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Autore: Alicenelpaesedeipresimale    14/09/2014    1 recensioni
Lei bassa, lui alto. Lei studentessa con i piedi per terra, lui sicario testardo e sognatore. Occhi neri e occhi verdi. Capelli neri e capelli rossi. L'uno la perfetta antitesi dell'altro. Cosa può venir fuori da questo imperfetto incastro?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mad horizon.




"dio è ancora lì, col grande puzzle sotto il naso,

a chiedersi dove sono finiti quei due pezzi che

andavano così bene insieme."


 



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Si macchiano del rosso del tramonto, più neri della notte. Sono ovunque, ma non puoi vederli.

Si nascondono in mezzo alla gente, passano inosservati come ombre. Non ci fai caso ma ci sono, sono lì, ad un passo da te, ti seguono, ti perseguitano, ti uccidono lentamente.

Sono infallibili, più veloci, più forti, più silenziosi. Perfetti.

Non sono solo assassini e neanche semplici guerrieri. Nessuno li ha addestrati, nessuno gli ha

insegnato come sopravvivere.

Racchiudono dentro di loro l'essenza pura della morte, famelici e indistruttibili.

Puoi leggere nei loro occhi la pazzia che alimenta la loro fiamma, puoi toccare sulle loro mani il sangue dei loro bersagli, puoi sentire su di loro l'odore pungente della morte.

Non importa quanto tu sia forte o quanto tu possa correre veloce, se entri nel loro mirino sei già morto ancor prima che comincino a rincorrerti.

Qualcuno li chiama mercenari, altri li chiamano sicari. Ma non è importante il nome che gli dai, loro sono i re e le regine della morte.

 

 

Se ne stava seduto sul bordo del cornicione del quindicesimo piano con le gambe penzoloni nel vuoto e lo sguardo fermo sulla linea dell'orizzonte.

Aveva qualcosa di magico, quella linea. Sembrava che ogni cosa ci venisse irrimediabilmente risucchiata da chissà quale forza maggiore.

Non importava cosa potesse contenere quel piccolo pezzo di mondo, dal dolore alla rabbia, dall'odio all'amore, dai monti al mare. Tutto finiva per essere completamente catturato da quella linea, ci andava in contro, si faceva attrarre dall'orizzonte e ci si buttava dentro a capo fitto, come un povero pazzo innamorato. Non gli importava se quella linea lo avrebbe oscurato, ci si buttava dentro, gli si affidava.

Il mondo ne era innamorato, dell'orizzonte, di un amore così profondo che l'unica cosa che desiderava era perdercisi dentro.

Assurdo, rifletteva facendo oscillare avanti e indietro i piedi rinchiusi in un paio di anfibi neri troppo grandi.

Anche le montagne più alte e orgogliose si piegavano all'orizzonte, metri e metri d' orgoglio catturato dalla morsa fatale di quell'amore.

Persino il sole si faceva attraversare dall'orizzonte, come se fosse la sua donna, dotata di quel qualcosa che ti rende impossibile non amarla a tal punto da perdercisi dentro.

E tutti gli occhi spettatori di quell'amore non potevano far altro che fermarsi, almeno una volta nella vita, a contemplare la perfezione di quell'imperfetto incastro.

 

Il sole si specchiava prepotente nell'ebano dei suoi occhi. L'arancione tenue su quel nero così cupo che sembrava aver rubato i colori della notte.

Erano occhi profondi i suoi, di quel nero che taglia in due l'anima, ti legge dentro e ti invischia. Ti ci perdi in due occhi così, non puoi farci nulla. Sono occhi disperati, occhi pazzi, pieni di follia. Sono occhi di chi ha visto tutto, occhi di chi ha visto la morte, occhi distrutti, ridotti in mille pezzi e rincollati con la rabbia al suo stato più puro. Sono occhi andati quelli, persi, finiti.

Dicono che si possa riconoscere un sicario dai suoi occhi, lo sguardo è tutto, non è duro ne cattivo o vuoto. È uno sguardo folle, di chi è caduto e si è rialzato da solo. E le persone che si son salvate da sole sono le più pericolose, non hanno paura di cadere, sanno che si possono rialzare.

 

Alcune ciocche di cappelli rossicci gli erano ricadute sul volto coprendogli in parte la visuale dei portoni distrutti e dismessi lungo la strada con i cognomi dei residenti scritti col pennarello indelebile, colato nel tempo.

Lui un nome non lo aveva, e nemmeno un cognome ma la gente aveva il brutto vizio di chiamarlo Malpelo. Erano così tanti anni lo chiamavano così che si era perfino dimenticato per quale motivo gli avessero affibbiato quel soprannome e non se ne era mai lamentato. Ad ogni modo non avrebbe comunque avuto nessuno con cui lamentarsi.

Non aveva amici, da nessuna parte del globo, né aveva nemici, perlomeno non vivi. La gente ha paura di quelli come lui, che non si fanno troppi problemi a prenderti per i capelli e a batterti la testa sul muro fino a che non sputi tutti i denti se la tua verità è diversa dalla loro.

La gente normale da quelli come lui sta tre passi lontano, se è possibile anche tre metri. La gente normale disprezza le persone come lui, prova disgusto per i mercenari ma c'è da sapere che è per la gente normale che lavorano quelli come lui.

Non se ne era mai fatto un gran problema, la coerenza tra gli esseri umani è qualcosa che spesso scarseggia, lo aveva imparato a sue spese.

 

 

La porta del bilocale aveva prodotto un leggerissimo e familiare rumore per richiudersi.

Era vero, lui di amici non ne aveva, ma non gli interessava, perché lui aveva lei. Ed era tutto quello di cui aveva bisogno.

Era rientrato in casa dalla finestra aperta sedendosi sul bordo, in bilico, davanti a se lei, dietro di lui il vuoto. Sarebbe bastato un soffio di vento a farlo precipitare, sarebbe potuto cadere in qualsiasi momento, ma non cadde.

Con una leggera spinta era tornato con i piedi sul pavimento di moquette nera chiudendosi dietro la finestra.

Il tempo di voltarsi e lei era sparita, silenziosa così come era entrata. Adorava quella ragazza, era la sua perfetta antitesi. Gli occhi chiari, i capelli scuri, la mente razionale, una ragazza con i piedi per terra e la testa sulle spalle.

Ma senza dubbio avevano in comune una cosa: erano due carnefici.

In modi diversi, s'intende. Lui in senso letterale, lei in senso metaforico. Ma senza dubbio entrambi amavano vincere e non contemplavano nessuna possibile sconfitta. Era quello il bello di quella loro piccola relazione, era una continua battaglia senza vincitori ne vinti. Un match sempre aperto, una guerra che durava da anni.

Loro si capivano, bastava uno sguardo, erano di una complicità quasi spaventosa che li rendeva uguali nel loro essere gli opposti.

Lei uccideva con le parole, con quelle poteva fare qualsiasi cosa. Poteva ferirti e la sciarti lì, a morire dissanguato, non si faceva troppi problemi.

Lui uccideva in senso letterale, senza pietà.

Erano così sbagliati quei due insieme, quando li guardavi camminare per strada sembrava quasi che si odiassero, si lanciavano sguardi carichi di sfida, voglia di giocare, di mettersi in gioco. Di vincere.

Erano così sbagliati, uno sbaglio di quelli colossali, che non basta un po' di bianchetto a cancellarlo, erano qualcosa di innaturale. Sbagliato.

Così sbagliato da diventare perfetto. Perfettamente sbagliato.

 

La aveva raggiunta nella piccola cucina dove se ne stava seduta su di una sedia di plastica nera. Le si era avvicinato inchiodando i suoi occhi d'inchiostro in quelli verdissimi di lei che aveva sorretto con prepotenza il suo sguardo alzandosi per poterlo guardare dritto negli occhi.

Smeraldo contro onice, prato e pece, pazzia contro pazzia.

Lo sguardo orgoglioso, pieno di arroganza di chi non ha paura, di chi non ha niente da perdere.

“buongiorno” gli aveva sussurrato contro l'orecchio

“buonasera” lo aveva corretto lei

“pignola”

“disse l'ignorante”

 

e sì, era una guerra, vera e propria con la luna come unico spettatore. Tutto il resto era di troppo, certi spettacoli sono così grandi che anche avendo un solo spettatore possono risultare perfetti.

E loro erano questo, uno spettacolo senza spettatori, una stella magnifica ma troppo lontana perché la si possa vedere splendere.

 

“dove sei stata?” le aveva domandato lasciandole un bacio leggero sulle labbra

“a studiare, perché sai, io un cervello ce l'ho”

“anche io”

“nel caso sicuramente non ne fai uso” lo aveva canzonato afferrandogli il colletto del maglione scuro, vecchio e sformato.

“uso il mio cervello per cose migliori” le aveva risposto calmo

“tipo uccidere la gente?”

“tipo uccidere la gente.” aveva concluso sfiorandole una guancia con i polpastrelli

“un lavoro socialmente utile insomma, così utile che trovi volantini che offrono posti di lavoro da sicario attaccati ad ogni vetrata” gli aveva sussurrato sarcastica a fior di labbra.

“sono proprio cambiati i tempi, i giovani d'oggi hanno interessi strani” le aveva lasciato tanti piccoli baci imitando la voce di un vecchio pensionato tra uno e l'altro facendola ridere.

Una risata contenuta, orgogliosa anche quella.

“ti faccio ridere?” le aveva domandato

“solo un matto potrebbe trovarti divertente”

“ma tu hai riso”

“ma tu sei matto”

“anche tu”

“senza dubbio” le aveva baciato il naso, era una guerra fatta di vita la loro. Mica di quelle che si vedono in tv. La loro era una guerra a lieto fine, senza viti e vincitori, con l'amore come unica arma.

“scema”

“da che pulpito”

si erano baciati ancora, gli sguardi duri, le parole velenose erano senza dubbio il loro modo di amarsi, di chiedersi e di volersi.

 

Si muovevano tra le poche stanze con una sincronia impeccabile. Sembrava quasi ballassero sulle note di una musica tutta loro, che nessun altro poteva sentire.

Una melodia stanca e frammentata, di chi non ha più voglia di star male, di chi non ha mai deposto le armi. La melodia di chi sente di aver trovato il suo piccolo infinito.

Perché esiste l'infinito, è ignorante chi afferma il contrario. Il fatto è che non esiste nel modo in cui gli esseri umani di solito lo concepiscono. Così, stanchi di rincorrere l'ombra di una parola, si inventano che non esiste, come se una cosa grande come l'infinito potesse esistere o meno a loro piacimento.

Certe cose ci sono e basta, puoi chiudere un occhio, puoi chiuderli entrambi, ma prima o poi, solitamente più poi che prima, ti ritrovi a sbatterci la testa contro e a quel punto non puoi più raccontarti che non c'è.

Sono cose che non si possono cambiare queste.

E di cose che non si possono cambiare a questo mondo ce ne sono tante. Eppure loro con la forza del loro piccolo infinito le avevano rovesciate. Avevano smontato una ad una le leggi della fisica costruendosi un piccolo universo immerso nel nulla, una galassia dove scappare, un mondo autonomo che gira da destra verso sinistra.

Si erano ricostruiti ogni cosa, se lo erano promesso.

Si erano promessi tante cose, in silenzio. Nello stesso silenzio in cui si amavano, il sicario e la ragazza dai piedi per terra.

La cosa migliore del sapere di essere sbagliati è che puoi fare quel che vuoi, non devi parlare se non vuoi, non hai bisogno di far altro che non si ciò che desideri.

E questo facevano entrambi. Ascoltavano il suono del silenzio e si capivano.

Si sentivano.

Persino quel dispotico sicario dai capelli color mogano riusciva a sentirla nel silenzio e nel silenzio sentiva ogni cosa.

Sentiva i capelli scuri di lei appiccicarsi sudati sul cuscino, i suoi che gli si incollavano alla fronte.

Sentiva un calore prepotente scaldargli l'anima.

Sentiva la pelle liscia di quel piccolo corpo sotto al suo che amava più della sua stessa vita.

Sentiva di essere a casa. Sentiva che lei era la sua casa.

Sentiva la sua bocca morbida accarezzargli il naso e le labbra, giocava con lui, lo sfidava, combatteva come aveva sempre fatto.

Sentiva la vita scorrergli dentro, sentiva le coperte solleticargli le spalle nude.

Sentiva di essere arrivato, sentiva di potersi fermare. Aveva corso tutta la vita ma quell'amore camuffato da due animi orgogliosi distrutti da loro stessi era il suo punto d'arrivo.

Sentiva le sue mani piccole e delicate sfiorargli le orecchie, sentiva il contatto con la pelle profumata di fragole e ribes.

Sentiva che tutto quello che voleva era perdersi dentro di lei e in quell'amore assurdo che non aveva chiesto il consenso del destino, perché sì, lui non era che un povero sicario uscito pazzo e lei il suo orizzonte.


   
 
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