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Autore: EsterElle    10/09/2014    1 recensioni
Nella terra di Cadmow tutto sta per cambiare. L’armonia che vi ha sempre regnato, l’equilibrio voluto da Dira, la perfetta partizione di un potere enorme: ogni cosa è destinata ad essere sconvolta. Sconvolta, per rinascere a nuova vita.
Ambizione, tradimento, menzogne e segreti; un velo cupo si stende sulla storia delle quattro Regioni. A districarsi tra le torbide acque del mare in tempesta sono due ragazzi, destinati ad essere nemici, entrambi simboli del cambiamento.
Come salvarsi dal crollo di una civiltà? Come sanare un mondo destinato alla rovina?
“Noi siamo Guardiani per volere di Dira e Dira ha fatto si che, per millenni, quattro Guardiani proteggessero il suo popolo. Questa è la Grande Magia, questa è la Sua volontà. Chi sei tu per sovvertire le leggi della natura?”
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
Rombi di guerra


 


“Una giornata splendida, fratello, non trovi?”
“Il sole e le nubi gioiscono con noi, caro amico, nell’avvicinarsi del grande giorno. Un chiaro segno del cammino tracciato da Dira”.
“Prego, mio Signore, per detergere il sudore dalla vostra fronte”.
Dima accolse la pezzuola umida che fratello Agos gli porgeva con gratitudine. Era un giorno caldo e umido, assai diverso dall’abituale temperatura mite di Odundì.
Non c’era vento a portare un po’ di ristoro al ragazzo. Poggiato alla palizzata del Prato, Dima respirava pesantemente, tenendo entrambe le mani sulle grosse assi di legno chiaro che stava trasportando.
-C’è una certa macabra ironia, in tutto questo- pensava, mentre sulle labbra gli aleggiava un sorriso amaro.
Fratello Lopa e fratello Ashim parlottavano presso di lui, agitando grandi foglie verdi davanti ai volti e osservando il via vai dei monaci più giovani.
I giorni precedenti il ragazzo aveva visto trascinare pesanti tronchi giù al tempio e i monaci falegnami vi avevano lavorato notte e giorno, chiusi nel loro laboratorio ai confini del boschetto della Torre. Pialla e pialla, avevano creato enormi assi di legno chiaro, di diverse dimensioni e forme, ben imballate l’una con l’altra. Una moltitudine di assi.
Inizialmente, Dima non era riuscito a capire la ragione di tutto quel movimento. L’agitazione dei monaci si percepiva nell’aria, ma nessuno si era degnato di dare spiegazioni al giovane Guardiano. Non aveva potuto interrogare nemmeno Elsa, tanto più intuitiva di lui: dal loro ultimo incontro al lago non si erano più visti.
Era stato solo quando i monaci avevano assoldato anche lui per i lavori pesanti, cancellando tutte le sue lezioni del giorno, che aveva iniziato ad afferrare qualcosa.
Avanti e indietro, aveva trasportato decine e decine di assi lisce e robuste fino all’imboccatura del tunnel, dove ad attenderlo stava un carretto su sottili rotaie. Avanti e indietro, aveva ascoltato le più disparate chiacchiere dei monaci più giovani, di quelli più forti; chiacchiere sul “grande giorno”. E quell’amarissima verità si era palesata ai suoi occhi come dal niente, naturale come l’acqua che sgorga dai monti del Nord.
Stavano costruendo l’arena.
Su, in superficie, i monaci si affrettavano a dare vita a quegli spalti insanguinati della visione di Elsa. A lui, ovviamente, non era concesso uscire; ma i monaci non avrebbero lasciato inerti le sue molte qualità.
E così Dima si trovava a collaborare alla costruzione di quello che avrebbe potuto essere il suo terreno da macello.
“Davvero macabro” mormorò tra sé.
“Tutto bene, Signore?” chiese la timida voce di fratello Jili, di soli tre anni più vecchio di lui.
Un esortazione a continuare, sicuramente.
“Si, fratello. Ora proseguo” annuì Dima, abbattuto.
La strada sempre uguale non meritava di essere osservata nei dettagli; Dima percorreva quel terreno lastricato da sette anni e niente avrebbe più potuto sorprenderlo. Si sentiva insensibile alla magica bellezza di Odundì, ormai; insensibile alla magia della sua esistenza, del lago e della palafitta, dei giardini fioriti. Sognava campi sterminati e papaveri rossi, lui, silenzio e urla, sognava di cavalcare a pelo sulla brughiera desolata in superficie, verso i monti a nord-ovest. Sognava casa sua; non Imbris, non più, ormai. Sognava Nenjaat e il Palazzo d’Inverno, sognava Bessie e Teppe. Sognava Petar.
Ma sognare non era sufficiente. Lui era determinato ad ottenere tutto ciò che i potenti di Cadmow stavano tentando di portagli via.
Aveva un piano.
La luce di un raggio di sole rubò il suo sguardo al pavimento, mentre passava sotto le finestre della Casa. Grazie ad una imposta aperta la luce del giorno riverberava sulla chioma bionda, strettamente intrecciata, dell’unica ragazza presente. Dima sapeva che Elsa era lì. Lo sapeva da quando aveva iniziato a lavorare, quando lei gli aveva rivolto un triste sorriso fugace, sollevando un ago ed una pesante stoffa porpora a mo’ di spiegazione.
Avevano messo all’opera anche lei; ma non nel tumulto di monaci e legno, al piano di sotto, no. Lei stava nella Casa, a ricamare drappi d’oro e sete, dei quali si sarebbe adornata la tribuna regale dell’arena.
Ma lui doveva far finta di non conoscerla. Come se non fosse mai esistita. Come sempre.
-Per oggi, meglio così- rifletté, passando oltre.
Aveva un piano, ed era meglio tenere anche Elsa all’oscuro di tutto. Saperla in agonia, in bilico tra la vita e la morte, tra la gioia e il dolore, come certo lei pensava, era doloroso, per lui. Ma quella era l’unica possibilità, un lampo di genio di una notte senza sonno. Lei avrebbe fatto bene a quietare il suo animo affidandosi al buon cuore di Dira, che di certo l’avrebbe protetta.
-Abbi fiducia, piccola, e vedrai che andrà tutto bene- pensò Dima, proprio come avrebbe fatto Petar.
Con uno sbuffo, scaricò il suo fardello sul carretto, producendo un gran cigolio di ruote e di giunture mal oliate.
“Sicuri che arriverà in superficie, carico com’è?” chiese ai fratelli intorno a lui.
“Non preoccupatevi, mio Signore; questo piccolo carro serve fedelmente noi umili accoliti di Dira da centinaia di anni” lo rassicurò fratello Stano, giovane ancora, ma dai numerosi denti marci. E sorrise.
“Già. Sia fatta la volontà di Dira” mormorò sarcastico Dima, distogliendo lo sguardo dal terribile ghigno.
-Un ordine povero, ormai. Con scarso potere- pensò mentre si allontanava. –Solo il Sommo sembra conservare una qualche autorità tra i grandi potenti-.
Scoprire la verità sul Sommo, per Dima, era stato davvero un brutto colpo. Se con Orwen non era mai riuscito ad istaurare la giusta sintonia, la guida dei monaci era stata una figura importante per lui durante la sua infanzia. Un esempio di forza e saggezza, di autorità e clemenza. Quando era venuto alla luce il suo sporco doppio gioco, Dima ne era rimasto ferito più di quanto immaginasse.
-Si è preso cura di me. Ed ora vuole uccidermi-.
Non aveva mi saputo leggergli dentro, al Sommo. Ed ora temeva il confronto con lui, temeva si rendesse conto che ormai sapeva tutto. Che aveva un piano.
“Da quella parte, mio Signore” gli indicò premurosamente la strada un monaco.
Dima sbuffò; troppi pensieri contorti si agitavano nella sua mente, rendendo davvero difficile concentrarsi sul presente.
“Fratelli, lasciatemi usare il mio potere per aiutarvi; sarei molto più utile!” ritornò a supplicare, una volta arrivato alla casetta dei falegnami.
“Mio signore, rovineresti il legno!” si indignò uno di questi, scuotendo la testa.
“La pazienza è una virtù; il lavoro aiuta a non dare tutto per scontato, ad essere pronti d’animo per superare le difficoltà della vita” aggiunse un altro, voltandosi verso di lui e arricciandosi la corta barbetta, con fare di disapprovazione.
Dima avrebbe maledetto tutti quanti.
Non ne poteva più di rimproveri ed insegnamenti; era quasi un uomo, ormai, ed un uomo potente, con preoccupazioni ben più pressanti di quelle degli insulsi monaci davanti a lui.
Calciò forte una delle assi lì vicino, non riuscendo a trattenere un urlo di esasperazione.
“Andate tutti al diavolo!” sbraitò, prima di voltare le spalle ed andarsene.
“Signore, ma cosa fate?” si agitarono quelli, allibiti.
Dima non restò ad ascoltare, preso com’era dalla sua cupa frustrazione. Camminando, si passò le mani, ricoperte di un sottile strato d’acqua, sul volto, e poi nei capelli e sul collo. Ignorò tutti, fino a quando arrivò alle sponde del lago sotterraneo; era lì che si era tenuta la sua prima lezione, lì che, per la prima volta, aveva messo alla prova il suo potere.
-Ritorno alle origini, allora- si disse, mentre iniziava a spogliarsi della semplice tunica marrone che indossava.
Dopo i primi passi nell’acqua fredda, sentì i battiti del suo cuore decelerare e prese a fare profondi respiri. Camminò fino ad immergersi completamente e, quando l’acqua era già sopra la sua testa, lui continuò a tenere i piedi ben piantati sul fondo. Camminò fino ad arrivare alla palafitta; ne poteva vedere il fondo, molto al di sopra di lui, e i profondi pali di sostegno lo circondavano.
Il suo piano era semplice, in fondo; tutto stava in quel suo potere sorprendente, unico al mondo. Chi avrebbe potuto fermarlo una volta messi i piedi nel lago di Odundì? Orwen con il suo fuoco? Petar, il suo amico? Oppure la dolce Safnea, che guariva e non feriva mai?
No, una volta raggiunta dell’acqua, lui era invincibile.
Ma Elsa? Lei non era come lui, non ce l’avrebbe fatta.
Meglio non pensarci, non ora.
Doveva esercitarsi, doveva ottenere il perfetto controllo di quel suo elemento in pochi giorni; meno di una settimana, e lo avrebbero gettato in quell’arena che aveva appena aiutato a costruire.
Ghiaccio e neve, pioggia e acqua, acqua a volontà; ecco quello che avrebbe servito all’infido Orwen ed i suoi seguaci.
-Tra cui Petar, in realtà- pensò, portandosi le mani ai capelli.
Meglio non pensarci, non ora.
Per fuggire, doveva essere determinato e spietato, incurante di tutti. A cosa era disposto, pur di ottenere la libertà, pur di non dover sottostare alle leggi di un terribile tiranno? Quanto era pronto a sacrificare per la sua gente del Nord, per scampare la morte?
-Io non sono pronto a tutto questo, ma nessuno verrà a  chiedere permesso prima di devastare la mia vita. E’ già successo in passato-.
E poi, una volta libero? Sarebbe andato a Nord, ovvio. A portare aiuto ai suoi uomini; li avrebbe difesi, avrebbe messo a loro disposizione tutto il suo potere. Si immaginava già, profugo nei boschi dell’Ovest, con la speranza di passare oltre la Muraglia e raggiungere Nenjaat; in fuga da Orwen, braccato, ma ancora al sicuro nei territori di Petar.
 Qualcosa continuava a bussare ai margini della sua testa mentre lasciava correre l’immaginazione a briglia sciolta.
Elsa, Elsa, Elsa!
Che ne sarebbe stato di lei? Come poteva proteggerla nel modo giusto? Come avrebbe fatto ad evitarle quel destino difficile che sembrava già segnato, per lui?
-Dobbiamo restare uniti, e saremo più forti. Ma come?- si scervellava.
La terra tremò debolmente sotto di lui; i piccoli pesci che abitavano le acqua del lago presero ad agitarsi, correndo a rifugiarsi sotto la morbida sabbia e dietro le rocce.
Forse Dima aveva avuto un’idea.
La terra tremò nuovamente, un po’ più forte.
Il ragazzo alzò gli occhi, ma l’unica cosa che riuscì a vedere fu il pallido riflesso del sole di mezzogiorno, alto nel cielo.
La terza scossa agitò tanto le acque che, persino lui, poté udire l’onda abbattersi sulle sponde del lago.
-Qualcuno mi cerca- pensò. –Credo di sapere di chi si tratta- sorrise leggermente.
Aveva avuto un’idea, piccola piccola, e poteva funzionare. Ma adesso era ora di rientrare.
Ascese in superficie lentamente, i riccioli castani che vorticavano nell’acqua e gli occhi chiusi.
Quando si trovò davanti una bella donna, dai fluenti capelli bruni ed occhi sorprendentemente verdi, non rimase stupito.
“Buon pomeriggio, Dima” lo salutò a denti stretti.
“A te, Safnea. Mi cercavi?” le chiese, mentre camminava sul pelo dell’acqua, verso di  lei.
Aveva avuto un’idea, finalmente! Ora poteva concedersi qualche sorriso in più.
“Da cosa l’hai intuito?”.
“Scusami, ma stavo pensando”.
“Forse, durante il nostro incontro, troveremo anche il tempo di discutere della tua condotta di questa mattina con i monaci falegnami, ma per il momento non è la mia priorità”.
“Safnea, sei tanto bella quanto pungente, stamattina” replicò lui, piccato.
“A cosa dobbiamo l’onore della tua presenza?” continuò Dima.
Accanto alla donna, due monaci lo squadravano con fare torvo: “Il ragazzo non intendeva mancarvi di rispetto, mia Signora. Non è così che l’abbiamo educato” si sdilinquì fratello Portus, maestro di teologia.
“Non preoccuparti, io e Dima siamo in rapporti piuttosto amichevoli ora” lo liquidò la donna, frettolosamente.
“Adesso, però, Dimitar, ho assolutamente bisogno di parlarti” aggiunse, sgranando gli occhi chiari con urgenza.
“Soli?” ammiccò lui.
L’euforia del nuovo piano lo rendeva temerario.
Safnea lo guardò a lungo, sinceramente infastidita.
“Ti prego, mi servi serio e con i piedi piantati per terra. È un’emergenza” bisbigliò l’ultima parte, la donna.
“Eccomi, mia Signora” rispose allora il ragazzo, allontanando l’acqua dai suoi vestiti fradici e indossando nuovamente la sua tunica.
In silenzio la seguì lungo la strada lastricata, fin dentro la Casa, e su, fino alla sala privata del Sommo Sacerdote.
“Qui?” chiese infine, preoccupato.
“È un affare importante, quello di cui ti devo parlare” annuì lei.
Con delicatezza, bussò alla porta.
Fu fratello Ashim ad aprire.
Il monaco sorrise e s’inchinò al passaggio della donna: “Siete attesa, mia Signora".
“Mi spiace che abbiate dovuto fare tutta questa strada per portare qui il caro Dimitar” fu la prima parola che il Sommo le rivolse, col suo storto sorriso a metà.
“Nessun altro sarebbe riuscito a tirarlo fuori da quel lago” replicò lei, sorridendo a sua volta. Un sorriso tirato, avrebbe detto Dima, se l’avesse visto.
Invece, la sua attenzione era catalizzata da tutt’altro.
“Tu qui?” chiese, sgranando gli occhi.
“È un piacere rivederti, Dimitar, dopo tutti questi anni” rispose educatamente Elsa, abbassando gli occhi, le mani delicate a riposo sulle pieghe della gonna.
Gli lanciò un solo sguardo, carico di avvertimenti.
“Ti ricorderai di Elaisa Tomcure, Dima” aggiunse il Sommo, indicandogli la sedia accanto a quella della ragazza.
“Ehm, si, certo” sputò fuori lui. “Piacere mio”, aggiunse.
“Bene, credo che abbiamo dato il giusto spazio a tutti i convenevoli del caso” disse Safnea, ancora in piedi accanto a lui.
“Perché anche lei è stata convocata?” la interrogò Dima.
“Perché ho da comunicarvi una notizia urgente e piuttosto spiacevole, e non ho alcuna intenzione di perdere tempo in due conversazione separate” ribatté.
Era una Safnea inedita, quella che stava con loro nella sala privata del Sommo Sacerdote. Dima non l’aveva mai vista così dura, così poco sorridente; spogliata di quella sua tenera dolcezza, Safnea sembrava la potente Guardiana dell’Est che in realtà era. Niente guance rosee e fiori nei capelli questa volta; profonde occhiaie le solcavano il viso, e le sue mani si muovevano a scatti, nervose. Dima aveva intravisto la determinazione ferrea di quella donna altre volte; ora, era sotto gli occhi di tutti.
“Vi prego, Safnea, accomodatevi” disse il Sommo da dietro la sua scrivania, indicando un morbido divanetto a due posti lungo la parete.
“Se permettete preferirei restare in piedi”.
Il monaco annuì, drappeggiandosi meglio la stola dorata sulle spalle.
“Bene. Bene.” Iniziò la donna. “Nel Mondo di Sopra le relazioni tra le Regioni sono drasticamente peggiorate, in questi ultimi giorni. Mi sembra giusto che anche voi ragazzi ne veniate a conoscenza, dato che la questione vi riguarda da vicino. Ne ho parlato con il Sommo e anche lui si è trovato concorde”.
“Hai approvato tu questo incontro?” chiese Dima, ancora stupito, indicando lui ed Elsa con un gesto leggero della mano.
“Nulla succede al Tempio di Odundì senza la mia approvazione” disse quello, gelido.
Il ragazzo abbassò lo sguardo all’istante, rimangiandosi ogni possibile replica.
“Cinque giorni fa un messaggero è corso a Viridian in sella al più veloce dei cavalli; era stata convocata una seduta straordinaria del Gran Consiglio ed era richiesta la mia presenza” continuò Safnea, come se non ci fosse stata alcuna interruzione.
“Con un seguito bene scarso, quindi, sono corsa ad Aprica, dove il Consiglio si trova riunito in questo periodo dell’anno. Lì, davanti agli otto consiglieri provenienti da ogni angolo di Cadmow, Orwen, Guardiano del Sud, ha ufficialmente dichiarato guerra alla Regione del Nord”.
Quella verità cadde come un macigno sui due ragazzi seduti vicino.
-Si. Me l’aspettavo- pensò Dima. –Ma non credevo che questo giorno sarebbe mai arrivato-.
Elsa fu la prima a parlare, con la voce esile di quando era spaventata: “Guerra contro la Regione del Nord” ripeté.
“Cosa dobbiamo fare?” chiese subito dopo, con la frenesia nello sguardo, come se dovesse agire in quel momento stesso.
Dima avrebbe voluto prenderle la mano, dirle: “Piano, Elsa, dobbiamo saperne di più”, ma non poteva, non lì, non davanti al Sommo.
Il monaco non aveva fatto una piega, invece; di certo, già sapeva.
“Cara Elaisa, non è semplice come credi” disse quello, con un mezzo sorriso.
“Si, il Sommo ha ragione. Orwen ha dichiarato guerra alla Regione del Nord, ma subito dopo Petar dell’Ovest ha deposto la sua spada accanto a quella del Sud, rilasciando la propria dichiarazione di sostegno e appoggio” continuò Safnea.
Si vedeva che soffriva. Tutti soffrivano; tutti poterono udire la timida Elsa trattenere sonoramente il fiato e portarsi le mani al cuore.
Dima sentiva il vuoto dentro di sé.
“Cosa… come è… quali motivazioni hanno portato per muovere guerra alla nostra Regione” riuscì a dire Elsa.
Il Supremo estrasse una lunga ed elegante pergamena dal mucchio di scartoffie davanti a lui e lesse con voce solenne:
“Ritenendo la Regione del Nord colpevole di cospirazione, complotto e macchinazione per ottenere il completo possesso del Regno di Cadmow, ritenendo i Vigilanti della Regione del Nord colpevoli di occultamento e omissione per ordine dell’autorità incaricata, ritenendo i governanti della Regione del Nord colpevoli di uso delle arti magiche contro il bene dell’umanità, proclamiamo, qui ed ora, davanti a questo Concilio e al Regno intero, la nostra intenzione di muovere col ferro e col fuoco verso la sopradetta Regione, nella nome della Legge di Dira, per preservare l’ordine sacro che lei ci ha donato all’inizio dei tempi”.
Furono quelle parole a smuovere qualcosa in Dima.
“Che cosa? Chi, chi ha osato scrivere tutte queste idiozie?” scattò in piedi, furioso.
“Dimitar, mantieni la calma”.
“Non provare a dirmi di calmarmi, Sommo! Io devo sapere!” continuò ad agitarsi.
“Quel grandissimo bastardo di Petar” continuò a mormorare, percorrendo a grandi passi il tappeto pregiato del monaco.
“Sommo, Safnea, vi prego, abbiamo il diritto di sapere ogni cosa: è la nostra Regione quella a cui hanno dichiarato guerra” intervenne Elsa, ancora immobile e gelida sulla sua sedia.
Piccola e delicata, lei ottenne tutta l’attenzione dei presenti, facendo ciò che gli strepitii di Dima non avevano potuto: mostrare un po’ di autorità.
Safnea si prese qualche minuto per osservare entrambi. Infine, si lasciò cadere sul divanetto, affondando il volto tra le mani.
“Sono parole vergate dal pugno di Orwen e sottoscritte da Petar” disse, con voce soffocata.
“Sono tutte menzogne!”.
“Che prove hanno portato al Concilio per motivare questa loro richiesta?”
“Dolce Elsa, che bisogno avevano di prove? Metà dei Consiglieri erano già dalla loro parte prima ancora che la seduta iniziasse. Nessuno, in questo momento, può opporsi alla loro forza combinata” disse Safnea, mentre un lampo di impotenza le attraversava gli occhi verdi.
“Miei Signori, scusate questa mia umile intromissione” tossì il Sommo dal suo scranno.
L’attenzione si spostò su di lui all’istante.
“La mia obiezione è la seguente: i nostri Guardiani sono persone sagge e sapienti, prescelte da Dira, la Madre di tutti noi. Lei mai concederebbe questo onore e questo duro incarico ad uno squilibrato. Quindi, vi chiedo: e se non fossero menzogne?”
Dima avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
Come aveva potuto dimenticare? Era proprio con il Sommo che Orwen aveva progettato questo sporco inganno. Era stato il suo braccio destro per tutto il tempo ed ora non poteva non essere lieto della novella giunta con Safnea e di cui lui era di certo già a conoscenza.
 Come doveva comportarsi, ora?
Fu Elsa a toglierlo dell’impiccio:
“Sommo, quella di Orwen è una guerra condotta contro un popolo in ginocchio, oppresso da una terribile malattia. Come avrebbe potuto la Regione del Nord macchiarsi di tali crimini? Noi al di qua della Muraglia non abbiamo notizie del Supremo e dei suoi uomini da più di cinque anni; potrebbero essere morti nel frattempo, o gravemente invalidati dalla malattia. È chiaro che Orwen sta muovendo per tutt’altro tipo di interessi; quelli che ha avanzato nella sua dichiarazione sono solo pretesti” concluse, con le guance imporporate per aver osato tanto verso il Sommo.
“Non avrei potuto dirlo meglio, Elsa” concordò Dima, felice che lei fosse lì con loro.
Gli occhi vigili del Sommo corsero dall’uno all’altra, distanti nella sala ma visibilmente affini; il suo sguardo si assottigliò paurosamente.
“Allora, quali sono i motivi che spingono il nostro illuminato Guardiano del Sud e il saggio Guardiano dell’Ovest a muovere eserciti contro i loro stessi fratelli?” insinuò, sorridendo del suo sorriso sghembo.
Né Dima né Elsa, allora, osarono rispondere ad una domanda tanto tendenziosa.
“Orwen è un uomo giusto e duro. Sono certa che crede fermamente in ciò che dice, sono certa che, per lui, non si tratta di pretesti. Non ascolterò altre parole dirette ad infamare il suo nome e il suo onore” intervenne Safnea, severa come mai Dima aveva immaginato potesse essere.
“Ma allora…”
“Lui pensa di operare giustamente. Ma ha scelto di usare i mezzi sbagliati, preferendo la violenza al confronto con i suoi fratelli. È questo l’unico errore che permetterò gli sia addebitato”.
“Parole sagge, mia Signora. Non è in nostro potere, ora come ora, sapere dove dimora la verità. Ci è permesso solamente di muovere ipotesi” replicò quello.
“Io sono fermamente convinta di un’unica, sola verità: Cadmow non può permettersi una guerra civile, non ora, non con il Guardiano della Regione del Nord tanto incerto. La mia unica certezza è che noi, qui presenti, dobbiamo unirci e batterci per la pace” esclamò Safnea con decisione, zittendo la replica di Dima.
“Pace? Safnea, hanno appena giurato di mettere a ferro e fuoco la nostra Regione! Come possiamo, Elsa ed io, parlare di pace?” replicò Dima, sorpreso.
“È l’unica cosa che potete fare. Una Regione allo stremo, senza una guida, attaccata dalla forza congiunta di due eserciti; se non decidete di scendere a compromessi, non ci sarà più un Nord di cui essere Guardiani” disse lei, asciutta.
“E tu? Da che parte sarà schierata la Regione dell’Est?” chiese Elsa, che raggiungeva sempre il cuore del problema prima degli altri.
“Da nessuna parte, ovviamente. Quando durante la seduta non ho potuto in nessun modo distogliere Orwen da suo orribile piano, ho provveduto a dichiarare la mia regione territorio franco. Se è quando verrà abbattuta la Muraglia, provvederò a creare un corridoio per tutti i profughi del Nord”.
“Un gesto davvero molto nobile, mia Signora”.
“Non c’è niente di nobile e bello in tutto questo, Sommo” lo sguardo della donna era di fuoco. “Nelle guerre non ci sono glorie né onori, solo sangue, dolore e morte”.
Il silenzio ristagnò alcuni secondi tra i presenti.
“Ti siamo grati per tutto quello che fai, dolce Safnea” mormorò infine Dima, a testa bassa.
“Non basta. Bisogna che anche voi scendiate in campo a lottare per la pace”.
“Loro? Mia Signora, Dimitar ed Elsaisa non sono nulla ancora. Non è concepibile che si mostrino in pubblico insieme, come parte di unità, come due Guardiani della stessa Regione!” si indignò immediatamente il Sommo, lanciando occhiate truci ai  due ragazzi seduti l’uno accanto all’altro.
“Non ho cura delle formalità. Il mio unico obbiettivo è la pace e se per ottenerla devo calpestare un centinaio di leggi degli uomini, lo farò”.
- Una vera Guardiana - pensò Dima, osservando la figura alta e flessuosa della donna avanzare verso il Sommo, avvolta in una veste splendida dai colori pastello.
“Quando la situazione sarà decisa per il bene o per il male, solo allora permetteremo a Dira di indicarci il suo ultimo prescelto” continuò, senza nemmeno guardare i ragazzi.
- Safnea non è Petar -, dovette rammentarsi Dima.
Lei non aveva mai lottato per mantenere entrambi nella Regione del Nord; ricordava le sue lacrime, ma anche la sua inflessibile volontà. Non ci sarebbero mai stati due Guardiani del Nord.
Ma questa era un’occasione da prendere al volo, per garantirsi una migliore opportunità di salvezza. Si sarebbero mostrati insieme, forti e uniti, e il popolo li avrebbe adorati!
“Per me va bene. Possiamo fare un tentativo” disse allora, a testa alta.
Il volto del Sommo era una maschera impenetrabile mentre Elsa tendeva dolcemente una mano verso il suo compagno di sventure.
“Anche per me” disse.
“Bene, sono contenta di trovarvi così ragionevoli. Sommo, invierò immediatamente messaggeri ai miei fratelli e concorderemo un incontro a Germna, nella Regione dell’Est. Vi comunicherò ogni cosa al più presto; confido che sia Orwen che Petar accetteranno questa mia richiesta. È la nostra ultima speranza, credo che tutti voi lo sappiate bene. Vi voglio preparati, ragazzi, sarà presente anche l’intero Gran Consiglio; dovrete convincere anche loro” parlò velocemente, gesticolando con le mani.
“Ah, Sommo; la prego, interrompa immediatamente i lavori per la costruzione dell’arena. Devono assolutamente riprendere le lezioni per i ragazzi” ordinò.
A passi svelti, si avvicinò a Dima ed Elsa, baciò in fronte lei, carezzò i capelli di lui.
“Siate forti, sta giungendo la tempesta” mormorò.
Poi, voltò le spalle, ed in un fruscio di sete e velluti uscì dalla stanza.
Elsa aveva la testa bassa e le mani strette in grembo, e a Dima sembrò intravedere il luccichio di una lacrima solitaria sulla sua guancia. Fu spontaneo, per lui, allungare il braccio e cingergli le spalle.
Non appena alzò lo sguardo, però, il Sommo lo fulminò.
I lineamenti testi, la stola calata lungo le spalle ampie, si alzò dalla sedia, aggirando il suo grosso tavolo. Dima immediatamente sciolse quell’abbraccio improvvisato tra lui ed Elsa, pieno di paura.
“Giovani e stolti, ecco cosa siete” sibilò quello, con voce bassa e gelida, due volte più spaventosa delle urla.
“Illusi. Se pensate di passarla liscia, se pensate che non ci saranno conseguenza per tutto questo, vi sbagliate di grosso. Non si raggira il Sommo Sacerdote di Dira senza restare impuniti”.
Elsa, accanto a lui, tremava leggermente.
“Pensavo di essere stato chiaro, Dimitar, sette anni fa. Ti avevo promesso la rovina, e sarà quello che avrai. Non c’è speranza per voi, ricordatelo bene; il vostro legame sarà la vostra fine”.
Detto questo sputò per terra e, furioso, uscì dalla stanza, sbattendo forte la porta.
Elsa respirava forte, i suoi sospiri che rompevano il silenzio.
“Petar, Petar si è messo contro di noi” mormorò infine.
Ovvio, il tradimento di Petar era stato il colpo più grosso, per lei.
Dima si alzò finalmente in piedi, la schiena tesa e indolenzita; era bastato tanto poco per far precipitare una situazione già pessima.
“Cosa facciamo, Elsa? Cosa facciamo ora? Io avevo un piano, un buon piano; te ne avrei parlato oggi stesso”.
“Ho paura”.
Dima si portò le mani dietro al collo e ispirò profondamente. Doveva rimanere lucido.
Eppure Petar li aveva traditi nella maniera più orribile.
No, via questi pensieri dolorosi. Doveva trovare una soluzione.
Lui, che solo poche settimane prima era il loro alleato, il loro migliore amico.
Mettere a tacere i demoni nella sua testa, ecco cosa doveva fare.
Il Sommo li aveva scoperti e chissà cosa sarebbe stato in grado di fare.
Basta!
E due potenti eserciti marciavano verso il Nord.
Dira non mi lasciare, non adesso!
La loro unica possibilità era un’allegra chiacchierata con i suoi nemici. Che flebile speranza!
E presto lui ed Elsa si sarebbero affrontati e avrebbero dovuto sfidare l’intera Cadmow per sopravvivere.
E Petar li aveva traditi, pugnalati alle spalle. E Il Sommo li aveva scoperti. 
Per quel giorno, Elsa non ebbe risposte, né consolazioni; uscirono da quella sala in silenzio, distanti. Senza dire una parola, si separarono.
 
 
 
 
 
Note 
Ecco! Dopo la pausa delle vacanze, questo è quello che sono riuscita a produrre per il dodicesimo capitolo! Ci avviciniamo sempre di più alla conclusione delle seconda parte e questa cosa un po’ mi agita: spero di riuscire a rendere nel migliore dei modi le idee che mi frullano in testa!!
Un grande grazie a chi leggerà!!
A presto,
EsterElle
  
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