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Autore: Alex Wolf    05/09/2014    0 recensioni
Mi chiamavo Chloe Valerie King, e non ero mai stata una ragazza cattiva, aggressiva o arrogante. [...]
Mi chiamo Chloe Valerie King, e sono la bulla della scuola.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Drew Chadwick, Keaton Stromberg, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Wesley Stromberg
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Girl next door.
 


Ma se lei sa farti ridere, farti pensare due volte, farti ammettere di essere umano e commettere errori, tienitela stretta e dalle tutto quello che puoi.
 
- Bob Marley

 
 


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« Sai, l’unica cosa che non capisco è il perché di questo compito. » Lydia aveva cominciato a parlare e nessuno era più riuscita a fermarla. La sua bocca continuava ad aprirsi e chiudersi alla velocità del suono, mentre con le dita si arricciava i capelli castani. Luise, dal canto suo, continuava ad annuire come se tutto quello che l’amica diceva fosse vero.
Alzai gli occhi al cielo dopo l’ennesima curva in corridoio e mi guardai attorno. Tutto sembrava tranquillo, nessuno pareva aver intenzione di iniziare una rissa o attaccare a litigare. Per cui, per quel giorno, potevo rilassarmi. A dire la verità, era da qualche giorno che tutto andava fin troppo bene. Christine Bill, la ragazza del rossetto rosso che pensavo avesse voglia di picchiare Keaton il primo giorno, se ne stava buona attaccata contro un armadietto a parlare con delle amiche; Terry Mason, quello che aveva realmente picchiato Keaton, era tutto intento a studiare le nuove forme di vita che popolavano il suo armadietto. Gli altri, gente sconosciuta ai miei occhi da predatore, parlavano o ridevano stando ben attenti a non sfiorarmi neppure.
« Secondo te ho ragione, Valer… »
« Mi chiamo Chloe » sibilai a Lydia, voltandomi veloce come una vipera verso di lei.
Odiavo il nome Valerie, tutti mi chiamavano così quando nessuno sapeva della mia esistenza e, in ogni caso, Luise era l’unica a poter usare quell’appellativo. Forse perché lei era l’unica di cui mi fidassi veramente.
« S-scusa. » Lydia strinse la cartella al petto e abbassò lo sguardo, mentre ci fermavamo davanti a una delle tante classi della scuola.
Quel giorno avrei dovuto fare da Tutor, cosa che mi avrebbe fatto guadagnare punti durante l’anno e alzare la media. Quindi, anche se mi portava via un’ora preziosa durante la quale sarei potuta andarmene a casa lo facevo volentieri.
Poggiai la mano sulla porta della classe e attesi un qualche commento da parte loro, ma nessuna delle due sembrava intenzionata a parlare. Scossi il capo e abbassai la maniglia, dandogli le spalle. Prima di entrare, persi un bel respiro e voltai la testa in modo che il mento toccasse la spalla destra. Gli occhi grigi di Luise asserirono un “si” silenzioso, mentre Lydia mi osservava con i suoi colmi di quella che sembrava… paura. O forse era delusione?
Abbassai le palpebre per un momento, conscia del fatto che mi ero comportata male e sospirai. « Non so se hai ragione, Lydia. Non stavo minimamente ascoltando il vostro discorso. » Gli occhi azzurri della ragazza mi osservarono stupiti. « Più tardi potremmo parlarne, se avrai ancor qualcosa da dire. Che ne dici? » A me non fregava nulla di quell’argomento, ma volevo comunque rimediare al mio errore.
« Si, certo. » Un sorriso si aprì nel suo viso leggermente rotondo, mentre la sua testa si piegava verso sinistra in un cenno d’assenso.
« Bene, a dopo ragazze » sussurrai, tornando alla classe.
 
« Tu saresti il mio Tutor? » Wesley sbatté le palpebre e gettò i libri sul banco che avevo di fianco, appoggiandocisi poi con un braccio per sorreggersi la testa.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai, annuendo. Avevo preso atto di quella schiacciante verità quando entrata in classe la professoressa mi aveva affidato la sua scheda didattica. All’inizio mi ero sorpresa, insomma non che mi dispiacesse fare da tutor a Wesley Stromberg, ma come avrei fatto? Lui era un anno avanti a me. In  cosa avrei dovuto aiutarlo? Poi, però leggendo gli argomenti mi ero accorta che le cose non erano difficili e che le potevo imparare velocemente anche da sola. E, infine, ero arrivata alla conclusione che i professori mi stavano mettendo alla prova; di certo non mi sarei fatta fregare da loro.
« Mh. Almeno sei carina » se ne uscì fuori, sorridendomi con i suoi occhi chiari come il cielo quella mattina.
Lo ignorai volutamente, mentre con velocità recuperavo il libro che aveva letteralmente lanciato verso di me. Era un bel tomo, dalla copertina rigida color sabbia. Sopra di essa, a lettere cubitali, spiccava la scritta “STORIA ANTICA.”
Wesley Stromberg aveva bisogno di un Tutor per studiare… storia. Storia, sul serio? La materia più facile di questo universo. Mi chiesi che problemi avesse quel ragazzo, ma poi ci passai sopra.
« Sul serio Wesley, non sai storia? » La domanda uscì dalle mie labbra con una carica di acidità troppo elevata. Ma che ci potevo fare io? Storia era la mia materia preferita ed era inaccettabile che qualcuno non la sapesse.
« Sul serio Chloe, sei il mio Tutor? » Si sporse in avanti sorridendomi. Stava tentando davvero di cambiare argomento? Patetico.
Questa volta fui io a sbattere le palpebre sorpresa, imitandolo, continuando a rigirami il libro fra le mani . « Restando seri, Stromberg ti vogliono davvero bocciare di storia? » La domanda mi uscì spontanea, mentre spostavo lo sguardo verso di lui.
Alzò le spalle, poi si accarezzò i capelli a disagio. « A quanto pare » sussurrò imbarazzato.
Wesley Stromberg imbarazzato. Non avrei mai pensato di vederlo così. Insomma, avrebbero dovuto esserci più probabilità che io finissi per imbarazzarmi al suo posto, visto che avevo avuto una cotta per lui. In ogni modo, dovevo metterlo a suo agio in modo che le lezioni procedessero tranquillamente e non nell’imbarazzo più totale.
« Bene. Che ne dici se ti faccio qualche domanda per vedere quanto sai? » Chiesi, aprendo il libro a una pagina qualsiasi.
Lui sospirò asserendo con il capo, per poi puntare gli occhi su di me.
« Bene bene, vediamo… »
 
 
Qualche giorno dopo eravamo punto e a capo. Wesley Stromberg mi camminava accanto nel corridoio, mentre le mie vans nere scricchiolavano sul pavimento appena lucidato dai bidelli. C’era poca gente in giro quel giorno, forse perché la maggior parte aveva deciso di saltare i corsi per andare a prepararsi per la festa di quella sera in spiaggia. Oh, come ci sarei andata volentieri anche io, se un certo signor-ti-rovino-la-festa non mi avesse fatta mettere in punizione. Stupido Drew, prima o poi me l’avrebbe pagata.
« Esiste un nome per quelli come te, lo sai? » Aggiustai meglio la borsa sulla mia spalla e lanciai un’occhiata a Wesley, che se ne stava al mio fianco a fissarmi.
Un lampo attraversò i suoi occhi chiari. « Cause perse? » Domandò di rimando, gettandosi la cartella sulle spalle e, successivamente, aprendomi la porta per uscire all’esterno.
Il sole mi accecò per qualche istante, mentre cercavo con lo sguardo la mia auto. Quando la trovai, iniziai a frugare nella borsa alla ricerca delle chiavi.
« No, non “cause perse” » chiarii al ragazzo che avevo di fronte, « ma “svogliati”. »
« Se lo dici tu. » Wesley scosse il capo e si spettinò i capelli.
« Guarda che è vero » borbottai alzando gli occhi verso l’alto, verso i suoi che però trovai serrati dietro le palpebre. Vedendolo così, contro luce, le sue spalle sembravano più larghe e lui pareva più imponente di quanto non fosse. Mi sembrava di poter vedere i suoi occhi chiari nascosti sotto le palpebre luccicare.
Era davvero bello, Wesley Stromberg. Era proprio… Ehhh?! Ma cosa andavo a pensare? Scossi velocemente il capo, tornando in me e strinsi le mani attorno alle chiavi dell’auto. Era ora di andare a casa, lo dicevo io e lo reclamava il mio stomaco.
« Bene. Ci si vede lunedì Stromberg » lo salutai, iniziando a scendere i gradini verso il parcheggio.
Mi lasciai alle spalle il ragazzo e sorrisi al sole che mi accarezzava la pelle riscaldandola. Probabilmente oggi andrò a fare surf, mi dissi mentre una gioia infinita si faceva largo dentro di me. Mare, spiaggia e tavole da surf –e magari un buon libro- erano tutto quello che avevo bisogno in giorni come quelli. Anche se era solo Maggio le onde erano perfette, sebbene il tempo si divertisse a fare ancora i capricci.
Feci ancora un gradino, le chiavi che giravano attorno al mio dito guidate dalla forza del mio polso e…GAF! Una colossale, autentica e imbarazzante gaf. Scivolai all’indietro, andando praticamente a schiantarmi su uno dei gradini. Con l’intento di proteggermi il viso avevo portato in avanti il braccio destro che adesso pulsava di dolore. Strinsi i denti e mi misi a sedere, guardandomi attorno alla ricerca di qualche paia d’occhi. Ok, nessuno era nelle vicinanze perciò non avevano visto la mia gaf. Ero salva, per stavolta.
« Chloe, stai bene? Ti sei fatta male? » Stavo dicendo?
Un paio d’occhi che mi aveva vista cadere c’era stato. Non dovetti neppure alzare lo sguardo, perché Wesley mi si era inginocchiato davanti in modo da arrivare alla mia attuale altezza per soccorrermi. Se fossi stata la vecchia me, quella con gli occhiali e la personalità timida, quella ignorata da tutti a quest’ora sarei morta d’imbarazzo. Anche perché la vecchia me era innamorata del ragazzo che avevo difronte. Invece non sarei morta d’imbarazzo, questa volta. Magari arrivata a casa mi sarei sotterrata sotto le lenzuola a rimuginare della mia figuraccia ma nulla di più.
« Se tocco qui, ti fa male? » Le dita di Wesley si poggiarono con leggerezza sul mio avambraccio e premettero un poco.
Sbattei le palpebre sorpresa. Che stava facendo?
« No » sussurrai.
« Menomale » sospirò, abbandonando il peso del corpo non più sulle ginocchia ma sulla pianta del piede. Poi si alzò, ergendosi davanti a me con la sua statura che, adesso, mi sembrava troppo alta e mi porse una mano in segno d’aiuto.
Come odiavo sentirmi bisognosa d’aiuto! Tutta via, accettai e strinsi le mie dita attorno al palmo della mano di Stromberg, che mi tirò verso l’alto come se non pesassi nulla. Mi sembrò di spiccare il volo, prima che un intensa fitta di dolore non mi attanagliasse il sedere. Mi lamentai un poco, accarezzando l’aria dolorante poi aprii la mano con la quale avevo stretto le chiavi fino ad allora e feci la scoperta più traumatica. L’unica chiave che avrebbe potuto condurmi a casa si era rotta. Spaccata in due. Aveva finito di vivere la sua vita.
Socchiusi le labbra in preda a un urlo muto.
« Cazzo » sibilai, girandomi fra le dita il pezzetto di chiave che si era staccato.
« Che c’è? » Stromberg tornò ad abbassarsi, poggiando le dita sulle chiavi per esaminarle. « Mh, ecco che c’è. »
« Sei proprio un genio, è Stromberg? Sono spacciata, dannazione! » pigolai intenta a guardare il pezzo di chiave che si era staccato dall’alto.
Wesley rise e mi scompigliò i capelli. Aveva un bella risata, constatai. Era cristallina e guizzava divertimento da tutti i pori. Se non fossi stata io, la causa di quel divertimento, magari avrei potuto anche ammettere che non mi dispiaceva affatto. « Beh, non c’è problema ti riaccompagno a casa io; tanto abiti vicino alla madre di Drew, no? »
« Eh? » Prima mi aiutava a rialzarmi e adesso mi offriva un passaggio a casa: avrei dovuto ergere una statua in suo onore, un giorno di questi.« Dici sul serio? Mi salveresti la vita, Stromberg » ammisi, accarezzandomi le natiche doloranti.
« Figurati. Puoi anche chiamarmi: il tuo cavaliere dall’armatura splendente. »  Scherzò alzando le spalle.
« Col cavalo! Al massimo ti posso chiamare per nome. » Lo raggiunsi correndo e quando finalmente si decise a fermarsi per aspettarmi, rideva ancora.
« Ah, sei proprio una causa persa Chloe. »
« Disse quello. »
 
Il paesaggio correva indistinto da dietro il finestrino a cui ero pigramente appoggiata. Tutto passava veloce, come un pensiero passeggiero. Mi dimenticavo subito delle cose che avevo visto qualche secondo prima, quasi fossero inesistenti.
Alzando il viso dal pugno a cui era appoggiato, lanciai uno sguardo a Wesley. Guidava sicuro, con un sorriso sulle labbra mentre con le dita picchiettava il volante, tenendo il tempo della canzone che stava passando alla radio.  Probabilmente una volta, mi ritrovai a pensare, se mai il “famoso” Wesley Stromberg mi avesse notato e si fosse offerto di aiutarmi sarei morta sul posto. La vecchia Chloe sarebbe morta dall’imbarazzo. Ma adesso, in questo momento, la Chloe attuale non provava nulla di ciò. Mi sentivo solo stanca e annoiata.
Tornai a guardare furi dal finestrino.
« Mh? Qualcosa non va? » La voce del ragazzo mi fece voltare velocemente.
I suoi occhi si scontrarono con i miei, così azzurri da farmi quasi gelare il sangue nelle vene. Sbattei le palpebre, come se mi fossi appena svegliata da una specie di trans, e scossi il capo per poi tornare a osservare il paesaggio fuori dal finestrino. Mi domandai quanto ancora mancasse a casa mia, ma a giudicare dalla zona in cui ci trovavamo dovevano essere parecchi chilometri. In più, quel giorno c’era parecchio traffico.
Wesley non mi chiese più nulla, limitandosi ad alzare il volume della musica. Poggiai la fronte al finestrino e chiusi gli occhi, beandomi del fresco che avvolgeva quella superfice. Intanto, il ragazzo aveva iniziato a canticchiare le parole di una canzone che non conoscevo. Non era male, la sua voce.
 « Neh, King, perché non canti con me? »
Mi stupii così tanto di quella domanda che, nell’intento di alzarmi e gridargli contro, presi una testata contro il finestrino. Il ragazzo proruppe in una grossa risata, mentre il mio sguardo tentava di tagliarlo velocemente e con cattiveria in due.
« Perché dovrei? » Sibilai in risposta, continuando ad accarezzarmi la testa dolorante. Che gli Stromberg mi portassero sfortuna? Insomma, avevo salvato Keaton e mi ero ritrovata a conoscere Drew; ora aiutavo Wesley con i corsi di recupero e mi ritrovavo con testa e sedere doloranti.
« Perché hai una bella voce » constatò lui, staccando per qualche secondo gli occhi dalla strada per rivolgermi a me, con tanto di un sorriso incorporato.
« E quando mai mi avresti sentito cantare? Io non canto. Non l’ho mai fatto » borbottai scettica incrociando le braccia al petto. Negli occhi di Wesley, illuminati dai raggi del sole ormai pomeridiano, mi sembrò calare un certo velo nostalgico. 
« Una volta lo facevi. » Mi accigliai confusa. « Quando avevi appena iniziato la scuola e aiutavi il professore di musica a rimettere a posto la classe ogni tanto cantavi. Non so se ti ricordi. Una volta mi mettevano spesso in punizione, ed ero sempre costretto a pulire la classe con te », ridacchiò leggermente, mentre svoltava a un incrocio. « Ti sentivo cantare, sebbene lo facessi sotto voce. Forse ti sei dimenticata, dopotutto passato così tanto tempo. »
“Non so se ti ricordi ” “ Forse ti sei dimenticata”, e come potrei dimenticare?
D’istinto, le mie mani strinsero un po’ di più le mie braccia, tirando il tessuto della t-shirt che avevo indosso. E come potevo dimenticarli, quei giorni? Li ricordavo ancora perfettamente; ricordavo ogni cosa. Tutto quello che era successo in quegli anni era come impresso nella mia mente a fuoco. Non li avrei mai dimenticati. Purtroppo, quei giorni erano rimasti immutati nella mia memoria; così come tutte le cose che la gente diceva di me.
« Lo ricordo bene » mi limitai a rispondere, poi tornai a guardare fuori dal finestrino.
« Allora perché non canti con me? » Propose nuovamente lui, alzando il volume della musica.
Lo ignorai completamente e mi concentrai sul paesaggio. Wesley non parlò per il resto del viaggio, limitandosi a cantare di tanto in tanto qualche canzone che gli piaceva. Stupido Stromberg, perché aveva voluto farmi ricordare quei giorni?
« Eh dai King, canta un po’ con me » Con una gomitata Wesley mi distolse nuovamente dai miei pensieri.
« Ho detto di no. E ora lasciami stare. » Mi strinsi silenziosamente nelle braccia e non lo degnai di uno sguardo.
« Mi dispiace » mormorò a un tratto lui, accostando la macchina a lato della strada.
Staccai il viso dal finestrino per l’ennesima volta e sbattei le palpebre disorientata da quella mossa, da quella frase. Mi voltai a osservarlo e lo trovai intento a fare lo stesso. Era dispiaciuto per cosa, esattamente?
Lui staccò le mani dal volante e si lasciò andare contro il seggiolino della sua auto, battendo la testa con forza. « Sul serio, mi dispiace. »
« Mh? » Inarcai un sopracciglio e piegai leggermente il volto da una parte, lasciando che qualche ciocca bionda scivolasse oltre le spalle. Wesley Stromberg si stava scusando con me di una cosa che neppure io sapevo. Che cosa strana.
« Sul serio, mi dispiace » ripeté, osservandomi con gli occhi ora grigi come le nubi che si stavano addensando in cielo.
« Non capisco, Stromberg. Potresti spiegarti meglio? Mi stai spaventando » ammisi, staccandomi la cintura e allungandomi verso di lui. Il ragazzo scosse il capo e fece quello che mai mi sarei aspettata: strinse le braccia dietro la mia schiena e mi attirò a se stringendomi forte.
Mi paralizzai nella sua stretta mentre sentivo i suoi muscoli gonfiarsi e contrarsi,  e il suo profumo di mare penetrarmi nelle narici. Che diavolo stava facendo, quel ragazzo? Che avesse qualche problema con la sua ultima ragazza e stesse riversando le sue insicurezze con me? se così fosse stato non l’avrei accusato di nulla. Ma la cosa restava comunque imbarazzante.
« Mi dispiace che tu abbia passato tutti quei momenti in passato. » Mi immobilizzai più di quanto già non fossi e sentii il sangue gelarmisi nelle vene. « Avrei voluto aiutarti. Avrei voluto parlarti quando dovevo aiutarti a pulire quella classe, ma non ci riuscivo mai. E mi dispiace ma… ma avevo una reputazione e non potevo rovinarla. Non potevo, neppure se volevo aiutarti perché poi gli altri avrebbero preso di mira e… »
 « Lasciami andare » sussurrai. Quelle parole, perché le aveva dette? Perché voleva farmi stare male, ancora? « Lasciami andare Stromberg, ti prego. » Alzai le braccia e posai le mani sul suo petto, sentii il calore dei muscoli irradiarsi oltre la stoffa della t-shirt. Chiusi gli occhi e lo spinsi indietro, voltandomi alla ricerca del mio zaino.
« King » mormorò.
Gli rivolsi uno sguardo glaciale, poi aprii lo sportello della sua auto e feci per scendere.
Una delle sue mani strinse con delicatezza la mia spalla, fermandomi. « Chloe, mi dispi… »
« Sta zitto! Sta zitto! » mi ritrovai a intimargli, staccando con cattiveria la sua mano dal mio corpo. « Non… non avevi alcun diritto di dirmi quelle cose, Stromberg! Non ne avevi alcun diritto! Come ti sei solo permesso di pensarle? » Sentii la mia voce incrinarsi, fino a diventare come cartavetra. Gli occhi grigi del ragazzo mi osservavano stupiti, desolati. « E se ci tieni proprio a saperlo, anche a me dispiace aver dovuto vivere quei momenti; ma li ho superati e non certo grazie a gente come te! » aggiunsi  saltando giù dalla macchina e caricandomi lo zaino in spalla.
E così finiva un’amicizia appena nata con Stromberg. Poco male, meglio allontanarsi da chi ti può ferire. 
  
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