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Autore: _Rouge    14/09/2014    1 recensioni
"E allora gettava uno sguardo al corpo inerme di Zoro, steso sullo stretto lettino che a malapena conteneva l’ammasso di muscoli gonfiati e abbronzati quale lui era, senza riuscire a darsi pace: si dannava ora per essersi comportato come uno sciocco e frivolo sentimentalista, ora per aver permesso ad un incapace, ambizioso e, decisamente, teatrale combattente di mettere a repentaglio la sua vita per salvare il Capitano, i compagni, lui."
[ZoSan] [Ambientata in un momento postumo alla battaglia tra Zoro e Orso Bartholomew a Thriller Bark]
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Regret

Sanji non era un uomo che si lasciava abbattere e controllare da piccolezze come i rimorsi. Nonostante potesse essere considerato come uno fra i più riflessivi della ciurmaglia -eccezion fatta per quando un disgustoso ominide dalla bizzarra zazzera verde lo stuzzicava e lui, per ragion di cose, era costretto a dimostrare la propria superiorità-, non esitava a gettarsi a capofitto, come un toro sul drappo rosso, nelle situazioni più disparate, schiacciando la sigaretta fumante sotto la pianta del piede e lasciandosi trascinare nel vortice impetuoso e violento di una battaglia. Era un tipo impulsivo e non si perdeva in futili paranoie -solo nel limitato caso in cui una donne fosse stata coinvolta, avrebbe forse potuto dare voce e movimento ai neuroni precedentemente bruciati e dunque ammassati in un angolo recondito del cervello-.

Eppure, in quel momento, non riusciva a non avvertire un bruciante senso di colpa e soprattutto, questa evenienza lo aveva lasciato interdetto, a non accatastare del tutto l’idea che tale peso sulla coscienza fosse frutto di ciò che era accaduto al suddetto primate dalla testa di muschio.

“Se solo non avessi subito tutti quei danni…”

“Se solo non mi fossi fatto colpire in modo così sciocco da quel maledetto spadaccino e avessi avuto la forza di ribattere, magari rifilandogli una pedata nelle palle e lasciandolo lì morente a terra…”

“Se solo mi fossi svegliato prima…”

Kuroashi perdeva ogni stilla di proverbiale intraprendenza e coraggio, quando si trattava di terminare quelle frasi. La risposta alla quale non voleva giungere, però, gli si presentava davanti, con la stessa violenza con la quale una macchina fotografica ti acceca nell’istante in cui viene premuto il flash: “Lui non sarebbe in queste condizioni.”

E allora gettava uno sguardo al corpo inerme di Zoro, steso sullo stretto lettino che a malapena conteneva l’ammasso di muscoli gonfiati e abbronzati quale lui era, senza riuscire a darsi pace: si dannava ora per essersi comportato come uno sciocco e frivolo sentimentalista, ora per aver permesso ad un incapace, ambizioso e, decisamente, teatrale combattente di mettere a repentaglio la sua vita per salvare il Capitano, i compagni, lui.

Lui che non voleva essere salvato, era stato graziato dall’individuo che detestava maggiormente.

Era un fatto che non riusciva a sopportare.

Una vera offesa al suo orgoglio e, diciamolo, quella del sacrificarsi poteva essere una valida occasione per mettere in risalto la sua determinazione e guadagnarsi le meritate attenzioni di Nami-swan e Robin-chwan: chissà, magari avrebbe potuto avere la possibilità di ricevere le migliori cure da un paio di giovani ragazze prosperose vestite da crocerossine -e a questo casto pensiero, Sanji comandò a fatica alle sue ghiandole salivari di non attivarsi in modo eccessivo e ai capillari del naso di non esplodere- ed invece era costretto a restare al capezzale dello stupido Marimo, uno in preda ad atroci dolori causate dalle ferite inferte da Orso Bartholomew, l’altro troppo impegnato a crogiolarsi nel pentimento e ad ostentare la solita indifferenza per rendersi conto dei minuti che velocemente passavano e i cardini della porta che scricchiolavano segnalando prima l’entrata, poi l’uscita di qualcuno. Una tazza di thé caldo era apparsa magicamente sul tavolino adiacente alla poltroncina sulla quale era appollaiato. Non la arraffò.

Raccolse le gambe al petto e appoggiò il mento sulle ginocchia, raggomitolandosi in un bozzolo che sperava avesse il magico dono di estraniarlo completamente da ciò che lo circondava: i mugolii di dolore, il sottile filo di fumo emanato dalla sigaretta prossima a spegnersi che andava scemando, il profumo delicato di limone, il fetore del sangue e il sapore di ruggine nella bocca. Un bozzolo caldo e sicuro. Non fu quello che trovò, una volta accoccolatosi meglio nello schienale rialzato della sedia e stretto le cosce scheletriche contro lo stomaco.

Si imbattè soltanto nel fardello di emozioni sopite, che piano si scioglieva in un velo lucido intrappolato fra le palpebre cerchiate di stanchezza, e il cuoco fece appena in tempo a calarsi sulla testa il cappuccio che un sottile rivolo di acqua salata scese lungo la guancia coperta dal ciuffo biondo.

Abbracciò con ogni sua forza restante il proprio corpo, soffocando un “Stupido idiota” nella stoffa blu della felpa, mentre Roronoa stendeva le labbra secche in una smorfia dolorante.

 
  
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