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Autore: Rota    12/09/2014    3 recensioni
Kuroko intravede disordine, lungo la strada, persino un uomo disteso a terra dietro un bidone della spazzatura ancora pieno, e una puzza di marcio che si nasconde e si mescola a quello asettico della perfezione di plastica; neanche lo smog delle fabbriche sempre produttive riesce a intaccarlo. Capisce di aver raggiunto il limite che separa il centro dalla periferia, le case bianche dei nobili e quelle nere degli operai: la vicinanza con la parvenza del mondo libero lo inebria, come il dolore e come la sensazione di gelo della notte. Il cuore ha un tumulto che lui, per la prima volta dopo troppo tempo, riconosce come gioia.
-Senti, senti! Stammi a sentire! Moglie, incubatore, uomo, qualsiasi cosa tu sia in questo momento! Ascoltami un attimo! Non mi interessa, chiaro? Non osare darti la colpa di tutto ciò! Tu non hai colpe! Io sono il solo responsabile! Quando ti ho salvato dalla strada, l'ho fatto per me! Quando ti ho morso e ti ho legato a me, l'ho fatto perché io ti desideravo! Tu non hai colpe, hai capito?
Prima classificata al "Di Omega!Verse, fluff e OTP - Multifandom contest" valutato da graceavery
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate
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*Capitolo tre*

Bring me home in blinding dream



Bring me home in blinding dream
Through the secrets that I have seen
Wash the sorrow from off my skin
And show me how to be whole again

 


 

 

Sguardo fisso nel vuoto. Postura rigida, non un solo muscolo fuori posto. Nelle orecchie, l'eco di una formula ripetuta non di rado, che ora lo tocca con terribile, atroce e concreta realtà.
L'esecuzione pubblica di una Moglie accusata di fornicazione è una dimostrazione come un'altra del mantenimento di un codice ferreo di legge, fatta rispettare con forte imposizione da ogni strato della gerarchia. E poco importa se il signor Akashi, dirigente della cosiddetta Fabbrica, è un uomo rispettato e potente: neanche lui può permettersi il privilegio della ribellione e proteggere uno dei suoi protetti.
Divise in fila, davanti al patibolo, ancora le Mogli recitano la lunga nenia funebre, la sentenza che con aspre parole descrive l'atto nefando di una volontà truffaldina, che mina le basi della società stessa. C'è un lungo cappio, appeso a una carrucola sospesa in aria per mezzo di una trama, che parte dal collo bianco del giovane ragazzo e finisce in mezzo a quelli che potevano essere chiamati suoi compagni. Sugli spalti, i mariti e gli aspiranti, tutt'attorno, come corvi o avvoltoi, gli Esecutori dell'Ordine divisi per grado e importanza.
Poi l'accusa finisce, e le Mogli si accalcano presso la fune del cappio – tirano, tutte assieme, finché l'accusato non pende in aria senza appoggio, e scalcia e si dimena solo per qualche secondo. Hanno avuto la decenza, prima, di coprirgli il volto con un sacco rosso, simbolo del peccato carnale.
Chi è fisicamente presente, applaude davanti al patibolo; gli altri, fanno lo stesso di fronte ai grandi schermi posizionati sulle fiancate dei grattacieli che danno sulle strade principali, per un pubblico più vasto. Entro qualche minuto e tornerà a scorrere, come sempre, la pubblicità di qualche ristorante appena aperto o il trailer dell'ultimo telefilm trasmesso dalla rete nazionale.
Kagami rimane fermo qualche secondo di più, con la pelle del viso ridotta allo stesso colore del cemento e alla stessa sua durezza, mentre solo Kiyoshi si accorge di quei secondi di troppo mentre gli rimane accanto.
Quello era il ragazzo che ha fermato egli stesso, non più che qualche giorno prima.

 

Si era dimenticato, per un attimo, di chi fosse davvero.
Non che non gli sia chiaro, in ogni istante della giornata, la sua identità di fuggiasco e clandestino, nella più pericolosa delle applicazione della discrezione: l'inedia in cui è costretto, nel silenzio assoluto dove rimbombano soltanto i pensieri nati nel cervello, gli lega non solo il fisico ma anche la mente tutta, ed è peggio che una gabbia stretta. Ma, pur in tutto quello, c'è sempre stato quell'anelito di libertà e vita che lo rende grato, ancora, di esistere, e non ritrovarsi a soddisfare le voglie di una delle tante persone facoltose che fanno da clienti alla Fabbrica in cui è nato e stato cresciuto.
Alpha, beta e omega.
Tutto si basa su questo e tutto da questo è nato: divisione dei ruoli per creare la società più funzionale possibile, nelle condizioni cui il mondo è stato costretto, a causa dell'industrializzazione selvaggia e del progresso estremizzato. Ed è paradossale come, in un insieme di regole solo artificiali, persista la più istintiva delle motivazioni irrazionali a legare due individui in un rapporto che, nonostante tutto, viene considerato inscindibile. Il privilegio del senso dell'olfatto, come ogni altra comunicazione sensoriale che viene sancita attraverso il morso e quindi alla prerogativa dell'avvenirsi delle reazioni chimiche riguardanti l'eros, sia nel beta che nell'alpha.
Non si può ignorare l'esistenza dei soppressori, come anche quella degli integratori: alterano la naturale recezione o la naturale emanazione, e questo in qualche modo può regolare qualcosa che avviene fuori dalla logica di freddi calcolatori. Ma non la può frenare totalmente.
Kuroko è a conoscenza di storie terribili, a riguardo, racconti che tra colleghi si tramandano da tempo immemore.
Di Mogli violentati da uomini schiavi della propria mania olfattiva, di Mogli sconsiderati che si consumavano d'amore per un uomo non in grado di comprarle, di uomini pronti a ogni tipo di follia per Mogli particolari. Per questo la libertà faceva paura a tutti loro: non si vedeva la ragione nel desiderio di lasciarsi andare completamente a istinti così brucianti e distruttivi, così corrosivi e totalizzanti.
Kagami affonda ogni mattina il naso tra i suoi capelli, perché è il momento della giornata in cui il suo odore non è ancora stato represso e lui lo può sentire davvero, con tutto il corpo. E Tetsuya percepisce la sua sensibilità farsi acuta, contro il proprio petto, nel cuore che cambia di ritmo e nei muscoli che fremono. Gli piace molto, e sembra quasi che il suo stesso sangue reagisca a quel richiamo così suadente. Braccia, gambe, busto, labbra: ogni particolare di lui è desiderato e desiderabile, per Kuroko.
Eppure in quel momento, mentre fissa il vuoto e con la mano si accarezza la pancia, non può che portare alla propria memoria quei lunghi giorni dedicati all'istruzione dell'arte dell'amore, alle fasi di crescita del nascituro e alle conseguenze fisiche di un parto per quelli come lui. Il bambino che è stato concepito nel suo ventre è di certo il frutto dell'amore che lui considera puro con Kagami, e non potrebbe desiderare per sé qualcosa di più prezioso. C'è sempre gioia sincera, nello sguardo di una Moglie diventato padre.
Ma l'incertezza sul loro avvenire assieme, dopo lo sgretolamento di ogni possibile nuova realtà, è un prezzo troppo caro da pagare. Lui non può più prendere integratori, per non danneggiare in qualche modo il proprio pargolo, e Kagami non può più proteggerlo.
Troppo, troppo alto.

 

-Kagami- kun?
È strano che Taiga non trangugi il cibo nel proprio piatto, dopo una giornata lunga di lavoro, così come è insolito trovarlo a fissare il vuoto all'inseguimento di un pensiero sfuggevole. Kuroko nota la fatica nelle sue occhiaie, quando si decide di rispondere al suo sguardo.
Nonostante il tavolo che li divide, può sentire ogni sospiro affranto.
-Mi dispiace, sto pensando a una soluzione.
Come se tutta la colpa – se mai c'è davvero una colpa – possa ricadere sulle sue sole spalle.
Lascia definitivamente il cucchiaio nella ciotola e porta una mano a sorreggersi la testa, le unghie delle dita a grattare i pochi capelli rossi sulle tempie.
-Potrei chiedere a Kiyoshi dei soppressori diversi, non così invasivi come quelli che mi procura di solito.
Si ferma solo un istante, per considerare un piccolo dettaglio.
-Non vorrei poi che si incuriosisse e mi chiedesse qualcosa.
Alza un poco la voce, sbatte il palmo della mano sul tavolo e guarda in alto, in una posa chiaramente di esasperazione.
-Ah! Lui sa essere un vero impiccione!
Kuroko lo ferma con un sol soffio, fermo nella propria perfetta postura. Gambe unite e inginocchiate, schiena dritta, spalle rigide.
-Kagami- kun.
-Cosa c'è?
-Un bambino piange e urla. Non ci hai pensato?
Kagami sgrana gli occhi, preso in contropiede. C'è un principio di imbarazzo sulle sue guance.
-Non tutti i bambini lo fanno.
-Dovrai comprargli da mangiare.
Questa volta Taiga ha gli zigomi tutti rossi e nessuna parola tra le labbra.
-Kagami- kun. Ho pensato di abortire.
Ha gli occhi così sgranati, troppo: fanno male. Eppure riesce a vibrare appena di emozione quando gli parla ancora.
Si sta sforzando di non urlargli contro.
Sarebbe soltanto doloroso, per entrambi loro.
-Perché?
-Perché è l'unica soluzione vagamente logica per tutto questo.
Non ha niente con cui replicare, e questo lo ferisce nell'orgoglio e nell'animo assieme.

 

Guarda in basso, oltre la recinzione della terrazza, verso i tetti bassi delle abitazioni di periferia, tra i cortili vuoti di erba e le case appena più isolate dalla massa informe del medesimo colore e della medesima composizione. Serpeggia tra le strade un silenzio desolato, per quanto palpabile, e scorrono pigri anche le guardie meccaniche e gli spazzini robotici, con le loro ampie scope che raccolgono tutto: immondizia o cadaveri poco importa.
Il palazzo che ha dietro le spalle, dove ha luogo una delle sue sedi lavorative, appartiene al governo centrale, ed è così bianco da fare male. Può vedere una nuvola di passaggio, fuori dal vetro trasparente davanti al suo naso, che passa velocemente sospinta dal vento.
Teppei gli offre un pezzo di pane squadrato e lui non alza neppure gli occhi nella sua direzione.
-Non vederti reagire al cibo è davvero strano, Kagami.
Si appoggia con la schiena alla ringhiera, senza quindi guardarlo direttamente in faccia. Sta sorridendo come sempre.
-Sembra quasi che tu abbia qualche problema irrisolto.
Taiga non capisce mai se prenderlo sul serio oppure no. L'idea che assumi la droga che spaccia lo ha sempre frenato dal considerare davvero la sua personalità, come se si ritrovasse a interagire sempre con qualcosa che non è reale. Certe volte, però, considera non tanto la straordinarietà di quella persona – che di drogati e dipendenti, in quella società, ce ne sono fin troppi – quanto il rapporto con la realtà che Kiyoshi è riuscito a instaurare nonostante tutto.
Particolare, eppure integrato. Integrato, ma non stupido.
Decide di dargli fiducia.
-Non riesco a dormire.
L'altro non commenta, addenta un'altra volta il tocco di cibo artificiale che tiene tra le dita; quindi Kagami aggiunge qualche dettaglio.
-Continuo a sentire nelle orecchie la voce dei megafoni che ripetono gli slogan nazionali.
Sembra che fuori spiri ancora il vento: c'è un uccello nero che vira veloce, planando per un pezzo e poi riprendendo quota. Kagami lo segue con lo sguardo, distratto per qualche istante. Sente l'altro deglutire.
-Ah, dev'essere una vera tortura. Anche io alcune volte faccio fatica ad addormentarmi.
Kiyoshi si tocca la tempia con un dito, a indicare un ben preciso posto.
-È come se marcisse dentro il cervello.
-Pensavo fosse lo smog delle fabbriche a farlo, quello.
-Anche.
Strano, proprio strano.
Le voci dei loro colleghi non sono troppo distanti, ai tavoli bassi dove si consuma la solita zuppa calda, integrata di ogni qualità possibile e di tutti i requisiti per una nutrizione completa e sostanziosa. Il sapore, poi, è una cosa a cui non si presta molta attenzione.
Teppei sa bene che il proprio lavoro è rischioso e che comporta un certo tipo di cause e conseguenze. Dopotutto, però, ha piena consapevolezza di non vivere una vita normale.
Prende solo atto che, una volta che le mani sono sporche di un certo tipo di lerciume, non esiste acqua che le lavi davvero.
-Se però non dormi, non sei efficiente sul lavoro. Bisogna risolvere questa situazione.
Taiga non recepisce subito, e indica il vuoto davanti a loro.
-Se mi buttassi dal terrazzo, dormirei per sempre.
-Questo è sicuro. Ma temo non ti risveglieresti neanche.
La sola irritazione, per quel suo tono pratico che ancora svicola da ogni giudizio, gli fa alzare gli occhi al viso di lui, perfettamente in tempo.
-Potresti però trovarti un posto migliore per dormire. Ci hai mai pensato?
-E dove?
-Si dice che oltre il mar del Giappone ci siano posti tremendamente silenziosi.
Come la speranza che dal nulla viene e con un nulla attanaglia il cuore, sembra che per una volta le parole di Teppei Kiyoshi abbiano senso.
Assurdo. Terrificante. Rivoluzionario. Ma comunque un senso preciso.
Taiga è reticente, come ogni persona attaccata alla concreta realtà. C'è un istante in cui vuole intimargli di stare zitto, di non osare dire altro – è l'incertezza di quel secondo a segnare completamente e definitivamente il suo destino.
-Hai mai pensato di tornare a casa, Kagami?

 

-Ti fidi di me?
Kagami lo stringe al petto, tenendolo in posizione ritta con la sua sola presa. Quasi Kuroko non riesce a respirare, tra i suoi baci, e annaspa tra una parola e l'altra.
-Kagami- kun...
Kagami si ripete, come un mantra, perché ancora non ha ottenuto risposta. È di nuovo sera, c'è Kiyoshi che aspetta fuori dalla porta di casa in attesa di qualcosa.
Hanno entrambi il cuore che batte veloce.
-Ti fidi di me?
Kuroko ha capito che non ha la minima intenzione di lasciarlo andare. Come l'ha preso e l'ha salvato, ora lo trattiene a sé con tutte le proprie forze.
Gli stringe con le dita sottili la divisa sporca da lavoro.
-Sì, mi fido.

   
 
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