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Autore: GoldFish27    11/09/2014    0 recensioni
Alberto Pizzi, uomo di mezza età, è un agente di commercio con la passione per il pianoforte. Una sera si reca a teatro insieme a sua moglie Marilena. Arriva il turno di un pianista (o una pianista?) che inizia a suonare una stupenda melodia. Commosso dalla sua bravura, l'uomo si lascia trasportare dai ricordi in quella che era la sua vita venti anni addietro, quando amava esibirsi in pubblico nella piazza più bella e più popolosa di Roma, Piazza del Popolo.
I suoi vecchi ricordi porteranno a galla qualcosa di speciale, che cambierà profondamente la sua vita...
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III.

Piccolo Fiore
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III.

Il sole brillava a più non posso sulle mura intonacate, provate dal peso di innumerevoli primavere trascorse a respirare l'aria d'antiche gesta sepolte sotto metri di marmo.
- E' davvero un'ottima giornata.
- Già.
- Dici che se andranno presto?
- Penso proprio di no.
- Ho sentito che rallenteranno i servizi...
- Meglio. Avranno più tempo per rimanere qui.
Turisti. Ecco di cosa si stava parlando. I turisti sono la linfa vitale di ogni artista di strada. Portano curiosità, interesse, stupore... Sono loro che ci spingono ad andare avanti. Hanno mille idiomi e altrettanti accenti, milioni di diversi vocaboli che alla fine non contano nulla, perché si meravigliano tutti nella stessa lingua. E quando riesci a farli meravigliare, o anche solo a trattenerli per qualche minuto, allora capisci di essere diventato un artista di successo. Un artista di quel calibro lascia il segno; e io, modestamente, lo facevo.
- Qui.
Roberto mi aiutò a fissare il pianoforte nel suolo chiancato: odiavo che si spostasse mentre suonavo, mi faceva perdere la concentrazione. Gettai lo sguardo verso l'obelisco. Piazza del Popolo era sempre piena, durante quel periodo dell'anno, ma a quell'ora c'era un po' meno gente. Con quel sole imperdonabile, immaginai che tutti fossero andati a bere un bella bibita fresca, e avrei voluto davvero fare lo stesso. Ma dovevo sistemare tutto prima delle cinque, o la gente mi sarebbe passata davanti inutilmente.
Salutai Roberto che, come ogni estate, mi aiutava a montare e smontare il pianoforte. Lo caricava sul furgoncino della sua ditta e me lo consegnava direttamente nel garage di casa mia, pronto per essere rispolverato il pomeriggio successivo. Io, in cambio, davo lezioni private ai suoi due figli. Non avrei potuto trovare un partner migliore.
Gettai per terra il cappello per le offerte e iniziai ad accordare il pianoforte. Chissà quanta gente si sarebbe avvicinata, quell'oggi, chissà quanti mi avrebbero ascoltato fino alla fine, e quanti altri si sarebbero stancati delle mie melodie, ripiegando su un mimo o un prestigiatore.
Per le cinque meno venti era tutto pronto. Il programma era il solito: dalle cinque alle sette si suonava, poi un'oretta di riposo, e via con i pezzi notturni.
Le mie dita si posarono delicatamente sulla prima nota: un sol. Cominciava una nuova giornata.
 
Le ore si susseguivano, incalzanti come le note suonate dalle mie mani agili e sapienti. In genere la gente amava formare un semicerchio attorno al pianoforte, tenendosi distante, come per paura di distrarmi e di turbare le mie sinfonie. Gli adulti, maschi e femmine in ugual misura, portavano con sé i loro bambini, che più degli altri rimanevano incantati di fronte al suono dello strumento, o alla facilità con cui riuscivo a creare atmosfere ansiose e rilassanti, gioconde e affrante, con il semplice movimento delle dita. Erano proprio i bambini, poi, quelli che venivano a consegnarmi le offerte per conto dei loro genitori. Io lanciavo un sorriso appena sentivo il rumore di una monetina che cadeva nel cappello, o non appena alcuni di loro - di solito i più coraggiosi - si avvicinavano al pianoforte per osservami più da vicino.
La gente andava e veniva, in un ricambio continuo. Non facevo caso alle loro facce, perché tanto non le avrei mai più riviste. Anche quelli che si fermavano a fare due chiacchiere, anche quei ragazzini che mi chiedevano di provare il piano, di solito me li dimenticavo, perché se c'è una cosa veramente costante per gli artisti di strada, è il cambiamento. Nulla rimane, nulla si mantiene. Poteva accadere, nei casi più rari, che una persona si trovasse a passare per lo stesso luogo due sere di seguito, fermandosi due volte a guardarmi per il semplice piacere di ascoltare. Ma, al di là di questo, ogni giorno vedevo visi nuovi, sconosciuti, che dopo qualche ora avevo già dimenticato.
 
Ma l'infruttuosità non era il solo motivo per cui non mi sforzavo di tenere a mente i visi dei miei spettatori. Infatti, fino ad allora, nessuno mi aveva mai colpito veramente.
Fino ad allora.


 
   
 
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