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Autore: Nitrogen    11/09/2014    3 recensioni
«Perché, spiegami perché sei qui.»
Il ragazzo inclina la testa da un lato, facendo una smorfia. «Non saprei… Noia, forse. Non ho molto altro da fare, in effetti. Ma è rilevante saperlo? Tanto uno dei due morirà adesso.»
Mi blocco, cerco di assimilare la sua affermazione ma non ci riesco. Devo aver sentito male.
«Prego?»
«Giochiamo alla roulette russa: lei carica l’arma e io piazzo le scommesse. Secondo lei chi ne uscirà vivo?»
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A voi lettori,
nella speranza che vediate in Lykke quello che vedo io.
 
 

 
 
 
Roulette Russa
_________________
 
 
 

 
Esco dall’ufficio con il sorriso stampato sulle labbra.
Sono felice perché il mio capo ha notato il mio duro lavoro e mi ha concesso qualche giorno di vacanza extra: potrò fare quel viaggio a Disneyland che i piccoli hanno sempre desiderato, e stupire Reina che ha potuto vedere Parigi solo tramite delle cartoline e delle immagini su Internet; sogna da molto di visitarla e questo viaggio coinciderebbe anche con il nostro decimo anniversario di matrimonio. È tutto perfetto nella mia testa, devo solo comunicare questa notizia e sarà come se fossimo già in vacanza.
Sono così entusiasta di questa situazione che tornando a casa corro un po’ troppo e dimentico di guardare qualche semaforo – per fortuna senza causare danni –, arrivandoci con circa dieci minuti di anticipo.
Parcheggio la macchina nel vialetto frettolosamente e, uscendo dall’auto, inizio ad allentare il nodo della cravatta: immagino già i loro volti pieni di gioia che mi faranno sentire l’uomo più felice del mondo, più felice di quanto non lo sia già adesso mentre penso a quanto ci divertiremo.
Ma aprendo la porta di casa capisco che qualcosa non va come dovrebbe: né i miei figli né mia moglie né la nostra piccola palla di pelo mi hanno dato il benvenuto, e questo mi lascia perplesso perché non ne comprendo il motivo. Non è mai accaduta una cosa simile.
«Tesoro, sono a casa!», grido sperando in una risposta che non arriva.
Faccio qualche passo nel corridoio, tolgo la cravatta e l’abbandono sull’attaccapanni insieme al cappotto. C’è troppo silenzio per essere la casa di un uomo che ha due figli di cinque e otto anni molto vivaci, ci sono troppe ombre per essere la casa piena di luce in cui sono solito stare. Eppure la casa è quella e nulla sembra essere fuori posto.
«Non si muova, signore.»
È una voce maschile a parlare, una voce che non ho mai sentito prima d’ora e proveniente dalla cucina. Mi sento mancare, e le ipotesi peggiori iniziano ad accavallarsi nella mia testa: prego sia un ladro perché in quel caso potrei dargli tutto quel che ho e dimenticare l’accaduto con un po’ di sforzo; sarebbe semplicemente una brutta serata, ma tutto si risolverebbe in fretta e per il meglio.
«Credevo sarebbe tornato più tardi.», dice tutto d’un tratto. Io resto fermo proprio come mi ha detto; è così buio che non capisco nemmeno quanto sia lontano da me. «Non che mi dispiaccia, ovviamente. Alla fine è lei che aspettavo. Mi ha fatto una bellissima sorpresa.»
«Chiunque tu sia, ti prego, prendi ciò che vuoi e va’ via!»
Sento qualcosa muoversi dall’interno della cucina e un sospiro sembra uscire dalle labbra dell’uomo quasi come se volesse a tutti i costi che io lo ascoltassi, che capissi da quello le sue intenzioni.
«Signore, venga qui e accenda la luce.»
L’educazione di quella voce mi infastidisce, la calma che ostenta mi rende inquieto. Non dico che vorrei darmela a gambe, ma se in quella stanza non ci fossero i miei figli e mia moglie probabilmente sarei già scappato da molto: da quando ne ho memoria non sono mai stato molto coraggioso, e se non fosse per loro non riuscirei nemmeno ad entrare nella stanza.
Accendo la luce, divenendo cieco per qualche istante che sarebbe bastato a quell’uomo per farmi del male. È seduto a capotavola, con dietro di lui mia moglie e i miei bambini legati ed imbavagliati con cura; Reina sta piangendo, e negli occhi dei bambini leggo il panico, la confusione, il terrore. Nella stanza non ci sono né Trisha, la nostra governante, né Sparkie.
L’uomo – che a giudicare dall’aspetto dovrebbe avere non più di venticinque anni – sembra annoiato ed insofferente, come se il mio titubare sul se entrare o meno nella stanza l’avesse seccato abbastanza. Ha la testa sorretta dal braccio, lo sguardo perso in qualche pensiero che non riesco a comprendere. Non è l’uomo che mi aspettavo di vedere, sembra così… una brava persona.
«Sorpresa.», cantìlena rivolgendo la sua attenzione su di me, «La stavamo aspettando per iniziare.»
Vorrei parlare ma non ci riesco, il mio respiro è irregolare e non so cosa fare. Mi volto, scruto il buio in cerca di Trisha e Sparkie senza risultato. Sono l’unico che può salvarli.
«Il cane è caduto nello scantinato. No, aspetta: nello scantinato ho chiuso la vostra governante, Sparkie è nel sottoscala... o forse il contrario. Scusami, ma proprio non ricordo chi abbia messo dove.» Non ricorda? Come può non ricordare? «Ma stia tranquillo, signore, non ho fatto del male a nessuno, non sono quel tipo di persona. Non mi permetterei mai.»
E dicendolo sorride in un modo così sincero che quasi mi costringe a crederlo: non riesco a capire come una persona apparentemente così a modo possa aver fatto una cosa simile.
«Perché, spiegami perché sei qui.»
Il ragazzo inclina la testa da un lato, facendo una smorfia. «Non saprei… Noia, forse. Non ho molto altro da fare, in effetti. Ma è rilevante saperlo? Tanto uno dei due morirà adesso.»
Mi blocco, cerco di assimilare la sua affermazione ma non ci riesco. Devo aver sentito male.
«Prego?»
«Giochiamo alla roulette russa: lei carica l’arma e io piazzo le scommesse. Secondo lei chi ne uscirà vivo?»
Scuoto la testa, visibilmente turbato. Roulette russa?
«Ascoltami, ragazzo… Io non so cosa tu abbia in testa ma non ho alcuna intenzione di… giocare con te. Cos’è che ti serve? Vuoi dei soldi? Posso darteli, non è un problema. Vuoi qualsiasi altra cosa? Va bene, va benissimo! Ma per favore, lascia in pace me e la mia famiglia!»
Il ragazzo passa una mano tra i capelli chiarissimi, accigliato, confuso, come se avessi appena parlato in una lingua a lui sconosciuta. I suoi occhi azzurri sono puntati su di me, studiano con attenzione l’espressione del mio volto; il suo silenzio mi uccide, lentamente.
«Signore, lei non ha capito.» Si alza dalla sedia a capotavola e inizia a far schioccare le dita delle mani, avvicinandosi a mia moglie. Temo il peggio. «Io sono fermamente convinto lei sia una persona intelligente e dotata di ottime capacità decisionali, quindi le chiedo di prestare attenzione a quello che le sto per dire adesso perché ammetto di essere molto paziente, ma non abbastanza da spiegare troppe volte quello che sono convinto sia già fin troppo chiaro… Posso chiamarla per nome, signore?»
Annuisco, riesco a stento a pronunciare il mio nome sottovoce. «Mi chiamo Abram, Abram – »
«Abram?» Fa rapidamente il giro della tavola, raggiungendomi senza aspettare io dica anche il cognome. «Piacere di conoscerla, Abram. Il mio nome è Lysander, per gli amici “Lykke”
, e la pregherei gentilmente di chiamarmi in quest’ultimo modo. È più… confidenziale
Lykke mi tende la mano sorridente, aspettandosi davvero io gliela stringa; quando capisce che non ho alcuna intenzione di farlo, fa qualche passo indietro e bisbiglia un “Come non detto” seguito da una smorfia. Quel ragazzo è completamente fuori di testa.
 «Abram, sarò molto onesto e diretto con lei: non appena io sono arrivato qui, il mio gioco è iniziato. Per qualunque padre di famiglia con cui io abbia avuto a che fare, ci sono sempre e solo tre opzioni possibili. La prima», continua sollevando il dito indice, «è scappare all’inizio, quando si entra in casa e si vedono moglie e figli legati e imbavagliati; in quel caso non mi sarei nemmeno preso la briga di inseguirla e riportarla dentro, avrei stordito i familiari e sarei andato via come se nulla fosse. La seconda» E solleva il medio «è prendermi a pugni e sperare di vincere, ma poiché lei non l’ha già fatto non lo farà nemmeno adesso; immagino non sia tanto coraggioso o tema io possa essere più forte di lei. La terza e ultima» E solleva anche l’anulare «è giocare con me e sperare di vincere, l’unica cosa che lei – senza offesa – sarebbe in grado di fare. Sbaglio?»
Resto in silenzio, stringendo i pugni con tutta la rabbia che ho in corpo: è vero, non potrei mai picchiarlo, non ci riuscirei; sono un codardo, lo sono sempre stato e lui che non è nient’altro se non uno sconosciuto lo sa meglio di me.
«Che ne dice di smetterla con le chiacchiere e iniziare?»
Lo guardo, poi abbasso la testa e lo maledico mentalmente. Ma non posso fare niente, non ho alternative, soprattutto non dopo che ha puntato la revolver contro mia moglie e rimosso la sicura. Reina piange, urlerebbe se non le fosse impedito dallo straccio da cucina, mi supplica con gli occhi di fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di salvarla.
«Ho capito, Lykke, però non puntare quella pistola contro di lei, non è necessario.»
Lui abbassa la revolver e la mette nella fondina sul suo fianco. Si china, fruga in uno zaino da dove tira fuori una videocamera, che mette sulla cucina a inquadrare il tavolo da pranzo. Non ne capisco il motivo e spero che porre una domanda non rovini tutto.
«A cosa serve – »
«Accetta di giocare con le mie condizioni, giusto?»
«Sì, giocherò, ma di quali condizioni – »
«Prego, si sieda, le spiegherò tutto con calma. Dopotutto abbiamo l’intera notte per noi.»
Non riesco a seguirlo, ma faccio quello che dice e mi siedo a capotavola, senza fare storie. A questo punto Lykke torna ad armeggiare con la videocamera, dopodiché si accomoda dall’altro lato del tavolo e tira fuori ancora una volta la revolver.
«Comunque non avrei mai ucciso sua moglie prima di giocare.»
«Le hai puntato la pistola alla testa e tolto la sicura.»
«È ancora scarica, non sono io a dover inserire il proiettile.»
E lascia scivolare la revolver verso di me, affinché io possa controllarne il tamburo. È scarica davvero, sono un idiota.
«Andiamo dritti al dunque, Abram: scommettiamo, com’è facile immaginare, sulla vita di sua moglie e dei suoi figli. Se sarà fortunato lei, io morirò grazie al colpo della revolver e nel giro di qualche giorno avrà già dimenticato l’accaduto. Potrà liberare la sua famiglia e, onde evitare problemi di qualsiasi tipo, le consiglio di mostrare il video che stiamo registrando in questo preciso istante alla polizia. Se invece sarò io il fortunato…», dice sorridendo sornione, «Mi dispiace dirlo, ma sarete voi ad andare al Creatore.»
Annuisco, poi mi volto verso la videocamera: registra tutto per ego personale o perché effettivamente non vuole ci siano conseguenze per me al termine della partita?
«Elimino il video di ogni morte non appena esco dalla casa.», afferma come se mi avesse letto nel pensiero, «Gliel’ho già detto: non sono quel tipo di persona, se uccido è solo per difendere la mia identità.»
«Se tu non piombassi in casa di sconosciuti e li costringessi a uccidersi – »
«Io non la costringo ad uccidersi, è tutta una questione di fortuna.»
Fa scivolare sul tavolo un proiettile, dopodiché si alza e bussa al vetro della finestra. Mi si ferma il respiro per qualche istante quando credo di notare una sagoma con un passamontagna nascosta nel buio che regna nel giardino.
«Fuori questa casa ci sono diverse persone che tengono sotto controllo la situazione. Se lei mi spara, loro entreranno per uccidere lei e la sua famiglia, dunque le sconsiglio di compiere azioni azzardate con la revolver carica. E ci tengo a informarla che sono pagati profumatamente per svolgere il loro compito, e che già diverse volte l’hanno eseguito a dovere.»
Stringo la pistola, frustrato da quanto sta accadendo: ha pensato a tutto, ad ogni singola virgola, e io dopo questa sera non sarò nient’altro che uno dei tanti ad essersi uccisi dalla sua pistola.
«Carichi la pistola e faccia girare velocemente il tamburo, Abram.»
«Perché lo lasci fare a me?»
«Non vorrei lei pensasse io stia barando.»
Uno dei due sta per morire e lui si preoccupa di cosa posso pensare io sul suo conto? Cosa gli importa? Perché gli importa?
«So che non le sembrerà vero, ma io non voglio il suo male, non l’ho mai voluto.», dice non appena ho terminato di caricare l’arma e torna a sedersi, «Nel mio zaino c’è una lettera. Se sarò io a morire le consiglio di prenderla e le assicuro che dopo aver controllato cosa c’è all’interno potrà permettersi molto più di un solo viaggio in classe economica per Disneyland.»
Non capisco cosa stia blaterando quel ragazzo, non vedo un motivo per spingersi realmente a tanto per uno sconosciuto che dovrebbe sperare muoia al suo posto.
«Lykke, evita di – »
«Mi guardi, signore: le sembra io stia mentendo?»
Non vorrei pensarlo, ma non ha torto. Sembra sincero, lo sembra da quando l’ho visto per la prima volta entrando in casa e non riesco a farmene una ragione. Deve mentire bene, deve essere abituato a farlo.
Guardo la revolver, poi porto la mia attenzione su Lykke: «Chi è a iniziare?»
«Lo scelga lei.»
Lascio scivolare la pistola dall’altro lato del tavolo e lui la prende senza obiettare. Sorride e sussurra un “Ottima scelta” prima di portarla alla tempia sinistra. È sicuro, tranquillo, da quasi l’impressione di non aver paura che possa esserci il proiettile in quella camera.
Chiudo gli occhi non appena capisco che è pronto a sparare e aspetto, in silenzio, il rumore di un colpo che non arriva.
Lykke è ancora vivo, e sorride sornione passandomi la revolver.
«Dimenticavo: se vuole, può girare il tamburo ad ogni turno o sparare direttamente, non fa alcuna differenza. Voglio lei sia l’artefice del proprio destino, dunque scelga di fare quello che meglio crede.»
Ci penso e vado nel panico: non ho la minima idea di cosa sia meglio fare in una situazione del genere, se avrei più probabilità di morire sparando adesso o facendo girare nuovamente il tamburo. Decido senza alcun particolare motivo di far ruotare il tamburo, e mi ritrovo Lykke che mi osserva come stupito dall’altro lato del tavolo.
«Io non l’avrei fatto, Abram.»
«Perché?»
«Probabilità, probabilità.», dice non volendo aggiungere altro. «Forza, prema il grilletto.»
Fatto da lui sembrava un’azione così semplice, ma adesso che è il mio turno quasi me ne mancano le forze: se in questa camera c’è il proiettile non morirò solo io ma anche la mia famiglia, ed è quello che più mi spaventa in assoluto. Loro non meritano una fine del genere, loro…
«Perché proprio me?», chiedo senza riflettere, «Voglio dire… tra tutte le famiglie che potevi scegliere…»
«Mi dispiace, non c’è nessun particolare motivo. L’ho vista una volta in un ristorante con sua moglie e le sue figlie e ho semplicemente pensato che sarebbe stato bello giocare con lei. È stato sfortunato, nient’altro. Ma se vuole un motivo a tutti i costi per farsene una ragione, posso dirle che la sua casa è piuttosto distante da quella dei vicini e ha un bel giardino: le persone ci metteranno un po’ a preoccuparsi dello sparo – a capire che è uno sparo – e io avrei il tempo di scappare indisturbato nel caso lei morisse.»
Vuole davvero farmi credere la mia sia stata solo “sfortuna”? Che se non mi avesse visto in quel ristorante tutto questo non starebbe accadendo? Quel ragazzo mi crede un idiota, non sta facendo altro che prendermi in giro e non vede l’ora di divertirsi torturandoci.
«Non deve aver paura, signore.»
Sollevo la revolver e la porto lentamente alla tempia destra. Non credo in cose come il Destino o la Fortuna e non ho nemmeno un Dio a cui pregare per la vita mia e della mia famiglia; sono un uomo morto, sento di aver già perso.
«Andrà tutto bene, Abram. Tolga la sicura e prema il grilletto.»
Guardo per l’ultima volta Reina e le mie bambine, dopodiché chiudo gli occhi ed esito prima di rimuovere la sicura: ho paura, potrebbe essere il turno sbagliato come quello giusto e io non vorrei morire in questo modo.
Apro di nuovo gli occhi, ma questa volta è per guardare Lykke e mostrargli tutto l’odio e il disprezzo che provo. Era tutto perfetto prima che entrasse nelle nostre vite e so che capisce perfettamente quello che a voce non gli dico.
Lui sorride amaro e, a quel punto, io premo il grilletto.








 
 

 «Sai, questa sera mi sento particolarmente angosciato.»
«Lykke, sei sicuro di volerlo fare ancora?»
«Certo. Sapevo fin dall'inizio che non sarei potuto essere sempre così fortunato.»





 


──Note dell'autore──
Inizialmente, questa one-shot doveva partecipare ad un contest che sarà stato chiuso non so quanti mesi fa ─ forse addirittura l'anno scorso. Mi era stata data una battuta molto simile a quella che dice Lykke ad Abram 
(«Giochiamo alla roulette russa: lei carica l’arma e io piazzo le scommesse. Secondo lei chi ne uscirà vivo?») ed io, come era facile immaginare, ero talmente eccitata all'idea di poter creare un omicidio ─ ormai routine in ciò che scrivo ─ che non mi sono nemmeno preoccupata di battere a pc l'idea che avevo pensato, rimandando in eterno fino ad oggi.
Non so come io mi sia ritrovata ad accarezzare l'idea di far piombare un pazzo in una casa qualsiasi per giocare alla roulette russa ─ scusatemi, anche io ho qualche disturbo mentale ─, ma vi assicuro che Lykke ha dei motivi più o meno discutibili per cui farlo e che, ovviamente, io non vi dirò. Inoltre, ci tengo a dirvi che le ultime tre battute con allineamento a destra potete prenderle come un flashback (e dunque credere che sia morto Lykke giocando con Abram), oppure come un dialogo futuro con una persona non ben precisata (e far morire Abram prima e, in seguito, anche Lykke) o come vi pare. Insomma, per me potete dare a questa one-shot il finale che più desiderate, poiché in questo caso il finale è la cosa meno importante di tutta la storia.
Detto ciò, vi ricordo che per insultarmi potete farlo sia nelle recensioni che sui miei svariati profili.

Buonaserata~


♦ Curiosità: Sono fissata con i nomi, dunque ognuno di essi ha un preciso significato che non vi sto a spiegare poiché con una semplice ricerca troverete sia Lysander che Abram che Reina (quest'ultimo facilmente intuibile senza ricerca). L'unico che temo non troverete al primo colpo è Lykke, e dunque vi dico che, in realtà, è un nome femminile del Nord Europa il cui significato è "buona fortuna". Lo so, lo so, quest'ultimo nome l'ho scelto bene.


「Nitrogen」
   
 
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