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Autore: lallipumbaa    12/09/2014    3 recensioni
Non si sopportano, ma un amico in comune che non demorde ci tenta per una seconda volta.
Mi misi una mano in faccia uscendo con dei versi che di umano avevano ben poco (non guardai in faccia nemmeno il mio amico sapendo che aveva il suo classico sorrisino compiaciuto stampato sulle labbra) e continuai il percorso sterrato gettando le braccia all’aria in un moto di stizza bofonchiando, mentre lui mi raggiunse correndo per recuperare strada. “Senti, lo so che in questo momento ti senti un panzer e potresti buttar giù il mondo, ma te lo chiedo per favore. Conosco te e conosco lui. Perché non provate nuovamente?”
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La mia vita con Benedict Cumberbatch'
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“No. Senti, mi dispiace, ma no!” risposi guardando Andrew dritto negli occhi. “Eddai, una seconda chance! Poi se davvero non va non ti chiedo nient’altro!” mi implorò lui, quasi inginocchiandosi. La scena sarebbe stata molto romantica da vedere dall’esterno: una giornata soleggiata di maggio, lui che si inginocchia davanti a lei nel bel mezzo di Regent’s Park in fiore chiedendole una seconda possibilità, i turisti che guardavano incuriositi… certo. Peccato che lui fosse uno dei miei migliori amici gay e che da parte sua l’unica spinta sentimentale fosse a livello del Sono sinceramente innamorato di te e sei la mia migliore amica: in caso dovessi divorziare da James e cambiare sponda tu saresti la mia prima scelta. “Alzati, per favore! Non ho alcuna intenzione di dare spettacolo in mezzo a Regent’s Park. Ma sei tu o è lui che me la sta chiedendo?” “Io.” “Ecco. Appunto. Perché dovrei accettare una dannata proposta da te se anche lui, come la sottoscritta, non ha alcuna intenzione di replicare l’esperienza?” “Perché nonostante non vi riusciate a sopportare, siete fatti della stessa pasta! E né tu né quell’altro lo capite!”. Dovevo stare tranquilla, non potevo mandarlo a quel paese: mi ero già bruciata i tre vaffanculo nei primi 5 minuti di conversazione e per regola mia e sua potevamo permetterci solo quei tre insulti diretti al giorno. Era strana come regola, ma funzionava. Sapevamo perfettamente a che livello di sopportazione fosse l’altro a seconda dell’uso della parola, ma Andrew quel giorno non demordeva. Andava avanti con i paraocchi e sapevo perfettamente che non si sarebbe fermato fino a quando non avesse ottenuto ciò che voleva.  Mi misi una mano in faccia uscendo con dei versi che di umano avevano ben poco (non guardai in faccia nemmeno il mio amico sapendo che aveva il suo classico sorrisino compiaciuto stampato sulle labbra) e continuai il percorso sterrato gettando le braccia all’aria in un moto di stizza bofonchiando, mentre lui mi raggiunse correndo per recuperare strada. “Senti, lo so che in questo momento ti senti un panzer e potresti buttar giù il mondo, ma te lo chiedo per favore. Conosco te e conosco lui. Perché non provate nuovamente?” mi chiese tornando al suo solito tono collaborativo e gentile “Drew, non riusciamo a sopportarci per più di 5 minuti, fortunatamente per ora non ho nemmeno lontanamente corso il rischio di lavorarci insieme. Perché tentare nuovamente l’impossibile?” gli risposi sospirando e abbassando le spalle, scuotendo la testa. Entrambi ci ricordavamo l’ultima volta che avevamo tentato di uscire insieme. Eravamo tra amici in comune, ma era la prima volta che lo vedevo. Ero una sua grande fan, lo ammiravo per il suo lavoro ed essendo anche io un’attrice (non ai suoi livelli, sia chiaro… però era qualche anno che oramai lavoravo quasi ininterrottamente nei teatri di Londra e la mia carriera aveva cominciato a… come l’aveva definita il mio agente? Ah, sì. Ad andare a vele spiegate. Le vele ovviamente le vedeva solo lui, ma fino a quando era convinto lui, io non mi lamentavo) avere l’occasione di incontrare lui, un uomo dal talento straordinario – e comunque un gran bell’uomo col suo fascino non convenzionale, diciamocela tutta – mi era sembrata un’occasione da non perdere. Ma il tutto fu un disastro completo. Sarà forse che era in un momento no, che si era svegliato male, che aveva il ciclo… ma che colpa avevo io? Non avevo fatto altro che discuterci quella sera, ero arrivata addirittura ad alzare la voce, e per il nervoso oltre ad essermene andata dal locale molto prima degli altri, tornata a casa in taxi avevo anche attinto alla mia scorta d’emergenza di sigarette. Ma chi diavolo si crede di essere? Egoista… stronzo… lunatico…. egocentrico! Non è perché io sono la povera crista che ti è capitata sotto mano in un tuo momento no devi per forza sfogarti contro di me. Non hai trovato la personcina a modo e tranquilla che sta zitta. Non sai come posso diventare! Pensai accendendomi la sigaretta. Un paio di tiri dopo mi ero quasi calmata, ma il ricordo di quella serata mi era sempre rimasto. E dovevo ammettere che non avessi alcuna intenzione di replicare. “Perché te lo chiedo per favore… Benedict è una persona gentile-” “Ah ah.” “Non interrompermi. E devo ammettere che quel giorno era particolarmente intrattabile, ma generalmente è una persona con la quale è facile parlare. Domani sera volevamo andare a ballare. Lui c’è e comunque andando a ballare puoi tranquillamente evitare di avere a che fare con lui. Ok?”.

Dannato Andrew. Dannato Andrew e i suoi occhioni da cerbiatto. Arrivai in taxi davanti al locale. Sapendo di che genere si trattasse avevo deciso di mettersi particolarmente bene. Nulla di troppo pretenzioso, ma un tubino blu senza spalle, le scarpe col tacco e i capelli legati in una coda di cavallo con la frangia sistemata mi sembrarono un buon compromesso per una serata che, lo sapevo benissimo, avrei accantonato insieme a tutte le altre nella mia scatola mentale etichettata con DIMENTICATOIO. “Tesoro, sei splendida!” esclamò James, il marito di Andrew quando uscii dal taxi sistemandomi il cappotto nero e cercando disperatamente di evitare di spaccarmi la caviglia a causa della mia scelta infelice di decolleté mettendo giù male il piede. “Grazie Jim!” lo ringraziai schioccandogli un bacio sulla guancia pulendogli un mezzo segno del rossetto leggero “Ecco, non lasciamo prove. Altrimenti Drew potrebbe pensare che lo tradisca!” “Tranquillo: i segni sulle sue camicie sono i miei!” “Ah bè, fino a quando sono tuoi non mi preoccupo!” rispose facendomi genuinamente scoppiare a ridere. Salutai gli altri, sperando di non vederlo, ma come facevo a non notarlo? I capelli erano del suo colore naturale, un castano rossiccio, e i ricci cominciavano a formarsi. La barba corta lasciata inconsciamente incolta nello stadio che mi faceva morire e gli occhi felini di quel colore imprecisato leggermente socchiusi nell’intento di accendersi una sigaretta. Quando mi vide non si degnò nemmeno di aprire la bocca e parlare. Cenno della testa e un saluto secco con la mano: forse non ero l’unica che si ricordava dell’ultima uscita. Quando entrammo gli passai davanti “Buonasera Mr. Simpatia.” Mi fulminò con lo sguardo e non mi pentii nemmeno un po’ di come l’avevo salutato. Volevo che si ricordasse che non mi stava affatto simpatico, che quella sera mi ero unita al gruppo solo perché me l’aveva chiesto il mio migliore amico e sicuramente non perché ci fosse lui. “Buonasera anche a lei. Stasera siamo in vena?” mi chiese alzando un sopracciglio “Mah, non ho alcuna intenzione di passare la serata a darti retta, quindi sta’ tranquillo: non ti degnerò nemmeno di uno sguardo.” Lo vidi spegnere la sigaretta e buttare il mozzicone prima di seguirmi dentro il locale.

Avevo bevuto un paio di gin tonic e l’alcool cominciava ad entrare in circolazione e a rendermi più allegra del solito. Ero in mezzo alla pista a ballare con Andrew e James e mi stavo divertendo tantissimo, quando ad un certo punto un tizio di cui non ricordo nemmeno il nome si avvicinò a me, mettendomi una mano sul fianco e tirandomi verso di lui, cercando di ballare con me. Sentii una mano sulla mia spalla e una mano sul mio fianco che con un po’ di pressione mi tirarono verso colui che non avevo ancora visto. Non riuscivo a capire che stesse succedendo. Mi voltai e devo ammettere che ci rimisi abbastanza “Benedict, ma che-?” solo che non mi degnò di uno sguardo, continuando a guardar male l’uomo davanti a me “Lei sta con me.” COSA?! “Senti, stava ballando con me.” Si accigliò il tizio guardandolo in cagnesco “Lo so, è una ragazza che quando vuole fartela pagare per qualcosa ci riesce in meno di due secondi. Amore, andiamo fuori a prendere un po’ d’aria…” disse stringendomi saldamente il fianco, ancora di più di quanto non stesse già facendo, cominciando a camminare. Incrociai le braccia e a malavoglia lo seguii, pronta a fargli una scenata appena saremmo usciti. Ma chi si credeva di essere? Ok, era Benedict Cumberbatch, ma dannazione perché doveva avercela su con me? Perché doveva rovinarmi una serata? E, anche grazie all’alcool in corpo, non mi feci troppi problemi a chiederglielo con gentilezza ed educazione. “SI PUO’ SAPERE CHE DIAVOLO TI È SALTATO IN MENTE?!” sbottai girandomi verso di lui “Ti ho salvata da un potenziale maniaco.” Mi rispose con calma, guardandomi dritta negli occhi “Non è che ogni uomo che si avvicina a me è un potenziale maniaco sessuale. E comunque so difendermi da sola, grazie per il pensiero.” Gli risposi incrociando le braccia e piantando i miei occhi nei suoi con aria di sfida. Quando vidi il suo sopracciglio alzarsi e un’aria d’incredulità dipingersi sul suo viso riuscì a farmi alterare ancora di più. “Non ti rispondo nemmeno.” “Ma se non ho detto nulla?!” “Mi basta guardarti in faccia per capire che diavolo stai pensando! E se non la pianti ti becchi un cartone.” Mi voltai verso l’entrata del locale, intenzionata a non dargli più retta, quando mi sentii afferrare il polso prima che la caviglia mi cedesse a causa di un maledetto sassolino sotto il tacco della scarpa e in men che non si dica mi trovai stretta a lui che mi guardava con quel sorrisino di sufficienza alla Sherlock. “Siamo a due salvataggi questa sera. Credo che tu sia in debito con me.” “Com’è possibile che tu sia così tanto bravo a farmi saltare i nervi?” gli chiesi fulminandolo con lo sguardo “Capacità innata.” Rispose facendo spallucce. “Bè, dal non sopportarvi allo stare abbracciati ne avete fatta di strada in una serata!” sentirono dire da Andrew che era uscito con James, indossando il cappotto e la sciarpa. “Cos-?” cercando di arrossire il meno possibile nonostante sentissi le guance in fiamme guardai l’uomo davanti a me (che dall’espressione sul suo volto doveva essere all’incirca nella mia stessa situazione) e mi scansai di scatto. Mi schiarii la voce “Ehm… ve ne state già andando?” chiesi cambiando strategicamente discorso “Sì, sono le 3 e mezza passate. Noi due ce ne andiamo a casa. Gli altri rimangono ancora un po’, ma io sono ufficialmente stanco ed è meglio che vada. Sai perfettamente le tempistiche dei taxi a Londra a quest’ora della notte.” Le rispose il primo sistemandosi il bavero della giacca. Lo andai a salutare, abbracciandolo e schioccandogli un bacio sulla guancia “Ci sentiamo, tesoro.” Gli dissi sussurrando come al solito “Io te l’ho detto: dovevi dargli una seconda possibilità!” “Smettila!” lo rimbeccai tirandogli una leggera sberla sulla mano prima di salutare James. Dopo che si furono allontanati tornai da Benedict “Bè, io credo che tornerò  a casa. Tenterò di prendere un taxi, magari mi va di fortuna!” “Alle tre e mezzo del mattino? Ti accompagno io in macchina.” Decretò con un tono che non ammetteva repliche mentre, stringendomi ancora il fianco mi conduceva verso l’entrata del locale. Mi faceva saltare i nervi quando mi trattava così. Mi scansai “Senti, non sono una bambola di pezza. Ho una struttura ossea abbastanza forte da riuscire a sostenermi da sola anche su dei tacchi 12 coi piedi doloranti e un po’ di alcool in corpo. Quindi, se non ti dispiace, camminerei da sola. Grazie.” Non lo vidi ma lo sentii trattenere una risata. Recuperai il cappotto e, dopo aver salutato gli altri raggiunsi Benedict fuori che, una sigaretta accesa in una mano e le chiavi della Jaguar che roteavano nell’altra, mi guardava attentamente sorridendo con gli occhi. Ok, mi faceva saltare i nervi, ma dannazione sono donna e sono un essere umano anche io!! Dovetti trattenere tutte le mie forze per evitare di bloccarmi a quella scena e con eleganza e nonchalance camminai fino a lui, legandomi in vita la cintura del trench. “Ti sei rassegnata al passaggio in macchina, quindi?” mi chiese sorridendo e perforandomi con quei suoi dannati occhi di ghiaccio. Tolsi i capelli che erano rimasti dentro il cappotto e sospirai “Sì, mi sono rassegnata al passaggio. Anche perché so che altrimenti mi avresti riagganciato come prima per trascinarmi da qualche parte.” Lo fulminai sottolineando il fastidio che mi dava l’essere trasportata in quel modo. Si mise di fianco a me e mi porse il braccio “Vuoi un po’ di sostegno?”. L’orgoglio urlava no, i piedi imploravano pietà. Vinsero i piedi. “Grazie.” Borbottai tra me e me accettando il suo braccio. Arrivati alla macchina mi aprì la portiera e mi venne da sorridere mentre mi accomodavo sul sedile. Mi guardò attento “Cosa c’è?” “Nulla, mi è venuta in mente una cosa. Normalmente si dice che se vedi un uomo aprire la portiera ad una donna significa solo che una delle due è nuova.” Ci rimase un attimo, sbattendo più volte le palpebre, per poi cominciare a ridere di cuore mentre mi chiudeva la portiera e faceva il giro della macchina arrivando alla portiera del guidatore, ridendo ancora. “Bè, la macchina ha qualche anno, quindi quella nuova saresti tu?” “No, io sono solo quella a cui fai saltare i nervi!” gli risposi prontamente sfoderando un sorriso a 32 denti mentre mi allacciavo la cintura di sicurezza. Lo vidi sghignazzare nuovamente. Bè, al confronto delle litigate e delle urla, questo nuovo livello fatto di frecciatine e commenti sarcastici era più sulle mie corde. La Jaguar si avviò con un suono meraviglioso del motore e Benedict si avviò verso l’uscita del parcheggio “Bene, dove abiti?” “Zona Kensington, Nevern Place… è abbastanza vicino alla fermata di Earl’s Court.” “Agli ordini!”. Era sicuro della strada e non mi chiese nessuna indicazione. Dopo qualche minuto di silenzio in cui mi godevo il canto liberatorio dei piedi che non dovevano più sopportare il mio peso sentì la voce dell’uomo portarmi alla realtà “Cosa?” gli chiesi palesando il fatto che non lo stessi ascoltando. Sorrise guardando la strada ripetendo con gentilezza “Ti ho chiesto come fai a conoscere Andrew e James.” “Ah… bè, Andrew è stato il mio primo amico che ho avuto dopo essermi trasferita a Londra, ed è stato il primo a credere in me. Non mi ha mai detto che non ce l’avrei mai fatta, che era inutile. Quando mi hanno scritturata per la prima commedia a teatro mi ha organizzato una festa a sorpresa in casa mia con l’aiuto della mia coinquilina di allora.” “Sono venuto a vederti una volta a teatro, lo sai?”. Mi voltai di scatto. Che io fossi andata a vedere Benedict Cumberbatch a teatro sarebbe stata una confessione normale, ma il contrario sembrava quasi una presa in giro “Cosa?!”. Mi uscì con un tono di voce che quasi non sembrava il mio: un misto tra il guaito di un cane e un gatto in una lavatrice. “Sì, Andrew mi ci trascinò una volta che ero riuscito ad ottenere una serata libera. Aveva quest’amica che era nella sua prima commedia come attrice protagonista e me ne parlava da settimane oramai. E devo ammettere che sei stata spettacolare.” Il mio cervello doveva connettere. I neuroni erano completamente inutilizzabili e s’erano dimenticati come si faceva la sinapsi. L’unico che si muoveva continuava ad andare a sbattere contro le pareti del cranio. Inutilizzabile pure quello. Aprii la bocca per pronunciare qualcosa, ma non mi usciva nulla. Lo vidi guardarmi con la coda dell’occhio “Chiudi la bocca che entrano le mosche.” “Bè, se te ne esci con certe cose prendi in considerazione il fatto che la gente ci rimane.” “Ci rimane come?” “Ci rimane punto.” “Et voilà! Siamo arrivati!” annunciò fermandosi davanti alla casa ricoperta da mattoni rossi e il porticato sorretto da colonne bianche. Sul portone nero luccicava alla luce dei lampioni il numero civico e la fessura metallica della cassetta delle lettere. Incredibilmente lo vidi spegnere il motore e scendere dalla macchina, aprendomi la portiera. Lo guardai alzando un sopracciglio “La macchina è appena stata pulita.” Commentò lui in riferimento alla battuta che gli avevo fatto poco prima facendomi scoppiare a ridere di cuore mentre scendevo. Mi accompagnò alla porta e aspettò che la aprissi per chiedermi “Senti, lo so che ti sembrerà indelicato… ma posso usufruire del tuo bagno?” lo guardai divertita “La tentazione di fartela tenere è alta, ma dato che gli interni della tua macchina sono troppo belli, sì! Sali pure!” gli dissi togliendomi le scarpe “A che piano abiti? Al terzo, perché?” “Perché me la sto facendo sotto! Corri!!” esclamò prendendomi per i fianchi e correndo su per le scale mentre cercavo inutilmente di smettere di ridere.

Entrammo in casa e gli spiegai dove fosse il bagno vedendolo poi correre nella direzione indicata. Nel frattempo mi cambiai, mettendomi il pigiama. Magari penserete che sarà stato una vestaglietta di seta con qualche inserto di pizzo giusto per far colpo e qualche goccia di Chanel nr. 5. Vi sbagliate di grosso: prima di tutto a me quel profumo non piace. E secondo: siamo a Londra dannazione. Fa freddo! Con i capelli sciolti e il mio meraviglioso pigiama a maniche corte e pantaloni lunghi con gli orsi polari andai in cucina ad azionare il boiler elettrico versandoci dentro l’acqua per il the. La porta del bagno si aprì e l’uomo mi chiamò a gran voce “Sono in cucina!!” gli risposi con lo stesso tono, intenta ad aprire la scatola nuova di Earl Grey. “Grazie mille, un the ci voleva proprio!” lo sentii commentare da dietro di me “Chi te lo dice che ce ne sia anche per-” mi bloccai. Il suono del mio encefalogramma piatto si poteva sentire fino in Cile. Era davanti a me, molto poco distante, la giacca era scomparsa e si era allentato i primi bottoni della camicia. Senza i tacchi ero decisamente più bassa di lui e ora, a piedi nudi, mi sovrastava “Posso rimanere per il the?”. La voce di nonna Fa mi rimbombò nel cervello Ti piacerebbe restare per sempre? “Stai effettivamente sfruttando la mia ospitalità. Riferirò tutto ad Andrew, sappilo. Ti va bene l’Earl Grey?” “Certamente.” Era dietro di me, percepivo la sua presenza. Il suo profumo mi arrivava alle narici e riuscivo a sentire il suo respiro. Non appena riposi il boiler nella sua base mi sentii girare “Smettila di trattarmi come una bambola di pezza, dannazione!” gli sbottai contro drizzando la schiena tentando inutilmente di mettermi alla sua altezza. Sorrise e la cosa mi fece infuriare ancora di più. Alzai la mano nel tentativo di tirargli uno schiaffo ma fu più veloce di me: mi strinse a sé prendendomi il mento tra pollice e indice “Se devi raccontare qualcosa ad Andrew sarà meglio allungare il racconto.” E in meno di un soffio la distanza si annullò.

***

Eravamo sul divano e un film stava andando in tv. “Dai che è il momento, dai che è il momento!” commentò Benedict trepidante mentre io mi coprivo gli occhi col cuscino “Smettila!!”. Era passato poco più di un anno e mezzo da quel giorno. Il mio agente aveva ragione: la mi carriera aveva preso finalmente una bella piega. Era un film uscito qualche mese prima e Benedict era corso a comprarlo non appena era uscito il DVD costringendomi a guardarlo: come se non avesse visto la mia reazione alla premiere. Ebbene sì. Nonostante non lo potessi sopportare e che continui a volte a farmi saltare i nervi avevamo cominciato la nostra relazione scoprendo che avevamo più cose in comune di quanto pensassi. “Guardati!! Sei spettacolare! Potrei guardarlo fino a che non consumo il disco!” commentò l’uomo sdraiandosi sul mio divano “Odio vedermi in video! E poi avrei potuto dirla meglio quella battuta!” “Puffo Brontolone, smettila di lamentarti e sdraiati di fianco a me!”.

******************************* Et voilà! :) questa siore e siori è la prima storia che decido di pubblicare. Ne ho scritte altre, ma questa è la prima (e la più corta) che mi sono sentita di condividere! Aspetto vostri commenti su cosa ne pensiate. Positivi, negativi. Va benissimo tutto!!! Un bacione e alla prossima, Lalli
   
 
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