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Autore: Shichan    30/09/2008    9 recensioni
Guardò Lelouch: «Devi stendere la gamba.» gli fece presente, il moro che solo allora posò gli occhi ametista su di lui. Si guardarono a metà fra lo schifato e il cagnesco, in quel modo divertente tipico solo dei bambini.
Sbuffò, mettendo su il broncio: «Ma almeno lo sai fare?» insinuò, scocciato.
Suzaku lo fissò: ma chi si credeva di essere?! Lui era forse un dottore?!
«Se non ti sta bene lo puoi sempre fare da solo.» ribatté a tono. «Io non le faccio da solo queste cose, sono quelli come te che sono abituati a farsi male e curarsi da soli!»

[Suzaku Kururugi ; Lelouch vi Britannia] shot senza pretese, su uno dei tanti modi in cui potrebbe essere nata l’amicizia tra “i magnifici due” XD Shonen-ai così lieve che se non lo cercate non c'è XP
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi utilizzati nella fanfiction sono copyright dei rispettivi autori, pertanto non li utilizzo per scopo

Disclaimer: i personaggi utilizzati nella fanfiction sono copyright dei rispettivi autori, pertanto non li utilizzo per scopo di lucro, ma solo perché come ogni sano, demenziale fan io mi diverto e mi sono fissata ù.ù La frase in apertura è di Esopo, e non mia.

Note: se avete idea di cosa si prova a cercare per tre giorni di seguito un’immagine che SAPETE CHE ESISTE, ma è introvabile e conoscete la frustrazione di un codice HTML che fa come gli pare (motivo del testo sottolineato)… non c’è da dire altro =_= Questo è ciò che ne è uscito >.>

Sprazzo di follia, totalmente basato su un’ipotesi, non rientrava comunque nel “what if…?” vero e proprio, secondo me X°

E sperando di non essere andata felicemente a nuotare nell’immenso abisso dell’ OOC, vi lascio alla lettura. Enjoy!

Dediche: al niichan Subaru, che spero amerà un po’ di più Suzaku con questa fanfic XD

Alla nee-san Nari, che per me è e resterà la dea del fluff, cosa che a me non riesce mai T.T

Al mio Ruru personale, che proprio da oggi inizierò a sentire molto meno, troppo per i nostri standard. Daisuki hontou ni <33

 

Unbearable

 

L'abitudine rende sopportabili anche le cose spaventose.

 

Il vento smosse appena le fronde degli alberi, unico rumore che si coglieva quel pomeriggio al tempio Kururugi. Il viale che iniziava subito dopo la conclusione della lunga scalinata in perfetto stile giapponese era stato ripulito dalle foglie autunnali che vi si erano posate in quei giorni, quando il vento spesso diventava leggermente più forte nel tardo pomeriggio, poco prima del tramonto.

Poco prima dell’effettiva entrata del tempio, invece, stava un ragazzino che non dimostrava più di otto anni, i capelli leggermente mossi e castani, non eccessivamente lunghi. La carnagione leggermente scura senza tuttavia essere olivastra, gli occhi verdi che avevano assunto un’espressione calma e seria che stonava un po’ su un bambino, era in piedi, scopa alla mano, spazzando le ultime foglie e la polvere giunte nei pressi dell’entrata.

Gli hakama e l’obi che li teneva stretti alla piccola vita erano entrambi scuri, forse gli hakama leggermente scuri, tanto da sfiorare appena terra o il retro dei sandali. La keikogi, bianca, era sistemata nella maniera tradizionale.

Il bambino spostò lo sguardo di fronte a sé, dove vi era poco distante uno dei tanti alberi all’esterno del tempio. Sospirò: presto Toudou-san sarebbe tornato, quindi era un bene che lui avesse quasi finito di occuparsi del viale dell’ingresso. Anche se, di sicuro, l’uomo sarebbe tornato con quello lì.

Quel ragazzino britanno assolutamente insopportabile.

S’imbronciò: era più forte di lui, anche se Toudou-san gli aveva detto di essere gentile perché quel tipo – ok, si chiamava Lelouch, ma a lui non piaceva e allora non lo avrebbe chiamato per nome! – e la sorellina non avevano più i genitori.

O qualcosa del genere.

Comunque, a lui stava antipatico! Lo fissava sempre dall’alto al basso anche se era lui il più piccolo – che fossero solo un paio di centimetri al massimo era chiaramente un dettaglio trascurabile.

Si sentiva grande solo perché era un britanno e lui un giapponese! E poi lo aveva chiamato Eleven. A lui.

“Non mi piace, non mi piace e non mi piace”, si ripeté mentalmente, testardo.

E, proprio in quel momento, intravide dapprima la figura di Toudou-san – che fra le due spiccava – che portava in braccio la sorellina di quel tipo, che non camminava. E poi, vicino a lui, divenne visibile anche il moretto, Lelouch.

Si impose di rimanere in silenzio, aspettando che fossero più vicini per salutare l’uomo: detto fatto, quando furono nei pressi dell’ingresso dove lui aveva da poco finito di pulire, alzò la testa.

«Bentornato, Toudou-san.» salutò con un sorriso verso quello che a tutti gli effetti poteva essere definito da Suzaku in molti modi: maestro, tutore. A volte, quasi un padre.

Toudou lo osservò, un sorriso lieve verso il ragazzino, posandogli una mano sul capo e scompigliandogli appena i capelli in un gesto d’affetto. Lo sguardo smeraldino, per forza di cose, si spostò su Lelouch.

Il moro aveva il viso voltato verso la propria destra, osservando l’esterno del tempio in silenzio: i capelli scuri, lunghi pressappoco come un normale caschetto e lisci gli sfioravano appena le guance. La pelle diafana, metteva quasi in risalto gli occhi ametista, che erano lasciati vagare senza cercare nulla in particolare. Lo sguardo, leggermente adombrato, era sempre stato in quel modo da che Suzaku si ricordava il ragazzino lì al tempio con loro.

Sospirò, chiedendosi perché mai dovesse sforzarsi solo lui di andarci d’accordo; tanto quello rovinava ogni tentativo! Però glielo aveva chiesto Toudou-san… quindi ci doveva almeno provare.

Abbassò lo sguardo, notando che un ginocchio del moro era sbucciato: non disse nulla, visto che Toudou lo anticipò.

«Suzaku, puoi prendere la cassetta del pronto soccorso e disinfettare il ginocchio di Lelouch?» chiese, osservandolo. Il castano per poco non strabuzzò gli occhi – o forse, lo fece e basta: perché mai lui, proprio lui doveva curare le ferite che si faceva quello lì?!

«Ma… Toudou-san…» tentò, ma l’occhiata dell’uomo, che per quanto bonaria non ammetteva repliche, lo fece desistere, il tutto confermato da uno sbuffo, prima che l’uomo parlasse di nuovo: «Io porterò dentro Nunnaly.» concluse, entrando per primo.

Suzaku lo osservò entrare con la più piccola in braccio finché non sparì alla vista. Lanciò un’occhiata a Lelouch, che ancora stava nella stessa posizione di prima: ma che cavolo ci trovava di interessante nel giardino?! E poi le persone normali quando si facevano male si lamentavano!

«Aspetta qui.» disse, perentorio – e con ben poca simpatia – voltandosi per andare a prendere la cassetta con il disinfettante, i cerotti e tutto il resto.

Lelouch non disse nulla, né quando il giapponese si allontanò sparendo come poco prima aveva fatto Toudou-san, né quando tornò indietro, fra le braccia esili l’ormai famigerata cassetta del pronto soccorso.

Lo guardò però ben poco convinto, quando il coetaneo la posò sul pavimento in legno rialzato, sedendosi, i piedi che dondolavano appena dato che, vista l’altezza, non toccavano terra.

Gli occhi smeraldini e severi – con lui, figurarsi, lo erano sempre! – furono puntati su di lui: «Beh, siediti.» se ne uscì il castano, come se fosse ovvio e lui fosse lo scemo che ancora non aveva capito che doveva fare – cosa che certamente Suzaku credeva fosse, ma soprassediamo.

Fece un’espressione contrariata, pur avvicinandosi e sedendosi poco distante dal castano, la cassetta bianca fra di loro, quasi in un tacito accordo per delineare lo spazio dell’uno e dell’altro.

Suzaku aprì il gancetto che teneva chiuso il coperchio, alzandolo e rivelando il contenuto: bende, boccette di disinfettante, cerotti, ovatta ed altri oggetti utili alla medicazione. Prese un batuffolo d’ovatta, poggiandoselo sulle gambe, dopodiché tirò fuori la bottiglietta del disinfettante.

Guardò Lelouch: «Devi stendere la gamba.» gli fece presente, il moro che solo allora posò gli occhi ametista su di lui. Si guardarono a metà fra lo schifato e il cagnesco, in quel modo divertente tipico solo dei bambini.

Sbuffò, mettendo su il broncio: «Ma almeno lo sai fare?» insinuò, scocciato.

Suzaku lo fissò: ma chi si credeva di essere?! Lui era forse un dottore?!

«Se non ti stai bene lo puoi sempre fare da solo.» ribatté a tono.

«Io non le faccio da solo queste cose, sono quelli come te che sono abituati a farsi male e curarsi da soli!» sbottò, antipatico anche se senza malizia, dicendo semplicemente tutto ciò che gli passava per la testa, senza inibizioni di sorta.

Suzaku, che fra la propria frase e la risposta dell’altro aveva stappato la boccetta del disinfettante e imbevuto il batuffolo di ovatta precedentemente preso, quando sentì quelle parole lo fissò con un sguardo che racchiudeva in parte una certa soddisfazione, in parte una certa infamia.

E poggiò con ben poca grazia il tutto sul ginocchio sbucciato, senza curarsi di avere un minimo di delicatezza, o che la propria mano che spingeva contro il ginocchio poteva fare male, o ancora che il disinfettante così a freddo potesse bruciare.

Per la serie: io non sento niente.

«Ahia, ahia, ahiaaaaa!» si lamentò il moro, agitandosi e scalciando con la gamba, con il risultato di colpire appena Suzaku sulla gamba più vicina a lui e far rotolare via l’ovatta, calciando anche la cassetta, che si salvò dal precipitare a terra per pura fortuna.

«Ma cosa sei, stupido?!»

«Mi hai fatto male!»

«Sei tu che piangi per niente! Femminuccia!»

«Cosa hai detto?!» esclamò il moro alla provocazione, gettandosi sull’altro incurante del ginocchio sbucciato ora – ovviamente, l’onore era molto più importante! – afferrandolo per i bordi della keikogi bianca.

Suzaku, per contro, portò le mani ai polsi di Lelouch, l’espressione arrabbiata.

«Ho detto che sei una femminuccia!»

«Meglio femminuccia che Eleven!»

«Si dice giapponese, stupido britanno!» ribatté il castano, arrabbiato, dando uno strattone.

Ed era innegabile che fisicamente, nelle arti marziali, lui fosse molto più forte di Lelouch, o abbastanza da ribaltare le situazioni, e anzi, usare fin troppo slancio. Il risultato, fu un Lelouch che cadeva dalla superficie lignea sopraelevata, direttamente a terra, con un rumore sordo.

E, inevitabilmente, usciva Toudou: «State di nuovo litigando?!» chiese quasi incredulo, sebbene dall’espressione non si evincesse tanta sorpresa – che forse, in effetti, era più un qualcosa di simile alla rassegnazione, per il poveretto.

Suzaku abbassò appena lo sguardo, colpevole, conscio di aver forse esagerato – ma solo un pochino, e solo alla fine! – mentre l’uomo raggiungeva Lelouch, affiancandolo e chinandosi verso di lui.

Il ragazzino, le lacrime agli occhi per il colpo non indifferente, fissava a terra, qualcosa di molto simile all’umiliazione nello sguardo.

«Lelouch, stai bene?» domandò, osservandolo e tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Mano che fu rifiutata con un gesto secco che, vuoi o non vuoi, era decisamente tipico di un britanno.

«Non mi serve aiuto, vattene!» esclamò in malo modo, alzando lo sguardo arrabbiato su Todou, prima di fare leva sulle braccia esili ed alzarsi da solo.

Fissò Suzaku quasi con odio, voltandosi e andandosene – come al solito, quando litigavano – sul retro del giardino. Il castano non disse nulla, mentre Toudou si limitò a sospirare.

«Non ti avevo chiesto di provare ad andare d’accordo con lui?» chiese paziente, verso il più piccolo. Suzaku s’imbronciò, alzando la testa, nello sguardo ancora la rabbia verso quello stupido ragazzino: «Ma lui continua a chiamarmi Eleven! E poi fa l’antipatico in continuazione, non gli sta mai bene niente!» ribatté a tono.

Toudou, avvicinatosi, si sedette di fianco a lui, lì per lì senza commentare granché.

«Suzaku, Lelouch è figlio dei britanni, della famiglia reale. È normale, che si comporti così.» esordì, il più piccolo che lo guardò quasi indignato: «Ma…!»

«Devi essere paziente. Lui non conosce niente, del Giappone, sa soltanto che si trova sotto il dominio della Britannia. Magari si sente solo, non credi?» tentò, osservandolo di sottecchi, come a tenerlo d’occhio senza farsi vedere. Suzaku tacque per qualche istante.

«Certo che è solo, se fa sempre così!» borbottò, testardo.

Toudou sospirò, alzandosi: «Digli di rientrare presto. Tra poco pioverà.» annunciò semplicemente, senza aggiungere nulla su Lelouch. Dopo aver ricevuto da Suzaku uno “mh” di conferma, si avviò alla propria destra, dalla parte opposta a dove era andato Lelouch, sparendo dietro un angolo, mentre Suzaku sistemava di nuovo il disinfettante e il resto nella cassetta del pronto soccorso.

 

***

 

Proprio come aveva detto Toudou, Suzaku era poi andato a chiamare Lelouch, trovandolo però seduto sul piano ligneo, lo shoji della stanza della sorellina aperto, forse per far cambiare aria. Stava poggiato con la schiena ad una delle assi di legno poste verticalmente, il viso voltato di lato, verso il giardino, in modo tale che Suzaku dalla propria posizione dietro l’angolo ne vedesse il profilo.

La vocina di Nunnaly arrivava lieve ma chiara tanto che, complice la poca distanza, poté sentirla anche lui: «Onii-sama… va tutto bene?» le sentì chiedere. Da lì non fu in grado di vedere il ginocchio del moro, quindi non seppe dire se magari Todou-san lo avesse già disinfettato.

«Sì. Tu pensa a riposare, Nunnaly.» rispose il moro, nel tono una calma rassicurante che Suzaku non gli aveva mai sentito usare prima di allora. Quando parlava con lui, al contrario, sembrava sempre agitato o arrabbiato. Oppure lo offendeva.

«Ma quel bambino di cui parla sempre Toudou-san?» sentì chiedere alla più piccola, collegando con facilità che si stesse parlando di lui. Tese l’orecchio.

«Quello è un antipatico, Nunnaly, non ci parlare!» sbottò il moro, d’improvviso irritato.

Suzaku, dalla propria postazione, assunse un’aria arrabbiata, allontanandosi senza nemmeno dirgli nulla, dimentico del proprio compito di avvisarlo di rientrare presto, prima che iniziasse a piovere.

Ah, e lui era l’antipatico?! Meglio di quel ragazzino viziato sicuramente!

Aveva deciso! Non gli importava più di cosa avrebbe detto Toudou-san, con quello non voleva proprio farci amicizia. Mai!

Si rifugiò in casa, ormai lontano dai due fratelli, senza poterne ascoltare le parole seguenti.

«Però, onii-sama… non parli mai tanto… come con Suzaku.» fece notare Nunnaly, la voce impastata dal sonno, probabilmente già nel dormiveglia quando ancora stava pronunciando quella stessa frase.

Lelouch tacque, aspettando di sentire il respiro calmo della sorellina, tipico di quando dormiva.

Era vero, che con Suzaku parlava più che con chiunque altro.

…ma solo perché litigavano, ecco!

 

*** 

 

Si rigirò nel futon, sotto la coperta, il rumore piuttosto forte della pioggia dovuto all’acquazzone, che faceva da sottofondo, quasi cullando gli abitanti della casa nel loro sonno.

Piuttosto frequentemente, un lampo squarciava il cielo illuminandolo a giorno, preannunciando un tuono che, poco dopo, arrivava rumoroso. Probabilmente, nel caso di Toudou-san che aveva il sonno abbastanza pesante – come facesse a sentire delle presenze estranee in camera, se l’era sempre chiesto! – non era poi tanto male. Solitamente anche lui, Suzaku, dormiva durante il temporale con estrema facilità.

Anche perché, di solito, si addormentava sempre prima che scoppiasse: non che avesse paura. Semplicemente, il continuo alternarsi di luce e buio, suono e rumore, non gli permetteva di addormentarsi per bene, senza essere quasi subito risvegliato da un tuono.

Sospirò, vedendo un lampo tramite la sottile parete formata dallo shoji chiuso, rigirandosi di nuovo sotto la coperta calda. E dire che quel tepore, mentre fuori faceva freddo, faceva tanto venire voglia di dormire!

Quello che però lo destò, non fu tanto il tuono che udì poco dopo quel lampo visto, quando il rumore di un tonfo sordo subito a seguire. Si mise a sedere, cercando di sbirciare fuori senza doversi alzare del tutto; alla fine, si rese conto di non avere scelta.

Avanzò fino allo shoji, posandovi la mano sinistra e lasciandolo scorrere lateralmente, così da potersi affacciare sul corridoio: quanto vide fu… strano, inaspettato e tante altre cose insieme.

Lelouch era lì, poco più avanti rispetto al punto in cui lui aveva lasciato scorrere il pannello, con un kimono leggero a fargli da pigiama – come ne indossava anche lui – leggermente più grande della sua taglia forse, seduto a terra.

Bene. Oltre che antipatico era pure strano e soffriva d’insonnia!

Lo fissò, finché l’altro non si accorse di lui: «…che vuoi?» borbottò il moro. Suzaku tacque qualche istante.

«Che vuoi tu, visto che sei davanti alla mia camera.»

«Non lo sapevo, che era la tua camera, sennò non ci venivo!» replicò subito Lelouch, quasi ci tenesse a mettere la cosa in chiaro.

Suzaku notò il lampo, ma l’attenzione era sul moro, per ora: «Beh, allora alzati e vattene.» rispose duro, lo sguardo che diventava sempre severo, con lui. E forse anche un po’ arrogante.

Notò che Lelouch stava già per rispondere alla sua frase, quando accadde la vera rivelazione di quella sera: al tuono, mentre lui manteneva lo sguardo sul moro, già pronto a sentirne la replica – che ovviamente lo avrebbe fatto arrabbiare – Lelouch ci coprì le orecchie con le mani, sobbalzando al tuono.

L’espressione del castano divenne un misto di dubbio, sorpresa e chissà cos’altro, nell’osservarlo lì, a terra, inequivocabilmente spaventato.

«Ma tu… hai paura dei tuoni?» chiese quasi incredulo, e probabilmente dal tono sembrò vicino al volerlo prendere in giro, visto che il moretto si affrettò a rispondere: «Certo che no!» smentito un secondo dopo da un tuono fin troppo ravvicinato al precedente, che gli fece chiudere gli occhi di scatto, tremando appena.

Suzaku lo fissò: «Sì che hai paura.» osservò.

«Smetti di prendermi in giro!»

«Non ti sto prendendo in giro, ma tu stai tremando!»

«Perché fa freddo!» fece notare il moro, orgoglioso.

«Non dire bugie, è perché hai paura.» insistette il castano. Ma perché non lo ammetteva?!

«No!»

«Sì!»

«No, invece!»

«Ti dico che hai paura!»

«Ho detto di…!» e via, un terzo tuono che interrompeva la strenua difesa di Lelouch, lasciandolo di nuovo lì a terra, spaventato. Seguirono diversi attimi di silenzio, in cui il moretto probabilmente cercava di riprendersi e Suzaku si limitava ad osservarlo. Decise poi di diminuire la distanza, avvicinandosi a lui.

Lo fissò, dall’alto in basso: «Allora ammetti di avere paura?» quasi lo incalzò, come se ormai dopo quei tre tuoni la cosa fosse a dir poco evidente, per non dire palese.

Lelouch si imbronciò, scostando lo sguardo: «…un po’. Ma solo un pochino.» borbottò in risposta, imbarazzato da quella debolezza – l’unica, perché lui per difendere Nunnaly doveva essere forte!

Si sentì afferrare per un braccio, qualcosa – o meglio qualcuno, anzi no, Suzaku – che lo tirava su. Ne assecondò il movimento, osservandolo spaesato mentre il castano lo tirava dentro la stanza, richiudendosi lo shoji alle spalle.

Lelouch lo fissò quasi stralunato: «Che fai?» chiese, fissandolo.

Suzaku lo guardò come se non potesse credere di doverlo davvero spiegare: «Ti faccio dormire in camera mia, così non tremerai come una foglia.» gli fece notare.

Il moretto arrossì: lui dormire con quello là?! E per che cosa, per farsi prendere in giro? Non glielo avrebbe permesso, mai e poi mai!

E poi lui poteva benissimo dormire da solo e…

«Nh…» si lamentò, il tuono che stavolta aveva colto impreparati entrambi, in assenza di un lampo visibile a preannunciarlo; le mani di nuovo premute contro le orecchie, gli occhi serrati a forza.

Suzaku lo osservò: in fondo – molto in fondo – gli dispiaceva un po’ per lui.

Non doveva essere bello avere paura dei tuoni durante il temporale.

«Dai, vieni.» disse solamente, senza affondare il coltello nella piaga – stranamente – e guidandolo verso il futon. Lelouch si lasciò guidare docilmente – e Suzaku suppose fosse ancora l’effetto dell’ultimo tuono. Beh, tanto meglio – fino al bordo del letto.

Suzaku scostò la coperta, facendo cenno al moro di mettersi sotto di essa, per poi aggirare il futon ed entrare dall’altro lato, sistemandosi quasi subito sotto le coperte.

Vide il moro fare altrettanto, sebbene più perplesso, o incerto, o forse senza la minima voglia di farlo: era pur vero che loro due litigavano sempre.

Suzaku rimase fermo, in posizione supina, lo sguardo al soffitto come faceva spesso quando non riusciva a dormire: era così monotono che alla fine si addormentava per la noia!

Ora, però, con Lelouch di fianco che si rigirava ogni due secondi, si rannicchiava, poi si ristendeva, e poi faceva versi strani per i tuoni, la cosa stava diventando davvero impossibile.

Sbuffò, voltando la testa verso di lui, l’aria severa: «Ma tu fai sempre così? O lo stai facendo apposta?» chiese, antipatico. Lo sapeva che una paura era una paura, e non ci si poteva fare molto, ma nella mente aveva ancora il giudizio che il moro aveva dato di lui alla sorellina e qualcosa lo portava a fargliela pagare in quel modo. Visto che Lelouch lo considerava tanto antipatico, gli avrebbe dimostrato che poteva esserlo davvero!

Il moro, alla sua domanda, le mani poggiate sulle orecchie in previsione di un tuono, lo osservò offeso: «Non è mica colpa mia.» fece notare.

«Non sono io che faccio versi strani solo per due tuoni.» lo punzecchiò Suzaku, sapendo di essere – almeno un po’ – dalla parte della ragione. Lelouch tacque, probabilmente cosciente della stessa cosa.

Lampo, tuono, lampo, tuono, lampo, tuono.

Di nuovo, e ancora, finché il tempo passato non furono che pochi minuti, o forse, anche qualche ora.

E lui, Lelouch, cercando di far diminuire quel rumore, scioccamente, sapendo perfettamente che tanto era inutile; cercando al tempo stesso di diminuire i propri movimenti così che Suzaku dormisse, che non lo vedesse.

Era talmente imbarazzante, quella sua paura.

Suzaku, per contro, aveva chiuso gli occhi molto prima dei suoi tentativi, arrivando a voltarsi dandogli le spalle; a quel punto, Lelouch aveva approfittato del fatto che l’altro non potesse vederlo, osservandone la schiena, quasi la regolarità del respiro del castano lo potessero calmare.

Alla fine, dandosi dello stupido e arrabbiandosi senza un motivo apparente, si era voltato dandogli le spalle a sua volta, così da ritrovarsi quasi schiena contro schiena.

Poi il classico, temuto tuono più forte degli altri: quello che se dormi ti sveglia, e se invece non hai ancora preso sonno ha il potere di fermarti lì, fra le coperte, accoccolandoti al materasso, sperando che passi in fretta e ripetendoti che è solo un rumore, in fondo – che ti terrorizza, ma è un rumore.

Sussultò, inevitabilmente e Suzaku, per disperazione forse, si mosse appena con la testa per osservarlo.

In tutta calma, visto che Lelouch nemmeno se ne era accorto.

Si ritrovò a lasciar vagare lo sguardo sulle spalle dell’altro ragazzino, notando che in effetti tremavano appena: senza che se ne rendesse nemmeno conto, uno lampo di preoccupazione gli attraversò lo sguardo.

Quel ragazzino, per quanto insopportabile, cercava sempre di mostrarsi forte e imperturbabile, se c’era la sorellina presente. Rispondeva sempre: “sto bene”, o “non preoccuparti”. Capitava poi che dicesse, anche abbastanza frequentemente: “non c’è nulla di cui aver paura”.

Eppure, adesso ne aveva.

Ora che Nunnaly non lo sentiva.

 Sospirò: forse – ma solo forse! – Lelouch non era così antipatico. Magari, faceva così per qualche motivo.

Si accostò appena al moretto, poggiandogli appena una mano sulla spalla.

«Lelouch?» chiamò, il ragazzino mezzo raggomitolato su sé stesso, sobbalzò impercettibilmente.

«Se ti ho svegliato, scusa tanto!» sbottò subito sulla difensiva, il tono non più alto di un mormorio.

Suzaku lo osservò sorpreso: stava ancora pensando a quello? A non svegliarlo?

«Non… mi hai svegliato.» assicurò. Si tirò leggermente su, affacciandosi oltre la spalla del moro e osservandolo. Aveva l’espressione davvero spaventata e contratta, quasi si stesse sforzando persino di non respirare.

«Non riesci mai a dormire, quando ci sono i temporali?» chiese Suzaku, incerto su cosa fare.

Poteva anche aiutarlo, per una volta: a pensarci bene, anche lui aveva paura di alcune cose, e non ci si poteva far nulla.

Vide Lelouch aprire gli occhi ametista e puntarli su di lui, incerto: «Non… non sempre. A volte Euphie, oppure la mamma stavano con me e Nunnaly. Ma tanto adesso non serve a niente.» quasi si affrettò ad aggiungere.

Dopotutto, sua mamma non c’era più e Euphie non l’avrebbe più vista per un sacco di tempo.

Suzaku lo osservò, quasi stesse cercando di studiarlo, di capire: «Chi è Euphie?» chiese.

Lelouch distolse lo sguardo: non gli andava di parlare di Euphie, e di Cornelia, o di Schneizel. Tanto, adesso non aveva più importanza.

«Girati.» si sentì dire, spostando lo sguardo su Suzaku, il flusso di pensieri ormai fermato dal castano. Lo guardò perplesso, senza capire.

«Voltati da questo lato, su.» lo esortò di nuovo, al che Lelouch pur continuando a non capire, eseguì. Forse, perché scioccamente sperava che Suzaku avesse trovato un modo di far passare i tuoni, o la paura.

Si mise di nuovo su un fianco, stavolta in modo tale da poter guardare Suzaku: stava ancora cercando di immaginare il perché di quella posizione, che l’altro portò un braccio dietro le sue spalle, tirandoselo addosso.

Quando Lelouch concluse che era praticamente abbracciato a Suzaku, arrossì: «Ma adesso che stai facendo?! Se vuoi prendermi in giro di nuovo…!»

«Di solito si fa così.» lo interruppe il giapponese.

Lelouch tacque, perplesso: «Si fa così, cosa?»

«Scacciare via la paura.» rispose come se fosse ovvio, divertito: «Le mamme, o i fratelli maggiori. O anche gli amici. Se si abbraccia una persona, quella non ha più paura di niente!» spiegò.

Il moro lo guardo abbastanza scettico: «Ma se lo fanno le mamme, i fratelli o gli amici, con te non funzionerà, no? Tu e io litighiamo sempre!» fece notare, imbronciato.

Suzaku lo fissò: quello era arrogante ed egoista, proprio come si aspetterebbe da un britanno. Era orgoglioso, e probabilmente a volte diceva anche le bugie.

Però si preoccupava della sorellina, e con lei era sempre gentile: in fondo… sì, in fondo Lelouch era il primo bambino della sua stessa età con cui litigava. E una volta Toudou-san aveva detto che si litiga spesso con gli amici.

«Noi siamo amici.» concluse, dopo il proprio ragionamento che Lelouch di certo non poteva conoscere.

«Ma se oggi hai detto…?» cominciò a ribattere il moro, interrotto nuovamente da un tuono. Se non altro, si erano distanziati l’uno dall’altro, dando un poco più di tregua al britanno.

Colto alla sprovvista, dal momento che non aveva notato il lampo nel parlare con Suzaku, sussultò per quella che era ormai l’ennesima volta quella notte, stringendosi di più a Suzaku istintivamente, la mano sinistra che strinse appena il bordo della keikogi del castano, la testa contro il piccolo petto dell’amico-nemico.

Rimase così, in silenzio e leggermente tremante per qualche istante, anche dopo il tuono.

E prima che potesse allontanarsi, ricominciando a dire qualcosa che sicuramente non avrebbe avuto senso, Suzaku sorrise, abbracciandolo e tenendolo vicino.

Ma a quanto pareva, il britanno non voleva proprio saperne!

«Lasciami andare!» se ne uscì quasi subito, nel tono un imbarazzo abbastanza palese. Suzaku sbuffò: «Insomma, ma perché devi fare l’antipatico anche quando le persone sono gentili con te?» lo riprese, burbero. Il moretto tacque, ma fu questione di attimi: «Mi prenderai in giro! Lo so già!»

«Sto soltanto cercando di aiutarti, Lelouch, smetti di fare il testardo!» ribatté Suzaku lasciandolo allontanare e fissandolo deciso.

Il moro lo osservava con sguardo a dir poco sorpreso, neanche Suzaku avesse detto chissà quale stranezza. Il castano, per contro, si sentì quasi accusato dallo sguardo e lo ricambiò con uno perplesso, sulla difensiva, molto simile a quelli che spesso si lanciavano, con la differenza che di solito per entrambi si trattava di mal sopportazione.

«Beh, che c’è?» domandò, osservando il britanno senza cambiare più di tanto espressione. Quello, inaspettatamente, abbassò lo sguardo.

«Non so… riconoscere un aiuto.» ammise quello. E Suzaku si chiese, per un attimo, chi fosse: perché quello non poteva essere il ragazzino viziato che era arrivato lì, quello insopportabile che con prepotenza si era infilato nella sua vita come se fosse normale, senza chiedere il permesso, quando lui i britanni li odiava tutti e lì non ce lo voleva.

Non poteva essere lo stesso che lo chiamava sempre Eleven, che lo faceva arrabbiare, che al suo arrivo come quel pomeriggio aveva picchiato.

Era troppo umile, troppo insicuro.

«Come…?» chiese quindi, decisamente scioccato.

Lelouch, sistemò la testa sul cuscino, accoccolandosi forse per istinto, forse nel tentativo di nascondersi.

«Io ho imparato a riconoscere gli aiuti di Nunnaly. Lei, siccome non può vedere, spesso mi prende la mano quando altri direbbero “scusa”, o “grazie”. Lei… Nunnaly sorride quando io mi arrabbio, o quando mi preoccupo e… mi tiene la mano. Quando pensa che io sia triste. Visto che non può alzarsi e abbracciarmi, fa queste cose. Lo ha detto lei.» spiegò, raccontando per la prima volta a qualcuno le parole della sorellina.

Suzaku rimase in silenzio, quasi rapito da quelle parole e, al tempo stesso, sentendo tanta tristezza.

«Allora ho pensato che dovevo imparare bene a capire i suoi gesti. Ma lei è diversa da tutte le altre persone, Nunnaly si esprime così. E alla fine, mi sembra di non ricordare più come sono gli aiuti degli altri. Non li riconosco.» concluse, il tono mesto.

E a Suzaku, sembrò di capire un pochino: perché Lelouch rispondeva spesso male, o taceva senza nemmeno darla, una risposta. Perché gli bastasse la mano di Nunnaly sulla sua per calmarsi, per diventare tanto gentile da sembrare un altro.

E allora, per la prima volta da quando Lelouch aveva messo piede al tempio Kururugi, Suzaku sorrise. Un sorriso da bambino, genuino, fatto di gentilezza e sincerità: quel sorriso che nessun altro può avere e che, al tempo stesso, tutti i bambini hanno. Quello che speri di ricordare per tutta la vita, quello che pensi sia il più bello di tutti e che speri davvero di riuscire a vedere ogni volta che ti sarà possibile, senza perderne nemmeno uno.

Lelouch, sorpreso più da quel gesto che dalle parole del ragazzino poco prima, arrossì leggermente e si ritrovò a pensare che, dopotutto, un Suzaku che sorrideva gentile non era male, e magari davvero sarebbero potuti diventare amici.

Poi, senza preavviso, il castano parlò: «Posso insegnartelo io. A riconoscerli.» propose, Lelouch che pendeva quasi dalle sue labbra, pur non accorgendosene.

«Ti insegnerò di nuovo. E tu mi spiegherai come riconoscere quelli di Nunnaly.» spiegò meglio, osservandolo. Il moro, lo sguardo sul viso dell’altro, annuì appena: «Quindi… ora non siamo più rivali?» chiese, forse ingenuamente, forse a ragione.

«Ora siamo amici.» concluse Suzaku, un sorriso allegro.

Lelouch lo ricambiò con un più lieve, più impacciato e Suzaku ridacchiò: quel tipo faceva tanto l’arrogante, ma era davvero timido!

«C-che c’è da ridere?» lo interrogò subito il britanno e per tutta risposta Suzaku scosse la testa; il moro, imbronciato, sbadigliò vistosamente, anche se contro la propria volontà. In effetti, era ormai tardi ed entrambi avrebbero dovuto dormire da un pezzo.

Poi, senza alcun preavviso, Suzaku gli aveva sfiorato la fronte come tante volte faceva sua madre, per dare la buonanotte a lui e Nunnaly.

Lelouch, imbarazzato da quel gesto tanto famigliare e che, per un attimo solo forse, lo aveva fatto sentire sicuro persino dai tuoni, si accoccolò, senza tuttavia abbracciare Suzaku – aveva un onore da difendere, lui! – serrando gli occhi, il rossore lieve poco visibile al buio.

E Suzaku, lui sorrise: «Buonanotte, Lelouch.» pronunciò il giapponese, chiudendo gli occhi a sua volta. Il moretto aprì appena un occhio, quasi per controllarlo, prima di rispondere.

«Buonanotte, Suzaku.» disse, usando il nome a sua volta.

Rimasero in silenzio, un tuono che ruppe quella fase quasi di stallo in cui entrambi, pieni di domande ma anche assonnati, erano finiti. Non ebbe tempo di spaventarsi, comunque, perché la mano di Suzaku aveva preso la sua, con forza e gentilezza al tempo stesso.

Rassicurante come spesso era quella della sua sorellina, forte come quella di… un amico. Su cui contare.

Aprì di nuovo un occhio, forse per controllare se Suzaku dormiva o era sveglio e quindi cosciente di averlo preso per mano. Incontrò, contro ogni sua aspettativa, gli occhi verdi dell’altro.

«Visto che non sono un fratello e forse gli abbracci non funzionano, se hai paura puoi stringermi la mano.» spiegò semplicemente, prima di chiudere di nuovo gli occhi.

Lelouch tacque, stringendo appena la mano solo quando arrivavano i tuoni. Sentì, lentamente, la presa di Suzaku che si faceva più leggera, segno che l’altro si era addormentato.

Sospirò, stringendola appena, notando che in fondo, non era molto più grande della propria: e non aveva mai pensato al fatto che prima di essere un suo rivale, uno insopportabile, un giapponese che ce l’aveva con i britanni senza nemmeno conoscerli, ma solo per il loro nome… Suzaku era proprio come lui.

Magari, avrebbero potuto davvero essere amici.

E in fondo – lo pensò proprio prima di addormentarsi, mentre l’ennesimo tuono arrivava e lui, stranamente, non sussultava – la mano di Suzaku era una sicurezza, contro quei tuoni che tanto lo terrorizzavano; anche se la mattina dopo avrebbe dovuto dirlo al giapponese, che per colpa sua si era addormentato troppo tardi.

D’altra parte il cuore di Suzaku, con il ritmo lento e rilassante, faceva un rumore così vicino, che ad un certo punto non era più stato capace di sentirli, i tuoni.

   
 
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