentata di prenderlo a schiaffi. Come può chiedermi di aiutarlo in una cosa simile conoscendo la situazione?
«Perché è ubriaco fradicio e in questa discoteca ci sono tre tizi che sono il doppio di noi, e questi tre tizi in questione ci picchieranno a sangue se ci trovano perché hanno scoperto che li abbiamo truffati sul prezzo delle prevendite per questa festa.»
Nella mia testa tutto improvvisamente acquista un senso. Ecco il perché della risata esagerata, delle sigarette e del fare da mafioso. Ecco perché Mattia sembrava incredibilmente di fretta da tutta la sera. Ma qualcosa continuava a non quadrare.
«Ancora non mi è chiaro perché ce l’hai con me.»
Mi assassina con lo sguardo. Accidenti, devo averla fatta grossa.
«Si tratta sempre di Lorenzo.»
«Che cosa?»
«Da tutta la sera continua a nominarti e dice che dovete parlare assolutamente perché avete delle questioni in sospeso, che tu gli hai detto che ha, oddio, com’era? Una parola in latino che sembra una malattia..»
«Hamartia. E’ greco. Non è una malattia. Significa imperfezione fatale», sbotto.
«Non voglio assolutamente sapere di cosa parlate nei vostri discorsi da geni in erba, fatto sta che avrà ripetuto un milione di volte che lui non ha nessuna hamarachi o come cavolo si chiama e che vuole dimostrartelo.»
Alzo gli occhi al cielo, non avrei mai dovuto mettermi a parlare di imperfezioni fatali mentre mi stava scaricando. Sia lui sia il suo amico sono di un livello di incompetenza inconcepibile.
«Quando ti ha vista baciare Luca è andato fuori di testa. A proposito, baci Luca e non me lo dici, Ariannina? Potrei offendermi, vi ho pur sempre presentati io», esclama in un repentino cambio d’umore, sgomitando ed ammiccando.
«Non stavo baciando.. cioè, insomma, è una lunga storia, passiamo ai fatti, che dobbiamo fare?»
«Cercare Lorenzo ed assicurarsi che, nelle condizioni in cui è, non ne prenda una caterva da quegli armadi che ce l’hanno con noi.»
Gli do un pugno sulla spalla.
«Come vi è venuto in mente di mettervi a fare i truffaldini con quella gente?!»
Mattia abbassa lo sguardo, imbarazzato.
«Ehm, per la verità noi... ecco...»
«Si?»
«Non ci eravamo accorti di averli imbrogliati. Abbiamo solo sbagliato a contare i soldi.»
Seriamente la mia vita si è ridotta a correre dietro a questo genere di persone?
«Idioti», mi limito a commentare, scuotendo la testa.
 
E’ passata un’eternità e la situazione è tale e quale a prima. Incredibilmente, io e Mattia siamo riusciti a non perderci di vista per tutto questo tempo, ma il rovescio della medaglia è che ormai sono le una e quaranta e non abbiamo ancora trovato assolutamente nessuno.
«Posso chiederti un altro favore?», mi chiede, mentre siamo impegnati nelle ricerche. Grazie al cielo lungo la strada ho incontrato un amico che mi ha piazzato in mano un bicchiere gigantesco e pieno fino all’orlo, perché altrimenti non ce la farei ad affrontare questa serata. Non mi sono neanche informata su cosa sia: quando raggiungi simili livelli di tragicità, se fosse alcolica berresti anche la candeggina.
«Dimmi.»
«Io ho... litigato con Emma.»
Non è una novità, vorrei commentare, ma faccio un respiro profondo.
«Come mai?»
«Non mi sta mai a sentire!», sbotta, infastidito. «Ho cercato di spiegarle che questa sera avevo un sacco di casini da risolvere, ma lei si è infuriata, ha detto che doveva essere la nostra serata e se n’è andata.»
«Se voi due comunicaste come persone normali la vostra relazione filerebbe liscia come l’olio, lo sapete?»
Mi scocca un’occhiata supplichevole.
«Parlale. Tu convinci sempre tutti a fare tutto. Ti prego Ari, fallo per me.»
Mi chiama Ari solo quando è disperato. Che fatica, essere un genio.
«Va bene, le scrivo subito un messaggio convincente.»
Mi fa un sorriso a millecinquecento denti.
«Ti voglio bene, Arianna!»
«Rimangiatelo immediatamente.»
«Sei la persona più stronza che io conosca, Arianna.»
«Così va me... oh, aspetta, ma quello non è Lorenzo?»
Si gira nella direzione in cui indico. E’ proprio lui. Semi-collassato su un divanetto, sta parlando con una ragazza coi capelli biondo platino freschi di piastra e l’apparecchio ai denti. Tu, denti di ferro, se pensi che ti lascerò provarci con lui sei un’illusa, schifosa, sporca...
No. Ohm, meditazione, pace interiore. Si va in scena.
Sto per partire di gran carriera verso il divanetto, quando Mattia mi ferma e mi guarda dritto negli occhi.
«Che c’è? Non andiamo a salvare la faccia a quel cretino?»
«Anche se ti ho chiesto questo favore, Ariannina, voglio che tu sappia che io faccio il tifo per te. Lo facevo tra te e Luca, lo faccio anche tra te e Lorenzo. Non voglio che tu stia male. Quindi, se non te la senti vado da solo.»
Scoppio a ridere, il che potrebbe sembrare una reazione assurda, eppure è quella che ho sempre quando mi rendo conto di essere di fronte a un vero amico. «Non ti preoccupare, Matty. Andiamo e, beh... agiamo.»
Rassicurato, mi fa un sorriso subdolo.
«Stai al gioco.»
In men che non si dica raggiungiamo il tavolino e Mattia, con gli occhi iniettati di sangue, punta un dito accusatorio contro la bionda.
«Tu!», la aggredisce, con aria furente.
«Io?», chiede quella, sbigottita. Vedendola più da vicino mi rendo conto che deve avere un paio d’anni in meno di me e, a giudicare dall’abbigliamento, probabilmente questa è la sua prima volta in discoteca. Mi dispiace terrorizzare i bambini che mettono piede per la prima volta nella faida del Red, ma qualcuno deve pur farlo.
«Proprio tu! Ma chi ti credi di essere per stare così appiccicata al ragazzo della mia migliore amica?! Ma non ti rendi conto che la gente per queste cose ci sta male?! Ti rendi conto che stai rovinando una relazione di due anni e mezzo?!»
Capisco al volo. Ho studiato recitazione per due anni quindi, alle spalle di Mattia, coprendomi la faccia con una mano simulo un pianto sommesso. La ragazzina si alza di scatto ed indietreggia di qualche passo, barcollando sui tacchi da tirannosauro che indossa. Beh, li indosso anche io, è vero, ma se non altro io so camminarci. Io posso. Lei no. E poi, concedetemelo, sono arrabbiata con lei perché ci stava provando con Lorenzo. E’ umano, no?
«Oddio, oddio, io non lo sapevo, è lei?»
«Ma certo che è lei, stupida! Non vedi in che condizioni è?! E’ distrutta!», rincara la dose Mattia, con fare sempre più arrabbiato. In questi casi credo di amarlo.
«Mi... mi dispiace, io non sapevo che fosse impegnato! Non me lo ha detto, e poi non abbiamo fatto niente, oddio, scusami, io ti giuro che non lo sapevo!», frigna, strattonandomi il braccio.
«Senti, vattene e basta, va bene?!», grido simulando una fantastica voce spezzata e scacciandola con un gesto teatrale della mano. Terrorizzata, annuisce come un cagnolino e sparisce nella folla. Scoppio a ridere e Mattia mi batte un cinque.
«Attrice nata.»
«Anche tu non sei male Matty, te lo concedo».
«Che sta succedendo?», biascica Lorenzo dal divanetto.
Mi concedo di guardarlo solo per una manciata di secondi, perché so che più tempo mi sarebbe fatale. E’ incredibilmente bello anche in queste condizioni pietose. Ma perché diamine ha bevuto così tanto?! In fin dei conti lui è Lorenzo, quello troppo razionale per darsi ad un hobby rischioso come l’alcool, quello che quando si presenta un problema lo pondera e lo affronta invece di seppellirlo nei meandri del cervello con badilate di ironia come fa qualcun altro (vedi: io). Che gli è successo stasera? Mi siedo accanto a lui senza guardarlo in faccia, ma sento che lui ha iniziato a fissarmi.
«Corpo di mille balene, Arianna Deagostini, sei tu?»
Aggrotto le sopracciglia all’esclamazione marinaresca.
«E’ proprio lei. Non dovevi parlarle?», interviene Mattia, spazientito.
«Si che volevo parlarle. Volevo dirle che è proprio una stronza. STRONZA. Esse enne o erre zeta a.»
«Così viene snorza…», obietta Mattia, ma io a questo punto non ci vedo più dalla rabbia.
«Io sarei una stronza?!», gli urlo, afferrandolo per il cappuccio della felpa.
«Si», risponde lui, scoppiando a ridere. «E sei anche incline alla violenza, se proprio vuoi saperlo.»
«Come osi, tu, piccolo bastardo, non hai idea...»
«Arianna, odio interrompere le vostre effusioni d’affetto, ma dietro di voi ci sono esattamente i tre tizi che stiamo cercando di evitare», mi interrompe Mattia, gesticolando come un pazzo. «Non girarti! Non girarti! Dobbiamo scappare!»
«Che ce ne facciamo di questo? Non si regge in piedi!»
«Prendilo e parti! Veloce, prima che ci vedano!»
Non ho altra scelta. Afferro il braccio di Lorenzo e lo giro attorno alle mie spalle, chiedendomi com’è possibile che da quella che doveva essere semplicemente una serata noiosa sia saltata fuori una simile situazione.
«Sei troppo bassa per tenermi in piedi», borbotta lui. Non ha tutti i torti, ma non gli darò mai questa soddisfazione.
«Sta zitto. Ho dodici centimetri di tacco.»
«Sei troppo bassa lo stesso.»
«Quale parte di STAI ZITTO non ti è chiara?!»
Lo trascino via, non prima di aver lanciato uno sguardo di sguincio ai tre energumeni a cui dobbiamo presumibilmente sfuggire. Sono i classici brutti ceffi che ci si aspetta di trovare come sceriffi cattivi in un film western. Perché la mia vita è così maledettamente assurda?!
«Mattia, seguimi, andiamo via!»
Mi avvio tra la folla, dividendo imperterrita coppie che ballano, gruppi di amiche, una rissa. Voglio solo portare via Lorenzo. Vedo che il fumè è semi-deserto, così decido di trascinarlo lì dentro. Lo butto con malagrazia su uno dei divanetti liberi.
«Beh Mattia, direi che il mio lavoro qui è fin...»
Oh no. Oh no, no, no. Che razza di fine ha fatto Mattia?!
«Che razza di fine ha fatto Mattia?!», grido ad alta voce, a me stessa più che altro, facendo girare la metà dei presenti. Non ci posso credere. L’ho perso nella folla e non me ne sono neanche accorta. Frustrata, mi lascio cadere vicino a Lorenzo.
«Lo so che non capisci nulla, ma abbiamo perso Mattia. Conoscendo il mio odierno tasso di fortuna non lo troveremo mai ed io sarò costretta a starti dietro per tutta la sera. Sei contento?»
Apre un occhio solo e mi guarda con un sorriso sbilenco.
«Molto contento.»
Chiude gli occhi di nuovo e, con un gesto delicato, appoggia la sua mano sulla mia. Mi si stringe lo stomaco ed il mio cuore inizia a battere al doppio della velocità normale, ma so che devo continuare a ragionare. Sposto bruscamente il braccio.
«No», dico, decisa.
«No cosa?»
«No, non farai così.»
«Arianna…»
«Sta zitto. Non parlare, limitati a vegetare in silenzio.»
Sbuffa ed improvvisamente so che parlerà ancora ed io non avrò le forze di metterlo a tacere.
«Avevi detto che saremmo rimasti amici», mugola, e da qui capisco a quale genere di ubriaco appartiene. Quelli che, sotto l’effetto degli alcolici, dicono un sacco di cose che in realtà non dovrebbero dire, un sacco di segreti, un sacco di pensieri personalissimi. Il mattino dopo si sentono raccontare le loro disavventure dagli amici e, con una mano sulla fronte, esclamano “come ho potuto dirlo davvero?”
«Siamo amici», rispondo freddamente.
«Non è vero.»
«E invece si. Non sarei qui a salvarti la pelle anche se mi fai infuriare, se non fossimo amici.»
Io stessa sono sorpresa di quanto sia sensato ciò che ho appena detto, anche se è una bugia bella e buona: lui non è un mio amico. Finchè provo sentimenti così intensi nei suoi confronti non potrà mai, mai essere mio amico.
«Ma non ti sei mai fatta sentire. Gli amici si fanno sentire.»
«E invece mi sono fatta sentire!», esclamo, risentita.
Beh, quest’ultima parte non è proprio vera. E’ vero che una volta gli ho telefonato, ma in realtà è stato solo perché ho il brutto vizio di non salvare i numeri di telefono ed ho confuso il suo con quello del mio veterinario. Ho fatto uno sproloquio isterico di mezz’ora sul mio gatto che aveva ingoiato un Re Magio del presepe prima che lui riuscisse a farmi presente che avevo sbagliato numero e che è da pazzi che il mio gatto sia tanto senza fondo da arrivare a mangiare statuine di ceramica. Mi guarda alzando un sopracciglio ed io sospiro.
«Va bene. Non mi sono fatta sentire. E allora? In fin dei conti che t’importa? Mi hai scaricata, non so se te lo ricordi ma è successo, e non è stato affatto divertente.»
Non so perché ma sembra addolorato da quello che dico. Quasi fossi stata io a piantarlo in asso dopo una notte meravigliosa come quella di capodanno.
«Non voglio che tu ti rimetta con Luca.»
E adesso di che cavolo sta parlando?
«Io non sono mai stata con…»
«Non ho finito. Non voglio che tu ti metta con lui perché non state bene insieme. Lui è stupido e tu devi stare con una persona intelligente. Perché sei un genio e se il tuo fidanzato fosse stupido inizieresti a darti arie da maestrina e diventeresti insopportabile.»
Non credo di aver afferrato il filo del discorso.
«Quindi io non posso stare con Luca perché è stupido?», riassumo, perplessa.
«E ci sono anche mille altri motivi.»
«Del tipo?»
Non risponde. Mi fissa dritto negli occhi, e poi, fulmineo come un serpente a sonagli, mi si avvicina e mi bacia.
Cosa? Cosa? Che diamine sta succedendo?
Per un secondo di troppo mi lascio assorbire dal bacio. Sono esterrefatta, mi sento ogni sorta di esplosione interna di emotività. Sento che la mia testa sta lanciando un allarme rosso, mentre il mio cuore si esibisce in una sfrenata coreografia dal titolo “Lorenzo mi sta baciando”. Beh, si sa che sono sempre stata una tipa di testa.
«CHE STAI FACENDO?», grido, staccandomi proprio mentre stava iniziando ad aprire la bocca e spostare la mano tra i miei capelli.
«Hai tradito Luca!», ride, indicandomi. Ho come la sensazione che spiegargli che io e lui non siamo mai stati assieme non porterebbe a nessun risultato.
«Per quale stupidissimo motivo da ubriaco mi hai baciata?!»
«E perché tu ti sei spostata?»
«E PERCHE’ TU MI HAI SCARICATA?», strillo, decisa a non mollare l’osso. Sembriamo due bambini delle elementari che litigano per chi ha colorato meglio il disegno.
«Tu pensi troppo.»
«Anche tu», replico, con voce alterata.
«Non stasera.»
«Beh, io invece per tua sfortuna penso troppo anche stasera, quindi ti conviene non fare niente con cui il mio cervello potrebbe non trovarsi d’accordo!»
Ride rassegnato, ed io non posso fare a meno di pensare che sia bellissimo. Non posso fare a meno di pensare che è vero, non sono ubriaca né lo sarò mai, perciò che può esserci di male se per una sera mi comporto come se lo fossi? Finirà in lacrime, le mie, ma in questo momento la cosa non mi sembra poi così importante. Tutto ciò che mi importa siamo noi, qui, adesso, subito.
«Lorenzo.»
«Dimmi, pensatrice esagerata.»
«Stai zitto.»
Gli prendo il viso tra le mani, e lo bacio. Lui ride dalla sorpresa e mi ritrovo a pensare che non ci sia sensazione migliore al mondo di un ragazzo così meraviglioso che ti ride sulle labbra. Mi sposta le gambe sulle sue per poi circondarmi con le braccia, una mano sulla mia schiena, l’altra tra i miei capelli. Quando ci stacchiamo mi guarda con quegli occhi fantastici, quegli occhi che mi fanno sentire unica e speciale, quegli occhi che mi piacciono così tanto. Mi sorride e mi da un paio di colpetti con il naso, mentre io stringo le labbra.
«Sono arrabbiata con te.»
«Ed io con te, se è per questo. Ma anche quando dai il peggio di te, il che come ben sai succede molto spesso, rimani fantastica.»
Come può insultarmi e farmi sentire così meravigliosamente in una sola frase? Sto per alzare gli occhi al cielo e baciarlo ancora, quando lui improvvisamente si alza di scatto, facendomi ruzzolare a terra.
«Hey!», mi lamento dal pavimento, ma mi accorgo che sta guardando due persone che hanno appena fatto irruzione nel fumè. Daniele e Luca.
«Lorenzo, che…»
«Io lo ammazzo.»
Prima che io possa fermarlo, si mette a zigzagare a tutta velocità verso i nuovi arrivati. Oh santo cielo, penso mentre mi isso in piedi a fatica per corrergli dietro, io lo sapevo che non dovevo venire a questa festa.
«Ciao Arianna!», mi salutano in coro Daniele e Luca, il primo con un cenno, il secondo con un gigantesco sorriso stralunato. E’ ancora ubriaco. Non so se sia il caso di gioirne. Lorenzo gli si piazza davanti in tutto il suo metro e ottantacinque di altezza, guardandolo negli occhi. Luca, che è molto alto anche lui, ricambia lo sguardo.
«Ciao Lorenzo, come stai?», gli chiede, accendendosi una sigaretta, presumibilmente la quarantesima della serata. A quel punto accade tutto talmente in fretta che non riesco neanche a muovere un dito per impedirlo. Lorenzo, con una risata isterica, gli strappa di mano la sigaretta e la spegne nel bicchiere di un tizio di passaggio. E’ decisamente troppo tardi quando mi accorgo che il ragazzo in questione è proprio uno dei tre da cui Mattia mi ha raccomandato di stare alla larga.
«Tu!», esclama vedendo Lorenzo, ed accecato dalla rabbia gli tira un pugno dritto in un occhio.
Lorenzo stramazza a terra, Luca si lascia sfuggire un urletto decisamente troppo femminile per uno della sua stazza, Daniele mi guarda allarmato come se attendesse direttive da parte mia. Ed io adesso che faccio?
«Adesso lo riempio di botte!», annuncia, sempre gridando, il suo aggressore. Rifletti Arianna, rifletti alla svelta. Sono alta un misero metro e sessantacinque (si, tacchi inclusi, per quanto mi vergogni ad ammetterlo), sono un peso piuma, non posso lanciarmi nel pieno di una rissa, ma qualcosa devo pur fare, no?
«Fermati!», strillo a mia volta, ed in preda a un moto di coraggio o follia che sia mi metto in mezzo tra Lorenzo e il tizio, coprendomi la faccia con le mani per evitare un costosissimo intervento di ricostruzione del naso. Grazie al cielo Daniele arriva a darmi manforte, posizionandosi accanto a me. Lorenzo sta agonizzando sul pavimento come se lo stessero spellando vivo e Luca ci ha messo meno di venti secondi a volatilizzarsi. Signore e signori, queste sono le mie conquiste.
Tuttavia, sta succedendo qualcosa di strano. Il tizio ha abbandonato la sua posizione d’attacco ed ora mi sta letteralmente analizzando. Se ha in mente uno scambio del tipo “io prendo la donna per la vita del maschio” mi dispiace caro Lorenzo, ma puoi anche morire dissanguato.
«Arianna Deagostini..? Arianna che ama i limoni, odia l’affetto e pecca di accidia?»
Non ci poso credere. Sia benedetto il campeggio estivo dell’anno scorso che mi ha salvato la pelle per due volte di seguito. Abbasso leggermente le braccia e do un’occhiata al tizio. Per una fortunata coincidenza mi salta in mente che ha un nome spagnolo incomprensibile e lungo cinque righe, perciò si fa chiamare Supplì. Evidentemente il karma esiste.
«Supplì, sei tu!», esclamo, mimando una gran gioia di vederlo.
Lui mi sorride inebetito. Mi sento in colpa ad abbindolare la gente in questo modo, ma se è l’unico modo per salvare la situazione..
«Non sei cambiata per niente!»
«Beh, nemmeno tu!»
Grazie al cielo, aggiungerei. Se fosse cambiato anche solo di una virgola non lo avrei mai riconosciuto, la cosa lo avrebbe offeso a morte e mi sarei ritrovata dissanguata assieme a Lorenzo. Parlando di Lorenzo…
«Conosci quell’idiota?», mi chiede, scoccando al summenzionato idiota uno sguardo disgustato.
«Si, si, lo conosco.»
«Allora non avrai niente in contrario se adesso lo ammazzo.»
«Senti Supplì, non potresti, ecco, insomma.. lasciar perdere? Conosco la storia, tu e i tuoi amici avete tutte le ragioni del mondo ad essere arrabbiati, però, andiamo, pensi davvero che un simile scemo abbia organizzato una truffa simile di proposito? Insomma, guardalo.»
Insultare Lorenzo allo sfinimento sembra funzionare, perché Supplì annuisce, però ha ancora le sopracciglia aggrottate.
«Mi ha comunque fregato dei soldi.»
«Beh, hai sempre la soddisfazione di avergli fatto un occhio nero.»
«Se solo potessi dargli un altro calcetto...»
Rifletto. Si tratta di Lorenzo che mi ha fatta innamorare. Lorenzo dalle parole meravigliose, l’intelligenza sbalorditiva, i modi di fare così coinvolgenti. Lorenzo l’indeciso, che un giorno ti bacia e quello dopo ti scarica. Lorenzo che ti fa stare così male da farti passare un mese in clausura tra Grey’s Anatomy e salatini.
«In effetti hai ragione, Supplì, un calcio puoi anche darglielo.»
Mi sorride riconoscente e gli tira una pedata in pancia che lo fa contorcere dal dolore. Non sono una fan della violenza (di solito), ma mi scappa una risatina.
«Grazie Ariannina. Ci si vede», mi saluta, allontanandosi.
Restiamo solo io, Lorenzo e Daniele in un fumè svuotatosi per timore della rissa imminente. Daniele mi sorride.
«Sei veramente sadica.»
«Hai ragione.»
Ride.
«E con lui come va?»
Io invece sospiro.
«Devo essere sincera? Non ne ho idea.»
«Arianna...»
«Si?»
«Andrà bene.»
Guardo Daniele e vedo che sorride.
«Vi ho visti prima, mentre vi stavate baciando. Sono un maschio e so come ragionano i maschi. Solo uno preso ti tratta in quel modo, ubriaco o no. E poi, non dimentichiamoci che si è preso un cazzotto praticamente per te.»
Questa volta sono io a ridere. Daniele si avvia verso la porta della stanza.
«Portalo fuori, mettigli qualcosa sull’occhio e beh... parlate. Buona fortuna, Arianna.»
«Daniele... grazie.»
E se ne va.
 
Uscita dall’idillio di questa scena alquanto cinematografica, mi rendo conto che in questo momento ho molto più che un problema. Ho la responsabilità di tirare fuori dai guai un idiota totale che ora è sdraiato sul pavimento ed, escluso qualche rantolo, non da segni di vita.
«Lorenzo..?», provo a chiamarlo, dandogli qualche sgarbato colpetto col piede.
«Mmmmmppphhhfff», grugnisce.
«Ok, se le cose stanno così posso anche andarmene», lo prendo in giro.
«Dai Ariannaaaaa», grida dal pavimento, agitando le braccia alla cieca. La situazione è addirittura peggiore del previsto. Ragiona, Arianna, ragiona da infermiera. In fin dei conti, per quanto i motivi non fossero dei migliori, hai pur sempre guardato quattro stagioni di Grey’s Anatomy.
«Mi serve del ghiaccio», borbotto tra me e me, dando prova di straordinarie capacità mediche.
Si, ma dove lo prendo? Non ce la faccio a pensare logicamente, quindi sfilo il portafogli che sbuca dalla tasca di Lorenzo. Noto con sommo piacere che contiene ancora cinque euro, giusti per un drink. So che potrei semplicemente chiedere qualche cubetto in un bicchiere al barista, ma questa soluzione mi sembra molto più scenografica. E poi, diciamocelo.. un buon drink me lo merito. Ordino un Long Island al bar del fumè, lo scolo tutto d’un fiato e, facendo una fatica dannata, isso Lorenzo su un divanetto. Con malagrazia, prendo il ghiaccio dal bicchiere e glielo metto sull’occhio gonfio.
«Ahia! Così mi fai male!», si lamenta.
«La prossima volta ci pensi prima di metterti a vendere prevendite», lo rimbecco, e lui per cinque benedetti secondi tace.
«Mi porti fuori?»
«Fuori dove? Non vorrai ballare in queste condizioni.»
«Non in pista. Fuori dalla discoteca.»
Non è proprio una cattivissima idea, in effetti.
«Va bene, lagna che non sei altro. Andiamo fuori.»
Alza lo sguardo su di me ed inaspettatamente scoppia a ridere.
«Sei spettinata, hai il trucco colato e pure una faccia sconvolta», sghignazza. Detto da uno con due cubetti di ghiaccio misto ad alcool sull’occhio nero che si è appena procurato, non mi offende particolarmente.
«Tu si che sai lusingare le ragazze. Uscendo passiamo dal bagno e mi do una sistemata. L’hai voluto tu.»
Lo aiuto ad alzarsi e mi tocca con gesti un po’ imbarazzati. Quando usciamo dal fumè mi ritrovo faccia a faccia con Emma. Non ci guardiamo nemmeno negli occhi, avviciniamo semplicemente le facce per poter parlare sottovoce.
«Ho letto il tuo messaggio dove cercavi di convincermi a fare pace con Mattia ed ovviamente ci sei riuscita perché i tuoi odiosi messaggi perfetti convincono chiunque a fare qualunque cosa. Per farmi perdonare ci siamo messi a fare preliminari nel guardaroba. Giorgia e Luca hanno fatto irruzione nel bel mezzo. Spero che fossero abbastanza ubriachi da non ricordare nulla.»
«Luca mi ha baciata. Sono rimasta coinvolta in una rissa. Mi ha baciata anche Lorenzo. Non so più come accidenti sistemare la mia vita disastrata.»
Ci guardiamo negli occhi e nonostante lo schifo stia dilagando pericolosamente, scoppiamo a ridere.
«Sei l’amica migliore del mondo.»
«Anche tu.»
Lei continua per la sua strada ed io trasporto Lorenzo fino ai bagni. Si appoggia al muro fuori da quello delle ragazze, ma è talmente stordito che scivola lungo disteso sul pavimento.
«Ti aspetto qui», annuncia. Non ne dubito, vorrei commentare, ma mi limito ad annuire ed entrare in bagno.
Non appena mi guardo allo specchio mi accorgo che Lorenzo ha decisamente minimizzato le cose per quanto riguarda le mie condizioni estetiche. Sono semplicemente inguardabile. Mentre sto cercando di darmi un tono, una delle porte dei bagni si spalanca e ne esce Altea. Ha i capelli sconvolti, una spallina del vestito abbassata ed un sorriso quasi selvaggio stampato in faccia. Con la massima naturalezza si posiziona accanto a me ed inizia anche lei a sistemarsi. Ad un certo punto mi accorgo che sta fissando la mia immagine riflessa nello specchio. La guardo anche io con espressione interrogativa.
«Grazie», dice lei senza parlare, muovendo solo la bocca. A quel punto sento la voce di Valentina che esce dal bagno.
«Altea?»
Lei mi sorride ed io non posso fare a meno che ricambiare. Sono una dea dell’amore!
 
Uscendo mi assale il dubbio che Lorenzo se ne sia andato. Già,in fin dei conti, chi glielo faceva fare, di restare ad aspettarmi? Pronta al peggio, esco nella discoteca e mi scappa un sospiro di sollievo quando vedo che è ancora lì. E’ riuscito a mettersi a sedere ed ha lo sguardo perso nel vuoto, ma vedendomi sorride.
«Andiamo fuori, signorina?», mi chiede.
Mi limito ad annuire. Improvvisamente non mi escono più parole di bocca. Lo isso in piedi e ci dirigiamo verso i guardaroba per prendere le giacche.
«Quelli sono minimo venti minuti di coda», constato, indicando la mandria di persone in fila per recuperare gli effetti personali con un cenno della testa.
«E’ troppo! Usciamo subito!», grida lui, mi molla e si precipita correndo fuori dalla discoteca, il tutto sotto gli occhi del buttafuori, che non ha nemmeno il tempo di chiedergli se ha bisogno del timbro per rientrare. Quante altre umiliazioni dovrò subire?!
«Mi scusi, era di fretta e non si è fatto timbrare, però probabilmente più tardi rientriamo, insomma... può timbrare solo me ed avere pietà di lui?», chiedo, sentendomi estremamente ridicola. L’uomo è alto minimo due metri e largo altrettanto. Mi aspetto che mi scaraventi via come un guscio di nocciolina, e invece il suo viso si spalanca in un sorriso a trentadue denti.
«Ma certo cara. Vai da lui. Buona serata.»
Gli sorrido e mi faccio timbrare la mano, per poi uscire nella fredda notte di gennaio. Ormai sono già le due. Cerco Lorenzo con lo sguardo ma non lo vedo, ho un tuffo al cuore al pensiero che se ne sia andato.
«Ariaaaannaaaa, sono qui.»
Sento la sua voce lontana lontana. Dopo brevi ricerche, scopro che si è sdraiato nel prato dietro al parcheggio a faccia in su. Stasera non ci sono le stelle, ma c’è una coraggiosa mezzaluna che spunta in mezzo alle nuvole. E’ meravigliosa. Mi siedo accanto a lui e gli do un buffetto in fronte.
«A che ora devi andare a casa?»
«Due e tre quarti», borbotta lui, con la voce impastata.
«Magnifico. Hai quarantacinque minuti per riposarti e riprenderti», gli dico, senza guardarlo. Non so perché ma mi assale una gran tristezza.
«Ma io non voglio riposare.»
Mi guarda e si issa anche lui a sedere.
«Hai freddo con solo quel vestito addosso?»
«No, affatto», dico, ed è la verità.
«Non scherzare. Ti do la mia felpa.»
Mi assale la sgradevole sensazione del dejà-vu.
«Non la voglio, no, Lorenzo, seriamente. Non provare neanche a darmi la tua felpa.»
Ma lui non mi sta a sentire. Se la sfila, rimanendo con solo la maglietta a maniche corte dell’Hard Rock Cafè (non capirò mai cosa renda quelle dannatissime t-shirt l’indumento da discoteca più gettonato dai maschi) e praticamente me la infila. La osservo un attimo. E’ esattamente la stessa che mi aveva prestato a capodanno ed ha esattamente lo stesso profumo di quella sera. Non vorrei, ma a ripensarci mi vengono le lacrime agli occhi. Scaccio i brutti pensieri concentrandomi sull’aspetto da barbona che ho assunto infilando una felpa sopra ad un vestito. Anche Lorenzo se n’è accorto, perché ride.
«Così rappresenti l’alta moda», mi dice.
Alla mia completa assenza di reazioni inizia a preoccuparsi.
«Che hai, Arianna?»
«Per te è tutto un dannatissimo gioco, non è vero?», dico prima di riuscire a trattenermi. Mi guarda con fare interrogativo. Ormai la bomba è innescata, non mi resta che andare avanti.
«Per qualche strana ragione mi trovi carina e allora, mi prendi, mi fai impazzire, mi baci, mi scarichi, mi guardi con quel faccino da cucciolo e mi baci di nuovo, ed io non so veramente che fare con te, perché io sono Arianna che ama i limoni, odia l’affetto e pecca di accidia e odio essere toccata da chiunque tranne che da te. Non so per quale motivo mi fai quest’effetto, perché sei un cretino che mi tratta male, fai il saputello, sai di saper parlare bene ed usi questa qualità per far sentire degli ignoranti tutti quelli che ti circondano, sei presuntuoso ed arrogante. Ed io in linea di massima odio tutti, ti assicuro che anche solo starmi simpatico è un’impresa, poi arrivi tu e mi riduci così. Sai con quante persone parlo di come mi sento?! Zero, ecco quante. Ma eccoti qua, ed io sto farfugliando ed andando fuori di testa e non so... non so più…»
«Adesso però stai zitta», mi interrompe, ma sta ridendo. Mi prende tutte e due le mani ed io lo lascio fare, tanto ormai più ridicola di così non posso rendermi.
«Però c’è una cosa che non sai.»
«Sarebbe?»
«Io sono innamorato di te.»
«TU... COSA?!»
Questo è veramente troppo. Schizzo in piedi, mi risiedo, mi rialzo cammino avanti e indietro, il tutto sotto il suo sguardo relativamente tranquillo. Alla fine mi siedo e gli tiro uno schiaffo.
«AHIA! », grida. «Accidenti Arianna, devi finirla con queste sberle! Sei una matta!»
«Hai detto che sei innamorato di me?!»
Non riesco a smettere di urlare.
«Si, che ti piaccia o no. Non puoi fare niente per cambiare le cose, lamentosa insopportabile che non sei altro.»
«Sei ubriaco», concludo, scuotendo la testa. Lui mi guarda.
«Si, sono ubriaco, e tu sei assurda ed incomprensibile. Domani mattina io non sarò più ubriaco, ma tu sarai la stessa identica vecchia pazza che sei ora. Ed è esattamente per questo che sono e resterò innamorato di te, alcool o non alcool nel sangue.»
«Smettila immediatamente di dire queste cose.»
«Perché?»
«Perché se tu continui io... io...»
«Con parole tue, Arianna.»
Mi fa infuriare come nessun altro al mondo. E’ esattamente per questo che gli salto addosso e lo bacio.
«Ti odio», grugnisco, mentre lui mi tira sul suo torace tremando dal freddo. Dopo tutto quello che mi ha fatto passare, si merita come minimo una tubercolosi. Mi sdraio su di lui e lascio che mi baci le labbra, il viso, il collo, lascio che mi accarezzi dappertutto con le sue mani meravigliose. Ad un certo punto però mi stacco.
«Oh mio Dio, che sto facendo?»
«Potresti, ad esempio, smettere di pensare», mi suggerisce, e mi bacia di nuovo. Ma io mi scosto perché inizio ad essere davvero spaventata. Terrorizzata dall’intensità di ciò che provo per questo maledetto ragazzo. Lorenzo mi guarda e decide di intraprendere un’altra via.
«Tu adori le parole. Giusto Arianna?»
Di che sta parlando adesso?
«Si... si, le adoro.»
«Quando abbiamo parlato, dopo capodanno... hai detto che io e te avevamo un’hamartia e quando ti ho detto che non avevo idea di cosa significasse mi hai scoccato il tuo sguardo raggelante preferito. Mi hai spiegato che significa “imperfezione fatale” e che la nostra hamartia era che io non ti volevo. Ma ti sbagliavi.»
Aggrotto le sopracciglia, senza capire.
«Non abbiamo nessuna hamartia perché non è vero che io non ti voglio», mi dice, come se fosse ovvio ed io una stupida a cui bisogna ripetere le cose una sessantina di volte prima che le sinapsi del cervello entrino in azione.
«E per questo mi hai scaricata. Molto coerente», commento, allontanando con un colpo secco la sua mano che si sta avvicinando pericolosamente alla mia. Lui alza gli occhi al cielo, esasperato.
«E’ perché sono confuso, non so cosa fare e tu sei impossibile!»
«Io non sono impossibile!», grido, indignata.
«Sei impossibile eccome, e siamo ancora più impossibili insieme.»
«Ti prego non metterti a fare il poetico, perché sarei costretta ad ucciderti», lo interrompo, ma ammetto che il mio è un gesto in extremis, perché inizio a rendermi conto di dove vuole andare a parare. Intende dire che la nostra imperfezione fatale forse è proprio la nostra eccessiva compatibilità. Il fatto che assieme saremmo assolutamente uno spettacolo potrebbe finire per essere la nostra rovina, e lui se n’è accorto prima di me. Improvvisamente al pensiero di quante cose stanno fallendo divento davvero triste. Mi lascio cadere nel prato, il più lontana possibile da lui, e mi ritrovo a desiderare soltanto che se ne vada perché non voglio che mi veda piangere. Mi costringo a pensare che mi sto comportando in modo ridicolo ed in un modo o nell’altro trattengo le lacrime, anche perché mi sento i suoi occhi puntati addosso.
«Arianna...»
«No, non parlare. Va bene. Ho capito, davvero. Non ho assolutamente niente da dirti, puoi tranquillamente andare.»
Non voglio nemmeno guardarlo in faccia. Lui si alza con un sospiro ed io chiudo gli occhi perché non voglio stare a guardarlo mentre mi lascia da sola, non voglio avere anche questo orribile ricordo sovraccaricato nel mio cervello.
«Se solo tu una volta ogni tanto mi lasciassi parlare», sento però dire, con voce risentita. Apro un occhio e mi accorgo che si è allontanato di qualche passo, ma ora è fermo e mi sta fissando.
«Potrei dirti che lo scopo di tutto questo discorso era comunicarti che nonostante tu sia una cinica, scettica e sarcastica che diventa isterica per qualunque cosa e non tollera neanche un minimo di dolcezza, nonostante tutte queste cose, io vorrei che tu fossi la mia acida ed iraconda ragazza. Nonostante tutto io vorrei davvero provare a colmare i tuoi vuoti e lasciarti riempire i miei con tutte le tue cose fantastiche che compensano i tuoi difetti e non menziono per evitare di farti arrabbiare e per non ricevere l’accusa di essere melenso. Era questo che volevo dirti. Che, impossibile o no, sei troppo straordinaria per rinunciare a stare con te solo perché la cosa ci darebbe dei problemi. Perché ce ne darebbe, ne sono assolutamente certo, ma io voglio affrontarli. Con te. Ma evidentemente a te la cosa non interessa.»
A quel punto si volta e se ne va davvero, con passo ancora un po’ barcollante e tenendosi una mano sull’occhio. Io lo guardo e so che dovrei chiamarlo, so che dovrei vincere l’orgoglio e dirgli che tutto quel che dice è ricambiato, so che dovrei staccarmi dall’ideale che ho di me stessa dell’eroina che fa tutto da sola, ma non ci riesco. Non ce la posso proprio fare fino a che, improvvisamente, un pensiero non mi folgora il cervello. E’ il pensiero che ci vuole molto più coraggio ad ammettere di avere bisogno di qualcuno che a tenersi tutto dentro ed affrontare i problemi da soli.
«Lorenzo...», dico, con voce flebile, ma lui è sempre più lontano. Che sto facendo, stupida che non sono altro?! Mando alle ortiche i miei sogni da sola, ecco che sto facendo. Coraggio Arianna, è tempo di agire. Questa volta per davvero.
«LORENZO!», grido, talmente forte che un corvo appollaiato sul tetto dell’edificio accanto al Red vola via starnazzando spaventato. Si, bravo, vattene, brutto uccellaccio del malaugurio. Sfiga o non sfiga, questa deve essere la mia serata. Lorenzo si gira e mi rivolge uno sguardo spossato. Cammino verso di lui e non ho assolutamente idea di quello che dirò, ma per la prima volta nella mia vita ho la sensazione che andrà bene. Lo raggiungo e lui è bellissimo, anche con un occhio nero, la pelle d’oca e l’espressione da martire.
«Ecco... ehm, insomma, ciao.»
«Ciao», mi dice in quel suo modo strepitoso, sorridendo, ed io so che ha già capito tutto ma vuole vedermi arrivare fino in fondo, come a dargli la conferma che si, ci sono anche io.
«Eh… insomma, io volevo... vorrei... voglio, ecco, voglio dirti che sei l’unica persona che voglio per riempire i miei vuoti.»
Come mi sia uscita una cosa del genere, così incredibilmente patetica e sdolcinata, probabilmente non lo scopriremo mai, fatto sta che è proprio la frase perfetta perché Lorenzo mi prende e mi bacia come se dovessimo morire questa stessa notte, togliendomi il fiato, le parole, tutto quanto. Dal trasporto franiamo nell’erba, uno addosso all’altra, ridiamo assieme e lui fa per baciarmi ancora, ma appena ci sfioriamo si tira indietro come se si fosse ustionato. Sotto il mio sguardo interrogativo si tasta le guance, e poi tocca anche le mie.
«Ma stai piangendo? », mi chiede, allarmato.
Si, sto proprio piangendo. Le lacrime fossilizzate agli angoli dei miei occhi da tempo immemore mi sono finalmente colate sulle guance ed io non potrei esserne più felice.
«Regola numero uno di buona convivenza con Arianna», dico, ridendo, e vedo dall’espressione del suo viso che inizia a tranquillizzarsi. «Se mi vedi piangere, non fare domande e fai finta di niente.»
«Ma sta piovendo, Arianna? No perché hai dell’acqua sulla faccia», si corregge lui, parlando praticamente sulle mie labbra. Rido.
«Molto bene.»
«Inizio a fare progressi.»
«Funzionerà..?»
«Funzionerà.»
Non ho bisogno di sentirmi dire nient’altro e vorrei soltanto che scappassimo assieme e che trascorressimo tutto il tempo che ci rimane prima del rientro a casa imboscati da qualche parte, ma dovete sapere che ad una superamica da Oscar in carriera non sono concesse pause.
«ARIANNA?!», urla qualcuno alle mie spalle.
Mi giro, rassegnata all’evidenza del fatto che la mia vita non sarà mai tranquilla. Mi giro e mi accorgo che, fossilizzati a fissarci, ci sono Emma, Mattia, Stefania e Valentina. La prima ha un’espressione esterrefatta, Stefania e Valentina sembrano un misto tra sbalordite ed eccitate mentre Mattia annuisce con approvazione.
«Ma siete impazziti?!», esclama Emma.
«Io.. voi due, cioè insomma, wow!», trilla Stefania. «Apparentemente non sono l’unica a rimorchiare stasera!», aggiunge, ed io e Valentina, senza farci notare, ci scambiamo un’occhiatina complice.
«Era ora ragazzi!», è tutto quello che riesce a dire Mattia.
«Davvero, odio interrompere il vostro idillio, ma Arianna, abbiamo un problema e ci serve una mano a risolverlo», si intromette Emma.
Incredibilmente mi viene da ridere, perché per la prima volta in vita mia sento che il mio ruolo di Arianna aggiusta-tutto mi piace. Non è poi così male, avendo qualcuno con cui condividerlo. Mi isso in piedi e Lorenzo mi segue a ruota.
«Noi dobbiamo andare tra due minuti», gli annuncia Mattia.
«Fammi capire, il tuo migliore amico che dovevi portare a casa era disperso chissà dove e tu invece che preoccuparti per lui aiutavi la tua ragazza?»
«Guarda, ci avrei scommesso un piede che trovata una trovavamo anche l’altro.»
Ridiamo un po’ tutti, poi loro iniziano a confabulare ed io e Lorenzo restiamo per un attimo esternati dal resto del gruppo.
«Che fanno due fidanzati per salutarsi?», chiedo.
«Non ne ho idea. Mai avuto una relazione.»
«Io nemmeno.»
«Si, certo. E Luca?»
Scoppio a ridere e lui i guarda a metà tra il perplesso ed il seccato.
«Non lo dicevi perché eri ubriaco! Lo credevi davvero!»
Arriccia il naso, infastidito.
«Non capisco di che stai parlando.»
“Io e Luca non siamo mai stati assieme, genio. Sei davvero il mio primo fidanzato. Contento?”
Prorompe in una risatina isterica e capisco che è veramente sollevato. Mi butta le braccia al collo ed io ammicco.
«Ci vediamo al più presto, Ariannina», mi dice, e mi da un bacio tenero e breve che come saluto è assolutamente eccellente. E’ esattamente in quel momento che mi sento un flash dritto in faccia.
«Ma che cos…», borbotto, semi accecata.
«“Dopo attese infinite Arianna e Lorenzo si danno una svegliata”, che te ne pare come didascalia?», mi chiede Mattia sghignazzando mentre sventola tronfio la sua macchina fotografica. Alzo gli occhi al cielo.
«Matty, questa me la paghi.»
 
 
Avete presente tutte quelle idiozie di poco fa su quanto in fin dei conti sia piacevole ed appagante essere una superamica a tempo pieno? Ritiro tutto. Volete sapere qual è il famoso insormontabile problema a causa del quale le mie amiche hanno ritenuto opportuno strapparmi dal mio idillio? Avevano perso Giorgia. Non riuscivano più a trovarla. Inizio a domandarmi seriamente per quale assurdo motivo continuo a frequentarle. Con il mio intervento l’abbiamo trovata alle tre e mezza, addormentata nel guardaroba, mentre usava come cuscino un cappotto di Dolce e Gabbana sul quale stava copiosamente sbavando. Attaccato in fronte aveva un post-it.
“Luca, 3458231127. Chiamami”.
Mi rifiuto di credere che la mia vita sia così dannatamente assurda.
 
 
 
 
Ehm. Ciao a tutti. Sono Nevermore. Naturalmente ho anche un nome vero, ma è veramente tremendo, quindi per amor vostro ve lo risparmio. Chiamatemi semplicemente Nevermore, o non chiamatemi affatto.
Come potete vedere non sono per niente brava a parlare di me (tendo ad iniziare a farfugliare dopo circa una riga e mezzo), quindi passerò subito alle ragioni per cui ho deciso di ridicolizzarmi scrivendo questo trafiletto dove svelo tutta la mia infermità mentale.
Grazie a Davide, che ha reso possibile la stesura di questa storia. Per il resto non è che sia esattamente meritevole di ringraziamenti, ma oggi mi sento magnanima.
Grazie a tutti i lettori che sono arrivati fin qui. Avete tutto il mio affetto. A voi leggere una storia sembrerà una piccola cosa, ma vi assicuro che per me è un regalo straordinario. Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, consigli, critiche e anche complimenti (eheheh) sono bene accetti.
Sicuramente sto dimenticando qualcosa, ma direi che per oggi ho finito. Buon inizio scuola a tutti quanti, nella speranza che al più presto anche voi vi ritroviate coinvolti in una festa come questa.
  
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