“
Io, ti adoro al pari della volta notturna,
o vaso di
tristezza, o grande taciturna,
e
t’amo tanto più che mi sfuggi , bella,
e tanto che
mi sembri, ornamento delle mie notti,
accumulare
più ironicamente le leghe
che
separano le mie braccia dalle immensità azzurre.”
(
C. Baudelaire)
Nessun lacrima di vita osava nascere in quella marea bianca di morte e
verginità d’inedia…L’oblio
fiaccava speranze di fantasia abbracciandosi a un
cielo che rendeva il Sole un viandante inaffidabile…Durante
le estati il giorno
si oppiava in un sonnambulismo rosato e spoglio di canzoni
dorate…Durante gli
inverni la notte gocciolava una salatura d’aceto che flautava
per giorni
interminabili…
- Guarda,
piccola…guarda questi colori…non
sono incredibili?
La figlioletta era
innamorata del suo viso di latte fresco, assottigliato da una fatica
cristallina,
accaldato da un sorriso di falegname…Non
esistevano che quegli occhi marrone scuro come castagne montane, che
quel naso
solido e un pochino arcuato di dantesca malinconia…Non
esistevano che quei
capelli lunghi rosso sangue, corde di un mandolino acuto e frangibile.
Un giorno un uomo dalla
bellezza
imponente, esausta e perspicace decise
di soverchiare le leggi del gelo e della morte.
Egli era medico, botanico, mago. Era uno scienziato rivoluzionario.
Proveniva dall’Islanda dei vulcani bianchi ma aveva appreso
le sue conoscenze
nella terra dei numi d'Olimpo: la Grecia che regnava sul turchese Egeo.
Nel curare le genti delle steppe, residenti in villaggi dalle tende
emaciate, bramò di creare una città
nuova… Un paradiso di verdi meraviglie.
Nel cielo si
fluidificavano
il blu e il nero della notte polare, eppure le rose erano incandescenti
nelle
loro lamelle da conchiglie bianche, rosse, gialle che piangevano
neonate…Le
foglie dei cespugli mostravano tumidi
disegni di striature, lische di pesci smeraldini e
paffuti…La bambina si
divertiva a crederli copri capi di
selvaggi che
ascoltavano il papà, il
sovrano di quel giardino concepito con aritmetica armonia…
- Questi
profumi non puoi vederli – rivelò
Pericle – non
puoi toccarli ma volano
nell’aria troppo fredda e portano luce.
La piccola lo studiava in
silenzio, con la coda di cavallo che guizzava in un instabile splendore
scarlatto.
I suoi iridi chiarissimi
erano stagni argentati di comete che
tastavano ogni meraviglia, ogni respiro che si elevava
misterioso sotto
la volta della Groenlandia.
Si grattava le guance
lunari e finemente floride per scrollarsi un pulviscolo di
perplessità…Voleva
avvicinarsi al padre, vedere il giardino dalla prospettiva trionfale
della sua
altezza…
Si sentiva smarrita immersa
in quegli enormi bulbi contaminati dalle camme delle rose, girandole di
fazzoletti che non spiegavano ancora ricami
ammorbidenti…
Il miracolo che sfavillò al di sopra di ogni sogno fu la
creazione di
un’immensa struttura, un tempio a cielo aperto che
cullò impensabili organismi…
Un diadema di giardini lasciò schiudere
etnie floreali, lacrime di
arcobaleno che rifulgevano le cromature più disparate. In
quel tripudio
d’anomala primavera, spiccavano principesse dalle
impareggiabili vesti
olezzanti…
Erano le rose, gonfie e insaziabili di morbidezza.
-
Papà…voglio vedere tutto il giardino!
Lei gli avvolse il
braccino attorno alle forti spalle e
finalmente poté
contemplare quella selva
che si stendeva a forma di falce similare a un maremoto di pacifico
silenzio… All’orizzonte,
su una collina cotonata di quadrifogli e menta, si ergeva un tempio
latteo
dalle colonne corinzie e ioniche…Sotto il tetto, di tegole e
coppi rosati,
sonnecchiava una nicchia in quarzite che ospitava una statua di
Artemide, la
gemella di Apollo regina dei boschi e della luna
- Allora?
– domandò l’uomo alla piccina
–
come ti sembrano le rose adesso?
- Sono tante chiocciole
che dormono e che
hanno il colore della frutta e delle
farfalle…C’è rosso, giallo, rosa,
bianco…
Il padre la scosse con
tenera curiosità:
- Cosa cerchi, tesoro?
Pari preoccupata.
Il mago dell'Islanda coltivò la corolla di ciascun fiore
affinché la
gente potesse gustarne gli aromi e proteggersi dai malanni
corporali…Nei petali
e negli steli ricavava la linfa di efficienti decotti e unguenti
trovando le
somme per comporre note sconfinate di profumi…
Il più speciale lo creò dall’essenza di
virgulti caldi di uno spessore
che pareva fatto di glassa ma anche dell'asprezza tersa del
vetro…Donò la
fragranza delle rose blu all’unico astro che mai si spegneva:
la sposa che
attendeva l’arrivo
della loro piccola.
- Il blu
è il tuo colore preferito?
-
Beh…- rispose la piccolina- non
proprio…tutte le luci profumano e quando giochi con loro
nessuna è identica
all’altra…il blu però è la
pittura più strana.
- Perché?
- Brilla
molto ma è un po’ triste…è
lo
stesso di quando tu chiudi le finestre della mia camera e dai la
buonanotte…non
ci sei più e rimango sveglia…poi sento il rumore
del mare che spacca le rocce e
ho paura.
- Il blu è un
colore un po’ difficile da
capire.
- Secondo te nasconde
qualcosa, papà?
- Chissà…può
darsi…a me piace immaginarlo
come la sera.
- Cioè?
- È dolce
visto che non ha il nero della
notte più buia ma…devo ammettere che ha anche la
freschezza dell’aurora…sorride
dopo che il sole va a dormire e piange prima che lui spunti.
- Ma allora il blu ha
paura del mattino?!
- In un certo
senso…teme di sbiadire, di
sciogliersi.
- Tale e quale a un lago
che si secca?
- Già…oppure
può somigliare ad una
galassia che si ritrova senza stelle.
- Che si deve fare per
tranquillizzarlo?
- Fargli vedere fiamme
senza bruciarlo,
fargli sentire solo caldo e lasciarlo giocare con l’oro delle
candele.
- Crescono
così le rose blu?
- Sì.
- La mamma faceva come te?
- La mamma…era
una rosa blu.
Incuteva ansia ma amore illimitato…Profondo:
l’immensità affaticata e
devota del marito.
La giovane donna non cessò mai di aspergersi di
quell’aroma,
accompagnare con i suoi incantesimi, l’impossibile
città di fiori
che si plasmava contro ogni perturbazione
d’atomi congelanti.
Adorava il suo Archiatra e la gemma che custodiva nel grembo.
- Vieni,
piccola…credevi mi fossi dimenticato
del tuo regalo?
Pericle
solcò i flussi maculati
dei fiori, beccheggiando nella sfocatura luminosa di una tela
impressionista. Nessun
petalo si fendeva o precipitava dagli steli…La sua pesante
tunica opalina
frusciava quasi impercettibile, cospargendo un gratinato odore di
mandorla e
cera di candele.
Intanto il tempio di Artemide
si avvicinava leggerissimo, di una nebbiosità farinacea,
d’ovatta…
- Mi stai accompagnando
dalla mamma?
- A quanto pare hai
scoperto dove la
proteggo.
- Vedo che ogni mattina
porti delle
ampolle speciali…le stesse che usi per innaffiare i fiori
più rari.
- Posso o
non posso creare il tuo giardino degli
incantesimi?
- È per non
farla piangere, vero?
- Cosa vorresti dire?
Aerarono attimi di
silenzio.
Solo le gambe lunghe di
Pericle crepitavano tra i fiori, giungendo al pronao del santuario
selenico.
- La mamma ti ama tanto.
- Ma io…le ho
avvelenato la pancia.
Era giunto il momento.
L’addome cercò di cullare il dolore, accogliere le
spinte soffici della
nuova vita ma qualcosa di sinistramente
corrodente inquinò quella discesa.
Un profumo pungigliato di foglie frastagliate, petali che evaporavano e
si materializzavano sericei in una squartante
ariosità…
Frastuoni liquefatti, magmatici e annichilenti come la leggerezza
tramortente dell’assenzio trivellarono
la
linfa del ventre…
L’Archiatra, disperato, si vide sfuggire dalle mani la luce
argentata
degli occhi di Aspasia: il talento lenitivo che gli scorreva
nell’animo si
congiunse al ruscello di lei che s’essiccava eguale ad una
sirena moribonda su
una baia.
- Il tuo sangue
è speciale e io lo sto
trasformando…Diventerà presto dolce
perché ha la brillantezza delle rose…il
loro potere.
- E
…guarirò?
- Tu non sei malata.
- Che cosa
c’ho, allora?!
- Una bellezza da
liberare. Un profumo che
diventerà blu e volerà
bianco.
La bimba si lasciò
prendere dalla mano del padre che la guidò sotto la volta
cassettata della
navata centrale.
Sotto il naos di
Artemide, stava una
botola che respirava
acqua tremolante che in realtà era una scacchiera sudante di
quarzi blu.
Le pietre si sciolsero in
un ingorgo scuro che svanì per far comparire una rampa di
scale granitiche.
Alcuni boccioli parevano
muoversi come ieratiche membra di mantidi, altri si vergognavano a
schiudere le
loro vellutate sottane…
- Ma sarò
sempre…velenosa?
- Tu sei una rosa e
dovrai usare le spine
per difendere le persone…il veleno sarà veleno
solo per chi vorrà fare del
male.
- Riuscirò a
far nascere fiori?
Il padre rispose con un
calore enigmatico e sidereo.
La fiaba scoloriva e lei smarriva neve nella gola…
Una lapide luccicava con un altorilievo che rappresentava una rosa e
due asfodeli intrecciati ad essa.
E lei tornava.
Senza riverberi. Senza ritornelli da cantare.
Era la custode di una canzone vecchia che ripeteva
nella mente per
imbrattarsi di una luce divenuta menzognera: il desiderio
di incontrare suo padre…suo padre
troppo sottoterra e troppo in cielo per prenderla in braccio.
Era una dea con una maschera azzurra e bianca come urla acquatiche di
geyser…Gli stessi riflessi ruscellavano lungo le superfici
piallate di una
panoplia d’argento: un bustino ornato da vortici
d’ulivo rinchiudeva un torace
sottile; una cintura di sibilanti foglie d’eucalipto si
avviticchiava alla
pendenza sinuosa di fianchi fermi ma danzanti;
gambali a forma di felci avvolgevano, simili a code di
pavoni , due
cosce da silfide ; un paio di parastinchi, che riproducevano ventagli
d’acanto,
esaltavano l’esilità dei polpacci e delle caviglie.
Erano una guaina di sovrannaturale e salina
angelicità… Un’opera che
lumeggiava tra il medievale arabismo veneziano e la finezza
dell’algidità romanica.
L’armatura della Driade Polare.
Lo splendore insonoro e affilato che rivestiva un nome.
Un’anima trasmigrata in brume di cenere:
Artemis.
La protettrice di una città in rovina.
Il paradiso costruito da Pericle , con miracolosa e devota fatica, era
stato devastato sette anni prima dalla
selvatica ingordigia di tribù rivali: guerrieri accecati da
un cinico
pragmatismo di conquista, incuranti dell’essenza veritiera
della
bellezza…Assassini immuni ai bagliori di un regnante che
come armi adoperava la
musica dei fiori e l’intelligenza delle parole più
solide.
Il Palazzo della Neve
d’Oro, il centro cardiaco di Calleos, bruciava il cristallino
scheletro di
architravi gotiche e colonne floreali…Le fiamme azzannavano
le pareti simili a
caimani preistorici lacerandone la carne calcarea, ondeggiando grida di
carbone
tartareo …Prendevano le sembianze di una folla fanatica di
preganti che si
piegavano e si alzavano ai ritmi di una folle invocazione di
distruzione…
I legni carbonizzati
crollavano analoghi a carogne di nibbi fulminati.
La coltre di fumo
strangolava ogni urlo violentando l’aria che tentava di
evacuare dai polmoni…Un
grigiore intenso s’infilava nelle narici ingrassando il
sangue, scotennando le
cellule della testa…
Una narcosi di panico si
dipanava verso le alture offuscate del cielo.
- Artemis! Aphrodite!
Fuggite!
La vista gli traballava
anche se riusciva a distinguere le macchie del suo sangue che
chiazzavano le
mattonelle spaccate.
- Basileus!
Le loro mani si lordarono
dei macabri rantoli che il torace carpiva
dal
cuore…l’ultima sonata che
si preparava ad esplodere…
-
Padre! Penseremo io e il mio allievo a
distruggere la Tribù di Danzica!
- Artemis…non
ce la potete fare…è inutile.
- Signore! Io e la
Maestra Artemis creeremo
una marea di rose velenose contro i nemici! Moriranno tutti!
- Custodite il vostro
veleno per curare i
sopravvissuti…
-
Calleos
sta per morire!
-
Gli
uragani non si possono fermare…sono
vento ottuso, cieco…credi guarderanno due poveri fiori che
tentano di difendere
una serra di cristallo?
- Allora…è
stupido combattere?
Artemis gli raccoglieva
moribonde salivate di luce dagli
occhi.
- Stai zitto! –
esclamò la fanciulla –
abbiamo versato tanta acqua per far sbocciare microbi
senz’anima?! Non dire idiozie e
aiutami a mettere al sicuro il nostro re!
- Andatevene
via…Artemis…
- I fiori appassiscono e
rinascono…i
colori tornano nell’arcobaleno dopo la pioggia…La
vendetta non è il soffio
vitale di alcun suolo…se continuerete a raccogliere i
riflessi dell’aurora tutto
ricrescerà.
- Padre!
- Soffio
scarlatto di ponente!
Titaniche croci infilzavano la
pelliccia calcificata del suolo.
Teschi , dalla corteccia di fanghiglia rattrappita, si
raggrumavano attorno ai fusti di
legname…erano collane abbrustolite di spettrale cannibalismo
stordite da un viluppo
di arterie ossidate. Rovi verdastri intrappolavano quei residui umani,
soffocando le orbite vacue e le mascelle di gridi muti
con rose nere e rosse: una natura morta
che iniettava tenebre aromatizzate di maggio nella mummificazione delle
asme
invernali.
L’impastatura incenerita e scuoiata dei nemici di Calleos.
I petali esplodevano con
spudorata dolcezza da bocche di dentature striate di carie, da occhi
ormai
sbriciolati…
Era incredibile di come il cavaliere dei Pesci riuscisse a emanare il
suo spettro seducente su una scultura piena di bollature marcescenti.
Sentì la testa incendiarsi al pensiero di quel duello
d’addestramento
avvenuto a fine settembre, prima che l’allievo partisse per
raggiungere Death
Mask in Sicilia*…
Un silenzio cristallifero
alcalinizzava l’asprezza della pietra tesa…
L’Odeon delle Ninfe balenava
tra substrati indorati e cenerognoli…
Statue di fanciulle semi
velate, dai calidi sorrisi infantili e dai riccioli di letizia
corinzia, reggevano
calderoni di cipree
decorando l’anello
superiore dell'arena.
Al centro della scena
innevata si fronteggiavano un androgino fante di velluto e una fata
mascherata
dalla chioma
rosseggiante.
Potevano essere eroi
malinconici di un dipinto preraffaellita, talmente erano pregni di un
medievalismo arboreo, di un’opalescenza traslucida.
I lunghi capelli cerulei
venivano scossi dall’aridità argentea del vento
artico, preservando la bacchica
sinuosità delle onde.
Due corazze bronzee
forgiate a mo’ di foglie venate, marcavano
l’elegante quadratura delle spalle e
parastinchi e gambali, di doratura annottata, coprivano le gambe
slanciate e
aggraziate.
L’imbalsamante alienazione
che espandeva il manufatto s’infrangeva, tuttavia, con la morbida e venefica
austerità delle
sue movenze.
Una leggera armatura
grigio tenue e turchese le inondava di liquidità ibernante
le membra: spalliere
a forma di petali vestivano gli omeri, un sobrio corpetto disegnava le
rotondità piccole e tenere del seno,la piattezza del ventre
e la sofficità dei
fianchi…un paio di lunghi gambali blu, intarsiati da serpi
d’edera, celavano le
cosce e le tibie da cerva.
Molti uomini si
tormentavano cercando il modo più realistico e perfetto di
scolpire la sua
immagine . Solo le ancelle più intime l’avevano
vista senza veli e ne
narravano, invidiose e stregate, lo splendore immacolato.
Fece danzare la mano quasi
stesse coccolando i capelli di una donna d’incenso…
Simili agli zefiri che
avevano accolto la nascita di Venere, accesero cerchi di frenetico
bolero scagliando
siluri spinati: sibili di
tormentata primavera che si sfioravano e si sfregiavano.
L’Odeon delle Ninfe venne
innaffiato da sventagliate d’arcobaleno metallico.
- Piranan
rose!
Un’enorme arteria frantumò
le catene dorate creando un pulviscolo d’eclisse vulcanica,
brincello di cenere
e biglie di lucciole che si stordirono nell’aura.
Aculei di lattescente
gesso precipitarono sull’apprendista che si
schermò innalzando lunghissimi boa
di rovi dal ghiaccio…
Una gigantesca fitta
all’addome la svuotò e le pareti delle interiora
parvero diventare le
mattonelle vizze di un deserto.
Ansò di
delirante
secchezza, con l’aria nelle arterie che si cristallizzava
nella gola del sonno…
Solo i palpiti del
cuore e
il sangue che circolava nel cervello tracciavano macchie violacee,
ectoplasmatiche che razzolavano sotto le palpebre…
Niente sogni ma solo aloni
soffusi di nausea…
- Divina
Artemis…Divina Artemis…
- Signora…riuscite
a sentirci?
Avvertì sotto il dorso la
lieve solidezza di un letto tiepido…
Si accorse che le avevano
tolto la maschera e la corazza:a coprirla solo la calzamaglia e uno
scamiciato
di fine lanugine.
- Do…dove m-mi
trovo? – balbettò.
- Siete nel vostro
palazzo… nella camera
delle Felci Albine…
La giovane aprì
pesantemente lo sguardo.
- Vi ha portata qui il
vostro allievo
Aphrodite – continuò la serva.
- Sta attendendo fuori-
mormorò un’altra.
- Insiste nel
vedervi…è molto preoccupato.
- Non è meglio
se vi accompagniamo nella
stanza da letto?
- No…tranquillizzatevi…fate
entrare Aphrodite e
lasciateci un attimo soli.
Si avvicinò al giaciglio
dove sedeva la fanciulla.
- L’unica cosa
che conta adesso è come ti
senti! Sei svenuta di colpo e il tuo cosmo non presentava alcuna lacuna
degenerativa! È stato un lampo! L’energia
ti è svanita alla velocità del suono!
- E’ veramente strano,
Maestra…sei sicura di stare bene…sul
serio?
- Non occorre allarmarsi
più di tanto.
- Maestra. Cosa ti sta
succedendo?
- È stato
soltanto uno spossamento.
Ultimamente il cosmo che sfrutto per curare le piante morte è parecchio…Sto
rivitalizzando la cinta
dell'est per ripristinare la vecchia barriera difensiva. Possono
capitare
questi ammanchi. È normale.
Il giovane la squadrò
scettico e mordace incrociando le braccia sul
petto.
- Certo. È
normale adoperare il proprio
potere per salvaguardare un equilibrio…ma tu lo non stai
adoperando. Lo stai
massacrando e non per restaurare una barriera protettiva.
- Hai intenzione di
allestirmi un processo?
- Sono stufo delle tue
sparizioni! È da
mesi che ti rechi, la sera, al tempio di Selene e ti incarceri per ore!
Non
capisco che combini!
- Ah. Ora fai le prediche
alla tua Maestra?
- Puoi pure non
raccontarmi e non farmi
vedere nulla ma dentro di me scorre anche il tuo sangue. Ti sei
scordata che ci
scambiammo a vicenda le nostre linfe nei Rituali delle Primavere
Scarlatte?!
Hai giurato di guidarmi, donarmi la tua
continuità…legarmi alla tua luna!
- È stata la
prassi dei miei obblighi
ragazzetto. Per Selene e per Atena devo formare il dodicesimo cavaliere
dorato,
renderlo potente e completo. È sorprendente la tua
abilità di rimbecillimento:
confondi la sacralità dei doveri con sciocche promesse
d’amore. Sfiata le tue
dichiarazioni romantiche altrove. Non hai l’imbarazzo della
scelta con tutte le
sgualdrine che ti fanno divertire tanto?
- Il tuo canovaccio da
guerriera fiera e
surgelata è alquanto scadente. Sei una patetica ballista.
- Ricorda il tuo ruolo,
idiota.
- Finiscila di chiuderti
nel tuo stupido
guscio! Il tuo sangue urla dentro di me, urla di dolore!
Anch’io sto malissimo,
Artemis! Dimmi che succede nel Tempio di Selene! Dimmelo, adesso!
La
maschera della ragazza roteò scheggiata nell’aria.
Una
rosa dai palpitanti petali vermigli si era incastrata nel pavimento.
L’allievo le si accostò
con rancore commisto a mesta passione, con l’angoscia che
turbinava dentro una
sete carnale di protezione.
Le cinse la vita e il
torace imprimendola contro le lande riarse e tese dei propri muscoli
che
coprivano i rigonfiamenti del costato che ruggiva.
La sacerdotessa gli piantò
le unghie nelle spalle, scosse le anche nell’illusione di
dimenarsi, opporre
resistenza. Per alcuni secondi si convinse della sua rabbia, del suo
orgoglio
terrorizzato ma il veleno della bocca di lui le scivolò tra
la lingua e il
palato annegandola in una nebulosa di latte mandorlato. Immerse una
mano tra
i capelli
dell'invasore indecisa se
stracciare quelle filature di cielo o se
fingere d’arare l’oppio dell'eden.
Non doveva farlo.
Portava il nome della
casta Artemide e aveva promesso brutalmente di preservare incontaminato
e
incancrenito il proprio ventre.
Era una sacerdotessa
guerriero. Non una donna che navigava al sicuro sotto i raggi del sole.
Era l’ombra di un
involucro femminile. Non contava la torchiatura del cuore, quanto la
deprimente
contentezza di non
curarsi delle
trebbiature terrene.
Le addossò il proprio
calore esasperato in un tenero e dispotico tentativo di custodirla dal
silenzio
che albeggiava usurante sui marmi. Premette il bacino tra le sue cosce
consumando carezze curiose e frustrate sulla
calzamaglia…spostò i palmi delle
mani solcando i fianchi con l’affanno di rorida argilla di un
vasaio.
Era stato chiarissimo:
servire due dee sorelle, proteggere la sopravvivenza delle persone,
uccidere
nemici ripudiando amnistie e misericordia. Portare acqua a valle
restando la
fonte ibernata di un monte.
Si era esiliata nel
polline dei fiori polari: né la
tensione
umana doveva corromperla, né la gioiosa sofferenza di un
amplesso resuscitarla.
Quella purezza che
corazzava l’utero era l’alone di
un’innocenza irrecuperabile e svalutata, la
bambina che mai si sarebbe venduta per abbandonare l’amore
del padre.
Con slancio spietato
Artemis si affrancò da quel fuoco illuminante.
- Bada a come parli!
Sarai la più bella
rosa dell'Elisio ma preferisci ingurgitare vino piuttosto che acqua trasparente! I
tuoi petali sono
rossi per le sbornie e non certo perché brillano. Hai paura
di crescere
sull’orlo di un burrone per guardare giù, nelle
profondità che non riesci a vedere.
Rimosse le lacrime che
infettavano d’afa gli iridi.
Si allontanò barcollando,
cercando di tornare diritto, scorrendo tra i riflessi delle penombre
notturne.
I rantolii del pianto
bussarono alle porte degli occhi ardendo in gorghi di tenebra innevata.
Per una ragazzina di dieci anni, introversa,
pacifica e soprattutto rigorosa neo
sacerdotessa, introdurre quel moccioso all’ardua via del
cavaliere sarebbe stato
un calvario…tra l’altro non era il massimo della
serenità neuronale sorbire le
ansiogene raccomandazioni del Signor Servansen, presuntuoso ex
guerriero
d’argento che aveva sempre fallito gli addestramenti per
l’armatura d’oro.
Fortunatamente Pericle era stato abile nel gestire quel delicato e
quasi comico disagio creando un’armonia insperata. Artemis
aveva addestrato
Aphrodite senza
ricevere interferenze
inopportune e senza essere abbandonata a se stessa. Aveva corso con il
suo
discepolo facendo germogliare anche il proprio spirito, affezionandosi,
amando…Amando
pari ad una sorella madre e infine…a una perduta maga
castigatrice.
Rovinando, precipitando, estraniandosi.
“
Il
suo splendore è andato a crescere in modo
destabilizzante, come una sindrome
letale. Gli apprendisti lo ammirano e lo odiano perché le
sue rose hanno rotte
impossibili da rintracciare con coordinate geografiche e lui solo le
carezza e
le domina.”
Soleva scorgere oltre le ciglia chiuse, oltre le membra
da Endimione, quel bambino che
inciampava tra i suoi piedi quando giocava al principe che la faceva danzare come
sua dama…
La trovava quella dolcezza acerba che illuminava la stanchezza del
sonno, che le sopracciglia e la bocca disegnavano disinquinate da ogni
furba
malizia.
Distinse una creatura immacolata, sbuffante di setole arieggianti e
ribelli, che le
stava venendo incontro.
Era uno degli animali più anziani e perspicaci di Calleos:
ricopriva il
ruolo alfa nel traino delle slitte e nelle battaglie veniva temuto per
la sua
nobile ferocia.
Al polo nord i cani non erano vezzeggiati infantilmente ma temprati
secondo
le leggi della sopravvivenza. Nei periodi estivi venivano lasciati in
un aspro
isolotto dalle risorse limitate e al ritorno dell'autunno gli esemplari
più
forti erano
prelevati e addestrati per
supportare i guerrieri.
- È
probabile…ma non è tutto.
- Com’è
possibile? – esclamò Artemis –
è un traditore!
- Il peggio
è che l’altro ha…una
corazza che un
essere umano non potrebbe mai
indossare però…
non si capisce se sia
propriamente divina!
- Quell’uomo
deve essere il capo della
spedizione! – aggiunse Nikita – è
lui a
manovrare le pareti dello spazio e a mettere in atto strambe magie!
- Chiamate le
truppe di Selene! – ordinò glaciale Artemis – Nikita, prenderai la
divisione dell'Est,
Roalh… comanderai il contingente del nord, Toma tu guiderai
il corpo
dell'Ovest…io quello del sud. Accerchieremo i nemici e li
spingeremo nel centro
di Calleos. Dentro le mura più interne.
- Ma è
rischioso! – obiettò Toma – se
invadessero il Palazzo della Neve D’oro sarebbe
la fine!
- Si tratta
del punto nevralgico della città –
appoggiò Roalh – non firmeremmo la nostra
condanna?
Alzò le braccia circondandosi di
turbini di comete cilestrine
e ferrigne.
Una fascio di luce bianca s’elevò dal centro della
polis per dissolversi
in un sublime stridore d’argento…
L’incantesimo era riuscito.
Il ciclo dei tetri sacrifici che ella compieva nel tempio di Selene
dava risultati eccelsi….doveva solo sperare di non crollare
di nuovo…di non
esporre gli strati più martoriati delle sue fibre, delle sue
viscere. …Si
sperimentava in veste di cavia in un silenzio agonizzante.
Pareva dardeggiasse magma,
luce
sanguinante di febbre solare.
Gridando acciaio spettrale travolse i cavalieri in un tellurico
incendio dorato.
Note
interne al cap e ai cap precedenti:
* “
prima che l’allievo partisse per raggiungere Death Mask in
Sicilia…” : CAP
7: la rosa e il teschio; CAP 19: la
deriva dell'’innocenza.
*“ E’
vero…io parlo di sogni…” : Shakespeare
“ Romeo
e Giulietta”.
* “ Cavalieri
neri ? “ : CAP 19: la deriva dell'innocenza
Note personali:
Ciao a tutti!! :D è da tanto che non ci
si vede! Perdonatemi se non
sono riuscita a mantenere l’impegno di aggiornare “
L’occhio dell'Ariete” a
giugno…sono in tremendo ritardo!!! Sto anche proseguendo con
lo spin off “ Io,
figlio dell'Inferno”…a fine giugno ho avuto due
esami, poi sono stata in
vacanza con una connessione internet un po’ schifosa e
inaffidabile e ho
iniziato una fic sul fandom di Lady Oscar...ormai mi sto disgregando in
queste
due sezioni ma darò la precedenza a Saint Seiya
perché mancano non molti
capitoli alla conclusione dell'Occhio…certo, dovrete
pazientare, ma abbiamo
superato la metà della storia ^^
Ho ripreso alcuni elementi da Lost Canvas, o meglio il fatto del sangue
velenoso ( che ammorba il povero Albafica) e del riferimento al rituale
dello
scambio delle linfe tra allievo e Maestro . Questo viene narrato nel
volume
speciale della Teshirogi, l’ 1, quello in cui compare Rugonis, la guida del
cavaliere dei
Pesci…Anche l’armatura della driade l’ho
ripresa da questo contesto ( la
indossa il fratello gemello di Rugonis anche se l’ho
modificata al livello di
design.)
A differenza dello sfortunato Albafica , che non poteva toccare
nessuno, Artemis è stata “ guarita” da
Pericle che, per garantirle una vita
normale, è riuscito a scongiurare l’effetto
nefasto del veleno nel sangue.
Grazie a tale incantesimo Aphrodite ha ricevuto i globuli rossi della
Maestra
senza subire danni di“ vivibilità “
sociale...
Ora c’è da spiegare il misterioso rituale che la
sacerdotessa compie
nel tempio di Selene e pare risucchiarle pericolosamente
l’energia…beh…questo
lo scoprirete nella seconda parte di questo capitolo :P altri
chiarimenti sulla
natura del sangue di Aphro verranno forniti strada facendo…(
ho citato
involontariamente Baglioni XD)
Avete compreso chi sono..o meglio chi saranno???
Vi ricordate gli Angeli di Artemide del film “ Alle porte del
paradiso”
? ih!ih!ih! Teseo…Odisseo…Icaro….
Eh!eh!eh!
Anche questo mistero sarà raccontato…
Curiosità: il cagnetto porta il nome di uno dei figli della
dea
Afrodite, quindi non è stato scelto a caso!
Mi vedrete con “ Io, figlio dell'inferno”
…( si spera fine settembre/
ottobre -.- ) cercherò di essere puntuale…
queste tre sono illustrazioni che ho fatto con Artemis e Aphrodite ^^