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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    15/09/2014    3 recensioni
Sempre Geoffrey Martewall, ma attraverso occhi diversi.
Hector- "...aveva capito che c’erano ancora troppe ferite che il suo animo indomito tentava di sanare ogni giorno, troppa voglia di liberarsi da qualcosa."
Brianna-" Lo aveva visto dalle finestre e non aveva capito subito perché la paura l’avesse attaccata a tradimento, così all’improvviso. Poi la verità le si era rivelata in un modo così evidente che Brianna non aveva potuto continuare ad ignorarla."
Gant-"« Dovete sentirvi molto solo, sir. » gli aveva sputato addosso Gant, con una calma solo apparente.
Martewall aveva fermato il suo passo ma non si era voltato.
Jerome-"E sapeva anche che non avrebbe ascoltato il suo ordine.
Sembrava nato per essere diverso dagli altri, e, di conseguenza, per essere allo stesso tempo dannatamente irritante e dannatamente insostituibile."
Etienne-"Erano state poche le volte in cui aveva provato ad immaginare cosa pensasse.
Forse perché se c’era una cosa che Etienne detestava, era fallire. E da quel punto di vista, Martewall rappresentava un fallimento continuo."
Guillaume-" « Cercate solo… » disse, senza più voltarsi « Di non fare per orgoglio o paura la mia stessa fine. » "
...
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Geoffrey Martewall, Un po' tutti | Coppie: Geoffrey/Brianna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Hector

Hector non sapeva esattamente quando aveva cominciato a provare affetto per Geoffrey Martewall. Non era un sentimento costruito su anni di esperienze. Hector era al suo servizio da un tempo relativamente breve.

Ne era rimasto colpito appena lo aveva visto. Non si era fatto molte idee su come sarebbe stato il figlio del barone di Dunchester. Geoffrey Martewall era un giovane uomo, poco più che un ragazzo. Avrebbe potuto essere suo figlio, probabilmente. Hector dovette ammetterlo controvoglia: in principio, come molti prima di lui, aveva commesso l’errore di sottovalutare il Leone di Dunchester.

Conoscendolo meglio, poi, aveva imparato a non farsi ingannare dal suo aspetto giovanile. Aveva un esperienza da veterano e lo spirito di una buona guida, oltre ad una abilità personale nella scrima che Hector non aveva mai visto prima. Le sue strategie erano vincenti, funzionali, e il suo pensiero correva sempre all’obbiettivo di tenere in vita i suoi uomini.

Così si era guadagnato il suo rispetto.

L’affetto, in realtà, non sembrava interessargli molto. Se lo guadagnava insieme alla fiducia, ma quasi inconsapevolmente. Le sue azioni non erano dettate dall’opportunismo, e forse questa era la cosa che più aveva stupito l’uomo disilluso  per molti aspetti che era Hector.

Martewall gli aveva riportato la speranza. Quel sentimento che si contrapponeva al sottile e persistente dubbio che Hector aveva sempre provato nei confronti di ogni feudatario o signore che aveva avuto modo di conoscere. Con Geoffrey era stato sicuro fin da subito, in chissà che modo, della sua integrità morale.

Il suo sguardo non era limpido, ma perennemente freddo e tormentato e ricordava il mare in tempesta. Eppure la presenza del suo forte onore risiedeva sempre sul suo viso, nell’espressione, nei gesti e sormontava ogni ombra sfuggente dei suoi occhi.

Ed Hector capì presto, tra uno scontro armato e l’altro, che avrebbe dato la vita per lui e non solo per lealtà. Si sorprese a cercarlo sempre più spesso in guerra con lo sguardo e, dato che la fiducia che riponeva nel suo signore sembrava ricambiata, cominciò a seguirlo con sempre più frequenza. Diventò, di fatto, il braccio destro che molti signori avevano e desideravano e che Geoffrey forse non aveva mai avuto, né voluto.

Lo era diventato in modo naturale, e Geoffrey glielo aveva lasciato fare.

Hector lo capiva. Comprendeva il suo bisogno di prendere le distanze e non forzava il suo carattere per natura solitario con troppe e fastidiose offerte d’aiuto. Faceva sentire la sua presenza senza pensare che Geoffrey avesse effettivamente molto bisogno di lui, mettendo i suoi servigi a disposizione per qualsiasi ordine avesse ricevuto.

Il giovane barone lo ricompensava con la sua totale fiducia, e la sua accondiscendenza quando Hector dimostrava di preoccuparsi per lui. Il fiammingo non avrebbe potuto chiedere di più. Il suo signore odiava il pensiero che qualcuno prendesse tanto a cuore la sua sorte da rischiare la vita per lui e ne rimaneva tuttavia lusingato.

Non era una persona semplice da servire, da capire. Ne era consapevole lui stesso, eppure vedeva che alcune persone, Hector per primo, non si stancavano mai di provarci.

E preoccuparsi per lui era spesso un compito faticoso.

Se Geoffrey fosse stato libero da ogni legame avrebbe fatto ciò che riteneva giusto senza pensare alla sua vita, ma solo ai suoi obiettivi. Di legami vincolanti ne aveva, ma continuava a curarsi molto poco di se stesso, e quindi questo rimaneva un compito che gravava sui suoi uomini più fedeli.

Hector si era accorto di non conoscere del tutto il suo signore quando lo aveva rivisto dopo cinque mesi, appena uscito dalle prigioni francesi dei Soissons.

Osservando il suo comportamento nei giorni seguenti aveva capito che c’erano ancora troppe ferite che il suo animo indomito tentava di sanare ogni giorno, troppa voglia di liberarsi da qualcosa. Prima erano i francesi, poi la morte di una persona cara, poi il disonore, della sua persona e di quella del suo amico morto raggirando i principi della cavalleria.

Questo addolorava Hector, il fatto che il suo signore non riuscisse a darsi pace.

Ma allo stesso tempo, non importava, perché non avrebbe mai disobbedito a nessuno dei suoi ordini, mai, così come non avrebbe mai incolpato il suo signore per le sue azioni, sapendo che non avrebbe sopportato tutta questa indulgenza, ma anche che, presto o tardi, avrebbe rimediato ad ogni errore commesso.

Aveva fiducia in lui, semplicemente, così come l’aveva sempre avuta.

Sapeva che avrebbe riavuto indietro il Geoffrey Martewall che non era schiavo della sua rabbia, e che sapeva distinguere la voglia di vendetta dalla sete di giustizia.

 

*

 

Lo trovò sulla cinta muraria,  i gomiti poggiati al parapetto e lo sguardo rivolto verso il bosco, con le sue chiome che sfioravano il cielo grigio striato d’arancio di un tramonto che prometteva pioggia. Aveva il solito portamento fiero e ombroso di quei giorni, di un leone ferito ma imbattuto e più forte nella sua sofferenza.

Hector indugiò per un istante, prima di avvicinarsi e decidere di distoglierlo dai suoi pensieri. Lo vide voltare appena il capo al suono dei suoi passi e lo interpretò come un muto invito a parlare.

« Signore, perdonatemi, la vostra presenza è richiesta nella Sala Grande da sir Fitz Walter e sir Cornhill, oltre che da lord Salisbury. » pronunciò l’ultimo nome con un filo d’incertezza. Sapeva che il suo signore non riusciva ancora a non ritenerlo almeno in parte responsabile per la morte di suo padre.

Tutto quell’astio derivava dal fatto che Geoffrey pensava ancora al giorno della presa di Dunchester. Non aveva rifiutato con tutte le sue forze di andare in Francia come ostaggio, pensando di fare la cosa giusta. Ed Hector sapeva che era stata la cosa giusta da fare, ma sapeva anche che il suo signore si sarebbe rimproverato sempre di non essere stato presente per combattere per la vita del padre.

Geoffrey poggiò i palmi sul muretto di pietra, raddrizzando la schiena.

« Grazie, Hector. » si voltò verso di lui e lo trapassò con il suo chiarissimo sguardo di ghiaccio, freddo e penetrante.

Hector poteva avere un’idea vaga di ciò che gli passava per la testa, questa volta. Non si era ancora del tutto ripreso dalle ferite che i mercenari di re Giovanni gli avevano lasciato come punizione per aver aiutato il suo signore a fuggire. A pensarci bene, era stato fortunato. Se il castello fosse stato solo in mano loro, probabilmente lo avrebbero ucciso.

Geoffrey si accertava della sua buona salute ogni volta che lo guardava, e nei suoi occhi passava una rabbia a stento sopita, che aspettava solo l’occasione giusta per essere scatenata contro i suoi nemici. Hector non avrebbe mai voluto essere nei loro panni, pensava con un ghigno amaro.

Re Giovanni probabilmente non aveva idea di ciò che aveva liberato.

Il giovane barone non era ancora riuscito a districarsi dai suoi pensieri, forse perché in fondo non voleva farlo. Hector lo vide incrociare le braccia al petto e poggiare la schiena al muretto, e pensò di ricordargli che lo stavano davvero attendendo, nonostante non sapesse esattamente quanto questo potesse importargli.

« Signore… »

« Mi dispiace, Hector… » disse Geoffrey, guardandolo negli occhi con decisione e una punta di sincera preoccupazione « Mi dispiace per ciò che hai dovuto subire.» e accennò alle fasciature che spuntavano da sotto la tunica di Hector, tetro.

«È stato un onore farlo per voi, mio signore. » rispose il luogotenente, con orgoglio, dopo un breve istante di piacevole sorpresa.

Lo sguardo di Geoffrey si incupì.

« Da domani, saremo in guerra. » disse, osservando il borgo sotto di lui. «Personalmente, non aspetto altro. » aggiunse, con occhi fiammeggianti di sfida. « Ma gli uomini che ho portato qui dalla Fiandra hanno già sofferto molto per una terra che non è la loro. Se voleste tornare a casa vostra, non vi biasimerei, né ve lo impedirei. »

Hector rimase immobile dallo stupore. Non che fosse strano, per Geoffrey Martewall, fare un discorso del genere, il fatto era che al suo luogotenente non era mai passata per la mente quell’idea.

Tornare in Fiandra…

« Significherebbe smettere di servirvi, signore. Nessuno di noi desidera questo. » affermò, quasi di slancio. Se Geoffrey, nello stato d’animo in cui si trovava, gli avesse ordinato di tornare in Fiandra, lui cosa avrebbe fatto?

Il giovane lo osservò in tralice per un momento.

« La vostra guerra è anche la nostra. Non importa il nostro paese d’origine. » aggiunse Hector, deciso a fargli entrare il concetto in testa una volta per tutte.

Il barone parve riflettere sulle sue parole e una miriade di pensieri indefinibili attraversarono le iridi grigio acciaio.

« Credo di aver conosciuto un’altra persona come te, Hector. Lui ha riposto la sua fiducia e la sua fedeltà in una causa e in un signore, ed è diventato ciò che serviva a quel signore, abbandonando il suo paese natale e facendo sua la guerra della persona a cui era rimasto fedele. »

Hector ascoltava in silenzio, colpito. Il viso di Geoffrey non tradiva ombre di rimpianto. Il fiammingo cercò qualcosa da dire, ma si ricordò che col suo signore molto spesso le parole non servivano.

« Capite, quindi, i motivi che mi spingono a rimanere in Inghilterra. » disse, comunque, tastando il terreno.

Non era certo che il suo signore capisse veramente cosa i suoi uomini vedevano in lui. Una guida, un faro sempre acceso, mentre lui credeva di portare solo ombra sul suo cammino.

Infatti, dopo qualche secondo Geoffrey scosse appena la testa.

« Ma capisco di essere fortunato. »

Hector ghignò, rassegnato. Non era questione di fortuna. Ma ciò che voleva dire Geoffrey gli si rivelò comunque, anche se il modo in cui il concetto era stato espresso era grossolano e molto vago.

Goffrey emise un mezzo sospiro e si diresse con passo deciso verso le scale, facendo segno col mento ad Hector di seguirlo.

Hector non si fece attendere e si incamminò dietro di lui alla vista di quel gesto impercettibile, come aveva fatto molte volte in passato e come avrebbe fatto ancora in futuro.

 

*

Hector non aveva mai visto Reginald Cornhill e Robert Fitz Walter. A Bouvines non c’erano, si erano recati al Sud per fronteggiare Luigi il Delfino, principe di Francia.

Erano seduti sugli sgabelli che i famigli usavano nel refettorio, disposti intorno al tavolo lungo di legno scuro. Avrebbero potuto scegliere una sistemazione più comoda, ma evidentemente non era il loro principale interesse, al momento, e poi dovevano essere stati costretti ad attendere il padrone di casa, che avrebbe dovuto invitarli a sedere sugli scranni più comodi riservati ai cavalieri del castello e al barone di Dunchester.

Ma quando arrivò Geoffrey Martewall non fece nulla di tutto ciò. Si limitò ad osservarli, in un primo momento, riservando uno sguardo appena più lungo a Salisbury, che come gli altri si era alzato per stringergli la mano.

Reginald Cornhill era un uomo navigato, così come Fitz Walter. Al contrario suo, però, aveva i capelli grigio topo molto corti e gli occhi scuri caldi e rassicuranti.

Fitz Walter invece portava i capelli neri più lunghi, anche se anche a lui li avevano tagliati quando lo avevano fatto prigioniero in Francia, dopo la disfatta. I suoi occhi erano di un verde chiaro e inflessibile. 

Sembrava  conoscere personalmente Geoffrey, perché lo chiamò per nome e sembrò sinceramente felice di vederlo, anche se i suoi occhi, come quelli di Cornhill, tradivano una punta di imbarazzo e preoccupazione. Hector non ne fu stupito. Non si sapeva mai cosa dire quando ci si trovava davanti ad una persona in lutto.

Nella stanza aleggiava un’atmosfera tesa, come se nessuno volesse davvero trovarsi in quel posto, al cospetto del signore di Dunchester che ancora faticava a ritenersi tale, e con la consapevolezza che si sarebbe potuto evitare il peggio se avessero agito prima.

Nessuno dei due baroni voleva davvero guardare in faccia Geoffrey. Eppure lo fecero ugualmente.

Non fu Fitz Walter a prendere per primo la parola, né Salisbury. Il primo osservava Geoffrey e poi lo scranno che era stato di sir Harald, in tralice e con una silente e malcelata sofferenza.

« Sir Geoffrey, ci fate aspettare come al solito, ma è sempre un grande piacere incontrarvi. » scherzò Reginald Cornhill, con l’intento di mettere a suo agio Geoffrey e sciogliere la tensione, come sembrava abituato a fare ormai da tempo.

Ma Geoffrey era perfettamente a suo agio. E non aveva voglia di scherzare. Lui non aveva mai voglia di scherzare.

Trapassò il cavaliere più anziano con uno sguardo di ghiaccio.

« Scusatemi se vi ho fatto attendere, signori. Non mi biasimerete, ne sono certo. Mio padre vi ha atteso a lungo, e invano. »

La sua affermazione cadde come acqua gelata sulla sala. Cornhill guardò in basso con un’espressione sinceramente mortificata. Era piuttosto strano vedere un barone più anziano chinare il capo davanti ad uno più giovane, ma Hector non se ne stupì più di tanto. Geoffrey incuteva sempre una certa soggezione.

Fitz Walter chiuse gli occhi per un breve istante. Lunga Spada invece non parve stupito, né abbandonò l’espressione calma e decisa.

« Conservate la vostra rabbia per Giovanni, sir Martewal. Vi servirà, credetemi. »

Gli occhi del giovane balenarono nella sua direzione con una luce pericolosa nello sguardo. Hector immaginava che non volesse sentirsi dare ordini da lui, non più, anche se non poteva evitarlo. Né tanto meno voleva accettare consigli.

«Lo farò. » disse, sedendosi e accavallando le gambe, con la voce vibrante di rabbia tenuta a freno. «E quando con lui avremo finito, con un po’ di fortuna me ne avanzerà abbastanza per voi.»

Hector impallidì. Cosa gli passava per la testa, dannazione?! Rispondere così, a William Lunga Spada…

Il fiammingo serrò i denti e si irrigidì mentre una sottile paura si impossessava di lui. Osservò il suo signore, per incrociarne lo sguardo e tentare di ammonirlo, ma lui non lo stava affatto guardando e non c’era traccia di indecisione o preoccupazione sul suo viso.

Lunga Spada sospirò e per un attimo Hector vide il rammarico nei suoi occhi e nella piega delle labbra. Ringraziò il Cielo che fosse un uomo ragionevole.

« Non è il momento giusto per le minacce, questo, sir Geoffrey Martewall» disse, dopo qualche lungo istante di silenzio, guardando deciso il volto del giovane. Forse l’istinto gli aveva fatto capire che arrivare subito al punto della questione, evitando di attraversare argomenti inerenti la morte di sir Harald, fosse la cosa migliore da fare.

« Avete solo alleati fedeli, in questa sala. »

Geoffrey parve irrigidirsi appena e Hector sapeva che si stava trattenendo dal rispondere in un modo poco adatto. Il suo signore sapeva sopire i suoi istinti, soprattutto quando aveva un obiettivo ben preciso da raggiungere.

« Spero solo che non siano solo parole, a questo punto. » si limitò a dire, con la consueta asciuttezza.

« Non lo saranno. » affermò Fitz Walter, la voce profonda e lo sguardo infuocato. Hector non fece fatica a riconoscere in lui il carisma sicuro, fiero e  altero di una guida esperta. Di un futuro capo dei baroni ribelli, pronto a portare il peso di una condanna di tradimento per primo.

E si rese conto in quel momento che anche Geoffey Martewall, ormai da tempo, era pronto a portare quel peso, ad essere chiamato traditore per una giusta causa, per salvare il suo popolo, e anche per vendetta, forse, perché non riusciva del tutto a sopire la rabbia,  ma soprattutto…per essere dalla parte giusta. Come avrebbe voluto sir Harald.

Nella mente del fiammingo riaffiorarono le ultime parole che sir Harald aveva rivolto al figlio.

Sei un cavaliere e un uomo d’onore, non metterlo mai più in dubbio.

Geoffrey si stava sforzando di adempiere al suo volere fino in fondo e per sempre.

« Vi avremo completamente dalla nostra parte, senza alcun tipo di rancore, Sir Martewall?» chiese Lunga Spada, incrociando le dita in grembo con lo sguardo attento e sicuro di chi si aspetta già la risposta che desidera.

« Morirei piuttosto che negare alla mia gente la prospettiva di un futuro migliore, milord. E voglio vendetta per mio padre  e per ciò che il Senza Terra ha fatto a Dunchester, non posso negarlo. Aiuterò con tutte le mie forze l’uomo che mi aiutato a riconquistare la mia casa. » affermò Geoffrey, con la ferrea determinazione di un uomo che aveva un nuovo ideale, uno scopo, una nuova guerra da combattere in nome della giustizia e per un futuro migliore, come non accadeva da troppo tempo, ormai.

  
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