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Autore: Chiaky    18/09/2014    3 recensioni
Anche quando a nessuno sarebbe dispiaciuto, lui non aveva pianto.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kusanagi Izumo, Kushina Anna, Mikoto Suoh, Totsuka Tatara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando aveva raggiunto il tetto di quel dannato palazzo e i suoi occhi avevano registrato la forma del corpo disteso e insanguinato di Totsuka (del loro Totsuka, il loro sorridente, fastidioso, insostituibile Totsuka), quando aveva posato lo sguardo sul suo sorriso, rovinato dal sangue che scorreva al lato della sua bocca, quando aveva chiuso gli occhi con la devastante certezza che sarebbe stata l’ultima immagine che avrebbe avuto di lui, la sua voce flebile che ripeteva quella frase a cui non aveva mai trovato così difficile credere, Izumo non aveva versato una singola lacrima.
Quando aveva selezionato “Mikoto” sul suo PDA e aveva dovuto dargli quella notizia, la sua voce non tremava.
No Mikoto, non muoverti, ti prego. Sto portando Totsuka lì.
Quando aveva sollevato il corpo di Totsuka (era leggero, nonostante tutto, era davvero leggero), cercando di scrollare Yata che continuava a piangere su quella pozza di sangue, di cui ormai le loro mani e i loro vestiti erano imbrattati, non aveva ceduto un momento.
Quando era entrato nel bar e Anna gli era corsa incontro (liberandosi persino alla stretta presa di Mikoto), piangendo silenziosa e stringendo la camicia di Totsuka, Izumo le aveva solo accarezzato i capelli, senza dire nulla, senza piangere.
Anche quando Mikoto si era avvicinato, rimanendo fermo, immobile, fissando Totsuka, il loro Totsuka, stringendogli la spalla, lui non aveva pianto.
Neanche quando Yata entrò in lacrime nel bar, assieme a Kamamoto e Shoei, i primi ad arrivare, e a cui poi seguirono tutti gli altri, quando i suoi ragazzi iniziarono a piangere e sbattere i pugni sul muro e i piedi sul pavimento lui non fece nulla, lasciandoli sfogare, lasciandoli urlare (perché Totsuka, il loro Totsuka, era morto). Aveva stretto il braccio attorno alle spalle di Eric, lasciato che Yata piangesse sulla sua spalla, cullato Anna finché non si era addormentata tra le sue braccia (sporche di sangue, del suo sangue), ma non aveva versato una singola lacrima.
Quando, il giorno dopo, si occupò di tutte le faccende necessarie (tanti si erano offerti di dare una mano, ma lui aveva rifiutato, non ne aveva bisogno, poteva fare tutto da solo) e anche quello dopo (i vestiti e le lenzuola erano ancora rossi, i volti ancora umidi), non aveva pianto.
Il giorno del funerale erano tutti riuniti attorno a quella cassa (quella cassa in cui, ancora stentava a crederci, il sorriso di Totsuka sarebbe rimasto per sempre), con gli occhi bassi e vestiti di nero, con Anna nella mano e Mikoto al fianco (fissava anche lui quella bara, con gli occhi vuoti e indecifrabili che in questi giorni gli erano diventati propri), facendo finta di ignorare la sua mano che sfiorò appena la propria giusto prima che lui si allontanasse dal gruppo. Quella stessa mano fu avvolta dalle fiamme poi si abbassò sul legno e sulla carne. Le fiamme riempirono i loro sguardi, per molti riflesse nelle lacrime scintillanti intrappolate nei loro occhi o che scendevano sul viso senza freni. Ma non per lui. Anche quando a nessuno sarebbe dispiaciuto, lui non aveva pianto.
Quando si erano riuniti tutti nel bar, ancora una volta, ancora con quella voce e quel volto mancante, osservando e sfiorando con delicatezza quelle vere e proprie reliquie che ne testimoniavano la sua presenza all’HOMRA, portando in superficie con un sorriso amaro i ricordi che ne testimoniavano il passaggio nelle loro vite, nessuno piangeva più.
Poi, uno alla volta, erano andati tutti via, dandosi pacche sulle spalle, sussurrando “Lo vendicheremo”; lui li aveva salutati con un mezzo sorriso e uno sguardo incoraggiante, ancora fermo, ancora incrollabile.
 
Il giorno dopo, nessuno venne al bar e Izumo lo lasciò chiuso.
 
Mikoto se ne stava seduto sul divano rosso, gli occhi fissi davanti a lui, una coperta bianca ancora piegata con cura su uno dei cuscini del divano parallelo. Anna era accanto a lui, stringendo il bordo del suo giubbotto. Dopo un po’ si avvicinò ad Izumo, chiedendogli con la sua voce sottile e i suoi occhi rossi di poter vedere i video di Tatara. Izumo aveva sentito una stretta allo stomaco, ma aveva solo annuito. Avevano tirato fuori i due scatoloni in cui erano accatastate le sue pellicole. Anna ne aveva scelte alcune e Izumo le aveva montate sul proiettore. La voce di Totsuka risuonò nel silenzio del bar, il suo sorriso onnipresente e invisibile gli riempì le orecchie.
13 Agosto, ore 10:30 a.m. Buon compleanno King! Ah, speriamo che scenda presto!
Mikoto si alzò ed uscì, senza che Izumo e Anna gli dicessero nulla. La bambina era seduta accanto al barista, e osservava con volto impassibile i filmati. Ma le sue mani erano stette sugli orli del vestitino rosso (non l’aveva comprato con Totsuka, quell’abito?). Izumo guardava distratto i volti di tutti loro comparire a turno, tutti meno uno. Sussultava a ogni parola di Totsuka, a ogni risata. La gola gli si era annodata in modo così stretto da fare male. Ma non pianse; non voleva e non doveva. Si sedette al bancone, versandosi da bere, buttando giù il liquido bollente nella speranza che sciogliesse quel nodo, che sciogliesse il dolore. Anna vide parecchi video, uno dopo l’altro, fino a che Izumo non decretò che era ora di andare a dormire. La accompagnò nella sua stanza, rimboccandole le coperte e accarezzandole i capelli finché non si fu addormentata.
Rimasto solo nel bar, si versò un altro bicchiere. Un altro ancora. Si alzò, prendendo a lucidare i bicchieri di cristallo. Dopo qualche tempo (non avrebbe saputo dire quanto) tornò Mikoto. Izumo lo salutò con un sorriso stanco. Il Re guardò semplicemente il bicchiere e la bottiglia appoggiati sul bancone.
Ne vuoi un po’?
Mikoto scosse la testa, tornando a sedersi sul suo divano. Estrasse una sigaretta e la accese, appoggiandosi allo schienale e ispirandone il fumo. Izumo lo raggiunse, sedendosi accanto a lui. Mikoto gli porse il pacchetto di sigarette e lui ne estrasse una. Fumarono in silenzio, uno accanto all’altro, i loro pensieri che si intrecciavano troppo prevedibilmente attorno alla stessa figura.
Anna è preoccupata per te.
La voce bassa e profonda di Mikoto ruppe il silenzio e, chissà perché, Izumo sentì di non essere sorpreso.
Te lo ha detto lei?
Non c’è n’era bisogno.
Izumo lasciò una volutta di fumo levarsi nell’aria mischiandosi a quello della sigaretta di Mikoto.
E perché?
…Non riesci a piangere.
Izumo inclinò all’insù un angolo delle labbra.
Non ne ho voglia.
Mikoto non disse più nulla, continuando a consumare la sua sigaretta. Fu Izumo a parlare di nuovo. Mikoto sentì di non essere sorpreso.
Devo pensare ancora a tante cose, non posso fermarmi ora.
Mikoto guardò il suo compagno di striscio, che sembrava all’improvviso ingobbito da un’età che non aveva.
Ci sono anch’io.
Izumo guardò l’amico. Si chiese se lui avesse pianto. Si chiese se Mikoto avesse mai pianto, se gli fosse mai stato concesso questo privilegio (non aveva mai visto nemmeno Totsuka piangere, ma all’ultimo anche lui se l’era concesso).
Si ritrovò a mordersi il labbro, a cercare di ricacciare indietro qualcosa che spingeva con troppa insistenza per essere ancora ignorata.
Lo so…
Izumo si sfilò gli occhiali da sole, poggiandoli sul tavolino.
Vuoi che vada?
Izumo scosse la testa.
No…resta, resta…
Mikoto si sfilò la sigaretta dalla bocca, schiacciandola nel posacenere. Izumo appoggiò la testa contro la sua spalla. Chiuse gli occhi e un sorriso e una voce rassicurante gli riempirono la vista. Una lacrima, calda, un’altra, un’altra ancora. Un singhiozzo strozzato. La sua mano si strinse d’istinto attorno alla maglietta di Mikoto, aggrappandosi a lui, a quel calore che li aveva legati assieme e che li aveva separati, a cui avrebbe voluto poter avere la certezza di potersi aggrappare per sempre, ma che sapeva non potersi permettere.
 
****
 
Due settimane erano passate, forse anche meno, e una ferita aperta era stata cosparsa di sale.
L’Homra aveva perso il suo leader, la sua ragione d’esistere. Tutti quei ragazzi avevano perso quell’ancora, quel calore che gli aveva riuniti assieme, salvati dalla fredda certezza di un cammino solitario.
Izumo era ancora in piedi, e tutti loro guardavano a lui con una speranza che il braccio destro del defunto Re non era certo di poter soddisfare.
Anna stringeva con forza la sua mano quando si addormentò (dopo aver pianto tanto, troppo) alla fine di quella lunga, lunghissima notte.
Izumo scese al bar. Vuoto. Vuoto nella sua testa, vuoto nel suo cuore.
Si accasciò, stanco, distrutto, su quel divano in cui, se faceva attenzione, poteva ancora sentire l’odore di Mikoto (quell’odore particolare, misto a fumo di sigaretta e una nota leggera di colonia).
Posò un braccio sugli occhi, volendo rimuovere tutto, cancellare ogni cosa. Ma il buio fu momentaneo, subito sostituito da ricordi (quei maledetti, dannatissimi e preziosi ricordi), ricordi di giornate assolate passate in un parco deserto, di serate invernali chiusi nel bar a scherzare, di zuffe trai vicoli di una città senza legge e ferite disinfettate da una mano abile in ogni cosa, di una spada rossa che appariva nel cielo, di un calore che avvolgeva il suo corpo, di un baccano insopportabile, di un sorriso rassicurante e di una mano forte.
Izumo spalancò gli occhi, premendoci sopra le mani, per ricacciare indietro quelle lacrime che spingevano prepotenti. Ma questa volta non avrebbe pianto.
Perché questa volta era solo, non aveva nessuno a cui aggrapparsi, non più.
Era rimasto in piedi solo lui, e avrebbe dovuto resistere, ancora per un po’ almeno. Finché i suoi ragazzi non avessero iniziato a camminare da soli, a trovare una nuova ragione per andare avanti.
Fino ad allora, non poteva lasciarsi andare.
Quando sarebbe stato il momento, si sarebbe rifugiato contro la familiare spalla e il sorriso confortante.






Note autrice 
Questa storia risale ai tempi dell’ultimo capitolo e epilogo di Memory of Red. Non credo di aver pianto così tanto per un manga e dubito che mi ricapiterà. K Project è bello. Bello da tutti i punti di vista. E inutile dire che è l’Homra che più mi ha coinvolto. E in particolare Mikoto, Izumo e Tatara. Potrei scrivere libri sul loro rapporto, davvero. Libri in cui una buona parte dei capitoli sarebbe composta da suoni di pianto sconessi but still. E niente, Izumo è mio figlio ma lo odio perché non mostra le sue emozioni e jdwbdb. Basta. Non credo di aver finito in questo fandom, pensavo di pubblicare qualche storia più recente, se riuscirò mai a finirle :’) NON HO LETTO UN SINGOLO SPOILER SU MISSING KINGS QUINDI NON SO COME LE COSE PROCEDONO DOPO L’ANIME!!!! Tenendo a mente questo, lasciatemi una recensione per commentare questa piccola cosa lacrimosa o anche solo per unirvi al mio dolore.
Chiaki

 
  
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