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Autore: _Blanca_    15/09/2014    5 recensioni
| Assassin's Creed III | ● | Connor Kenway × Nuovo Personaggio | ● | storia in stand by |
1769. Colonia di Massachusetts Bay. Cecilia ha quattordici anni quando viene derubata di un'esistenza semplice e benestante. Rimasta sola in un mondo che si prepara alla rivoluzione e alla guerra, la ragazzina diventerà donna. E la donna scoprirà le difficoltà della vita e dell'amore.
"A Davenport Manor non si ricevevano mai visite. Così, quel tardo pomeriggio d'autunno, Cecilia, china sul focolare, quasi trasalì udendo un irruente bussare all'ingresso. Lasciò gli avanzi del pranzo a riscaldare nel caldaio, appeso sul fuoco, e attraversò di corsa la cucina: era l'ora del tramonto e rettangoli di luce si stiracchiavano pigramente sopra i porosi mattoni color tabacco del pavimento. [...] Nel buio salone da pranzo, [Cecilia] scostò qualche centimetro dei pesanti tendaggi verdi, odorosi di polvere e legna bruciata, e spiò oltre i pannelli di vetro della finestra. Era stata una giornata fresca e serena, ma nel fremere degli aceri gialli c'era un sentore di pioggia in arrivo. L'indesiderato visitatore era ancora davanti alla porta. [...] Era un nativo."
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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THE CORNFLOWER CAP 1
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro; ad eccezione di Cecilia Carter e della sua storyline, tutti i personaggi e gli intrecci presenti nella fan fiction sono proprietà della Ubisoft, dei suoi autori e sviluppatori.

Note introduttive: La mia familiarità con Assassin's Creed e i suoi fascinosi e interessanti personaggi è recente, dei romanzi ho letto Rinascimento e conosco le vicende di Assassin's Creed III solo attraverso il videogioco. Rimpolpando la conoscenza con letture sul web, ho scoperto che Connor è l'Assassino meno amato in generale. Peccato, sarà anche una macchina omicida di un metro e novanta, però a me ispira nomignoli che offenderebbero pure l'orgoglio di un cucciolo di Beagle. Fatto sta che, letteralmente da un giorno all'altro, vengo colta dall'ispirazione. Non volevo cedere e invece l'ho fatto. Mi sono persino decisa a pubblicare, perché ho pensato: male che vada riceverò un caloroso invito a lasciar perdere ma almeno mi son fatta una cultura sulla vita delle donne nell'America coloniale del Settecento e ho ripassato gli eventi della Rivoluzione Americana. Perché, sì, la Storia è un terreno che non mi ero mai azzardata a toccare e ho piegato l'immaginazione alle ricerche, tentando di costruire personaggio e situazioni che fossero realistiche dal punto di vista storico e plausibili sul fronte dell'opera originale. Magari ho toppato comunque, eh. Però posso dire di averlo fatto in buona fede. Il progettino è strutturato in una serie di 'episodi', quasi dei flash, narrati in terza persona e dal punto di vista dell'OC. Non ho intenzione di cambiare eccessivamente la trama, solo di mostrare quei momenti in cui la vita di Cecila sfiora e/o si intreccia con quella di Ratonhnhaké:ton e con gli eventi della Rivoluzione. Naturalmente, eventuali commenti, consigli e critiche costruttive (lo ripeto: Assassin's Creed per me è un campo minato .__.) saranno gentilezze di cui vi sarò profondamente grata.


















I

Una piccola randagia










Colonia di Massachussets Bay. 20 settembre 1769

Cecilia alzò lo sguardo verso la grande casa di mattoni scuri. Attorno alle finestre buie, gli infissi bianchi emanavano una luce spettrale, riverberando il chiarore della luna piena appesa nel terso cielo settembrino. La ragazza si strinse nella mantella. Ignorò il dolore ai piedi e riprese ad arrancare per il viottolo, pur sapendo che gli abitanti della casa avrebbero potuto presentare ottime ragioni per scacciarla via. Una donna sconosciuta bussava alla loro porta a tarda notte e chiedeva ospitalità: nella migliore delle ipotesi, potevano scambiarla per una mendicante; nella peggiore, per una ladra, una fuggitiva, persino una strega.
Ma lei doveva almeno tentare. Le salivano le lacrime agli occhi al solo pensiero di trascorrere un'altra notte abbarbicata ai rami di un albero, con il terrore di scivolare giù durante il sonno, rompersi il collo e finire in pasto ai lupi.
Cecilia affrontò quattro lisci gradoni di pietra e bussò alla porta, mentre da qualche parte, tra gli alberi, un gufo turbava il silenzio notturno con un lugubre bubolare.
Nessuno venne ad aprire.
Cecilia bussò altre due volte. Ogni volta con un po' di foga in più.
Lentamente, la porta venne socchiusa. Al morbido bagliore di una candela comparve il viso, contratto in un'espressione accigliata e sospettosa, di un vecchio dalla pelle scura.

***

L'anziano, sorretto da un corto bastone, guidò Cecilia lungo un androne immerso nell'oscurità. L'eco dei loro passi si fondeva con i sinistri rumori della casa: sinfonie di scricchiolii dolenti come i gemiti di un malato sul letto di morte. Entrati in una spartana cucina, il vecchio sistemò la candela sulla mensola del camino, si accomodò su di uno sgabello e disse a Cecila di farsi più vicina. Aveva la voce arrochita dall'età, ma il tono era fermo, autoritario, sottilmente spazientito.
Cecilia obbedì, lieta di poter almeno godere del tepore della brace, che brillava rossa tra la cenere.
In piedi, con la mantella sulle spalle, la bisaccia a tracolla, le mani pallide e infreddolite strette l'una nell'altra, la ragazza si lasciò esaminare. Era trascorsa almeno una settimana da quando aveva avuto occasione di guardarsi allo specchio, ma non le serviva consultare il proprio riflesso. Si rendeva conto di essere in pessime condizioni. Durante il viaggio, ogni mattina, si era lavata il viso e le braccia nelle acque fredde dei ruscelli, ma non aveva potuto far nulla per i capelli, che adesso le ricadevano sulle spalle, lisci, sporchi e spettinati. E poi il freddo e la stanchezza, il poco sonno e il poco cibo, gli abiti dal taglio modesto macchiati di terra: tutto contribuiva a darle l'aspetto randagio di un gatto malato e spelacchiato.
«E dunque, come ti chiami?» domandò il vecchio.
«Cecilia. Cecilia Carter.» La voce le uscì debole, quasi afona.
«E che stai facendo nella mia proprietà in piena notte?»
Cecila capì: il vecchio non era un domestico, tanto-meno uno schiavo. Era il padrone.
«Sono in viaggio, signore.»
Dell'incredulità sostituì il cruccio, sul volto del suo interlocutore: «Da sola?»
Cecila annuì.
«In viaggio per dove?»
«Boston.»
«E da dove vieni?»
«Gloucester.»
«Chi ti ha mandato da sola ad affrontare un viaggio simile? Non hai dei genitori?»
Cecilia si limitò a un fiacco cenno di diniego.
«Parenti? Un tutore?»
«No, signore.»
Il vecchio restò in pensoso silenzio per una lunga manciata di secondi, senza distogliere gli occhi dal viso di Cecilia.
La stava studiando attentamente. Lei lo capì ed evitò di incrociarne lo sguardo. Mantenne il proprio all'altezza del monile al collo dell'uomo: era adagiato sulle gonfie pieghe della cravatta bianca, che spuntava da sotto il panciotto cremisi dell'uomo.
«Quanti anni hai?» riprese il vecchio.
«Quattordici.»
«Non starai mica scappando da un marito, vero? Non voglio rogne per aver aperto la porta a una ladra». [1]
«Non ho nessun marito, signore. Non sto scappando. Nessuno mi cerca.»
«Ma qualcuno ti attende, a Boston?»
«No.»
«E allora cosa diamine ci vai a fare laggiù?»
Cecilia esitò, persa nella sconfortante vaghezza delle sue stesse prospettive.
«Cerco... cerco un posto dove stare. So che è una città grande. Piena di gente. Spero di trovare una famiglia che abbia bisogno di una domestica.»
Il vecchio la fissò con aria poco convinta.
Cecilia inghiottì un grumo di saliva amara e tentò di camuffare la supplica dietro un tono tranquillo: «Io non ho soldi con me. Non posso pagarvi... ma... se mi lasciaste dormire al chiuso, solo per questa notte... prometto di andarmene all'alba.»
Ricevette in risposta un verso contrariato che interpretò come un: Bah!
«I letti sono di sopra e la legna eccola lì.» Il vecchio si levò piedi, puntando il bastone verso un basso mucchio di ciocchi accatastati a lato del grande camino. «Non ci sono servitori in questa casa. Ci sono solo io. Se vuoi un fuoco, dovrai accendertelo da sola». Accennò a un tegame abbandonato su un angolo del lungo tavolo, al centro della stanza: «C'è rimasto qualche cucchiaio di stufato. Coniglio e fungh. Ma ormai sarà freddo.»

***

Un'ora più tardi, Cecilia dormiva nel buio di una spoglia e austera camera da letto. Il materasso era molle, le lenzuola ruvide, il fuoco nel caminetto presto spento, ma per la ragazza fu come riposare sotto il baldacchino di seta di re Giorgio in persona.
La notte scivolò via in un soffio e, al suo risveglio, Cecilia venne sopraffatta dalla disperazione. Doveva lasciare la casa. L'aveva promesso. L'aspettavano giorni di cammino, notti all'addiaccio, pasti a base di pane raffermo consumato in fretta e furia. Boston era lontana come un miraggio fumoso, perennemente oscurato dalle più deprimenti congetture: e se una volta lì, nessuno volesse prendermi a lavorare? Come farò quando arriverà l'inverno? Finirò a vivere per strada e morirò di freddo? No, morirò prima di fame...
Maledisse ancora una volta quelle persone avide e troppo potenti che erano le dirette responsabili della sua situazione, che l'avevano costretta a una vita da vagabonda, senza un tetto sulla testa, senza una sola figura amica alla quale rivolgersi.
Oltre la finestra piombata, il cielo era di un azzurro vivo e immacolato; a giudicare dall'intensità della luce, l'alba doveva essere passata da un pezzo. Cecilia represse la voglia di affondare il viso nel cuscino e lasciarsi andare al pianto, gettò via le lenzuola e sopportò i pizzichi dell'aria fredda, riparata solo dal cotone della lunga camicia. Lavato il viso nella catinella di ceramica, si vestì in fretta, soffermandosi pochi istanti sul proprio rifelsso, davanti allo specchio, appoggiato sulla cassettiera impolverata. Ebbe la conferma dei propri timori: bella non lo era mai stata, ma adesso era in uno stato pietoso. La stanchezza rovinava l'unico tratto del suo volto che reputava degno di nota: larghe occhiaie violacee le segnavano gli occhi – ed erano occhi grandi, con ciglia lunghe e l'iride dipinta di verde dalla fredda sfumatura grigia. Per il resto, non aveva molto da vantarsi: il viso era squadrato, quasi mascolino, il naso corto e schiacciato, le labbra grosse e screpolate, i capelli di una slavata tonalità tra il biondo e il rosso.
Cecilia si stava stringendo il nodo della mantella sul petto quando il padrone di casa – le aveva detto di chiamasi Davenport – entrò in camera.
«Buongiorno! » disse subito Cecilia. «Mi dispiace essermi alzata così tardi, ma–»
«Metti via la mantella» ordinò il signor Davenport. «Andare a Boston! Da sola! Che sciocchezza! È un miracolo che tu sia arrivata fin qui senza imbatterti in un lupo. O, peggio, in un uomo. Non sfidare la sorte due volte, bambina. Che cosa sai fare?»
Cecilia era troppo confusa per capire la domanda.
«Insomma, sai badare a una casa, oppure no?»
«Oh, be', sì. Certo.»
«Bene. Se riesci a tenere pulito quel poco che non è ancora andato in malora». L'uomo rifilò un colpetto di bastone alle gambe del letto, come a testarne la solidità. «E a non starmi troppo tra i piedi, puoi restare. Solo per l'inverno, s'intende. Sempre che il tuo bel faccino bianco non si senta offeso dalla sistemazione». Sto ancora dormendo, si disse Cecilia.
«E allora? Hai perso la lingua?»
La ragazza mormorò un «Grazie» con un filo di voce. Sentiva uno strano tepore espandersi dal suo petto e una velata umidità agli occhi. «Mmh. Bene. Ma bada di star lontana dai miei candelabri.»
A Cecilia l'avvertimento non parve strano: pensò che il signor Davenport stesse ancora mettendo in conto l'ipotesi di aver appena concesso ospitalità a una ladruncola, una che se la sarebbe potuta svignare dopo aver infilato un paio di candelabri d'argento nella bisaccia.
Il signor Davenport stava per uscire, quando Cecila esclamò: «Non volete sapere perché ho lasciato Gloucester?»
L'uomo le scoccò un'occhiata da sopra la spalla.
«Che ognuno si tenga i propri segreti» disse.










NOTE STORICHE
[1] Nell'America del diciottesimo secolo, in generale, le ragazze tra i tredici e i quattordici anni potevano già considerarsi in età da matrimonio. Una volta sposata, la donna diventava proprietà legale del marito e se una fuggiva da lui, era considerata una ladra perché stava rubando i vestiti che indossava e sé stessa.









   
 
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