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Autore: semideaa    10/09/2014    4 recensioni
Jem gira la maniglia, chiede permesso educatamente e apre la porta. Mi sussurra: quello al piano è Paul.
Il maestro è uscito, infatti lui ha smesso di suonare. Dallo sgabello dove sta seduto si alza e viene verso di noi. Alto, capelli castano-rosso, occhi chiari e un neo sotto l’occhio sinistro.
Un presentimento sbagliato, improvviso, impulsivo, mi grida: Ho già visto quel ragazzo, cavolo se l’ho già visto. Minchia, io so chi è.
Si ferma davanti a Jem e parla con la sua solita voce angelica che conosco troppo bene e che ho ascoltato troppe volte per credere che la stia ascoltando davvero, dal vivo.
“Cosa vuoi, Jem? E chi è lei?”
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Maynard, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Romeo and Juliet

how can you write your destiny in one month?

 
-Oh, quella è Victoria Tansey, la più carina dell’istituto, pff ..… e quello.. aspetta, quello dovrebbe essere Conor Maynard–
Annuisco convulsamente, senza parlare.
-Ma perché, lo conosci?-
Di fronte a noi c’erano Conor e Victoria, avvinghiati l’uno all’altra, le labbra in stretto contatto.
-Si, lo conosco-
Portatemi a vomitare, ora.

 

 
 
 
-Ma Rita, non puoi non parlare per sempre-
 
Scioccata, ecco cos’ero. Non sapevo neanche il perché. Continuavo a rigirare nel piatto i rimasugli delle patatine, con lo stomaco chiuso. Non sapevo davvero cosa dire.
 
-Vuoi dirmi almeno cos’hai?-
-Niente, Sun, un bel niente-
-Beh, te ne stai li, con lo sguardo vuoto, senza parlare.. è per Victoria?-
-Victoria, cosa? Assolutamente no, no e no-
 
Invece era proprio per Victoria. Non la conoscevo nemmeno e già la odiavo incondizionatamente. Ero rimasta a fissarla esterrefatta, dopo che si era staccata da Conor, ero rimasta a guardare il suo viso, trafitto da un’espressione, come di soddisfazione. E lui, come non vedere tutto l’amore che traboccava dai suoi occhi. Mi ero subito allontanata da loro, con la paura che potessero rifarlo, che potessero riavvicinarsi e baciarsi di nuovo, con la stessa passione con cui l’avevano fatto prima. E più ripensavo a quella scena, più mi sentivo montare dentro da una strana sensazione. –Gelosia?- aveva detto Sun, ridendo. Ma poi si era accorta che la cosa era più seria del previsto. Io non amavo Conor, non c’era motivo di essere gelosi.
Dopo quella scena ero uscita nel cortile tutta sola, Sun aveva tecnica, mi ero seduta e avevo notato solo in quel momento quante coppie ci fossero in quella scuola. O era la mia immaginazione, o erano tutti felici e contenti. Tutti tranne me.
Ci avevo messo tutto l’impegno e la buona volontà per evitare Conor, sia in pausa che a pranzo, fin quando Sun non mi aveva raggiunto, portandomi a mangiare qualcosa. Tutta l’euforia della nuova scuola era passata.
Non avevo neanche voglia di andare a lezione di violino, alle quattro, per sentirmi ripetere l’invito al “ballo delle debuttanti”.  Fremevo invece di perdermi nell’ora di letteratura inglese e dimenticare tutto.
Quando alle tre e mezza uscì da scuola, ero più che depressa. Letteratura mi aveva tirato ancora più giù con “Romeo e Giulietta”. Quando si dice il caso.
Non aspettai nemmeno che Conor uscisse da scuola, mi avviai verso Long Avenue con il mio violino, che per fortuna avevo già preso dalla macchina di Maynard la mattina stessa.
Dopo aver salito i sei piani per arrivare all’accademia, la mia depressione era diventata abbattimento totale.
Incontrai fugacemente Jem nella sala d’attesa della scuola e mi sedetti su una delle poltroncine ad aspettare Robert.
Verso le quattro arrivò anche una chiamata da Conor, ma io lo evitai con una faccia tosta bella e buona. Forse non avrei dovuto attaccargli il telefono in faccia, ma lo feci. Non volevo vederlo.
 
-Ehi, Rita!-
Era Jem.
 
-Ciao, Jem. Tutto bene la lezione?-
-Si, si può dire di sì. Sono venuto a chiamarti perché per il ballo dobbiamo provare un concerto tutti insieme-
 
Ancora il ballo? Mi ero già annoiata di sentirlo nominare.
 
-Arrivo-
-Ma sicuro che stai bene? Hai una faccia così … -
-Strana? E’ la mia, è quella che ho, non posso cambiarla-
 
Colsi il lampo di avvilimento sul volto di Jem e mi affrettai a scusarmi.
-Scusami, è che sono un po’ arrabbiata-
 
Jem non sembrò esprimersi, ma mi guidò verso un corridoio lungo e stretto e attraverso una porta grande che portava al salone principale.
Lì, riuniti in semicerchio, c’erano tre ragazzi, due almeno della mia età, mentre il terzo aveva l’età di Conor. Seduta al piano c’era una ragazza, dai capelli rosso fuoco e degli occhi scurissimi. Al centro del semicerchio, sedeva Robert, con il violino in mano. Potei vedere perfettamente che tutti avevano come partitura un concerto di Vivaldi.
 
-Eccoti! Ragazzi, lei è Rita –
 
La ragazza al piano sembrò sporgere il suo lungo collo per guardarmi negli occhi, mentre Jem andava a posizionarsi al suo posto. Gli altri tre ragazzi mi rivolsero semplicemente un cenno di saluto, ma vidi che erano esterrefatti. Ricordai cosa mi aveva detto Conor appena ero arrivata “Sei la prima ragazza in questa accademia che suona il violino”.
Robert venne gentilmente verso di me e mi guidò verso l’ultima postazione, quella che dava le spalle al pianoforte. Mi invitò ad aprire il violino e mi mise sul leggio una partitura, il quarto violino del brano. Ma mi credeva stupida? Quella partitura l’avrei saputa leggere ad occhi chiusi.
 
-Ti ho dato questa parte, non sapendo ancora di cosa sei capace-
 
Detto questo si allontanò da me per ritornare al suo posto di direttore.
 
-Allora, Jem è il primo violino, suonami l’inizio-
 
Jem si portò il violino sulla spalla e cominciò un motivo che avevo già sentito dato che conoscevo fin troppo bene quel concerto. L’avevo portato al provino dello stage.
 
-Louis, tu hai il secondo-
 
Il ragazzo  più vicino a Jem, con una zazzera di capelli color paglia, suonò la parte di accompagnamento.
 
-Walter, Fred, tocca a voi, con il terzo-
 
I due ragazzi alla mia sinistra, quelli della mia età, suonarono all’unisono la parte di sottofondo.
Quando alla fine Robert diede il via a me, annunciando che avrei dovuto suonare la quarta parte, la ragazza al piano si fece scappare un risolino.
Jem la fulminò all’istante con gli occhi, mentre il ragazzo biondo, il più alto, forse Fred, incominciò a tossire convulsamente. Cercai di non notarli e cominciai a suonare le minime che mi si paravano davanti agli occhi. Non feci in tempo a finire il primo rigo che bussarono alla porta di legno. Robert andò ad aprire e sulla soglia c’era proprio lui.
 
-Scusa Robert, è qui Rita?-
 
Cercai di non guardarlo negli occhi. Perché cercava me?
 
-Si si, è lì. Rita, c’è Conor–
-Me ne ero accorta- cercai di ribattere con il tono più sprezzante che riuscii a trovare, ma quando arrivai faccia a faccia con lui, tutti i miei buoni propositi di non guardarlo negli occhi andarono a farsi benedire.
Quei due spazi di cielo senza nuvole, quelle due onde di un mare sempre calmo mi guardavano come mi avevano guardato la prima volta che ero entrata in quell’aula.
Si chiuse la porta alle spalle e mi portò fuori. Da dentro proveniva il suono di quattro violini che si intersecavano tra di loro, accompagnati dalla soave melodia del pianoforte.
 
-Cosa c’è?-
-Perché non mi hai aspettato?-
-Niente, nessun motivo-
-Fel, cosa c’è?- alzò una delle sue mani affusolate, così simile alla mia, e me la portò sotto il mento, alzandolo leggermente per potermi guardare negli occhi.
-Smettila di chiamarmi Fel– mi ritrassi, facendo ricadere la sua mano, come morta.
 
Lui si scostò, come ferito da quel mio gesto, e mi guardò afflitto.
 
-Cosa è successo?-
-Niente, Conor, niente. Lasciami in pace, non sei mio padre- e poi, come se avessero aperto un rubinetto, cominciai a piangere, di punto in bianco, gettandomi tra le sue braccia.
Cavolo, non era mica colpa sua se si era innamorato di Victoria e non di me.
Solo in quel momento mi rendevo conto di quanto sentivo la sua mancanza, quando passavo in secondo piano. Solo allora capivo che tra le sue braccia, con la sua testa poggiata sulla mia spalla, mi sentivo veramente al sicuro, vedevo veramente la bellezza celata dietro quegli occhi, la dolcezza e la delicatezza.
Solo in quel momento mi rendevo conto che quel sentimento che provavo dalla mattina era paura. Paura di perderlo, paura di non contare più niente per lui, paura di non piacergli. Tutto ritorna, ora.
Mi stavo davvero innamorando di Conor Paul Maynard.
 
 
 
 
CONOR’S POV
 
Ricambiai l’abbraccio di Rita, anche se non sapevo cosa le stava succedendo.
Sperai vivamente che non fosse successo niente il suo primo giorno di scuola, ci sarebbe rimasta troppo male se l’avessero presa in giro per la sua nazionalità.
Come al sentire dei miei pensieri, Rita si sollevò dal mio petto e mi guardò con aria afflitta.
 
-Scusami Conor, scusami davvero tanto. Io non ti conosco nemmeno, per te è la prima volta che mi incontri e io davvero non posso-
-Non puoi cosa? E’ successo qualcosa?- rifeci la domanda, non ero intenzionato a mollare.
-No, Conor, niente davvero. Grazie per il tuo interessamento ma il problema sono io. Ora scusami ma devo tornare a lezione-
 La vidi ritornare dentro con le spalle curve.
 
Il problema sono io.
Il problema sono io.
Il problema sono io.
 
Mi girai di spalle e, sceso dal palazzo, mi incamminai verso casa, con le sue parole che ancora mi frullavano in testa.

 
RITA'S POV

I primi momenti del concerto furono terribili. C’erano attimi in cui avevo paura di essere di troppo, minuti in cui temevo di sbagliare il tempo o timore di fare qualche crescendo di troppo. Nonostante la partitura l’avessi ormai memorizzata, dopo due ore di prove, era ancora difficile per me inserirmi in quei quattro che sembravano suonare insieme da una vita.
Almeno l’impegno verso il violino mi aiutò a distrarmi e a non pensare a Conor. Tutte le cose che gli avevo detto erano vere. Non potevo permettermi di innamorarmi di una persona che conoscevo a stento da un giorno, non importava chi fosse. Non potevo cedergli il peso di una ragazza depressa che gli correva dietro, quando lui era impegnato nella sua acerba relazione.
Eppure non riuscivo a dimenticare l’espressione di Victoria dopo il bacio con il ragazzo. Vittoria, fierezza, come a far vedere al mondo di cosa era capace, dei suoi grandi poteri da predatrice.
La voce di Robert mi riportò alla realtà.
 
-Ci vediamo domani mattina nell’aula della scuola per provare i brani solisti- poi rivolto a me –non preoccuparti, Rita, ce ne sarà uno apposto per te!-
 
Cosa credeva, di farmi un piacere?
Non sono un tipo esibizionista, avrei preferito il primo violino del concerto di Vivaldi perché così mi sarei fatta sentire, ma sarei stata comunque coperta dalla melodia degli altri che suonavano con me.
Suonare da soli, era decisamente un’altra cosa.
Cercai di sorridere a quella notizia mentre ripiegavo le partiture e riponevo il violino nella custodia. Controllai l’orario: le sette passate.
Avrei dovuto affrontare un’altra cena con tutta la famiglia Maynard.
La ragazza slanciata del piano scese dal soppalco e mi urtò leggermente, per farsi notare. Quando le chiesi scusa, lei girò il viso, sorridendo beffarda e arrivò alla postazione di Jem, puntandosi sulle sue ginocchia e lasciandogli un leggero bacio sulla guancia, tutto fuorché casto. Pensava forse di farmi ingelosire?
A distogliermi da quella scena fu il mio telefono che incominciò a vibrare. Lo spensi velocemente aprendo un messaggio di Sun, ci eravamo scambiati i numeri di telefono dopo pranzo, -Nel caso ti servisse una mano- a detta di lei.
Lessi le poche parole che erano scritte sul display e la depressione ritornò a farsi sentire.
 
Da: Sun
Domani. Ballo per il concerto finale.
Eccitata. Tu vieni con me.
 
Ancora non riuscivo a comprenderle bene, quindi decisi di non risponderle per evitare figuracce. Cercai di uscire dalla stanza dando meno nell’occhio possibile, ma vidi lo sguardo di Louis guizzare su di me e i due tipi del terzo violino sghignazzare tra di loro. Non altre prese in giro, pregai in fondo al mio cuore.
Verso la casa di Conor, su Long Avenue, decisi di inviare un messaggio a mio fratello, giusto per fargli sapere che ero ancora viva. Gli scrissi di salutare anche mamma, se l’avesse vista. Di norma, Marco dormiva raramente a casa.
Arrivata alla porta di casa e bussato il campanello, ero più che esausta. Un Jack scombussolato, dall’aria assonata, con due matite dietro l’orecchio e un libro in mano mi venne ad aprire velocemente, correndo subito dopo di sopra con la sua solita aria menefreghista.
Sentii la tv a tutto volume in salotto e vidi con la coda dell’occhio il codino biondo di Anna fare capolino dal divano. Non vedevo la signora Maynard da nessuna parte, segno che la cena non era ancora pronta, così decisi di salire di sopra, pensando di fare almeno una doccia.
Sì, beh, almeno era quello che pensavo, prima di ricordare a me stessa che ormai ‘abitavo’ in camera di Conor e che non avevo panni puliti da mettere.
Aprii la prima porta bianca a destra con quanto più rumore possibile e vidi Conor quasi cadere dal letto sul quale era comodamente sdraiato facendo ovviamente finta di studiare, con un libro di chimica aperto sulla sua pancia e gli occhi chiusi.
Lo guardai con tanto d’occhi, cercando di mettere da parte tutto il rancore e l’asprezza di quel pomeriggio, buttai la custodia del violino e la borsa sul letto e mi ci fiondai a mia volta urlando al mio coinquilino un Quando si mangia?  molto italiano. Lui parve sollevato dal fatto che avessi come dimenticato tutto e si mise a sedere sul letto.
 
-Se qualcuno avesse dubbi sulla tua nazionalità, beh, sarò pronto a smentirli tutti- disse, dando voce ai miei pensieri, poi scoppiando a ridere.
-Non c’è nulla da ridere, ho fame e ho sonno!- risposi quasi sbruffando.
-Tu non hai compiti da fare?-
-Sembra che nemmeno tu ce li abbia- e con gli occhi indicai i libri che ora aveva buttato sotto al letto con noncuranza.
-Sono un tipo che studia la notte- si girò con un mezzo sorriso, ma con aria molto poco convinta.
-Tu non hai compiti?- ripeté. Ah, ma allora era deciso a distruggermi quel giorno!
-Sì, ho letteratura inglese ..-
 
Non mi lasciò nemmeno finire di parlare che si alzò con sguardo luminoso chiedendo quale brano stessimo studiando.
Alla parola ‘Romeo e Giulietta’ quasi saltò in aria e si sedette affianco a me, che dal mio canto ero sdraiata molto scompostamente e non avevo nulla di cui esultare. Certo, letteratura inglese piaceva anche a me, ma non vedevo niente di bello nei compiti e nell’analisi della scena del balcone alle nove di sera.
 
-Se vuoi ti aiuto, ho adorato ‘Romeo e Giulietta’!-
-Tu invece cos’hai da studiare con così tanta nonchalance?- riferendomi a pochi minuti fa.
-Beh, solo imparare tutta la tavola chimica degli elementi che davvero non mi vuole entrare in testa!- si alzò sui gomiti avvicinando il suo viso al mio.
 
Cercai di alzarmi con circospezione senza andare a finire contro il suo corpo, ma i miei aggraziati movimenti fecero sì che la mia fronte andasse a sbattere sul suo mento e provocasse risate da entrambi i lati.
 
-Mi sa che stasera ci aiuteremo a vicenda!- esclamò Paul, alzandosi e incamminandosi verso la cucina.
 
Non mi mossi nemmeno di un centimetro, allibita da quello che aveva detto. Credeva davvero che avrei studiato quella sera? Molto divertente.
Certo, avevo buoni voti a scuola, ma quella sera la mia attenzione era rivolta a tutt’altro: la tipa rossa dell’accademia, Jem, il ballo, Sun e quel suo messaggio incomprensibile e Conor con due panini in mano. Conor con i panini?
Staccai lo sguardo e smisi di fissare l’interessantissima porta bianca quando mi apparve un Paul trafelato con due panini avvolti nella carta bianca in ogni mano. Ne buttò molto delicatamente due sul mio letto, mentre incominciava a scartare uno dei suoi.
 
-Spero non ti dispiaccia il formaggio- già con la bocca piena.
-Poi quella che aveva fame ero io- e lui mi guardò male, sghignazzando sotto i baffi.
 
Mangiammo in quello che si può definire silenzio, avendo la mamma di Conor che ogni tanto si affacciava per controllare che non facessimo briciole sui letti, Anna che si lamentava col padre di sotto perché stava perdendo ad uno stupido gioco da tavolo e Jack che ripeteva ad alta voce in giro per il corridoio formule matematiche incomprensibili (semplicemente perché avevo disconnesso la funzione ‘comprendi l’inglese’). Quindi quando Conor, con la pancia piena, mosse la sua bocca nella mia direzione, faticai a comprenderlo.
 
-Ti ho chiesto se volevamo iniziare a studiare-
 
Mi sporsi a guardare l’orario sul mio telefono. Le 22.07.
 
-E io ti rispondo di no. Buonanotte- mi chiusi a riccio sul letto scansando con i piedi tutti i libri.
Non l’avessi mai fatto.
Il peso piuma Maynard si buttò pesantemente su di me incominciando a spingermi. Il risultato fu: due coglioni a terra, un culo rotto e una spalla lussata.
Conor prese il mio quaderno prima che io potessi replicare e incominciò a leggere i miei appunti.
 
-Perché c’è un grande No vicino ad ogni riga?-
-Perché sono tutte cose dette dal professor Sweeny-
-E perché secondo la tua acuta mente non dovrebbero essere giuste?-
-Non penso che non siano giuste, dico solo che non sono d’accordo-
 
Gli sfilai il quaderno tra le mani e lessi la prima riga.
 
-Oh Romeo, Romeo, perché sei tu, Romeo?-
-Cos’è che non ti piace? Lo chiama solo per nome-
-Non è un bel nome- ribattei imbronciata.
-Ma non puoi polemizzare su un nome scelto dal più importante poeta inglese!-
-Ok, ma senti questo: Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome-
-Eh sì, quindi?-
-Io non rinnegherei mai la mia famiglia per una cavolo di ragazza che non ha nemmeno il coraggio di scendere da un balcone per parlarmi faccia a faccia!-
-Beh, ma tu devi considerare il contesto!-
-Ma il contesto un corno … - bloccai Conor a metà frase.
-Giuletta è una povera morta di figa, ha Paride che le corre appresso ma usa la scusa del ‘sono troppo piccola’ con lui, appena vede Romeo si fionda tra le sue braccia e in un giorno già è innamorata pazza di lui, se lo vuole sposare e procreare tanti bambini, non pensa nemmeno alle conseguenze, non pensa che lui fa parte della sua famiglia rivale, ho capito il concetto dell’amore cieco ma così proprio no, fa del male alla sua famiglia e a lui e nemmeno se ne rende conto, pensa solo a se stessa perché è un’egoista di merda e alla fine cosa conclude? I suoi comunque non accettano il matrimonio, esiliano Romeo e si uccide anche per lei. Poi solo per farsi perdonare si pugnala. E sai cosa? Secondo me nemmeno dopo la loro morte la famiglia li perdona e accetta la loro unione. Il vero amore non esiste, non esiste dopo un giorno e non esiste dopo un anno, non viene capito e non viene accettato, non abbatte le barriere e non è un lasciapassare per ogni cosa quindi Romeo e Giulietta è solo un’emerita cazzata-
 
Finii di parlare e presi fiato, dopo la mia tirata. Avevo la mente piena di pensieri e emozioni contrastanti e non sapevo nemmeno se ero totalmente oggettiva, non mi ero resa conto se tutto quello che avevo detto era riferito a Romeo, a Giulietta, a me, a Conor o a Victoria. Ero davvero confusa e se mi avessero chiesto di ripetere quello che avevo detto avrei solamente peggiorato le cose; anzi, mi meravigliai di non aver pronunciato qualche nome sospetto all’interno del mio discorso.
Conor rimase allibito e con la bocca aperta, sorpreso.
Ero consapevole di avergli sfatato un mito, ma non ricordavo bene come, per cui non mi sentii in dovere di chiedergli scusa.
 
-Davvero credi questo?-
-Sì, ci credo davvero- mentii spudoratamente. Non ricordavo davvero a cosa si riferisse.
 
Ripresi il mio quaderno dal bordo del letto e lui continuò a fissarmi.
 
-Beh, ho espresso solo la mia opinione-
-Opinione terribilmente aggressiva-
-Beh sai cosa ho anche di aggressivo?- incominciai.
-Ma fottutamente vera-
 
Le parole fecero in tempo ad entrarmi nel cervello. Le capii al volo e frenai la lingua.
 
-Scrivi questo nel commento, ormai lo hai già pronto!- continuò lui.
-Credi davvero che tutto quello che ho detto sia … adatto?-
-Adatto? Calza a pennello. E poi è il tuo parere no?-
 
Mi chinai sul letto ancora impressionata dalla reazione di Conor e da come si era totalmente rigirata la situazione.
Mi concentrai, sforzando di ricordare cosa la mia bocca malata aveva cacciato fuori pochi secondi prima e mi impegnai a non nominare persone conosciute. Dopo mezz’ora avevo già tirato giù una pagina e mezza, al che mi dissi che poteva bastare. Conor non lo sentivo già da un po’, quando avevo iniziato a scrivere si era risdraiato sul suo letto e aveva cominciato a ripetere ad alta voce i nomi chimici degli elementi.
Finito di ricopiare, mi alzai cautamente mettendo tutto a posto e mi avvicinai al suo letto, notando i suoi occhi chiusi e la bocca spalancata.
Risi tra me e me, misi in ordine anche la sua roba e, dopo aver preso una coperta calda, mi accoccolai accanto a lui.
Feci in tempo a sentire le sue gambe mettersi di lato e il suo braccio spostarsi intorno alle mie spalle che i miei occhi, già pesanti, si chiusero sommessamente.
 
 
 


YAAAAAYYYYYY

Ok, non ho niente da esultare. Sono imperdonabile.
Sapete cosa? Sono pigra peggio di Maynard.
Non aggiorno questa ff da un anno, perchè avevo perso l'ispirazione obv, but il cielo mi ha illuminata e lo spirito santo è sceso su di meeee.
Non sono consapevole di quello che ho scritto qui, mi è uscito a scatti questo capitolo e non so nemmeno se è tutto coerente(?) ma mi meraviglio perchè è un capitolo di passaggio ed è luuungo.
Comunque ho deciso di calmare i bollenti tra Rita e Conor, mi sono resa conto di aver corso troppo (si conoscono da un giorno elle o elle) vvb ne vedremo delle belle nel prossimo capitolo (sì, spaventatatevi)

Spero di aggiornare presto e spero che sia rimasto ancora qualcuno a leggere questa merda iyah.
Reb la semidea, @hollavnd :)

  
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