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Autore: fri rapace    05/09/2014    6 recensioni
Remus Lupin insegna Difesa Contro le Arti Oscure a Hogwarts quando Sirius Black evade da Azkaban e riesce a violare la famosa scuola di magia. Ninfadora Tonks, decisa ad aiutare il Ministero a catturare il cugino di sua madre, convince l'insegnante a ospitarla nelle sue stanze all'interno del castello.
Prima classificata al Contest "Dell'amore e di altri demoni" di Mary Black
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Noticina: lo scopo del contest a cui partecipa questa storia era parlare di una coppia influenzata dal disturbo psicologico di uno dei due personaggi scelti, io ho deciso di parlare della Dismorfofobia.
Mi sono informata su questo disturbo per quanto si possa riuscire a farlo tramite internet e so cosa significa avere una fobia, spero di aver fatto un lavoro passabile e di non aver offeso nessuno.
La malattia, psichiatrica o meno, è sempre un argomento delicato.

 

 

 

Remus arrancava per una Hogsmeade addobbata a festa, setacciando la neve che ingombrava la strada principale del piccolo villaggio, la punta spellata delle scarpe che colpiva l'ennesimo strato di coltre intatta. Sirius Black, la sera dell'anniversario della morte di Lily e James, era riuscito a violare Hogwarts e lui era l'unico al mondo a sapere come fosse riuscito a tanto, l'unico al mondo a poterlo riconoscere quand'era mutato in forma canina. Cercava le impronte di un grosso cane nero impresse nella neve e una volta che l'avessero condotto al traditore era determinato a vendicarsi, a uccidere. Strinse il pugno attorno alla bacchetta, tanto concentrato nella spasmodica ricerca da non notare la giovane donna che aveva preso a seguirlo.

“Ehilà!” gli gridò all'improvviso a un palmo dall'orecchio, per attirare la sua attenzione. “Mi hanno detto che tu sei Remus Lupin.”

Remus alzò lo sguardo su di lei, circospetto ma veloce nel camuffarlo con un sorriso gentile.

Una ragazza esile, con il viso a forma di cuore e dei capelli irti di un rosa sgargiante, rispose al suo sorriso.

“Cercavi me?” le chiese, sorpreso.

Lei annuì energicamente, infilandogli sotto al naso una mano arrossata dal gelo, che lui strinse con una certa emozione: quello era il contatto più intimo che aveva con una donna da molto, molto tempo.

“Io sono Tonks, un'Auror... Beh... quasi...”

Remus non lo sentì neppure, il 'quasi', la sua mente si arrestò alla parola 'Auror' e ci girò attorno ossessivamente, incapace di trovare una via d'uscita. Che al Ministero nutrissero dei sospetti su di lui? Forse Severus aveva architettato qualche subdolo sistema per denunciarlo, aggirando la promessa fatta a Silente: aveva già provato a tradirlo, fornendo alla sua classe di Difesa utili informazioni sui licantropi quando era stato costretto ad assentarsi a causa degli strascichi del plenilunio. Remus si riscosse, era assai più probabile che l'Auror si trovasse a Hogsmeade mossa dalle sue stesse intenzioni: la caccia a Sirius Black.

“Ho interrogato Madama Rosmerta, dice che tu eri un grande amico di James Potter, Peter Minus e Sirius Black,” incalzò infatti Tonks, “che voi quattro eravate inseparabili.”

“Io non sto aiutando Black,” chiarì subito Remus, scoprendosi comunque sotto accusa.

“Anche se fosse, non lo verresti certo a dire a me...” replicò schiettamente lei e prese a osservarlo intensamente prima di proseguire, inclinando leggermente la testa di lato. “Se fossi in te, vorrei vendicarmi per quello che ha fatto ai vostri amici, stanne certo.”

Remus mantenne la calma.

“Tu non mi conosci,” le disse.

L'insistenza con cui lo fissava gli suscitò un disagio crescente che sfociò in seria preoccupazione, forse la strega aveva intuito qualcosa della sua vera natura. Al corso per Auror le avevano certamente insegnato a distinguere un licantropo da un mago normale anche nella sua forma umana, era probabile che ne avesse persino incontrati altri, prima di imbattersi in lui.

“Io dovrei tornare al castello... si è fatto tardi, tra poco ho lezione,” annunciò per sfuggirle, dirigendosi con calma verso Hogwarts.

La donna, nel tentativo di seguirlo, inciampò in un'irrilevante montagnola di neve e la disperse sulle gambe di Remus che, d'istinto, la sorresse, permettendole di approfittare dell'improvvisa vicinanza per prenderlo a braccetto.

“Che fai?” si ritrasse confuso.

Tonks gli strizzò l'occhio.

“Nascondimi nei tuoi alloggi e non spiffererò al mio superiore che mediti di far fuori Black, scavalcando il Ministero.”

Remus, preso alla sprovvista, aggrottò la fronte.

È solo una tua supposizione, ed è priva di fondamenta.”

Lei non si lasciò scoraggiare dalla sua apparente sicurezza.

“Io so che è così e Malocchio mi crederà, puoi stanne certo,” affermò.

Remus trattenne impercettibilmente il respiro.

“Il tuo superiore è Alastor Moody?”

“Esatto. Un grande Auror, il migliore,” gli rispose, gonfiandosi d'orgoglio, “e si fida molto del mio istinto,” insinuò, per intimorirlo.

Remus sapeva che Alastor le avrebbe creduto: era stato proprio l'anziano Auror ad addestrare lui quando, in piena Guerra Magica, aveva lasciato Hogwarts e si era arruolato nell'Ordine della Fenice. Sicuramente sarebbe intervenuto una volta che lei gli avesse suggerito le intenzioni di Remus e con l'attenzione del Ministero puntata sulla scuola di magia il coinvolgimento di Alastor non sarebbe passato inosservato. Non poteva permettersi di finire sotto i riflettori o sarebbe stato presto smascherato, era riuscito a sfuggire al censimento del Ministero della Magia per quasi ventotto anni e non intendeva finire nella loro rete proprio ora che gli sembrava di aver, finalmente, trovato un posto nel mondo.

“Silente non vuole Auror nel castello,” cercò di argomentare.

Tonks scrollò le spalle, rifiutando cocciutamente di lasciare la presa attorno al suo braccio.

“Io non farò la spia su di te e tu non la farai su di me. Tieni la bocca chiusa e andrà tutto bene, te lo garantisco,” lo liquidò con una fermezza che lo scoraggiò dall'obiettare ancora: sapeva che sarebbe stata solo una perdita di tempo.

Remus sospirò rassegnato, augurandosi che Tonks concludesse velocemente le sue indagini.

 

***

Poco prima di raggiungere l'ingresso di Hogwarts, Tonks si nascose dietro le foglie appuntite di un cespuglio di agrifoglio, riemergendone con addosso la sua vecchia divisa scolastica e, cosa decisamente più sorprendente, con un viso diverso.

“Per Merlino, sei una Metamorfomagus!” esclamò Remus, affascinato da quel rarissimo potere che aveva l'occasione di ammirare per la prima volta in vita sua.

“Zitto, vuoi farmi scoprire?” gli sibilò lei, spingendolo verso il portone di rovere che bucava l'altissima facciata di pietra del castello.

Le lezioni del mattino si erano appena concluse e chiassosi gruppetti di studenti diretti alla Sala Grande convergevano al piano terra; nella baraonda generale nessuno notò un'allieva di Tassorosso che seguiva a capo chino un insegnante, il volto celato da lunghi capelli castani. Conquistato il secondo piano dell'edificio, Remus condusse Tonks nelle proprie stanze e provò sollievo nel constatare che non contenevano nulla di cui dovesse vergognarsi. In passato era spesso stato costretto dall'indigenza a soggiornare in casupole più affini a una stalla che all'abitazione di un mago, un duro colpo per la sua dignità, ma ora viveva in un castello, possedeva un lavoro prestigioso ed erano mesi che non saltava un pasto. Ricordare il recentissimo passato gli strinse lo stomaco: l'Auror non doveva scoprire la sua vera natura, se il suo nome fosse finito nelle liste che il Ministero aveva istituito per i lupi mannari lo aspettavano il licenziamento e la miseria più assoluta, perché gli sarebbero state precluse a priori anche quelle poche settimane di lavoro di cui poteva disporre prima di venire scoperto.

“Quindi gli alloggi degli insegnanti sono fatti così, forte!” stava nel frattempo commentando Tonks. “Io agirò di notte, naturalmente,” lo informò subito dopo come per tranquillizzarlo, forse fraintendendo la sua espressione preoccupata.

“Gli alunni non possono passeggiare per i corridoi di notte, Gazza, o la sua gatta, ti troveranno...”

“I professori sì, però. Mi hai preso per una sciocca?” si accigliò lei. “Mentre ti farai il tuo bel sonno, assumerò le tue sembianze.”

Remus avvertì un brivido risalirgli la schiena.

“Non preoccuparti, mi comporterò in maniera appropriata, nessuno sospetterà nulla.”

“Gazza non ha una grande stima di me e neppure Severus,” ammise, “se notassero atteggiamenti sospetti...”

Tonks lo interruppe bruscamente.

“Silente si fida di te?”

“Sì.”

“Tutto a posto, allora.”

Poco rassicurato dal semplicistico ragionamento della strega, Remus lasciò la stanza e prese posto dietro la cattedra dell'aula di Difesa. Avrebbe potuto scendere nella Sala Grande per pranzare, ma non aveva appetito.

Mentre attendeva l'arrivo degli alunni cercò di rammentare i tratti distintivi dei lupi mannari quand'erano in forma umana.

'Gli occhi!' ricordò, avvertendo un'altra torsione allo stomaco. Si passò le mani sul viso e li incontrò, spaventosamente esposti, impossibili da nascondere. Bruciavano, sprofondati nelle occhiaie livide, retaggio del plenilunio trascorso da poco. I suoi occhi da lupo. Li coprì nuovamente, immaginando che i palmi fossero ventose in grado di risucchiarli dal viso segnato, e avvertì il proprio equilibrio andare in pezzi.

Quando i ragazzi arrivarono lo trovarono chino sulla cattedra con la faccia nascosta, fu il loro bisbigliare preoccupato a destarlo dallo stato di trance in cui era precipitato.

Remus riuscì persino ad accoglierli con un sorriso, opponendosi al bisogno di chiudere gli occhi con una caparbia frutto di un'enorme sforzo, mentale quanto fisico, che lo sfinì. Presto, nel corso della lezione, notò con quale insistenza Hermione fissava i suoi occhi, lei, un'allieva incredibilmente brillante, l'unica ad aver composto il tema assegnato da Severus sui licantropi... che avesse capito?

“Professore?” lo chiamò con apprensione la ragazzina.

“Sì?”

“Non ha risposto alla mia domanda sugli Avvincini.”

“Ah... giusto. Perdonami,” balbettò, ma non riuscì impedire alle proprie mani di correre nuovamente verso il viso, mentre davanti agli occhi gli esplodeva una galassia di chiazze scure. “io... io... aprite il libro, il capitolo sugli Avvincini è a pagina centocinquanta,” pose rimedio all'impossibilità di proseguire la lezione. Uscì speditamente dalla classe, in fuga da quei ragazzi davanti a cui si era appena umiliato.

 

 

***

Quando tornò nei propri alloggi, Tonks si stava preparando per uscire.

“Su, a nanna,” gli disse impaziente, battendo il palmo della mano sul suo letto, “il vestito che indossi andrà benissimo, grazie.”

Remus attese che lei lo lasciasse solo e quando fu chiaro che non se ne sarebbe andata, chiarì:

“Non intendo spogliarmi davanti a te.”

Tonks alzò gli occhi al soffitto e ostentò la propria esasperazione attraversando la stanza con una camminata buffa.

“Che tipo... come se non avessi mai visto un uomo in mutande...” borbottò, imboccando la porta che dava sullo studio. Remus si sentì disorientato dal sorriso spontaneo che la ragazza gli suscitò, non credeva possibile che l'angoscia che l'aveva perseguitato per tutta la giornata potesse dissiparsi proprio grazie alla persona che ne era stata l'origine.

Quando ebbe finito di cambiarsi raggiunse la strega, le porse i propri vestiti e rimase impalato davanti a lei a fissarla insistentemente.

“Che fai? Guarda che devo cambiarmi!” lo rimbrottò Tonks, corrucciata.

Remus si finse stupito.

“Considerando la polemica riguardo la mia riservatezza, certamente ti farei un torto se non ristassi qui a guardarti,” le sorrise flemmatico.

Lei lo sconcertò scoppiando in una fragorosa risata.

“Hai vinto, mi hai smascherata, ma ora fila via!” rise e il suo sguardo saldo gli trafisse gli occhi, “che sia chiaro, però: io non ho nulla da nascondere,” ma subito dopo ci ripensò, quasi non riuscisse a mentire, “no, okay, tutti abbiamo dei segreti e a me piace da morire svelare quelli degli altri, sono un'impicciona, ti avverto!”

Nonostante il tono giocoso della ragazza, fu allora che tutto crollò di nuovo addosso a Remus. Per un bellissimo momento la compagnia di Tonks era stata piacevole, si era sentito persino allegro, sollevato, ma l'idea ossessiva di quel marchio in pieno viso, i suoi occhi da lupo, lo assalì nuovamente e con disarmante facilità, sprofondandolo in un abisso di irrazionale paura.

Tonks aveva lasciato la stanza, lo seppe perché la sentì inciampare mentre si richiudeva la porta dello studio alle spalle, ma non la vide, anche se aveva annuito quando lei gli aveva chiesto cosa ne pensava della sua imitazione di 'Remus Lupin'. Era diventato completamente cieco.

 

 

***

Tonks raggiunse velocemente la torre del castello dove sapeva che Sirius Black era stato avvistato e vi si trattenne, senza rilevare nulla di utile alle sue indagini personali, finché le martellanti sfide del dipinto di Sir Cadogan raggiunsero un volume tale da rischiare di attirare troppa attenzione su di lei. Se Malocchio avesse scoperto quali erano le intenzioni della sua allieva prediletta quando l'aveva informato che si sarebbe assentata per qualche giorno, l'avrebbe fermata. L'Auror era legato a Albus Silente da un'amicizia di lunga data e sarebbe stato irremovibile nell'imporle di rispettare le restrizioni del preside alle misure di sicurezza del Ministero; ma lei desiderava ardentemente aiutare a stanare Black, la peggior feccia che la sua famiglia avesse prodotto dopo Bellatrix Lestrange. Sirius Black, il cugino preferito di sua madre Andromeda, che le aveva spezzato il cuore con il suo imprevedibile voltafaccia.

Abbattuta dall'infruttuosa ricerca, Tonks fece ritorno alle stanze del professore di Difesa, aspettandosi di trovarlo addormentato.

“Ancora non dormi?” gli chiese, concentrandosi per rimodellare il proprio corpo; una strizzata d'occhi dopo aveva riacquistato l'aspetto di Ninfadora Tonks.

Remus, seduto sul letto sfatto, era un'ombra più scura ritagliata in quella incombente del grosso armadio di noce incastrato nella parete opposta. La prima, superficiale impressione che aveva avuto di Remus era stata quella di un mago piuttosto ordinario che, quando si lasciava andare, era divertente e simpatico, ma presto le era stato chiaro che nascondeva qualcosa, il che la incuriosiva e affascinava al tempo stesso; osservandolo nell'ombra le sembrò di vedere l'altra faccia della luna.

Per un attimo le parve perfino che gli occhi di Remus avessero brillato quando avevano incontrato la luce della sua bacchetta, due piccoli specchi circolari che fluttuavano nella sagoma di un essere umano, riflettenti come quelli di un animale, o di...

“Non riesco,” gli rispose Remus, strappandola dai propri pensieri.

“Se non dormi sarà il caso di accendere la luce,” osservò, attizzando con un colpo di bacchetta l'unica lanterna del locale, “non vogliamo che mi rompa qualche osso inciampando al buio, giusto?”

Lui scosse la testa.

“No, certo che non lo vogliamo.”

Tonks si diede della sciocca: Remus non era diverso da com'era quando l'aveva lasciato poco tempo prima. Teneva gli occhi chiusi, probabilmente infastidito dalla luce o forse perché, semplicemente, era molto stanco.

Tonks si infilò nel piccolo bagno e si cambiò d'abito, rischiando di ruzzolare a terra mentre si liberava dei pantaloni e, nella lotta contro la forza di gravità, finì col pestare il naso contro il lavandino.

“Ecco, tieni i tuoi vestiti,” biascicò attraverso la mano premuta sul viso ammaccato, porgendoli a Remus.

Quando lui li mancò, Tonks se ne addossò la colpa, ma al quarto tentativo fallito seppe che il problema non era da imputare alla propria goffaggine. Per liberarsi degli abiti alla fine fu costretta a cacciarli in mano a Remus e lo seguì confusa avanzare con un braccio teso, cercando a tentoni l'armadio come se si aggirasse nell'oscurità più assoluta.

“Ma cosa combini? Sei più imbranato di me...” sbottò esterrefatta, poi le sfuggì un risolino. “Non avevo mai contagiato nessuno, prima d'ora.”

Remus, nel frattempo, stava esaminando con il palmo della mano gli intarsi geometrici dell'anta del mobile, seguendone il disegno fino alla maniglia a zampa di leone.

“Non ci vedo,” le spiegò, con una calma e una semplicità che allarmarono Tonks.

“Cosa significa che non ci vedi?”

Lui si strinse nelle spalle.

“Sono diventato cieco, ma non è niente.”

A Tonks servì un lungo istante per digerire la notizia e il distacco dell'uomo le fece desiderare di prenderlo per le braccia e scuoterlo con vigore, come poteva liquidare con tanto disinteresse un problema serio quanto improvviso come quello?

“Non è niente?” esplose, ma subito dopo si addolcì. Riflettendo, pensò che Remus doveva certamente essere sgomento, ma si vergognava troppo per mostrarlo davanti a lei. Tipico di un Grifondoro. “Per forza non riesci a dormire, sarai spaventato...” azzardò conciliante, “se fosse successo a me, così, all'improvviso... o eri già malato e questa cosa è peggiorata? Insomma, tre ore fa ci vedevi benissimo.”

Lui si irrigidì.

“Non sono malato, è successo e basta, tutto qui.”

Tonks, seppur sconcertata, decise di non insistere. Lo aveva ricattato per introdursi all'interno del castello, non avrebbe infierito tormentandolo.

“D'accordo, ma sappi che non ti riterrò una pappamolla se per prima cosa, domattina, andrai in infermeria.”

Remus le sembrò grato dell'osservazione.

“Dormi pure nel mio letto,” le disse, “io non ho sonno.”

Tonks accettò, sicura che il mago doveva aver giustamente deciso di recarcisi immediatamente, da Madama Chips. Si sdraiò e chiuse gli occhi, così da permettergli di lasciare indisturbato la stanza, sperando che raggiungere il camino nel suo studio e trovare la Polvere Volante non fosse troppo difficoltoso per lui, in quelle condizioni.

Il mattino successivo venne svegliata dagli infruttuosi quanto rumorosi tentativi di Remus di vestirsi, così lo raggiunse, inciampando malamente nei pantaloni del pigiama che l'uomo aveva abbandonato al centro dello studio.

Un bollitore rovesciato sulla scrivania le suggerì che doveva aver cercato di versarsi una tazza di tè.

“Credevo che Madama Chips ti avrebbe trattenuto in infermeria...” commentò, rialzandosi da terra.

Lui tirò vigorosamente i pantaloni verso di sé, ma li stava indossando alla rovescia.

“Aspetta, ti aiuto. Stai infilando la gamba sbagliata...”

Remus sobbalzò e si ritrasse quando avvertì le sue mani toccargli il polpaccio.

“Mi sembrava avessimo già discusso e risolto definitivamente l'argomento 'intimità'!” disse con una voce lievemente stridula.

Tonks non si lasciò dissuadere dalla sua reazione.

“Vero, ma ora hai bisogno di me, è un'emergenza! Cosa ti hanno detto in infermeria?”

Lui rifletté velocemente.

“Che non è niente,” le spiegò, “sto prendendo una pozione...”

Tonks era dubbiosa, ma lui non aveva motivo di mentirle. Non commentò e neppure lui provò a protestare ancora mentre finiva di vestirlo, d'altronde non poteva uscire dal suo studio con i vestiti al contrario o peggio, in mutande. Remus subì la sua assistenza in un rigidissimo silenzio; anche se immobile esteriormente, Tonks sentì quanto forte batteva il suo cuore mentre cercava, per la terza volta, di abbottonargli correttamente la camicia. Per un attimo si attardò con il palmo posato nel punto dove il martellare era più forte, quasi evidente, provando una strana sensazione di imbarazzo, un sentimento che aveva sperimentato raramente.

“Grazie,” le disse Remus a capo chino, quando ebbe finito.

“Dove pensi di andare?” gli chiese preoccupata, vedendolo avanzare a tentoni in direzione dell'uscita.

“A lezione. Va già meglio, davvero,” le assicurò, mancando la porta per finire rovinosamente contro la parete. Stordito, estrasse la bacchetta dalla cinta dei pantaloni e Appellò un bastone da passeggio, un utile aiuto per evitare gli ostacoli davanti a sé.

“Ottimo,” gli disse Tonks, vedendolo finalmente centrare l'uscita, “ma muovilo con meno violenza, o finirai per gambizzare qualcuno!”

 

***

Remus non fu particolarmente stupito nel constatare che, non appena ebbe lasciato i propri alloggi, la sua vista migliorò nettamente. Rimaneva leggermente appannata e i particolari più distanti si confondevano, ma riusciva comunque a distinguere abbastanza da potersi muovere per il castello senza destare sospetti, così ripose il bastone che aveva portato con sé all'ingresso dell'aula di Difesa. Si chiese come mai gli improvvisi problemi accusati alla vista non l'avessero scosso come Tonks e lui stesso sapeva che avrebbero dovuto fare, ma scoprì che trovare una risposta non gli importava.

Superata l'umiliazione iniziale, aveva provato piacere per le attenzioni che l'Auror gli aveva riservato e avvolto dal buio dell'improvvisa cecità si era sentito al sicuro, come se l'oscurità lo proteggesse: grazie alla disabilità era certo che lei non sarebbe mai riuscita a scoprire che era un lupo mannaro.

Raggiunse la Sala Grande per fare colazione, era ancora molto presto e l'unico insegnante presente era Severus, così si accomodò accanto a lui.

Remus prese la forchetta e cercò di infilzare una fetta di pancetta, rovesciando nel tentativo la caraffa di succo di zucca posata accanto al vassoio dei salumi. Un'onda arancione travolse il collega, che gli scoccò un'occhiata di fuoco, sicuramente dell'idea che l'avesse fatto di proposito.

“Mi spiace,” si scusò, rimediando con un rapido movimento della bacchetta.

“Lo immagino,” fu la seccata replica di Severus.

Remus evitò di incrociare il suo sguardo, gesto che l'altro interpretò come un'ammissione di colpa. Innervosito, provò a raccogliere la pancetta che aveva lasciato cadere sulla tovaglia, riuscendo in qualche modo ad arrotolarla attorno alla forchetta e a depositarla nel piatto che aveva di fronte.

'Severus sa già cosa sono', si disse. Il timore che minacciava nuovamente di affondarlo non aveva alcun senso, doveva rilassarsi.

“Gira voce che gli Auror stanno setacciando Hogsmeade,” insinuò malignamente Severus, “visto il tuo legame con Black, vorranno certamente parlare con te.” Un ghigno sadico gli stese le labbra sottili: “Quale migliore occasione per costituirti?”

La paura aggredì Remus in violenti raffiche, non si riconosceva più, le provocazioni di Severus non avevano mai avuto presa su di lui.

Con lo sguardo fuggì lontano dall'uomo e gli occhi gli caddero proprio su Hermione, una figuretta solitaria che sedeva composta alla tavola dei Grifondoro e di cui distingueva poco più di una criniera di capelli crespi.

“E con che occhi fissi la signorina Granger! Si direbbe che tu voglia ucciderla,” si accanì Severus, approfittando della sua debolezza.

Quei maledetti occhi! Se solo avesse potuto nasconderli in qualche modo.

Perduto com'era nei propri timori, Remus non si accorse che Minerva aveva preso posto accanto a lui.

“Remus, tutto bene?” gli chiese, rigida nel suo esprimere apprensione.

“Non è nulla, sono solo un po' stanco.”

“Hai fastidio agli occhi?”

Minerva si aggiustò gli occhialetti sul naso, come a dire che lei poteva aiutarlo, avendone un'esperienza diretta.

Remus smise subito di strofinarseli compulsivamente, non si era neppure accorto di farlo fino a che Minerva non ne aveva parlato.

Sopraffatto dalla tensione, arrossì miseramente, quasi fosse stato colto nell'atto di compiere un'azione oscena. Minerva abbassò educatamente lo sguardo: lo umiliò profondamente scoprire che la strega aveva notato il suo disagio, così si sottrasse al giudizio dei colleghi con un breve saluto e quando raggiunse l'aula di Difesa stava quasi correndo, in un'inutile fuga da se stesso.

Fortunatamente le lezioni, quel giorno, andarono meglio di quanto avesse sperato; i ragazzi erano concentrati sulla lezione invece che sui suoi occhi, così poté rilassarsi un poco.

Prima di tornare nelle proprie stanze afferrò il bastone che aveva lasciato nella sua aula al mattino e passò dalle cucine, dove gli Elfi Domestici furono felici di consegnargli del cibo extra. Era stato uno sciocco a non pensarci prima: doveva essere dal pomeriggio precedente che Tonks non metteva nulla nello stomaco.

Quando rientrò nel proprio studio fece appena in tempo a inquadrare una Tonks visibilmente annoiata prima che venisse nuovamente inghiottita dall'oscurità, il cibo non gli cadde di mano solo perché lei riuscì a intervenire in tempo.

“Non ci vedevo più dalla fame!” gli disse, masticando rumorosamente. “Mmh, un'osservazione infelice, lo so... ancora nessun miglioramento?”

Remus cercò a tentoni le sedie che erano disposte davanti alla sua scrivania e ne trovò una inciampandoci sopra.

“Ahi!” gemette Tonks, come se a cadere fosse stata lei. “Aspetta che ti aiuto.”

Mentre lo guidava verso la sedia, fu lei a inciampare e lui a sostenerla.

“Come fai a girare per la scuola in questo stato?” gli chiese con la bocca piena.

“Goffamente,” le rispose, certo che avrebbe capito.

Tonks intendeva indagare anche quella sera, ma prima di lasciarlo insistette finché non lo persuase a lasciarsi aiutare.

“Stai allagando il bagno!” rise e la sentì rassettare il locale a colpi di bacchetta.

Quando avvertì le piccole, morbide mani di lei sulla pelle nuda fu percorso da un brivido: prima di rimanere completamente solo, l'aveva sempre mortificato l'assistenza di cui aveva bisogno dopo le notti di plenilunio, ma ora provava piacere in quell'accudimento che da adulto gli era stato precluso, nonostante ne avesse avuto spesso bisogno.

“Wow,” esclamò Tonks, percorrendogli il petto con un dito, “vedo che hai avuto esperienze dirette con le Arti Oscure.”

Assurdamente, Remus non aveva pensato che le cicatrici che gli segnavano il corpo potessero tradirlo e, ancora più assurdamente, non lo preoccuparono neppure dopo che lei le ebbe menzionate.

“Già, ho viaggiato molto. Studiare sui libri non è sufficiente.”

“Presto mi guadagnerò anch'io le mie cicatrici,” commentò lei, ammirata.

Tonks chiacchierava incessantemente, era allegra e simpatica e Remus pensò che sarebbe stato bello se avesse potuto tenerla con sé.

Colto da un irresistibile moto d'affetto dimenticò chi era, cos'era, e l'abbracciò, stretta che lei ricambiò senza esitare.

“Sei molto dolce, sai?” gli mormorò lei a un orecchio.

Remus trattenne il respiro, erano da molto tempo che non poteva godere di tale intimità con una donna e si spaventò quando capì di desiderarla.

“Ora vai,” reagì, più bruscamente di quanto avesse voluto.

Ma la strinse ancora per un attimo, beandosi del calore del suo corpo, della sensazione dei suoi seni premuti sul petto.

“Svegliami quando torni,” le disse, “ti lascio volentieri il mio letto.”

“Siamo tutti e due secchi come manici di scopa, se ci stringiamo possiamo entrarci entrambi,” ribatté lei con leggerezza. Remus pensò che gli sarebbe piaciuto essere come Tonks, non dovere preoccuparsi inutilmente per ogni cosa; non c'era nulla di male nel dividere il letto, erano entrambi adulti e sicuramente non sarebbero mai stati amanti. Ricordava l'aspetto della donna, quanto fosse giovane e carina, inoltre la luna piena, che la potesse vedere o meno, avrebbe ugualmente continuato a tramutarlo in un mostro. In realtà non ambiva affatto a tanto, desiderava solo un po' di calore umano per dimenticare la crudele solitudine che era stata la sua unica compagna per anni.

 

***

Dopo altre tre notti di infruttuose ricerche l'unico reperto curioso che Tonks era riuscita a rinvenire erano stati dei ciuffetti di ruvidi peli neri, che sembravano provenire da qualche animale. Tonks si apprestava a lasciare Hogwarts ingoiando l'amara sconfitta, quando si accorse che Remus aveva dimenticato il suo bastone da passeggio in camera. Era uscito da poco, così camuffò il proprio aspetto e lo rincorse, trovandolo chino su un banco della altrimenti deserta aula di Difesa Contro le Arti Oscure. Stava chiarendo a un ragazzo di Corvonero i passaggi del suo compito segnati con tratti d'inchiostro rosso; Remus, tra una spiegazione e l'altra, li leggeva ad alta voce.

Dopo l'intimità crescente tra lei e il professore, all'inizio una mera conseguenza della sfortunata condizione dell'uomo che si stava evolvendo in qualcosa di più profondo, per lei fu uno shock constatare che, in realtà, lui ci vedeva benissimo.

Aveva recitato, approfittandosi della sua generosità per insidiarla!

Gli andò incontro furente, ordinò con gesto secco al ragazzo di uscire immediatamente dall'aula e affrontò Remus a viso aperto.

Lui osservò la scena con panico crescente.

“Hai finto di essere cieco per farti toccare da me?” gli ringhiò dritto in faccia. “Sei pazzo, o solo un porco?”

Remus, ammutolito, non riuscì a fare altro che nascondere il viso nelle mani, un'inutile gesto che Tonks interpretò come una manifestazione della vergogna che provava per essere stato scoperto.

“Guardami!” gli ordinò livida di rabbia e si appese alle sue braccia per costringerlo a staccare le mani dal viso, ma lui era forte, incredibilmente più forte di quello che il suo fisico deperito lasciasse ad intendere.

Tonks si staccò disgustata da lui, impugnò la bacchetta e prese la mira, ma lo scatto d'ira scemò davanti all'uomo che, indifeso, non la vedeva neppure.

“Non ne vale la pena,” disse, più a se stessa che a lui.

Gli voltò le spalle, certa che non l'avrebbe rivisto mai più.

 

 

 

   
 
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