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Autore: fragolottina    12/09/2014    40 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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MSC 29 fragolottina's time
non credevo di arrivare fin qui, ma, signori e signore, ce l'abbiamo fatta.
dichiaro "Il Mitronio di Synt" ufficialmente chiuso.
leggete che ci vediamo più giù!


30.
Epilogo


Zach aspettò di essere sicuro che sua madre e suo padre dormissero prima di saltare giù dal letto. Si infilò le scarpe da ginnastica ed il giubbotto sopra il pigiama, poi, silenzioso, uscì in corridoio. Scivolò fuori di casa e scavalcò la staccionata che divideva il suo giardino da quello dei vicini.
    Jamie era già lì, seduto su una delle sdraio che costeggiavano la piscina esterna. «Ciao, Zachy. È bello sapere che funzioni ancora.» lo salutò con un mezzo sorriso.
    «Ciao.» Zach si sedette vicino a lui. «Papà dice che Sean è morto.» disse deglutendo, si morse le labbra prima di continuare. «Ma non può essere, vero?» domandò speranzoso. Zach lo sentì trattenere il fiato, poi lasciarlo lentamente andare; più che abbassarsi le sua spalle sprofondarono.
    «Sean è morto per davvero.»
    Zach lo spinse. «Non è vero.»
    Jamie incassò. «Sì.»
    «No, sei un bugiardo.»
    «L’ho seppellito.»
    Zach rimase immobile, come aspettando che la terra improvvisamente inghiottisse anche lui, poi strizzò gli occhi e si tolse le lacrime dalle guance con un gesto furioso. «Perché tu non hai fatto niente se eri con lui?» pianse spingendolo ancora.
    «Perché quel figlio di puttana l’aveva visto e mi ha drogato.» rispose con semplicità, si strinse nelle spalle. «Pardon, è anche tua madre.»
    Zach rimase in silenzio tanto a lungo che pensò di essersi dimenticato come si facesse a parlare. «Come?» domandò poi.
    «Una bomba è esplosa.»
    «Chi ce l’aveva messa?»
    Jamie rimase in silenzio, parve pensarci; lo guardò. «Eravamo in guerra, in guerra accadono cose brutte, le persone muoiono, non c’è un colpevole, non cercarlo.» ripeté come se stesse leggendo un discorso già scritto.
    «Sono le stesse cose che ha detto la mamma.»
    «Per questo te lo dico anche io.»
    Zach gli afferrò il braccio scrollandolo, frustrato, arrabbiato, furioso come solo la disperazione lo poteva rendere; ma finì per appoggiarci la fronte e piangere.
    «Devo portarti via di qui.» disse Jamie più a sé stesso che a Zach.

Nate si decise ad aprire la busta gialla che era stata chiusa sulla sua scrivania tutto il giorno. Gliela aveva consegnata Jean, era tra le poche lettere cartacee che ancora le arrivavano; niente timbro postale, niente mittente, solo il suo nome, scritto sopra con un segno frettoloso di pennarello nero.
    La aprì piano e tirò fuori il contenuto.
    Era un rapporto sanitario dell’esercito, lesse la lista dei paesi interessati: buona parte dell’Africa Mediterranea e Centrale veniva indicata come zona rossa; Siria, Turchia ed Irak erano zona nera.
    Nate continuò a leggere senza capire di cosa si parlasse, analizzò i numeri, si contavano migliaia di morti, nessun guarito.
    “I soggetti beta mostrano la completa immunità al virus”.
    Virus? Era di un virus che si parlava? Perché non ne sapeva niente?
    Il fascicolo che seguiva era una collezione di macabre foto di cadaveri. Le vittime di quel virus apparivano estremamente sciupate e sgonfiate in qualche modo, come se fossero state consumate dall’interno. Erano coperti da macchie nere e rosse sui bordi, come lividi, ma molto più scuri e pronunciati.
    Corse a leggere il fascicolo che descriveva quel virus e gli stadi del contagio.
    Congestione delle vie respiratorie superiori.
    Iniziava come un raffreddore e rimaneva raffreddore per un tempo variabile che andava dai cinque agli otto giorni. Poi l’infezione scendeva ed interessava bronchi, polmoni, iniziando a penetrare le vie circolatorie periferiche; si indebolivano e si rompevano facilmente, da lì le macchie nere, accumuli di sangue. A mano a mano che la malattia progrediva il virus si faceva strada sempre più in profondità sfruttando la circolazione sanguigna. Nel frattempo la vittima accusava emorragie, spossatezza, tosse con sangue, per non parlare del fatto che il sangue raggrumato in macchie nere provocava infezioni. Due erano le principali cause della morte: emorragia interna o arresto cardiaco.
    Il contagio avveniva maggiormente durante la prima fase, con le stesse modalità di un raffreddore.
    Nate rimase a pensare per alcuni secondi: quanto avrebbe impiegato ad attraversare l’Atlantico?
    Tra i vari fascicoli c’era anche un’altra busta, quello però era il rapporto di un medico specializzato in epidemie – quella parola gli mise i brividi – e c’era una fiala di sangue. Per un lungo momento, Nate non ebbe il coraggio di toccarla, terrorizzato all’idea di potersi contagiare. Ma sopra la fiala c’era un’etichetta: “Sei un soggetto beta”.
    Tirò fuori la fiala, poi tutto il resto, compresa una lettera.
    “Puoi fare niente?”.
    Nate non lo sapeva.

Ero di nuovo seduta ad un tavolo davanti agli agenti dell’ADP. Wood era dall’altra del vetro insieme a Jean. Mi avevano già interrogata molte volte ed io avevo dato la stessa versione dei fatti che avevo raccontato a Jean, al cimitero, davanti alla tomba di Josh.
    Da quando Wood era arrivato a Synt erano pochi i posti davvero sicuri.
    «E quindi, Vegliante Farrel, ci dica ancora una volta perché è scesa nei garage dell’ospedale?»
    Alzai gli occhi al cielo, stanca di sentirmi porre sempre le stesse domande. Aspettavano che mi contradicessi da sola per cogliermi in fallo, ma non l’avrei mai fatto.
    «Stavano trascinando Zach, dovevano avere un’auto ad aspettarli, non potevano fare molta strada tenendolo tra le braccia.» dissi pratica.
    «Perché non ha sparato?»
    «C’era Zach, avevo paura di colpirlo.» ripetei annoiata. «Esattamente come l’ultima volta che ve l’ho detto.»
    «Eppure le sue pistole erano cariche di sedativo o Mitronio, non pericolose per Zach.»
    Sospirai. «Ma era stato molto male, avevo paura di peggiorare la sua situazione.»
    «Capisco.» disse uno degli agenti. «Crede che i Veggenti gli faranno del male?»
    Mi strinsi nelle spalle. «Non posso saperlo.»
    «A lei non ne hanno fatto.» ricordò l’altro.
    «No.»
    «Perché dovrebbero farne a lui?»
    «Ha ucciso molti più Veggenti di me.» spiegai, poteva essere un’ottima motivazione, in realtà lo era.
    «Crede che i Veggenti possano raccontare abbastanza bugie a Zach da convincerlo a passare dalla loro parte.»
    «No.» dissi.
    «Sa come potremmo fermarlo in quel caso.»
    Mi incupii. «Ho risposto di no.»
    «Se si sbagliasse…» insinuarono.
    «Non mi sbaglio.»
    «Mattiamo che Zach riuscisse a scappare dalla prigionia dei Veggenti.» intervenne l’altro agente. «Se fosse in lui, dove si nasconderebbe?»
    Per alcuni secondi rimasi zitta, pensai a Zach, a quello che era ed a quello che sarebbe stato. Lanciai un’occhiata a Jean e la vidi stringere le labbra in una linea severa, sapeva che le mie parole, seppur pronunciate con leggerezza, avevano un peso enorme.
    Una dichiarazione di guerra in pentametri giambici è se pur sempre una dichiarazione di guerra.
    «Se io fossi lui…» finsi di pensarci poi risi. «Se io fossi lui non mi nasconderei.»

Zach aveva tirato per la stanza tutto quello a cui arrivava. Aveva ribaltato il letto, ogni singolo piatto che gli avevano portato, anche il secchio che gli avevano indicato come bagno. Aveva pisciato in un angolo perché voleva essere infantile e fastidioso. Non aveva buttato l’acqua perché non era stupido.
    Quella notte però quando aprì gli occhi, accartocciato sul materasso contro un angolo, la porta era aperta. Non sapeva che ore fossero, aveva cercato di tenere regolarizzate le ore di sonno e di veglia, in modo da poter essere sicuro dello scorrere del tempo, ma a volte, nonostante fosse guarito, si sentiva ancora spossato e non riusciva a rimanere sveglio fino all’ora della nanna.
    Zach si sollevò sui gomiti, osservandola come la trappola che doveva essere: perché rapirlo se non volevano tenerselo?
    Anche se non sarebbe stato il primo con cui lo facevano: Becky era tornata, ma evidentemente se l’erano tenuta abbastanza per plagiarla.
    Si alzò ed afferrò la bottiglia d’acqua, ne prese un lungo sorso, non sapeva se gli sarebbe potuta servire come arma e non voleva stare lì a rimuginarci in quel caso.
    Dovunque si trovasse sembrava una specie di ospedale in disuso, c’erano una miriade di stanze, lui provò ad aprirle tutte, ma solo alcune erano state lasciate aperte: c’era un posto preciso dove volevano che andasse. Decise di seguire il percorso che gli avevano lasciato, più veloce che poteva.
    In qualche modo i corridoi lo portarono sotto terra, in una serie di cunicoli dall’aria intricata.
    Attraversò varie gallerie prima di trovarsi all’interno del pozzo di luce – forse un lampione – di un tombino. Si aggrappò alla scala e spinse per sollevare il coperchio di ferro, si issò nella strada deserta di una Synt sotto coprifuoco. Era nella Zona Gialla e pensò con nostalgia a Nate, si allontanò da loro non appena il ricordo di Becky rischiò di affiorare nella superficie di delusione fangosa in cui l’aveva seppellita.
    Per un po’ rimase fermo in mezzo alla strada, era stato molto motivato nella fuga, ma a quel punto non sapeva bene dove andare.
    La caserma gli sembrò l’unica opzione possibile.
    C’erano Veglianti ovunque, non ne conosceva nessuno.
    Gli sembrava di ricordarsi di alcuni, forse li aveva incontrati all’Asta, ma erano ospiti. Erano goffi e rumorosi, Jean non li avrebbe mai portati a casa. Si ricordava gli allenamenti che faceva con Courtney: uno dei due si bendava e l’altro doveva avvicinarsi il più possibile senza farsi sentire. Quelli sarebbero stati semplici da trovare anche per una mezza cheerleader come Becky.
    Per un po’ rimase nascosto ad osservarli, indeciso; si sentiva stranamente disorientato: quella era la sua città e quelli, anche se non facevano parte della sua squadra, erano Veglianti, dovevano essere colleghi… no? Un paio di volte fu sul punto di fare un passo in avanti, uscire dall’ombra, mostrarsi. Lo cercavano perché erano preoccupati per lui.
    Non ci riuscì, ogni volta che si immaginava farlo i suoi battiti acceleravano e sentiva il panico mordergli lo stomaco, la cicatrice lasciata da Romeo pulsare come un avvertimento.
    Alla fine si arrese a strisciare di soppiatto verso la caserma.
    Scese all’interno del palazzo di fronte perché gli sembrò l’unico modo di sbirciare la situazione all’interno. Ricordava a memoria tutti gli appartamenti vuoti. Si infilò in una camera da letto abbandonata da tempo, rimaneva soltanto lo scheletro di un letto, un materasso puzzolente e macchiato ed uno specchio mezzo rotto.
    Vedeva il corridoio del primo piano, le loro camere.
    Vedeva Becky.
    Camminava a testa alta. Cercò nella propria mente la ragazzina che aveva tenuto per mano il giorno dell’Asta e la stessa che rispondeva male al soldatino dentro la scatola, straordinariamente due facce della stessa medaglia; gli era piaciuta per quello, l’aveva fatto ridere e… sì, se Jean avesse saputo che aveva portato a casa una recluta perché lo aveva fatto ridere gli avrebbe dato un cazzotto, ma Josh gli aveva sempre detto di prendere le cose che lo colpivano.
    Una ragazza ispanica le si affiancò con aria determinata, aveva l’aria familiare, ma non se la ricordava esattamente.
    Becky si fermò e per un attimo gli sembrò turbata, ma poi si girò ad affrontarla.
    La ragazza la spinse, le disse qualcosa. All’inizio Becky gli sembrò dispiaciuta, andò addosso al muro come una bambolina di pezza, ma rimase in piedi. La ragazza continuò a parlare, Zach poté leggere nella sua espressione il momento in cui disse troppo: Becky strinse i pugni e sollevò il viso, il suo sguardo conteneva la consapevolezza di poter vincere, sempre.
    La ragazza tirò indietro il pugno per darle un cazzotto, ma all’ultimo Becky si abbassò e la ragazza colpì il muro con abbastanza forza da rompersi qualcosa se non avesse stretto bene. Becky non aveva finito: a terra si appoggiò sulle mani ed allungò una gamba dietro le sue, indovinando che sarebbe indietreggiata. La ragazza cadde goffamente sulla schiena.
    Becky si alzò e si guardò intorno tirandosi indietro i capelli, assicurandosi che non l’avesse vista nessuno; poi si sporse a guardare la sua avversaria a terra.
    «”E ringrazia che Wood mi fa consegnare le pistole”.» disse una voce alle spalle di Zach.
    Lui continuò a guardare Becky infilarsi nella sua camera, poi si voltò a fronteggiare Romeo.
    «Era Amanda Martinez, Iago era suo fratello.» spiegò recuperando un pacchetto di sigarette dalla tasca, ne prese una, poi lo lanciò verso Zach che lo prese al volo. «Becky l’ha ucciso e lei ha detto che per vendetta avrebbe ucciso te.»
    Zach rimase guardingo per alcuni secondi, poi ne prese una a sua volta; se la porto alle labbra leccando la parte posteriore del filtro come faceva sempre. Tornò a guardare verso la caserma.
    «Affascinante, vero?» indovinò Romeo. «Becky al momento è tipo una lampadina a basso voltaggio: si sta accendendo ed ogni momento che passa brilla un po’ di più.»
    Zach continuò a pensarci, era stata brava, intelligente. Era sempre la stessa Becky, non molto forte e poco portata al combattimento corpo a corpo, ma era stata abbastanza sveglia da sfruttare l’impeto e la rabbia cieca della sua avversaria a suo favore. Magari però la prossima volta se ne sarebbe occupato lui…
    «Non si fa del male ai Veglianti.» Romeo irruppe nei suoi pensieri come se avesse parlato a voce alta. Gli si avvicinò e continuò. «Per quanto possibile, non ci piace nemmeno farci catturare o bistrattare, ma… sono come noi e non lo sanno, sarebbe sleale prendersela con loro. Non sono il nemico.»
    «Io non sono il nemico?» chiese a Romeo, scettico mentre si voltava a guardarlo.
    Lui scosse la testa.
    «E chi è allora?»
    Romeo ci pensò. «È un po’ più complicato di così, ma posso spiegartelo.» propose. «Però ho bisogno di sapere che vuoi fare.»
    «Che voglio fare?» domandò Zach confuso lanciandogli appena un’occhiata.
    «Posso farti andare via da qui, trasferirti in un posto dove nessuno ti cercherà, farti sparire. Non sei obbligato a restare.»
    Zach si concentrò sulla caserma, appoggiò le braccia all’intelaiatura, ormai vuota, della finestra e buttò fuori una boccata di fumo che guardò salire in alto. Le luci iniziavano a spegnersi, non li vedeva più, ma sapeva che dentro c’erano i suoi amici, gli unici che avesse mai avuto; loro sarebbero rimasti, avrebbero lottato. Guardò Romeo, sospettoso.
    «Sai cosa ti risponderò, vero?»
    Lui rise. «Posso dirti di no se la cosa ti fa sentire meglio.»
    Zach alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, poi tornò a qualcosa che Romeo gli aveva detto poco prima. «Sono come te?»
    Romeo lo guardò. «Quasi, mi somigli parecchio e sai fare quello che faccio io.» indicò con un cenno del capo la caserma alle sue spalle. «Loro sono esattamente come me.»
    «Anche Becky?»
    «Sì.»
    Zach si sentiva disorientato, non tanto per quello che Romeo gli stava dicendo, quanto per il come: niente indovinelli, niente frasi a metà, niente misteri; la verità, tutta la verità, era semplicemente alla portata delle sue domande.
    Lo guardò come se improvvisamente stesse ricordando qualcosa. «Io però non vedo.»
    «Vedrai.» promise Romeo. «Anzi, credo che tu abbia già iniziato a sognare qualcosina.»
    Zach non si sbilanciò, non disse niente.
    «Comunque, io torno a casa, ti ricordi la strada?» gli domandò.
    «Non hai paura che scappi? Non vuoi riportarmi con te?»
    Romeo si stiracchiò. «Non stai scappando e non credo che lo farai.» osservò prima di scuotere la testa con aria stanca. «E poi fai casino se ti teniamo dentro. Oh, ti conviene pulire il bordello che hai lasciato perché quella continuerà ad essere la tua stanza.» lo rimproverò.
    «Se resto.» puntualizzò.
    Romeo lo congedò con appena lo sventolio di una mano mentre si dirigeva verso la porta. «Sì, sì, come ti pare. L’ultima nave parte domani all’alba quindi sbrigati a prendere una decisione ovvia.» si raccomandò. «Una volta fatto passa a trovare Ryan, non si combattono i Veglianti armati di Wood a mani nude.»
    «E si mi prendono?»
    Romeo rise. «Prenderti? Tu non sei mai riuscito a prendermi.» gli ricordò, poi fece una smorfia. «Solo, attento a non far arrabbiare Becky perché lei ci spara davvero.»
    «Sì, me lo ricordo.» borbottò Zach contrariato.

Due giorni dopo che Jamie aveva cercato di farlo uscire dal paese con dei documenti falsi, Logan Douquette salì le scale diretto in camera di suo figlio. Dhelia era sul divano al piano di sotto, presente solo a metà, troppo stordita dai calmanti per avere davvero coscienza di sé: la morte di Sean e la successiva quasi scomparsa di Zach le avevano causato un crollo nervoso.
    Suo figlio era seduto per terra, con la schiena contro il letto.
    «Zach?» lo chiamò osservandolo, aveva gli occhi chiusi, ma gli sembrava piuttosto inusuale che si fosse addormentato in quel modo.
    «Zachy, stai bene?» chiese ancora.
    Zach aprì gli occhi e lo fissò, Logan Douquette fece un passo indietro con un brivido; erano i suoi occhi, ma Zach lo guardava con lo stesso sguardo di sfida di Sean.
    «Ce l’hai messa tu quella bomba.» disse, non aveva l’intonazione di una domanda, anzi, da come venne posta, sembrava che il primo sorpreso fosse lui.
    «Cosa?»
    «Sei stato tu ad uccidere Sean.»
    Logan rimase zitto, poi aggrottò le sopracciglia. «È stato Jamie a dirti una cosa simile?» gli chiese.
    Zach si alzò in piedi, aveva il manico della mazza da baseball che gli aveva regalato stretto in un pugno. Scosse la testa in lacrime. «L’ho visto.»
    Logan trascinò Zach al pronto soccorso e lo scaricò come immondizia, sopra una brandina. Urlava ancora, aveva urlato per tutto il tempo, tossendo e bussando sul portabagagli. Non si era fatto impietosire, non era un bambino vero, era troppo pericoloso lasciarlo diventare tanto consapevole di sé stesso. Sean aveva fatto un casino.
    «Rimettetelo apposto, dategli tutto il Mitronio che riesce a reggere e chiamate Dawn Dandley: non voglio che ricordi niente di questa notte.» ordinò ai medici che vennero a soccorrerlo. «Anzi…» si corresse fissando gli occhi di suo figlio spalancati ed impauriti. «Fate in modo che ricordi un pochino, che sappia che non può fare di testa sua, che gli ordini li do io.»
    «Io non dimenticherò.» promise Zach, la voce arrochita per aver strillato tanto.
    Logan si chinò su di lui. «Certo che lo farai. E nessuno potrà ricordarti come sei: Sean è morto, Jamie non può rientrare nello stato senza essere arrestato, tua madre sta lentamente andando fuori di testa: sei solo. Chi ti aiuterà?»
    Lui deglutì e cercò arrivando più lontano che poté, trovando aiuto nel futuro visto che non poteva averne nel presente. Sorrise. «Un Vegliante dai capelli rossi.»


eccomi...
oddio, ce l'ho fatta!!
e ad un prima occhiata mi pare che quadra tutto!!

dunque procediamo con i ringraziamenti.
come sempre ringrazio di cuore le prime recensitrici, quelle che hanno preso la mia storia, sconosciuta, potenzialmente folle e decisamente lunga - il primo capitolo conta 4642 parole, rendiamoci conto - e mi hanno detto: Daje! grazie, siete state fondamentali!
poi un grazie a tutte quelle che in queste anni - no, dico, parliamo di anni - mi hanno supportata, voluto bene, incoraggiata, aspettata. siete state dolci, pazienti, educate e gentili quando sbagliavo, piene di cose carine da dirmi anche quando qualcosa non vi convinceva.
spero di essere stata in grado di ricambiare tanto affetto. tirate fuori il meglio di me, mi fate venir voglia di scrivere sempre meglio, di offrirvi letture sempre più interessanti, perchè ve lo meritate.
e, oh, nel caso io fossi stata poco gentile qualche volta, chiedo scusa: ho anche io le mie giornate no ed anche io posso essere di cattivo umore, ma sappiate che niente di quello che mi avete detto è stato soffiato al vento.

progetti futuri.
allora, mi fermerò un pochino per due motivi: primo, devo strutturare la trama del secondo capitolo della saga e se non vogliamo impiccarci in buchi logici impossibili da sbrogliare, bisogna fare un lavoro minuzioso; secondo, non ridete, voglio aggiustare il Mitronio e mandarlo a qualche casa editrice, tanto per vedere che fa.
non ridete, c'ho pensato tanto. la prima a credere che non sia abbastanza buono sono io, fidatevi, è che ho pensato che ci ho lavorato tanto - e ci lavorerò tanto - e tutto sommato a provarci non perdo niente, no?
se voleste incrociare le dita per me non sarebbe male!

le dolenti note.
furbette, dopo essermi fatta una cultura sul sito della SIAE ed aver chiesto al mio avvocato tutto quello che potevo in merito, ho scoperto questo: rendere on-line e fruibile una storia su un sito pubblico, rappresenta già di per sè una dichiarazione di proprietà. questa storia e tutte le altre sono legalemente mie.
risparmiatevi l'umiliazione di dire alle vostre lettrici "Mi fate i complimenti per una storia non scritta da me".
in questo, lettrucciole, vi chiedo aiuto. sono presente e lo sarò nonostante il mio periodo di pausa, ma siccome non sono in tutti i luoghi e in tutti i laghi, a differenza di Valerio Scanu, non posso esserlo, nel caso vediate cose sospette, storie che vi puzzano, idee che non vi sembrano proprio originali e soprattutto il copia/incolla, vi prego, segnalate a chi di dovere ed avvertitemi, ve lo chiedo come favore personale.
anche perchè, come scritto sulla mia pagina personale, non autorizzo riproduzioni della mia storia, in nessuna lingua ed in nessun sito. le mie storie sono a mio nome e pubblicate su EFP, tutto quello che trovere al di fuori non ha la mia autorizzazione.

vi lascio i miei contatti: Fragolottinasfanpage e Twitter sappiate che potete cercarmi per ogni cosa, ispirazioni, consigli su tutto quello che vi viene in mente di chiedermi consiglio - a vostro richio e pericolo obviously!
vi voglio bene!
baci


   
 
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