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Autore: Matt11    08/09/2014    1 recensioni
Dopo quell'ultimo commento, non potei evitare di guardare verso di lui. Anche lui guardava di qua. Lo vidi deglutire, vidi il pomo d'Adamo fare su e giù e mi accorsi che alla fine non se l'era fatta la barba. Aveva gli occhi tristi. Era così bello in quella camicia blu. Era la mia preferita, quella a scacchi bianca e blu, con le sfumature e i colori intrecciati. Era abbottonata fino in cima, tranne il bottone del colletto, ma le maniche erano tirate su ai gomiti e lasciavano vedere i colori vivaci dei tatuaggi. Indossava i soliti jeans neri, quei jeans che, all'inizio della nostra convivenza, avevo pensato ne avesse un armadio pieno. Non badai neanche alle scarpe, avevo ben altro per la testa, qualcosa di decisamente più malato.
Genere: Commedia, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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'Buongiorno eddy'
'Non chiamarmi eddy'
Io sorrisi, lui grugnì.
Ogni mattina era sempre la solita storia. Io allegra e con la faccia fresca e lui brusco e con gli occhi azzurri arrossati. Ma a me piaceva così la vita. Era il coinquilino più strano che mi sarei mai aspettata di avere, ma era anche l'uomo migliore che avessi mai incontrato - per certi versi. Volete sapere che tipo di relazione avevamo?
La sveglia era appena suonata. 'Caffè? Dov'è il caffè? Perchè non c'è il caffè? Ho bisogno di caffè.' Aveva usato quel tono mezzo implorante e mezzo annoiato tipico del mattino. "Il caffè è il nettare degli dei, Tori" mi aveva detto una volta, era balzato sul divano, di fianco a me, e aveva tenuto un ricco discorso su quanto fosse indispensabile il caffè per l'uomo. 'Non c'è il caffè. E sai perchè, Eddy? Perchè ieri sei uscito per andare a comprarlo e sei tornato questa mattina alle cinque e un quarto ubriaco fradicio. Non so neanche dove hai lasciato la macchina.' Si lasciò cadere pesantemente su una sedia e si chinò in avanti, con i gomiti sul nostro tavolo di legno.
'Macchina? Che macchina?' Si passò una mano tra i capelli rossi appiccicati alla fronte.
'La mia macchina. È la terza volta questa settimana, Ed! Non possiamo continuare - '
'Tori, ho bisogno del caffè per affrontare la giornata di oggi. Potrei morire senza.'
'Lo so, Eddy, ma il fatto è che -'
'Quanto vuoi per smetterla di chiamarmi Eddy?' Mi disse, esasperato. Mi avvicinai a lui, sorridendo, lo feci alzare. 'Solleva le braccia' gli sfilai la maglietta - ancora del giorno prima - e lo spinsi scherzosamente verso il bagno. 'Vai a farti una doccia, oggi sarà una lunga giornata.'
Quando tornò con un asciugamano bianco allacciato in vita, lo ammirai con le braccia conserte e un sorriso maltrattenuto. I tatuaggi colorati sulle sue braccia risaltavano contro il candido colore della pelle. Indicai il tavolo con un cenno della testa. Il caffè lo aspettava nella sua tazza arancione.
Ecco, questo era il nostro tipo di relazione.

'Ma che ore sono?' La sua voce mi arrivò attutita da sotto la sciarpa grigia di lana che aveva avvolta attorno a quasi tutta la faccia. Un berretto dello stesso colore, calato sugli occhi azzurri, soffocava il fuoco dei suoi capelli. 'Le nove e sedici.' Hai quattro minuti per essere nel bar dove quell'incontro che devi fare con quella ragazza bionda... Nina?' Camminavamo lungo la strada fuori dal nostro appartamento, soffiava un vento gelido e una pioggerellina regolare, che andava avanti da qualche ora, aveva appena smesso di cadere.
'Sì, Nina. Beh, sono stato piuttosto puntuale oggi' l'angolo un sorriso orgoglioso spuntò da sotto la sciarpa.
'Certo... Questo bar è a quindici minuti da qui. In macchina. Ma tu non sai dove l'hai lasciata, l'unica macchina che abbiamo.'
'Hey, è colpa tua se non abbiamo la macchina!'
'Colpa - colpa mia, Ed? E come farebbe a essere colpa mia?' La mia voce era salita di un tono, incredula. 'Già, colpa tua!'
Lo guardai indignata e mi fermai. Lui proseguì due passi, poi si voltó e allargò le braccia spiegando: 'sei tu che me la fai guidare, non è colpa mia se la lascio in giro!'
Ci guardammo, in silenzio. Scoppiamo a ridere nello stesso momento, corsi avanti e lo presi a braccetto. 'Muoviti che sei in ritardo. La macchina è là.' Evidentemente non l'aveva presa, ieri.
'Uh, guido io.'
'Ma neanche per sogno.'
Arrivammo di volata al bar. La ragazza, quella Nina, era già lì e gli si avvicinò tutta entusiasta. Indossava un paio di jeans che non credo esista una taglia più piccola e una maglietta bianca seminascosta da una felpa molto larga, verde.
'Hey Ed' gli rivolse un sorriso smagliante e gli diede un bacio sulla guancia. Quello fu abbastanza per me. Mi girai e andai verso l'uscita a passo di marcia. Non avevo intenzione di stare a guardare oltre. Passeggiai per la consecutiva ora e mezza in un parchetto squallido un po' più in giù nella stessa strada. Ero su una panchina a litigare con il vento per tenere aperto il libro sulla pagina che stavo leggendo, quando il mio telefono vibrò. 'Hey vado a prendere qualcosa da bere con Nina, ci vediamo al McDonald's alla una'
Certo Ed, pensai imbronciata, tutto quello che vuoi, Ed. E se ne va in giro con quella Nina. Non voglio nasconderlo, mi piaceva da morire, era esattamente il tipo di persona che volevo vedere tutte le mattine nel mio letto quando mi svegliavo, ma un po' di contegno dovevo averlo. Non potevo gettarmi tra le sue braccia senza pudore. Così mi limitavo ad apprezzare i suoi momenti senza maglia in giro per la casa e il fatto che potevo stargli intorno quando volevo, nella speranza che un giorno si sarebbe accorto di me. Alla una precisa eravamo al Mcdonald's. Tutti e tre. Volevo ucciderlo. Gli lanciai uno sguardo cosa-ci-fa-ancora-qui-lei e lui mi rispose con una scrollata di spalle. Lei incominciò a parlare di musica e di quanto amasse la musica e musica e musica. Quando ci sedemmo con davanti il pranzo ancora stava parlando, ma anche se all'inizio Ed l'aveva ascoltata, ora la sua attenzione era altrove. La stava guardando, sì, ma non ascoltando. Capitava spesso con le ragazze che incontrava nei bar e che poi si portava a casa. Comunque, non userei  il semplice verbo guardare, la stava proprio scavando con gli occhi, e questo non succedeva troppo spesso. Ma lo conoscevo quello sguardo. 'Va bene ragazzi io devo andare, è stato un piacere. Tori' mi rivolse uno dei sorrisi più belli e sinceri che abbia mai visto, che mi lasciò perplessa e mi fece sentire un po' in colpa. 'Ed' un altro sorriso e se ne andò trotterellando tra unicorni e arcobaleni. Mi spostai velocemente da dov'ero seduta alla sua destra, e mi misi di fronte a lui. 'Ma da dove spunta quella?' E scoppiai a ridere. Lui non rispose, ma la seguì con lo sguardo fino a quando scomparve, poi rimase a fissare pensieroso il suo panino. Io lo guardai un po' troppo a lungo per i miei standard. Quando finalmente decise che non riusciva a reggere oltre il mio sguardo, alzò la testa e mi affrontò apertamente. 'Cosa c'è?'
'Ti piace.'
'Ma smettila.'
'Lo conosco quello sguardo.'
Sospirò e il mio cuore affondò. Ma come? Le piace quella? D'accordo, e così sia. Sospirai.
Mi prese le mani conserte sul tavolo tra le sue e mi guardò con quegli occhi color del cielo. Percepii una breve scossa calda, che mi attraversò da cima a fondo.
'Tori.' Disse con la voce un po' roca e sexy, come quando nei film il protagonista si sta per dichiarare alla sua migliore amica. Provò a stare serio, ma fallì miseramente. Ritirò le mani dalle mie, mentre appoggiava la testa sul tavolo e scoppiava a ridere come un bambino. Io alzai gli occhi al cielo e mi unii alla sua risata insensata. Ed si passò una mano sul viso e si soffermò sulla bocca grattandosi la barbetta incolta che gli era cresciuta sul mento.
'Cazzo, se mi piace.'
Cazzo, se le piace, pensai.

Tre e ventiquattro. Chissà perchè Ed arrivava sempre in ritardo agli appuntamenti. 'Ti muovi o no? Ho delle cose da fare, non sono il tuo autista!' Nessuna risposta dal sedile posteriore. 'Ed?' Niente. 'Eddy?' e ancora nessuna risposta. 'Ed!' Suonai il clacson. Lui si ricosse  e mi guardò spaesato. Ci fu un breve scambio di sguardi attraverso lo specchietto retrovisore. 'Chiama Stuart. Ti porto a casa, devi dormire.' Dissi con voce decisa. Un breve silenzio e la sua mano mi apparve di fianco all'orecchio 'chiamalo tu' sussurrò e si accasciò di nuovo sul sedile.
'Stuart... Si, ciao sono Tori... T - Tori Mern... La - esatto, la coinquilina. Ascolta, Ed mi ha detto che oggi proprio non ce la fa a... Già... È molto stanco quindi vorrebbe... Lo porto a casa, va bene? Sì... Sì, ora sta dormendo. Come? Se è rientrato tardi ieri?' Mi voltai a guardarlo, addormentato sembrava così innocente, aveva la testa reclinata da un lato e la mano destra abbandonata sulla pancia. 'Oh, Stuart, non saprei. È uscito a prendere il caffè, ma è tornato a casa subito. Non mi sembra che sia uscito di nuovo, poi. D'accordo. Grazie ancora. Grazie, gli dirò di fissare un nuovo appuntamento. Okay. Okay, grazie Stuart, ciao.'
'Ma guarda cosa mi tocca fare.' Dissi ad alta voce dandogli un'ultma occhiata, poi ripartii, diretta a casa.
Quando arrivammo lo svegliai, dato che ero abbastanza sicura che non l'avrei portato in braccio fin su al terzo piano, dove stavamo. Fece le scale barcollando e si gettò sul divano. Lo guardai un attimo, poi mi richiusi la porta alle spalle e andai a lavorare. Facevo la cameriera in una squallida tavola calda vicino a dove abitavamo, più per impiegare il mio tempo libero che per altro. I miei genitori, morti da più o meno cinque  anni, mi avevano lasciato una piu che cospicua eredità, tanto che potevo vivere benissimo il resto dei miei giorni senza muovere un dito. Ma il fatto è che probabilmente solo il mio gatto lo sapeva. Ah, no. Era morto anche il gatto, la settimana prima - era stato un brutto colpo per Ed. Quindi ne eravamo a conoscenza solo io, me e me stessa medesima. Dopo un'oretta di normale servizio ai tavoli, Ed si presentò e chiese un caffè con molta nonchalance. 'Non ti fa bene tutto questo caffè.'
'Lo sai già come la penso sul caffè.' Replicò lui.
'Già...' Lo ispezionai con sguardo indagatore. 'Hai intenzione di presentarti al prossimo appuntamento o - '
'Uh, scherzi?' Borbottò mentre ancora beveva il suo caffè . 'Devo registrare in studio, amo registrare in studio.' Mi regalò un sorriso da dietro la tazzina. Lo guardai con quel mezzo sorriso che gli riservavo. Posò la tazzina con slancio e si allungò oltre il bancone.
'Dopo dobbiamo parlare di una cosa, io e te.' Si mise in piedi e raccolse il cappotto dallo schienale della sedia. Si frugò in tasca per cercare il portafoglio. 'Lascia.' Feci io. 'Sistemo io tutti i tuoi conti aperti.' Lui mi guardò per un attimo, corrugando la fronte come in cerca di una qualche spiegazione poi mi disse, risedendosi. 'Senti un po', ma quante cose ci fai con questa paga da cameriera?'
'Molto più di quello che fai tu con la tua paga da cantautore internazionale' gli sorrisi facendo una smorfia buffa.
'Ricordami come abbiamo fatto a essere coinquilini?'
'Tu volevi compagnia e io costavo poco.'
Ed scoppiò in una fragorosa risata. 'Hey, occhio a dire così, la gente potrebbe pensare male.'
'Edward Sheeran!' Alzai un po' la voce per attirare l'attenzione di un paio di ragazzette che avrebbero potuto essere sue fan - e infatti gli lanciarono sguardi adoranti - 'Fuori di qua.' Conclusi, facendogli l'occhiolino. 'Gne gne' fece lui e uscì di corsa, la sciarpa grigia che svolazzava dietro di lui. Il mio capo mi squadrò con un sospiro, mentre io guardavo ancora la porta con un piccolo sorriso. Guardai l'ora, quattro e mezza. Forse questa volta sarebbe arrivato puntuale
'Tu muori dalla voglia di andarlo a sentire.' Mi voltai a guardarlo sorpresa. Feci per dire qualcosa ma mi interruppe. 'Vai.' Levai il grembiule e corsi all'uscita, raccogliendo la borsa e il cappotto al volo. Gli mandai un bacio con la mano e lui mi gridò dietro che non mi avrebbe pagato, di non ringraziarlo. Ma sai che mi importava, potevo andare a sentirlo registrare in studio. Naturalmente aveva preso la macchina, quindi mi trovavo disperatamente a piedi. Presi il primo taxi che trovai e arrivai in studio che aveva già iniziato ad accordare la chitarra. Attaccata al vetro che dava sulla stanza dove Ed accordava, c'era una ragazzetta tutta capelli biondi e felponi larghi. Nina, di nuovo. Ma perchè era sempre ovunque? Fui tentata di andarmene, perchè proprio non sarei riuscita a reggere un'altro dei suoi discorsi, ma ovviamente feci baccano sulla soglia e tutti si girarono a guardarmi. 'Tori.' mi salutò con uno dei suoi soliti sorrisi giganti e mi si avvicinò. 'Anche tu qui per Ed?'
'Già'. non avevo voglia di parlare, soprattutto con lei.
'Che emozione, vero? Non l'ho mai visto registrare, dev'essere impressionante, con quella chitarra pazzesca, chissà cosa suonerà, non l'ha detto a -'
'Shh.' Logan, il tizio che si occupava delle registrazioni, la zittì, ottenendo la mia più sentita gratitudine. Fece un cenno con la testa e indicò Ed. 'I should ink my skin...' iniziò, la sua voce era un sussurro caldo, qualcosa mi si strinse nel petto. '... with your name...' Mi portai una mano alla bocca, mangiucchiando nervosamente un unghia. La mano sinistra l'avevo abbandonata lungo il fianco.  Lo guardai, gli occhi di oceano chiusi e le labbra che sfioravano il microfono. Ogni tanto muoveva la mano e la chitarra cantava con lui, al posto del solito pianoforte che accompagnava quella spendida canzone. Una delle più belle. C'eravamo solo io e lui. Tutto intorno era buio, non esisteva nient'altro, i suoi occhi chiusi, la sua voce vibrante e la durezza dei denti contro le unghie. '... cause maybe you're my snowflake...' Nina mi prese la mano e la magia andò in frantumi. Intrecciò le dita alle mie, la manina bianca e fredda quasi scompariva nella mia. Voltai lentamente la testa dalla sua parte, gli occhi ingranditi dalla sorpresa e pieni di irritazione. Cosa stai facendo? volevo dirle, lasciami subito. Ma la guardai e non potei non sciogliermi a quei grandi occhi nocciola pieni zeppi di lacrime. Mi ritrovai a stringerle la mano e a riportare l'attenzione su Ed, che ormai era arrivato al ritornello.
"And you will never know
Just how beautiful you are, to me
But maybe I'm just in love
When you wake me up."

'È fantastico.'
'Zitta.'
E ci fu silenzio, la sua voce regnava, ci uccise tutti, ci fece a pezzi, non ci permetteva di respirare.
'Maybe i fell in love, when you woke me up.' Suonò l'ultima nota e la sala esplose in applausi fragorosi - mi accorsi in quel momento di come la stanza fosse assurdamente zeppa di gente. 'Okay, okay ragazzi, okay. Silenzio.' Tuonò Logan. 'Ed vai con la prossima.'
Nina si asciugò gli occhi con una manica e slacciò le sue dita dalle mie. 'Devo andare. Puoi dire a Ed che sono passata e che è davvero fantastico? Grazie, ciao.' Fuggì con uno dei suoi sorrisoni. Perchè dava per scontato che glielo avrei detto? E poi era già abbastanza un pallone gonfiato, senza il bisogno che qualcuno glielo dicesse. Lo guardai affettuosa, mentre la chitarra produceva le prime note di "Gold Rush". Quando finì mi accorsi che non le avevo prestato la dovuta attenzione. I pensieri erano tornati a Nina, a come mi aveva preso la mano così, senza un motivo, ai soliti sorrisi gratuiti che regalava. Pensai a come mi erano sembrati sinceri, tutti quanti. Capii che per quanto fossi gelosa del fatto che piacesse a Ed, era impossibile non amarla. Era una persona così pura. '...Cause you need me, man, I don't need you...' Merda, me la stavo perdendo. Suonò "Drunk" per ultima.
Quando riuscimmo a riemergere dallo studio, dopo i complimenti e gli assalti delle fan, erano ormai le cinque e mezza, solo tre ore e poi sarebbe dovuto andare al suo ultimo impegno della giornata. Io guidavo e lui, naturalmente, stava stravaccato dietro, la chitarra ancora al collo. 'Dove stiamo andando?'
'A casa.'
'A fare cosa?'
Sbuffai. 'Prima è passata Nina allo studio.'
Si mise seduto di scatto e suonò.
"Oh Nina
You should go, Nina
'Cause I ain't never coming home,
In a road, won't you leave me now,
And I've been living on the road, Nina
And then again you should know, Nina
Cause that's you and me
Both in a road, won't you leave me now
Now."
Ci fu un bel po' di silenzio. 'E quello cos'era?' la mia voce era fin troppo stridula. 'Che c'è, non ti piace?' Oh, sì che mi piaceva, mi piaceva da morire. Era fin troppo bella. Era una cosa inconcepibile, conosceva me da una vita ormai e mai niente, e poi è apparsa questa Nina e in una giornata che si conoscevano, lui le aveva già scritto una canzone.
'No, è meravigliosa.'
'E allora cosa c'è?' Cosa c'è, mi ha chiesto. C'è che non è per me, Ed!
'C'è che non riesco a capire quando hai avuto il tempo di comporla.'
Si strinse nelle spalle. Parcheggiai e salimmo in casa. 'Quando pensi di comprarti una macchina?'
'E perchè dovrei? Poi non avrei più il piacere della tua presenza.' Gli diedi una gomitata, mentre cercavo le chiavi nella borsa.
'Sai com'è, magari voglio vivere la mia vita senza dipendere dai tuoi orari impossibili.'
'Sono io che dipendo da te'. Oh, questa è nuova, pensai. Sei senz'altro tu quello che non vivrebbe senza di me, non il contrario. Aprii la porta e ci dirigemmo verso le rispettive camere senza un'altra parola. Mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi. Quando li riaprii, guardai l'orologio e - ovviamente - era tardi. Mi alzai controvoglia facendo mentalmente la conta del cibo che avevamo in casa. Ed avrebbe dovuto fare la spesa qualche giorno prima, era il suo turno, ma qualcosa mi diceva che non ci era andato. Andai in cucina, ma lui era già lì e cercava di "cucinare". Probabilmente aveva già fatto carbonizzare qualcosa. 'Ed?' Si voltò con un sorriso enorme, degno di Nina, e mi guardò. Indossava gli occhiali da vista e un cappellino di carta ridicolo. 'Perchè hai quel coso?' scoppiai a ridere.
'Ho voluto farti una sorpresa.' sfoggiò un sorriso orgoglioso.
'Perchè?' lo guardai perplessa.
'Davvero? Dio, non ci posso credere! Chi è che si dimentica del proprio compleanno?'
'Che? Compleanno? Ma che giorno è?' Lui scoppiò a ridere, mentre la sua testa veniva circondata da fumo nero. Tossì, imprecò e cercò di rimediare, ma ormai il cibo era andato. 'Ma cosa stavi facendo?'
'Uova, ma a quanto pare non so fare nemmeno quelle.'
'Eddy, tu renderesti immangiabile anche dell'insalata.' risi. Lui si passò le mani tra i capelli e borbottò qualcosa. 'Fatti bella che come regalo di compleanno ti porto con me al concerto di Taylor. Scusami se me ne sono dimenticato per tutto il giorno.' Mi si avvicinò deciso e si fermò di fronte a me, pericolosamente vicino. Si sporse e mi diede un bacio sulla guancia. 'Buon compleanno.' Mi sussurrò, poi prosegui dicendo qualcos'altro, ma ero troppo distratta dall'ustione che avevano lasciato le sue labbra sulla mia pelle. 'Mmh?'
'Vado a farmi una doccia.' ripetè dal corridoio.
'Muoviti che devo farla anche io,' mi riscossi.
'Puoi venire come me, se vuoi.'
Fui grata del fatto che fosse in un'altra stanza, perchè arrossii violentemente. 'Scemo,' gli urlai, ma lui aveva già aperto il getto della doccia e aveva inziato a cantare a squarciagola la canzone che doveva fare quella sera.
'...And I'll take'em down, take'em down, and open up the door for you...'
Dopo qualche minuto, nella doccia c'ero io, e lui era fuori con l'asciugamano allacciato alla vita e al telefono con una pizzeria da asporto. Mi misi in pigiama per la cena, mangiammo pizza e patatine e bevemmo una birra. Parlammo durante tutto il pasto, poi lui tacque, tutto concentrato su una patatina solitaria, l'unico resto della sua pizza, e io rimasi a guardarlo.
'Ti ricordi che questo pomeriggio ti ho detto che dovevamo parlare di una cosa?' mi disse ad un certo punto, senza staccare gli occhi dalla patatina. 'Mmh mmh' feci io, mentre finivo l'ultima mia fetta di pizza. Avevamo mangiato sul tavolino davanti al divano. 'Io ti piaccio?'
Tossii, il boccone mi andò di traverso. Ed, non mi puoi chiedere queste cose, Dio santo!' Lui mi guardò innocentemente e portò un bicchiere d'acqua. 'Stai -'
'Ed, perchè me lo hai chiesto?!' Ero sull'orlo dello svenimento. E se si fosse dichiarato? No, no, non ero pronta.
'Te l'ho chiesto...' scoppiò a ridere - mannaggia a te Edward - 'Te l'ho chiesto perchè ogni volta che ti guardo, tu mi stai già guardando da chissà quanto'. Non la smetteva più di ridere. 'Vado a cambiarmi,' dissi, simulando un ottimo broncio. Mi alzai, ma lui mi trattenne, prendendomi per un polso, che prese fuoco. 'Non mi hai risposto.' disse con un sorriso maltrattenuto. Dio, e ora? Se avessi indugiato troppo avrebbe capito, se non avessi risposto avrebbe capito e se gli avessi risposto gli avrei detto di no e avrebbe capito che mentivo. L'unica era dire di sì e prenderla sul ridere. Oppure, la verità. No, la verità no. Okay. Sì, Ed, è dalla prima volta che ti ho visto che sono follemente innamorata di te. 'No, Eddy Teddy. Sei quasi il mio migliore amico! Il mio fratellino ginger.' scoppiai a ridere, morendo dentro. Eddy Teddy? Fratellino ginger? Ma da dove mi era uscito? Lui sembrò più ferito che sollevato, e mi lasciò andare accennando una risata fintissima. Io andai in camera mia e mi chiusi la porta alle spalle. Sono un'idiota.

Quando riemersi dalla mia stanza, tutta vestita e agghindata, la figuraccia di poco prima non era ancora sfumata, per questo ero un po' inquieta quando Ed si mise a fissarmi insistentemente. 'Cosa?' Dissi, palesemente confusa. Sembrava imbambolato. I suoi occhi, prima intrecciati ai miei, mi percorsero il corpo, partirono dai capelli castani, sciolti sulle spalle, e arrivarono fino alla punta delle biance scarpe col tacco che indossavo. Indugiarono sulle curve del mio vestito rosso, corto, ma non volgare e senza spalline. Scommetto che quasi non aveva notato il coprispalle bianco come le scarpe, che copriva per metà il tatuaggio che avevo appena sotto la clavicola destra. Una frase che allora non voleva dire ancora niente: "people fall in love in mysterious ways, maybe just the touch of a hand". Accennai un sorriso incerto. 'Cosa c'è?' Iniziai a preoccuparmi. 'Ed?' Lui si riscosse come da un sogno.
"You look so wonderful in your dress
I love your hair like that."
'Sei bella.'
Io inarcai le sopracciglia. 'Nei film dicono " sei bellissima".' gli regalai un sorriso sollevato.
'Oh, ma non siamo in un film. Siamo nella realtà e grazie a Dio, perchè sei davvero bella da togliere il fiato.' Arrossii. Era perfetto. L'unica cosa che doveva fare ora era avvicinarsi, stringermi forte e dirmi che mi avrebbe amata per sempre. Ma non lo fece, ovviamente. 'Dai, andiamo.'
Stranamente non era tardi e stranamente Ed non chiese di guidare, così mi sedetti al posto di guida e lui di fianco a me, non dietro. Stranamente. Era da una mezz'oretta che guidavo quando mi accorsi del suo sguardo. Lui era appoggiato con molta nonchalance al sedile e teneva la testa reclinata dalla mia parte. Non lo vedevo chiaramente, ma lo sentivo. Sentivo il suo sguardo pesante su di me, come lo avevo visto scavare Nina al Mcdonald's. E se...? Magari non mi guardava neanche. Magari dormiva e io mi facevo fantasie per niente. Ma tanto valeva provare, no?
'Eddy, potresti cortesemente smetterla di fissarmi?' dissi, lo sguardo fisso sulla strada.
'Non ti sto fissando' disse lui e io imprecai mentalmente per il mio errore, ma poi lui concluse la frase e mi lasciò spiazzata. 'Ti stavo mangiando con gli occhi, è diverso.' Voltai la testa e lo guardai negli occhi, solo un momento poi tornai a guardare la strada. 'Hai bevuto?' Parlando di lui tutto era possibile.
'No. Sto solo apprezzando la bellezza della mia coinquilina. Da quant'è che viviamo insieme? Due? Tre anni?'
'Di più, signorino. Saranno cinque, ormai.' Avevo capito dove voleva andare a parare.
'Gia, e quante ragazze mi sono portato a casa io?' Ecco, appunto.
'Fin troppe, stallone.' Lui si concesse un sorriso orgoglioso.
'Già. Ma tu? Tu neanche un uomo. Okay, magari vai tu da loro o magari non ci sono neanche stati questi misteriosi uomini, fatto sta che -'
'Ed, mi stai dicendo che stai preoccupando per me perchè non porto uomini a casa da cinque anni? Perchè dovresti escludere tutte le notti di questi cinque anni dove non eri cosciente, barra, in casa. E non sono poche.'
'Il fatto è che -' provò a riprendere, ma io lo interruppi di nuovo.
'Cos'è, hai paura che sia lesbica?'
'No, io -'
'Non li porto a casa perchè ho un po' piu pudore di te! Credi di essere molto silenzioso, vero? Beh, sappi che la nostra casa ha le pareti molto sottili.' Lo vidi inarcare le sopracciglia e serrare le labbra.
'Quello che cercavo di dirti è che non mi sembra probabile che una ragazza bella come te,' Oh, mio Dio, ma cosa sta dicendo? 'Sia ancora sola. Perchè sei sola? Non ti sei ancora innamorata? Sei così bella.' Basta Ed, basta dirmi che sono bella.
'Sai a volte non basta essere belle' cercai di fermarlo, ma lui continuò.
'Nessuno di quegli idioti con cui sei uscita si è innamorato di te? Ma come fanno a non accorgersi?' Ed, sei proprio un idiota.
'La verità è che' - è di te che mi sono innamorata - 'sto aspettando quello giusto.' Oh, tu sarai la mia rovina.
'Certo. Quello giusto.' Disse lui sarcastico.
'Hey, senti, ma cosa ti importa se mi sistemo o no? Magari voglio stare da sola!' Voglio stare con te, imbecillee.
'Chi vuole morire da solo?'
Tacqui. Ci fu una lunga pausa. Molto lunga. Arrivammo nel parcheggio del teatro dove ci sarebbe stato il concerto, spensi il motore, ma rimanemmo in macchina.
'E se l'uomo della mia vita fosse innamorato di un'altra?'
'A quel punto esigerei di sapere il nome e l'indirizzo per andarlo a prendere a pugni personalmente.'
'Ah, questo è il colmo!' Come sono ciechi gli uomini.
Mi ci volle qualche attimo per rendermi conto che lo avevo detto ad alta voce, ma lui si rivelò più ottuso del previsto.
'Perchè?'
'Perchè cosa?'
'Perchè è il colmo?'
'Cosa?' Provai la manovra difensiva del rispondi-con-una-domanda.
Lui mi guardò di traverso.
'Smettila.'
'Di fare cosa?'
'Di fare così.'
'Ed, per l'amor del cielo, parla  chiaro!'
'Smettila di rispondere alle mie domande con altre domande.' Mi aveva incastrato. Ci fissammo. Lui contrasse la mascella e le mie difese crollarono del tutto con quel gesto.
'Voglio sapere come si chiama.'
'Tu non fai sul serio.' mi slacciai la cintura.
'Dimmi il nome.'
'Altrimenti?'
Serrò la mascella, di nuovo. Io scesi dalla macchina sbattendo la portiera e lui mi seguì. 'Il nome, Victoria.'
Mmh, Victoria. Nome di battesimo. La situazione era grave.
'Prendi le tue robe, ti aspetto dentro,' iniziai ad avviarmi, sperando di salvarmi. Ma lui mi afferrò il polso e mi tirò indietro. Lo guardai intimorita e lui mi gettò uno sguardo arrabbiato. 'Mi fai male.' Mormorai. Mi lasciò di colpo, la rabbia era svanita. 'Dio, mi dispiace tanto. Ti ho fatto male?' Lo guardai come se fossi un alieno e corsi via - con quello che i tacchi mi permettevano.
Forse aveva bevuto. Lo sperai, non si era mai comportato così. All'entrata per il backstage i buttafuori non mi fecero passare, ovviamente. Sentii il tocco di una mano sulla spalla, da quale mi scostai alla svelta, aspettandomi di vedere Ed. 'Lei è con me' disse Nina, con un sorriso e la voce tutta delicata. 'Dov'è Eddy?'
'Non mi chiamare così.' Apparve, cupo, con la custodia della chitarra su una spalla e un paio di borsoni pieni zeppi di roba del mestiere sull'altra. Io voltai lo sguardo verso la ragazzetta bionda. 'Cosa ci fai qui?' Mi sforzai di essere cortese.
'Oh, in realtà mi ha invitato Ed.' Il mio sguardo divenne improvvisamente glaciale.
'Ragazzi,' una ragazza fece un gesto da dentro il teatro, dietro le spalle muscolose dei buttafuori e corse dalla nostra parte. 'Billy, Matt, fateli passare' le labbra inondate di rossetto si schiusero in un sorriso bianchissimo. 'Nina Nesbitt'  Nina le allungò la mano, che strinse. 'Taylor Switf.'
'Oh, lo so!' Disse lei adorante. Taylor si rivolse a me. 'Tori, vero? Tori Mern? Ed mi ha parlato tanto di te. Tanto auguri.' Allungò la mano. La strinsi. 'Ma davvero?' Commentai ironica, evitando di guardarlo.
'Comunque grazie per gli auguri,' sforzai un sorriso. Taylor Swift era bella, proprio come sembrava dalle foto. Alta, snella, perfetta. Indossava una larga camicia bianca che le ricadeva morbida sui pantaloncini di jeans a vita alta. Era una favola.
'Sei proprio bella come ha sempre detto' concluse, allontanandosi con un paio di scuse, e trascinandosi dietro Nina. Dopo quell'ultimo commento, non potei evitare di guardare verso di lui. Anche lui guardava di qua. Lo vidi deglutire, vidi il pomo d'Adamo fare su e giù e mi accorsi che alla fine non se l'era fatta la barba. Aveva gli occhi tristi. Era così bello in quella camicia blu. Era la mia preferita, quella a scacchi bianca e blu, con le sfumature e i colori intrecciati. Era abbottonata fino in cima, tranne il bottone del colletto, ma le maniche erano tirate su ai gomiti e lasciavano vedere i colori vivaci dei tatuaggi. Indossava i soliti jeans neri, quei jeans che, all'inizio della nostra convivenza, avevo pensato ne avesse un armadio pieno. Non badai neanche alle scarpe, avevo ben altro per la testa, qualcosa di decisamente più malato. Mi avvicinai, i suoi occhi non si staccavano dai miei. Gli misi le mani sulle spalle e me lo tirai vicino. 'Sei bello.' Gli sussurrai all'orecchio. I nostri corpi erano a contatto, ogni parte del mio era in fiamme, contro di lui. Mi passò un braccio dietro la schiena e mi tirò più vicina graffiando l'aria fuori dai miei polmoni.
"And hold me tight
Don't let me breathe..." mormorò.
Le nostre bocche si incontrarono, labbra con labbra, lingua con lingua. I nostri respiri si unirono, sentii quella barbetta incolta graffiarmi dolcemente il viso. Ero come in un altro mondo, potevo volare e i sogni diventavano realtà. Mi mise le mani sulla nuca, tra i capelli, mi tirava più vicino, eravamo a una distanza che non si poteva più definire distanza.
'Fate pure con comodo'. Una voce ci separò con violenza. Era un tecnico. Uno stramaledetto tecnico aveva messo fine agli attimi piu belli della mia intera vita. Quando mi concentrai di nuovo su di lui e smisi di insultare mentalmente quel povero tecnico, lo vidi sorridere estasiato.
'È-stato-incredibile.' Rise. 'Dovremmo farlo più spesso. Come facevi a saperlo? Te l'ha detto Taylor, vero?' La sua risata era incontrollabile, ma io non capivo.
'Detto cosa?'
'Come, cosa? Del bacio! Che sarebbe stato il mio regalo di compleanno. Pensavo che saltasse per la nostra litigata.' Rideva.
Rideva.
Il mio mondo annegava e lui rideva. Regalo di compleanno? Per lui era stato solo questo? Non un abbandono alla passione, non altro?
Il respiro mi accelerò, lo stomaco di strinse. Non mi accorsi neanche di aver mosso la mano, tanto fu veloce. La sua risata si smorzò all'improvviso, tutto intorno la gente tacque, tutti si fermarono a guardare. Un colpo sordo. Ed rimase in piedi, le braccia abbandonate lungo i fianchi e un gigantesco segno rosso sulla guancia sinistra. Gli avevo dato uno schiaffo? Uno schiaffo. Ah, ah, chi ride ora? Uscii da dove eravamo entrati, con calma, seguita dagli sguardi di tutti, tranne che il suo, fisso davanti a sè. Salii in macchina e guidai per tutta la notte.

Rimase fuori tre giorni e quattro notti. La mattina del quarto giorno lo trovai svenuto sul divano. Probabilmente aveva bevuto un bar intero. Non sapevo dove era stato e, francamente, non mi importava. L'unica cosa che feci fu controllare che avesse ancora polso, per eliminare l'ipotesi che mi avessero riportato un cadavere. Il polso c'era. Intorno alle undici, la stessa mattina, Nina bussò alla porta.
'È sul divano.' Fu l'unica cosa che dissi appena aprii la porta, poi feci per tornare in camera mia.
'È con te che volevo parlare.'
'Non voglio parlare con te.'
'Ma devi.' Mi sorprese il tono fermo, senza quella traccia di gentilezza che ormai era un must nella sua personalità. Non avevo voglia di litigare di nuovo. Considerai la possibilità di ascoltarla, poi decisi di fare finta di ascoltarla e annuire, così me la sarei tolta dai piedi.
'Guardalo' non lo feci. Sapevo fin troppo bene in che stato era.
'Sai da quanto tempo è così?'
'Tre giorni, quattro notti'. E questo fu il mio primo errore, avevo contato i giorni. Secondo, avevo risposto troppo in fretta. Mi guardò compiaciuta
'Appunto.' mantenne il contatto visivo. 'È mai successo?'
'Un sacco di volte.'
'Bugiarda.' altre sorprese da quella ragazzetta minuta. Ma era sicuro che avesse la stessa età di Ed?
'Dimmi che cosa vuoi e levati dai piedi.' Troppo brusca? In fondo non ce l'avevo con lei. No. Era questo il problema. Io ce l'avevo con lei. Per avermi rubato Ed e per essere la minuta ragazza graziosa e gaia che lo aveva fatto innamorare. Mantenni lo sguardo duro.
'Voglio che parli con lui, che vi chiariate. Voglio riavere il mio Ed indietro.'
'Il tuo Ed?' Ah, ah, questa era proprio bella.
'Lo conosci da cinque giorni e quattro di questi è stato perennemente in quasi-coma etilico.'
'Siamo stati insieme e ora lo siamo di nuovo.'
Quelle parole mi colpirono come un pugnale tra le scapole. 'Da quando?'
'Da quando ci siamo visti la prima volta a scuola. E poi ancora al colloquio, mi ha preso la mano, mi ha baciata e abbiamo ricordato i bei vecchi tempi.' Sentii un gusto amaro in fondo alla gola.
'È di questo che volevi parlarmi? Perchè puoi anche andartene ora.'
'Quello di cui volevo parlarti' mi disse prendendomi le mani, le ritrassi, 'è di come lui abbia un disperato bisogno di te. Lo vedi anche tu.'
'Non dopo quello che mi ha fatto.' Come potevo anche solo prendere in considerazione l'idea di perdonarlo. E poi lui stava con Nina, possibile che non le creasse problemi, la situazione?
Nina sospirò. 'Dopodomani dobbiamo partire per il tour. Decidi tu se aiutarlo o lasciarlo così. Ah e guarda qui. Prima pagina, complimenti.' Mi lanciò un giornale con un'espressione di amarezza - allora le dava fastidio! Bene. - e uscì dalla porta. Non la rividi per un bel pezzo. Guardai il giornale, aveva ragione, la prima pagina. "La star della musica britannica Ed Sheeran ha fatto conquiste, chi è la nuova fortunata?" Diceva il titolo e sotto c'era una foto molto nitida del nostro bacio. Mi venne da piangere. Gettai il giornale di lato e ricacciai le lacrime con prepotenza, accostandomi al suo corpo svenuto. Era ancora vestito come il giorno del concerto. Gli mancava una scarpa, aveva i pantaloni strappati in un paio di punti e alla camicia sporca mancavano tre o quattro bottoni. Sembrava appena uscito da un incontro di wrestling. 'Ed?' Non lo volevo toccare. 'Ed.' Non si muoveva neanche. Mi inginocchiai vicino alla testa e notai che aveva un occhio nero e il sopracciglio spaccato. 'Ed. Svegliati.' Nessun segno. Gli sfiorai la guancia ruvida di barba, poi mi alzai e andai a gettare la faccia nel mio cuscino. Urlai e soffocai l'urlo. Quando mi rialzai, lui era sulla soglia. Gli corsi incontro, gli tirai pugni sul petto e piansi. Dio, se piansi. Lui mi prese delicatamente per i polsi, ma continuavo a colpirlo. Lui aspettò e quando mi placai, mi spinse le braccia di lato e mi abbracciò forte. Le fiamme dei nostri corpi non erano mai state così ustionanti. Mi abbandonai nel suo abbraccio, appoggiai la fronte tra il collo e la clavicola, respirai il suo odore familiare e piansi ancora.
'Mi dispiace.' La sua voce era roca come tutte le mattine, ma lui questa volta era lucido. Come facevo a rimanere arrabbiata, a cacciarlo, a non toccarlo mai più, a non parlargli. Ero debole e dipendente, lui era la mia droga. Mi prese il viso scosso dai singhiozzi e mi asciugò le lacrime con le mani pallide e fresche.
'Vi siete messi d'accordo' la mia voce era un soffio. 'Era per far sfogare me, non per far riprendere te.' Non ero nemmeno arrabbiata, ero stata sfinita dalla rabbia in quei tre giorni.
'Sono stato male anche io -'
'È vero che dopodomani parti? Un tour? Perchè non me lo hai detto?'
'Starò via otto mesi.' Otto mesi erano un'eternità di tempo. Non mi poteva portare con lui? Come se mi avesse letto nella mente disse 'Ci porto Nina... In giro per gli Stati Uniti.' Ovviamente. La sua Nina. Il suo Ed. Così partirono, ci sentimmo tutti i giorni, compose altre canzoni ed era felice, poi all'improvviso, nell'ultimo mese di tour non più una parola.
Tornò una sera, io ero sul divano a leggere e a chiedermi se fosse stato rapito da un qualche gruppo terroristico, aprì la porta con un calcio che mi fece volare il libro dalle mani, la richiuse e, lasciando tutta la sua roba all'entrata, andò in camera sua, sbattendo con violenza la porta. 'Ed...' Mi accostai alla sua porta dopo qualche minuto. 'Edward?'
Sentii un paio di note fuggire dalla chitarra. ''We're not, no, we're not friends..." Iniziò a cantare una delle sue nuove composizioni. Si interruppe. Sentii un forte colpo, il rumore del legno che si spezza.
Uscì dalla camera con una bottiglia di whiskey vuota per tre quarti nella mano destra.
'No forse è meglio
"Take my hand and my
Heart and soul, I will
Only have these eyes for you". Sai non lo so. Nina se n'è andata e io sono molto contento. Questa qui - indicò la bottiglia - è la mia migliore amica, se vuoi te la presento.'
'Oh, sì ti prego, posso vederla meglio, bravo, ecco, così.' Gli sfilai la bottiglia e la feci rotolare qualche passo più il là. 'Vieni con me.' Gli misi una mano intorno al fianco e lui portò il braccio a circondarmi le spalle. Andammo in bagno. Aprii il getto gelato della doccia, gli sfilai la maglietta - cosa che poteva anche essere evitata tanto non sarebbe cambiato niente, ma lo feci più per sfizio personale che per altro - lo misi sotto il getto e lo lasciai li. Stetti un attimo a guardarlo e tutto era a posto, poi barcollò e le gambe cedettero. Lo presi al volo e lo tenni su. Ci trovammo insieme sotto il getto. Io non riuscivo quasi a respirare, un po' per quell'acqua orribilmente gelata e un po' per quella vicinanza dopo così tanto tempo. Al limite dell'annegamento chiusi l'acqua e rimasi grondante a sorreggerlo. No. Non lo stavo più sorreggendo. Mi stava abbracciando. E piangeva.
'Se n'è andata anche lei.' Non sapevo cosa fare, quindi rimasi in silenzio. 'È andata via, Tori, non torna piu da me. Io la amo.' Già. Ma che mi tocca sentire, pensai. Sarò pure una persona orribile ma ero contenta che Nina se ne sia andata, lo sono ancora. Sinceramente non vedevo l'ora. Mi prese per le spalle e sciolse l'abbraccio. Mi guardò con quegli occhi di neve. 'Tu non te ne andrai, vero?'
Mi stava supplicando?
'Dimmi che starai con me per sempre.' Io te lo direi anche, pensai, ma a) sei ubriaco e probabilmente domani non ti ricorderai niente, b) vorrei farlo, vorrei stare con te per sempre, ma sei tu che non mi calcoli.
'Certo, Ed. Per sempre.'
Per tutta la settimana successiva Ed inaugurò una nuova routine - neanche troppo nuova. Usciva la sera e tornava - se tornava - ubriaco marcio. E a me questa cosa andava anche bene, non che fosse un cosa positiva, ma alla fine gli sarebbe passata. Un paio di volte avevo anche provato a uscire con lui e dargli una regolata, ma mi ero ubriacata anche io e la situazione mi era scivolata di mano. Oppure un'altra volta quando dopo due cocktail gli si era appiccicata una ragazza e a fine serata non stavano più un piedi. Quella sera, quei due, che stavano attaccati come anguille da un paio d'ore almeno, avevano fatto per alzarsi ancora avvinghiati ed erano barcollati entrambi tra il tavolino di cristallo e il divanetto in pelle, in un groviglio di braccia e gambe. E fu a quel punto che me ne andai. Un'altra sera invece rimase a casa e forse quella fu la serata peggiore. Era giovedì, più o meno le due di notte. Senza chitarra nè niente, con la sola voce intonò una canzone spaventosa. Sì, spaventosa era la parola giusta. Spaventosamente bella, spaventosamente triste, spaventosamente tutto. Non mi svegliai subito, nonostante la voce fosse alta e chiara.
"Will your mouth remember the taste of my love?"
Mi issai sulle braccia, avvolta, intorpidita dal sonno e dalla sua voce.
"Will your eyes still smile from you cheeks?"
Mi svegliai completamente, mi alzai e sporsi la testa sul corridoio che portava in salotto. Vidi i suoi piedi nudi spuntare dalla lato destro del divano. Uscii piano in corridoio e mi appoggiai allo stipite, all'imboccatura della stanza.
Sorrisi, ma era un sorriso triste.
"I'm thinking 'bout how
People fall in love in mysterious ways,
maybe just the touch of a hand."
Allungò l'ultima parola, alzò il timbro e quasi riuscii a rentire l'accompagnamento della chitarra che non c'era. Ma, sinceramente, non stavo capendo più niente. Quella frase mi aveva rapito. Quella frase. Mi portai una mano alla clavicola, sfiorai la scritta di inchiostro, incastonata nella mia pelle. Aveva messo il mio tatuaggio nella sua canzone.
"Oh me, I fall in love with you every single day,
I just wanna tell you I am.
So honey now,
Take me into your loving arms
Kiss me under the light of a thousand stars
Place your head on my beating heart
I'm thinking out loud
Maybe we found love right where we are."
Dentro di me si agitarono diverse cose. Felicità, tristezza, rabbia, impotenza, dolore. Quelle parole mi distruggevano, mi frantumavano. E l'intonazione che usava, poi. Tutta la sua esperienza, i suoi sentimenti li riversava in quelle parole, in quella voce.
"-... When my hands don't play the strings the same way, mmh
I know you will still love me the same."
Un brivido mi attraversò la schiena, lui cantava.
Stavo per crollare, lo sentivo, non sapevo perché, non lo so ancora, ma quella canzone mi toglieva ogni speranza, esauriva le mie forze e mi faceva innamorare delle parole come mai nient'altro aveva fatto. E quella voce. Tornai di corsa nella mia stanza e socchiusi la porta, incurante del baccano che avevo fatto. Ma lui non si fermava. Continuava e mi colpiva con la più affilata delle lame.
"I'm thinking 'bout how
People fall in love in mysterious ways,
Maybe it's all part of the plan.
I just keep on making the same mistakes,
Hoping that you'll understand."
Tremai violentemente. Basta, basta, basta, basta.
"So baby now"
Fu l'ultima goccia. La voce era salita, era carica di rabbia e dolore, era carica di tutto ciò che era lui. Aveva graffiato, come piaceva a me. Presi le chiavi di casa e una felpa e uscii di corsa. Lui si era alzato dal divano, era in piedi e cantava a occhi chiusi. Quando chiusi la porta dietro di me e mi trovai fuori, la sua voce cessò e ci fu silenzio. Me lo immaginai in piedi, con quell'aria smarrita e adorabile a guardare verso la porta, domandandosi se aveva fatto qualcosa di sbagliato, di nuovo. Andai a fare una passeggiata nel gelo della notte e mi sedetti su una panchina. Non c'era nessuno in giro. Ripresi il controllo di me stessa e ripensai a come quella manciata di parole e la sua voce mi avessero scosso. Mi accorsi che ero felice. Come sono complicate le emozioni umane, non ci capivo più niente. Faceva davvero un freddo disumano.  Guardai l'ora, tre e zero sette. Quando decisi che stavo per morire per congelamento, mi alzai e tornai a dirigermi verso casa. Ma sentii dei passi. Mi voltai e vidi un'ombra sgusciare dietro un albero. Tutto il gelo dell'esterno mi si infilò nelle vene. Tutto dentro di me gridava di correre a casa e chiudermi dentro, ma feci come fanno le protagoniste di qualche film horror quando sentono un rumore in una casa infestata dallo spirito di un assassino psicopatico. 'Chi c'è?'
La mia voce riecheggiò per la strada deserta. Feci un paio di passi indietro e mi voltai, fermamente decisa a correre verso casa. Mi trovai davanti a un'ombra scura che smorzò il mio grido angosciato con una mano pesante sulla bocca. Mi spinse violentemente in un vicolo, inchiodandomi al muro di mattoni.
Non potete immaginarvi la paura che mi attanagliò.
I denti marci brillarono in quella bocca estranea.
'Ciao piccola, che ci fai tutta sola a quest'ora?'
Poi quel corpo mi si levò di dosso così improvvisamente come era arrivato. Mi accasciai contro il muro, mentre un'ombra familiare pestava pesantemente quella che mi aveva assalito prima. 'Ed' mi rialzai in piedi a fatica, la mia voce tremava. Lui non si fermava, lo copriva di pugni. 'Ed.' Ripetei più ad alta voce, ferma. Lui si bloccò con l'ennesimo pugno a mezz'aria. Si alzò e corse verso di me, io ero schiacciata sul muro. Mi strinse delicatamente le braccia, le spalle, mi portò le mani alle guance bagnate dalle lacrime di sollievo.
'Oh, mio Dio, stai bene?' Il suo respiro era pesante, gli occhi pieni di terrore. 'Stai bene? Non ti ha -'
'No' lo interruppi, ma non riuscii a reprimere il brivido al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere. Mi strinse forte, io scomparvi tra le sue braccia. Quando ci sciogliemmo, Ed si voltó di nuovo verso l'uomo che mi aveva aggredito, ma era scomparso. Imprecò tra i denti, ma io gli toccai il braccio. 'Andiamo a casa.'
Ed esitò un attimo. 'Per favore.'
Andammo a casa.
Dopo una settimana di non-vai-da-nessuna-parte-senza-di-me, nella sobrietà più totale, avevo deciso che avrei preso questa storia - così come gli avvenimenti della passata settimana - decisamente sul ridere, anche perchè altrimenti sarebbe stata una tragedia degna di Shakespeare. Ma il fatto era che non c'era niente da ridere, perché poi arrivò quell'altra notte, del tutto inaspettata.

"Ero in piedi. L'ambiente era buio, infinito. Sotto un cono di luce c'era un manichino tutto bianco, con le forme di donna. Fu un attimo e quel manichino ero io. Entrai in quel corpo di plastica e lo vidi piano piano prendere fuoco, ma era un fuoco piacevole, un fuoco travolgente e potente come solo il tocco di una persona, di quella persona, poteva essere. Iniziarono le gambe, ma fu un tocco leggero, erano state solo sfiorate. Delle mani invisibili mi cinsero i fianchi di plastica e li mandarono a fuoco. Una proseguì in su, lasciò una scia di scintille lungo la linea delle costole e rimase, bollente, a stringere quel corpo che non mi apparteneva, appena sotto il seno.
Poi sentii quel respiro avvicinarsi, sentii delle labbra ustionarmi la pelle del collo, rimanere leggere, piacevoli, con quel calore travolgente e ripetersi uno vicino all'altro, piccoli baci di brace. Mi si mozzò il respiro, nella semicoscienza mossi le braccia, strinsi una nuca invisibile, una nuca di fuoco, passai le dita tra i capelli ardenti e lo tirai piu vicino, tirai quelle labbra prepotenti più vicine, più forti, non ne potevo più fare a meno. Ogni nostro contatto provocava una fiammata incontrollabile."
Mi svegliai.
Mi svegliai e il respiro mi si inchodò in fondo ai polmoni. Una figura scura, una figura paurosamente reale mi sovrastava. Quella paura che mi tormentava dalla settimana precedente, si impossessò di me, di nuovo.  Iniziai a tremare incontrollabilmente, ma quando riconobbi quella figura volli morire. 'Ed?' Il mio sussurro era stato un urlo rauco. 'Cosa - che cosa stai facendo?' Un urlo sottovoce, stridulo, carico di angoscia. Lui si avvicinò e mi bacio piano la clavicola. Il mio cuore iniziò a galoppare, il respiro non accennò a tornare e sentii di nuovo quel fuoco che mi aveva avvolto nel sogno. Le sue labbra non si volevano allontanare, premevano sul mio corpo, sul mio collo, sulle spalle e lasciavano mille piccole ustioni dove passavano. 'Ed' mormorai priva di forze, incapace di respingere quelle labbra che avevo tanto voluto. 'Ed' ripetei. I suoi occhi pieni di mondo si fissarono nei miei. Erano chiari, completi e mi chiamavano. Eravamo così vicini che potevo respirare la sua aria, quasi sentire i suoi pensieri, i nostri respiri si mescolavano e tornavano ad appartenerci. Mosse lievemente la mano che teneva sulle costole, e solo allora mi accorsi che c'era. Le nostre labbra, così vicine che si sfioravano, si agitavano irrequiete, affamate le une delle altre. 'Ed' lo dissi per un ultima volta, per accertarmi che fosse tutto vero che lui fosse li, che fossimo entrambi svegli, entrambi lucidi. Poi lo sentii. I miei sensi si risvegliarono di colpo. Sentii il forte puzzo di alcohol e di sudore che emanava lui. No. No, no, no, no, Ed, no.
Ubriaco.
Per un attimo mi chiesi se mi andava bene lo stesso. Insomma, era sempre lui, ubriaco o no, cosa cambiava? Strinsi la presa dietro la sua nuca, cercai il coraggio di avvicinare le nostre bocche, ma non ce la feci. Io volevo un Ed cosciente, un Ed che sapeva cosa stava facendo. Lui non lo era. Pian piano ripresi a respirare. Molto piano. Stavo per allontanarlo quando lui rovinò tutto quanto. Pensai di morire soffocata. Sussurrò tre parole, tre fottute parole che mi scatenarono dentro miliardi di domande. 'Io ti amo.' aveva detto. Come, scusa? Mi ami? 'Ami chi?'
'Amo te. Ti amo. Ti amo.' Il suo sussurro era implacabile, non mi lasciava spazio per respirare, per sopravvivere. Io ti amo, aveva detto. Ma era ubriaco. Potevo fidarmi?
Eravamo ancora a meno di un millimetro, le nostre labbra erano lì, non c'era spazio per le parole, ma lo dissi lo stesso. 'Dì il mio nome.'
Ti amo, ti amo, ti amo, lui ripeteva solo quello. 'Dì il mio nome.' I nostri respiri si fecero pesanti, pronti.
Mi si accostò all'orecchio, ero pronta, ero felice. 'Ti amo, Nina.'

Il mio cuore si fermò.
Non è una metafora. Si fermò sul serio e non ripartì per qualche secondo. Morii. No, sarebbe stato meglio morire. La mia anima morì, e la mia dignità. E la mia capacità di essere di nuovo felice.
Tutto morì di me, a parte il mio corpo, che doveva essere l'unico a morire. Non sopravvisse niente. Non mi ricordo neanche cosa successe dopo. Come lo cacciai dal mio letto, cosa successe il giorno dopo, cosa mi disse, se pianse. Io feci le valige e me ne andai dall'altro capo del mondo a vivere la mia fortuna nel più disgustoso dei modi. E ora sono passati tanti, tantissimi anni, o solo pochi giorni, non so. Sapete cosa so? Che non amerò mai più.
  
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