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Autore: Cinephile92    16/09/2014    0 recensioni
Sono già abbastanza impegnata a gestire la mia, di relazione. Sono già abbastanza impegnata a dover rispondere a quello stronzo di McAvoy che continua a sommergermi di messaggini per dirmi che vuole organizzare un mega party a quattro. Un mega party a quattro. Ma ditemi vuoi se si può. Spiegatemelo.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Benedict Cumberbatch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tacco. Il sensualissimo, accattivante, ceroticissimo tacco di quelle dannatissime, strafighissime, costosissime scarpe rosso sangue che ho comprato in saldo da Prada a Londra l’anno scorso si è spezzato. Non è possibile che un tacco si spezzi, non è possibile che sia costretta ad ancheggiare con due centimetri in meno su un piede proprio quando devo uscire con lui. Il punto è che sono già in taxi e lo sto raggiungendo. Il punto è che non so che diamine fare. Magari potrei immedesimarmi in Marilyn Monroe e provare ad atteggiarmi a Zelda Zonk, una specie di pseudo intellettuale talmente trafelata e presa dal lavoro da essersi inciampata sui suoi stessi documenti e strusciare le mie amabili chiappe in modo supersensuale. Magari potrei restare a casa, perché rischierei sicuramente di sembrare una povera zoppa in piena crisi d’identità. O magari potrei fingere di avere mal di pancia, si, potrei dirgli che in realtà non me la sento di affrontare una simile pressione. I suoi, che sembrano usciti da un romanzo di Jane Austen e quella palliduccia, insopportabile smorfia d’innata serpentineria che si porta stampata sulla faccia da quando mi conosce la sua vicina di casa. Si. Perché la vicina di casa DEVE essere costantemente invitata alle cene di famiglia. Si. Perché quella lurida di Connie Gathewick si siede a tavola con fare altezzoso esibendo scollature vertiginose e piuttosto disgustanti. La reietta carina ma piuttosto fastidiosa, che ha provato ad emergere nel campo della moda ma si è ritrovata a sprofondare nel letame di un sobborgo londinese, brama costantemente, ogni singola volta, di raccontarmi il simpatico aneddoto secondo cui da ragazzini lei e Benedict si sarebbero scambiati il loro primo bacio. Ma che me ne frega a me di questa Connie Gathewick e perché accetto senza aprir bocca le terrificanti condizioni psichiche alle quali vengo regolarmente sottoposta durante queste ossessionanti cene di famiglia? Perché la vicina di casa c’entra in famiglia, purtroppo. Perché la pallida smorfiosa, mica poi tanto dolce dirimpettaia è anche una cugina di terzo grado. Quel bacio non è niente, che si sa, a 14 anni saresti disposto a baciare anche il muro pur di sentirti grande. Ma vaglielo a spiegare che se poi il tuo primo bacio diventa famoso non vale la regola per cui anche tu debba diventarlo a tutti i costi. E’ che siamo fermi in Fleet Street da 30 stramaledettissimi minuti. Perché quel sociopatico disadattato dell’autista ha sbagliato strada: è che ormai mi fido di lui e non lo cambierei per nessuna ragione al mondo. Mi aggiusto il rossetto, sbavato sul lato destro. Squilla il telefono. Il cellulare, maledetto a lui. Quello smartphone incandescente pieno zeppo di messaggini whatsapp, 10 notifiche facebook, un messaggio in chat. E’ una ragazzina di 16 anni che vuole sapere qualcosa da me per il giornale della scuola. Le risponderò domani. Chi lo sa, che non si aspetti più di tanto, che mica posso parlare e della nostra vita nei dettagli. Qualche risposta di cortesia e basta. Benedict mi ucciderebbe. Perché Benny, che odia sentirsi chiamare così ma che amo chiamare così, perché quando s’infastidisce d’addolcisce, è tremendamente riservato, magicamente instabile, emotivamente turbolento. E lo adoro. Adoro quel suo modo di parlarmi con quell’immancabile accento british capace di sciogliermi come il caldo di luglio, quel caldo secco e penetrante delle giornate adriatiche. Il mio mare, l’Italia. Mi mancano. Mi manca la mia città. Mi manca quella bolla di sapone che da ragazzina mi soffocava, quando sognavo di diventare una giornalista di cinema, come sono oggi. Mi soffocava terribilmente sapere che fuori c’era un mondo diverso, nuovo interessante. Avrei voluto testare, assaporare l’umidità di Londra, maledire il destino e il meteo per l’umidità che mi avrebbe potuto far accartocciare e appiccicare i miei capelli già fini e flosci di natura. Squilla il telefono di nuovo. Che diamine. Devo rispondere. Sarà quella lamentosa di Jen Turpin che non riesce a trovare la cartella con l’intervista a Martin Freeman che vuole conoscere perché ne è follemente innamorata. Che ne so io, mi chiedo, perché dovrei saperlo. Mica posso gestire le relazioni sentimentali di chiunque. Meno ancora della mia segretaria. Sono già abbastanza impegnata a gestire la mia, di relazione. Sono già abbastanza impegnata a dover rispondere a quello stronzo di McAvoy che continua a sommergermi di messaggini per dirmi che vuole organizzare un mega party a quattro. Un mega party a quattro. Ma ditemi vuoi se si può. Spiegatemelo. Squilla il telefono, rovescio la borsetta sul sedile. Centesimi dappertutto, una banconota da 100 euro cade sul tappettino, la raccolgo. Sistemo i capelli dietro l’orecchio, perdo il rossetto, rispondo al telefono, è Benny.
  • Ciao tesoro, sono io. Volevo avvisarti che stasera cena soli tu ed io. Niente mamma e papà, niente Connie, niente fastidi.
  • Ah, ciao caro. Come niente mamma è papà, perché?
  • Sono partiti per un impegno improvviso, ti spiegherò, cena di gruppo rimandata alla prossima settimana. Ti dispiace?
  • No, certo si, cioè non vorrei che fraintendessi. Avevo piacere di stare un po’ tutti insieme. Certo quella Connie…Mi fa piacere stare con te, non puoi immaginare quanto.
  • Dove sei? Quanto ti manca ad arrivare?
  • Tom è fermo in Fleet Street da mezz’ora, c’è un traffico che non puoi immaginare, ti raggiungo il prima possibile. Ho un tacco rotto Ben, si è agganciato ad un tombino, ho tirato e si è spezzato. Pensavo di fingermi una pseudo intellettuale come faceva Marilyn Monroe, avevo pensato di fingermi Zelda Zonk e parlare di filosofia per apparire più interessante e togliere l’attenzione da quello schifo di tacco. Ti accontenterai comunque di una ragazza zoppa, non è vero?
  • Certo amore, certo. Ti sto aspettando, anche se lo ammetto, sto ridendo da solo davanti alla porta della cucina. Non puoi immaginare. Sembro un disadattato.
  • Eh va bè. L’aria ce l’hai.
  • Però sei stronza..
  • A dopo, bacini.
Rimetto il cellulare in borsa, raccolgo il rossetto a fatica da sotto il sedile, mi sistemo i capelli. La macchina arriva, pago il mio fedelissimo Tom e scendo. Ci sentiamo caro, gli dico. Citofono ed entro dall'ingresso principale. Le scarpe col tacco mozzato in mano. I piedi scalzi. Fa un freddo cane. Hyde Park.
Un attico.
Io e Benedict Cumberbatch.
   
 
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