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Autore: Nat_Matryoshka    19/09/2014    4 recensioni
"Anche ora che il Drift non è più un luogo fisico da raggiungere per collegare due menti, Raleigh sa che potrà sempre ritrovare Yancy, se ne avrà voglia e Mako potrà riabbracciare il Marshal e riascoltare la sua risata, cullare quelle sue ultime parole come un testamento pieno di fiducia."
[Mako/Raleigh; post PR - Seconda classificata e vincitrice del Premio Speciale Dolcezza al contest "Del Toro Mania!" indetto da SilenceIsMusic]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mako Mori, Raleigh Becket, Stacker Pentecost
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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|| Storia classificatasi Seconda e vincitrice del Premio Dolcezza al contest "Del Toro Mania!" indetto da SilenceIsMusic sul forum di EFP ||
Generi: introspettivo, triste. Avvertimento scelto: triangolo.
Note dell'autrice:
  1. Nella storia si succedono alcuni flashback relativi al passato di Mako e alla sua relazione con Pentecost. La storia si svolge nel tempo appena successivo alla fine del film.
  2. Il triangolo in questo caso è sviluppato tra il rapporto sentimentale e di co-piloti tra Mako e Raleigh e quello padre-figlia di Pentecost e Mako.
  3. Tamsin Sevier, nominata nella storia, era la co-pilota di Stacker Pentecost al tempo in cui il Marshal era ancora un Ranger. Viene presentata nella graphic novel Tales from Year Zero.
  4. La riflessione sulle scarpe come parte del cuore di Mako nasce da questo post, molto interessante, scovato girando su Tumblr: http://thedrawbridgethatismypants.tumblr.com/post/90399948584/tin-pan-ali-blairtrabbit-les-autres-coups .
  5. Il titolo è parte di una canzone dei Mumford&Sons, Babel. 
 


The Glass around your Heart
 


Stacker Pentecost non aveva mai visto Tokyo. Tutto ciò che sapeva della città veniva dai racconti di quelli che ci erano già stati, ma solo una volta che si era trovato sul posto si era reso conto di quanto le storie, a volte, potessero differire dalla realtà.
Immaginava una metropoli caotica e moderna, chiassosa e colorata, diversa dalla Londra nella quale aveva vissuto eppure irresistibilmente simile, legata dalla dinamicità che contraddistingue tutte le città moderne  e le rende sorelle, per quanto possano trovarsi lontane…. eppure, la capitale del Giappone non era piena di persone indaffarate, non pulsava di vitalità e di luci al neon: una volta sceso da Coyote Tango erano state le macerie ad accoglierlo. Quelle e la puzza inequivocabile di morte e di kaiju blue, il sangue dei mostri che appestava l’atmosfera e le strade intorno a lui, scavando buchi e corrodendo qualunque cosa.
In cosa era diversa dalle altre città che avevano subito degli attacchi, tanto da meritare una visita speciale?
Aveva terminato la missione da solo, una volta che Tamsin gli aveva fatto chiaramente capire di non farcela. Era sceso dallo Jaeger e si era avvicinato alla bambina che aveva attirato la sua attenzione nell’attimo in cui aveva abbattuto il kaiju, uno scricciolo alto meno di un metro e mezzo che lo fissava con gli occhi spalancati e la speranza che la scuoteva tutta, tanto da farla tremare. Le aveva teso una mano e lei, senza paura, contro ogni sua aspettativa, l’aveva afferrata. Poco dopo, gli elicotteri dei PPDC li avevano recuperati tutti e tre, strappando la piccola Mako Mori da un destino che non le avrebbe riservato altro che perdite e altro dolore.
Solo anni dopo, tornando col pensiero a quel momento, Stacker Pentecost avrebbe capito cosa c’era di familiare in quegli occhi scuri di bambina, pieni di lacrime che non riuscivano ad uscire: erano simili ai suoi, troppo simili. Erano entrambi soli, senza nessuno che li appoggiasse, eppure stavano andando avanti con tutte le loro forze, con il coraggio testardo e spaventato di chi non vuole arrendersi.

 

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“Tra noi non c’erano segreti, di nessun genere: mi ha cresciuto come una figlia, ma non ha mai pensato di nascondermi la verità per farmi vivere in un mondo incantato e fasullo. Fino all’ultimo, è sempre stato onesto… anche quando si trattava di vedermi andare via, prendere la mia strada. Fino a pochi mesi fa non riuscivo a capirlo, pensavo che volesse soltanto tenermi tutta per se, dopo che aveva perso la sorella e la sua co-pilota, ora mi rendo conto di cosa significasse per lui lasciarmi pilotare uno Jaeger. Solo che non posso più ringraziarlo per quanto ha fatto per me.”
Le città stanno lentamente riprendendosi, gli uomini strappano ai kaiju quanto questi hanno distrutto durante gli anni di guerra con pazienza, con la determinazione di chi è stato battuto una volta e non vuole più avere niente a che fare con la sconfitta. Tokyo prospera intorno a loro, torna ad essere la città psichedelica e vivace dei suoi ricordi d’infanzia, ma la mente di Mako è altrove: anche seduta in quel caffè, immersa tra il chiacchiericcio degli sconosciuti e i suoni attutiti del traffico oltre ai vetri, il ricordo dello sguardo severo ma gentile di Stacker Pentecost infesta il suo cuore, come un fantasma che non riesce a chiudere i conti col proprio passato.
Forse quel fantasma è lei stessa, e neppure se ne rende conto.
La mano di Raleigh sfiora la sua, nello stesso momento in cui le dita della ragazza si agitano impercettibilmente per cercare un appoggio, di qualunque tipo: anche inconsciamente, continuano a cercarsi come se facessero parte di un unico corpo diviso in due, un’entità che ha bisogno di riunire i propri pezzi di tanto in tanto per continuare a muoversi. Molti attribuiscono quel comportamento agli effetti post-Drift, entrambi sanno che dietro c’è ben altro che la semplice compatibilità tra co-piloti. Ci sono il rispetto reciproco, l’attrazione, un’amicizia sempre più profonda, la fiducia che provano l’uno per l’altra e che li ha portati a restare insieme, anche dopo la fine di tutto. Mako non sa ancora come definire quel rapporto, ma di una cosa è certa: se le avessero portato via Raleigh, se qualcosa fosse andato storto nella loro ultima missione, avrebbe perso se stessa.
“Lui ti ha sempre voluto bene, ce ne rendevamo tutti conto: lo porterai nei tuoi ricordi, così come io ho tenuto con me quelli di Yancy. All’inizio è dura ma… ti ci abituerai. E dopo i primi tempi in cui il Drift ti scapperà dalle mani, piano piano riuscirai ad abbandonarti senza inseguire il RABID. Posso capirti benissimo, Mako… ci sono passato anche io. E sai che non ti lascerei comunque mai da sola.”
Lei vorrebbe rispondergli che ha paura di dimenticare. Ora che il programma Jaeger ha raggiunto il suo scopo e il Drift non serve più a nulla, le possibilità di ritrovarvi Stacker Pentecost e tutte le immagini del suo passato sono calate drasticamente. Potrebbe affidarsi alla sua mente, ma cosa succederebbe se quei fantasmi avessero la meglio su di lei? Se, nella battaglia tra i suoi sentimenti e la razionalità, questa avesse la peggio?
Vorrebbe fingersi forte e senza paura e dirgli che ce la farà, che andrà avanti come ha sempre fatto per anni, ma non vuole offrire una bugia in cambio della sincerità del compagno. Preferisce restare in silenzio e mantenere la stretta sulle sue dita calde, sempre più calde, fino a sentirle quasi fondersi tra di loro.

 

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“Lei è la mia co-pilota.”
Aveva ripetuto quella frase tra se talmente tante volte da sembrargli priva di significato, un insieme di parole che suonavano vuote, vane, come se non appartenessero più alla sua lingua. Eppure le aveva sentite pronunciare solo qualche ora prima dal giovane Ranger sul quale aveva sempre scommesso tutto, il ragazzo che aveva perso suo fratello qualche anno prima ed era tornato al programma Jaeger come se avesse ancora dei conti in sospeso da risolvere, sempre forte, determinato nonostante il dolore che si annidava nel suo cuore. Durante la prova per la compatibilità Raleigh aveva alzato gli occhi e sfidato Mako a combattere contro di lui, senza curarsi del fatto che la ragazza non era un Ranger, né sarebbe mai dovuta esserlo. Ignorando completamente il divieto che il suo Marshal gli aveva imposto.
La cosa peggiore non era stata vederli combattere in perfetta sincronia, come se si fossero conosciuti da sempre e riuniti solo in quel momento… cogliere lo sguardo di sicurezza e poi di trionfo negli occhi della ragazza e guardarlo trasformarsi in delusione una volta che aveva ribadito il suo divieto, quello era stato peggio, molto peggio.
Se avesse detto che Raleigh non gli piaceva, avrebbe mentito. Allora perché ancora si rodeva il fegato a ripensare all’incontro di quel pomeriggio?
Aveva continuato a pensarci, anche una volta a letto, disteso tra le lenzuola, mentre tentava disperatamente di riposare la mente sovraeccitata. L’immagine di quel ragazzo e del suo sorriso sicuro, della fiducia che rifluiva in lui man mano che il combattimento proseguiva… erano una realtà che non poteva scacciare, né relegare nei recessi della sua mente per dimenticarla come niente fosse. Sapeva benissimo che non avrebbe potuto tenere Mako con se per tutta la vita, ma non poteva negare che una minuscola parte di se stesso, in qualche modo, lo desiderasse.
Non posso impedirle di trovare la felicità.
Si era alzato all’improvviso, spinto dall’insonnia e dall’irrequietezza e aveva raggiunto la sua scrivania, ritrovandosi a frugare tra le carte e i moduli che costituivano il suo pane quotidiano di comandante di quello Shatterdome. Aveva rovistato con velocità febbrile fino a che le sue dita non si erano fermate su un piccolo involto di stoffa, un oggetto che non vedeva la luce da più di dieci anni. Lo aveva svolto, accarezzando la pelle lucida della scarpina da bambina che vi aveva conservato, l’unica testimonianza rimasta di quel giorno terribile a Tokyo, dell’orrore che aveva visto attraverso gli occhi di una piccola sopravvissuta; era rimasto solo quel piccolo oggetto ad accompagnare la vendetta che ancora Mako covava dentro di se, che l’aveva portata a opporsi a suo padre e ai suoi consigli… o c’era qualcos’altro?

Crescerà, lo sai, gli aveva detto Tamsin. E quando arriverà il momento di lasciarla andare, cosa farai?
Con un po’ di fortuna, affronterà il suo dolore e lo supererà. Il tempo dovrebbe guarire ogni ferita, aveva risposto lui, tentando di chiudere il discorso. Ma la sua co-pilota aveva continuato.
Mettila così: se uno dei tuoi genitori ti avesse impedito di diventare un Ranger, te la saresti sentita di lasciare tutto e di obbedire, anche sapendo che tutta la vita ti aveva preparato a quel momento?
Sei sleale, Tamsin. Sai sempre quale tasto toccare per farmi riflettere su quello che dici.
Scosse la testa, come a voler terminare la conversazione immaginaria. Tornò verso il letto per mettere finalmente a riposo la sua mente stanca, ma lasciò la scarpa sulla scrivania, come se potesse aiutarlo a rendere più concreta la decisione che stava per prendere: doveva restituire a Mako quella parte del suo cuore. Solo così avrebbe potuto finalmente prendere in mano la sua vita e chiudere i conti col passato, con o senza Raleigh Becket.
Anche se era difficile, così difficile da accettare da annebbiargli la mente, da riempire la sua notte di incubi e questioni irrisolte che continuavano a tormentarlo.
Mentre aspettava il sonno, si chiese a cosa stesse pensando Mako in quel momento. Chissà se era sveglia o se dormiva, stremata da quella giornata di sfide, tormentata dall’idea di non poter realizzare il suo obiettivo, ancora attaccata con la mente al pensiero di Becket e della loro assurda, meravigliosa compatibilità. Chissà se c’era posto anche per lui, suo padre, in quei sogni.


 
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Camminano per la città senza una meta precisa, lasciandosi trasportare dalla voglia di camminare e basta.
Mako tiene una mano nella tasca del cappotto, l’altra che segue il ritmo della camminata e sfiora quella di Raleigh, con tanta naturalezza che nessuno dei due sembra accorgersene. Ogni tanto lui le si avvicina un po’ di più e le posa un braccio sulle spalle, tirandosela vicino e sorridendo nel vederla alzare gli occhi per lanciargli uno sguardo, ora divertito ora sorpreso. Sono gesti comuni, che nessuno dei due avrebbe mai immaginato di poter rivolgere all’altro fino a pochi mesi prima e che ora, invece, fanno parte della loro quotidianità, come se ci fossero sempre stati. Le è difficile immaginare come sarebbe andata la sua vita se non avesse incontrato quel giovane americano, durante quella mattina di pioggia all’esterno dello Shatterdome di Hong Kong.
Prova a chiederselo spesso, rigirandosi quella domanda come un interrogativo irrisolto, al quale non riesce mai a rispondere. Dopo che la mano del ragazzo scivola nella sua e la porta verso un’altra destinazione, però, abbandona tutti quei pensieri, come se non fossero mai esistiti: deve smettere di tormentarsi. Ora che Raleigh è accanto a lei, una spalla a cui appoggiarsi, può lasciare da parte tutto il peso inutile che si porta dietro come un fardello e respirare, finalmente libera.
Fino a che il viso di Stacker Pentecost, di suo padre, non spunta di nuovo tra i suoi ricordi, vivido come se lo avesse appena salutato uscendo da quel bar. Mako scuote la testa, ma è difficile far andare via quei fantasmi, nonostante provi a tenerli a bada con tutta se stessa.
Stringe gli occhi e prende un respiro profondo, finché i pensieri non si fermano. Riusciranno mai a darle tregua?
È lì che Raleigh si siede accanto a lei, sulla panchina del parco. Prima di mettersi ad osservare placidamente il flusso delle persone che scorre e porta con se nuove storie si gira a guardarla, scruta in quegli occhi scuri con l’attenzione e la dolcezza di chi si preoccupa ma non vuole essere invadente. Mako non abbassa lo sguardo: ormai ha imparato a fidarsi di lui, sa riconoscere ogni gesto, potrebbe restare ad occhi chiusi di fronte al ragazzo e capire comunque cosa voglia dirle dal suono della voce o dai movimenti impercettibili della testa, delle mani. Sa ogni cosa di Raleigh. Si appartengono.
“Non ti rende triste parlarmi di lui, vero?”
Lei scuote la testa. A volte riesce comunque ad essere insicuro e dolce come un bambino preoccupato di aver osato una parola di troppo coi suoi genitori.
“No. L’hai conosciuto anche tu, in modo diverso ma… sapevi com’era fatto, quanto era determinato, fino all’ultimo. Preferisco ricordare le cose belle che abbiamo vissuto insieme piuttosto che pensare a tutto quello che è successo dopo, a tutte quelle celebrazioni vuote che lo riguardavano… loro conoscevano soltanto l’eroe, io ho visto il padre, tu l’uomo.”
Le foglie cadono, decorando il selciato di festoni fragili, rossi, arancio e gialli. La gente continua il suo viavai per le strade e i negozi, carica di pacchi e di pensieri, Raleigh la osserva con l’occhio sognatore e attento al tempo stesso, proprio di chi è abituato a quell’andirivieni ma non ne perde un attimo, pronto ogni volta a cogliere qualcosa di nuovo. Immersa di nuovo nel rumore ovattato di un pomeriggio autunnale Mako inizia a raccontare, un po’ al ragazzo un po’ a se stessa: parla del primo momento in cui ha incrociato lo sguardo con Stacker Pentecost, del loro volo verso gli Stati Uniti, della malattia di Tamsin e del modo in cui le loro vite si sono intrecciate, della sua risata piena, di tutte le visite alla sua tomba, alle Hawaii. Stringe tra le mani quei ricordi e li offre alla persona più importante per lei perché li conosca, perché diventino parte anche della sua vita e delle storie che racconterà in futuro. Immagini del Marshal, dei primi tempi all’Accademia, della vita coi suoi genitori turbinano tra le luci che si accendono lungo la strada, pendono dalle sue labbra in attesa di essere riordinate pazientemente, ma Raleigh ne resta comunque attratto. Tanto che inizia a raccontare anche lui, una volta che Mako ha terminato di svolgere la matassa dei suoi ricordi: le parla di Dominique Becket e dell’amore che provava per i figli, della sua malattia, del padre che li ha abbandonati dopo la morte della moglie, di Yancy, delle loro avventure da ragazzini, di quanto lui gli manchi. Mischia il dolore alla gioia e le offre altre storie, parla anche lui della sua famiglia e di quello che ha portato nel Drift durante tutti gli anni in cui sono stati co-piloti, mostrandoglielo con parole che possano spiegare nel modo migliore quelle immagini mentali. Intanto cala la sera: il parco è sempre meno frequentato, la gente si spinge verso le luci calde delle abitazioni, le foglie sembrano rallentare la loro corsa per rilassarsi e prendersela comoda, ma i due ragazzi sono ancora sulla panchina, parlano.
Alla fine di quei racconti, i ricordi sono esauriti, distesi di fronte a loro. A Mako sfugge una lacrima, che cerca di far sparire in fretta, ma la mano di Raleigh è più veloce: la asciuga delicatamente e prende quella di lei, posandosela sul viso. Restando in attesa.
Nello stesso identico punto, qualche attimo dopo, lei gliene asciuga via un'altra.

 

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Ci aveva pensato a lungo. Non avrebbero certo potuto dire che la sua era stata una decisione impulsiva… eppure sentiva di non avere altre alternative, di alcun genere. A volte, quando ricopri un ruolo importante come quello di generale, non puoi pensare a ciò che è meglio per te stesso: sono gli altri il tuo primo pensiero, loro e il benessere collettivo.
In una missione simile, la salvezza della popolazione mondiale era di gran lunga più importante di quello di un solo uomo, per di più malato.
Stacker Pentecost si riscosse. Poteva anche non essere al massimo delle forze, ma aveva dalla sua l’esperienza e la strategia, doti che gli sarebbero state essenziali in un momento come quello. Certo, aveva molta più confidenza col suo vecchio amico e vice Hercules Hansen, ma suo figlio sarebbe stato un soldato degno di lui, nonostante la sua sfrontatezza tipicamente giovanile e l’arroganza di chi, finora, ha solo vinto… un Drift con Chuck avrebbe portato ad un buon risultato, non ne dubitava. In qualche modo, era abituato a trattare con gente simile.
Quel pensiero lo fece tornare così velocemente a Raleigh Becket da stupire se stesso.
Già, il ragazzo. Poteva essere uno spaccone, poteva avere dei modi non perfettamente in linea col comportamento che ci si aspettava dai Ranger, poteva averlo irritato varie volte… eppure era un tipo in gamba, non poteva negarlo. Era abile, intelligente, generoso: aveva visto come si era precipitato a soccorrere Mako una volta terminata la loro esperienza semi-disastrosa durante la prova del Drift, come l’aveva difesa addossandosi la colpa dei problemi avuti nel simulatore. Probabilmente il loro era solo un legame tra piloti, eppure aveva notato la piccola scintilla di gioia che si nascondeva nello sguardo timido ma deciso di Mako, una luce che si accendeva quando Raleigh le stava vicino e che mostrava in pieno quanto le piacesse stare in sua compagnia, quanto fosse felice di averlo trovato.
L’aveva notata, eccome. Ed era diventato geloso, perché la scintilla che aveva visto somigliava così tanto a quella che animava lo sguardo della Mako bambina in sua presenza da fargli provare una stretta al cuore.
Forse era anche per quel motivo che molti, dai piani alti, avevano disapprovato la sua adozione: un Ranger che aveva perso la sorella e la co-pilota rischiava di attaccarsi troppo ad una bambina orfana, neppure figlia sua… ma come avrebbero potuto impedirglielo? Mako non aveva nessun altra possibilità di vivere una vita normale, se non quella di arruolarsi all’Accademia e restare sotto la sua ala protettrice. Le era stato accanto per anni, le aveva fatto da padre, l’aveva vista crescere e compiere le sue scelte, fino a quella più importante, che lui aveva approvato dopo averci pensato ore, giorni: adesso era una Ranger anche lei. L’aveva affidata ad uno dei migliori piloti in circolazione, una persona che la rispettava e le voleva davvero bene. Fare il padre geloso non sarebbe servito a nulla, in quella situazione.
Si guardò di nuovo allo specchio, sistemandosi la tuta sulle spalle. Non mancava nulla: tra pochi minuti avrebbe affrontato quanto li aspettava come un capo, con dignità. La parte più difficile lo attendeva poco distante, dove si erano riuniti i piloti, dove anche Mako lo aspettava, col cuore pieno di dubbi e di preoccupazione come tutti gli altri. Avrebbe voluto darle il suo addio a quattr’occhi, ma forse era meglio così, non avrebbe sopportato di vederla piangere davanti a lui come tanti anni prima, tra le macerie di Tokyo.
Uscì dalla stanza con la consapevolezza di ciò che le avrebbe detto, le parole strette nella mente per non farle sfuggire. Per quanto il dolore misto alla responsabilità non facesse altro che dilaniarlo, cibandosi della sua anima e delle sue paure, una parte di se era felice e orgogliosa; era quella a sostenerlo, un passo dopo l’altro. La felicità di sapere che Mako avrebbe potuto sconfiggere la solitudine, l’orgoglio di aver cresciuto la donna che era diventata.

Ti ho restituito il cuore, bambina. Ora sta a te farne ciò che ritieni più opportuno.

 

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“Sei una ragazza coraggiosa. Sono orgoglioso di averti vista crescere.”
“Sensei… aishitemasu.”*
Pronuncia la parola davanti allo specchio, scandendo una sillaba dopo l’altra come se facessero parte di una formula da ripetere con attenzione, pena il fallimento della sua magia. È in pigiama, fuori dal loro appartamento incombe la notte che culla e inghiotte ogni cosa, tranquillizzandola fino al risveglio, ma lei no, il suo cuore inquieto non riesce a star buono, a godersi la serenità delle braccia di Raleigh. Si è alzata ed è andata in bagno, si è sciacquata il viso e ora si osserva nello specchio: gli occhi sono due pozzi vuoti colmi di tristezza posati sulla struttura morbida e chiara del volto, i capelli spettinati in maniera che il compagno definirebbe adorabile, le labbra appena inumidite dalla’acqua che ha bevuto. Sembra una bambina spaventata, sola di fronte ai suoi incubi.
Si è mai abbastanza adulti per affrontare qualunque perdita?
Beve un altro sorso d’acqua e torna nella stanza, trovando una sorpresa ad aspettarla: anche Raleigh è sveglio e le sorride, seduto sul letto. Le fa cenno di avvicinarsi e la stringe in un abbraccio senza dire nulla, con Mako le parole non servono. L’istinto parla per loro, fa capire ad entrambi di cosa abbiano bisogno nel preciso momento in cui i loro sguardi o le loro mani si incontrano.
Gli occhi di Mako chiedono solo un po’ di conforto, e lui è disposto a restarle accanto e ad ascoltarla, anche per ore intere. Come ha sempre fatto.

 

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Alla fine, il divano sembra a entrambi il posto più comodo sul quale trasferirsi: mezzi affogati sotto ad una coperta di lana a quadri, guardano distrattamente la tv che Raleigh ha acceso nel tentativo di rilassare l’atmosfera, ma nessuno dei due presta particolare attenzione allo schermo e alle immagini che presenta.
È Mako a rompere il silenzio, con una sicurezza che il ragazzo non si sarebbe mai aspettato.

“Se ci pensi, è stato per merito suo che ci siamo incontrati. Magari inizialmente poteva avere qualche riserva… su di noi, sai. Ma era sincero quando esprimeva la sua ammirazione per te, lo è sempre stato. Ti considerava un ottimo Ranger e non ha avuto dubbi neanche su di me… lo frenava solo la paura di perdermi, come aveva perso la sua co-pilota e sua sorella. Mi ha sempre protetta e io ho cercato di fare altrettanto.”

Lui annuisce e la stringe di nuovo a se. L’amore di un padre, per quanto possa essere adottivo, non potrà mai essere uguale al suo, ma perché dovrebbe esserlo? È proprio quella differenza a renderli entrambi preziosi, insostituibili: un co-pilota può leggerti nel cuore e nella mente, conosce tutte le tue paure come se fossero le sue, stringe con te un legame che è impossibile sciogliere senza soffrire immensamente. Un padre ti guida, ti protegge, ti ama con l’imparzialità di un genitore. Un altro tipo di connessione, diversa ma non per questo meno profonda.
“Sai, da una parte posso capire un po’ la sua gelosia: l’idea di lasciarti andare non deve essergli andata a genio, soprattutto se si trattava di affidarti ad una testa calda come me…” cerca di farla sorridere, di allontanare almeno per un attimo il freddo che le stringe il cuore. “Ma ha messo da parte ogni dubbio per il tuo bene, lo vedevo dal suo sguardo: era severo ma dolce, non ti ha mai impedito di essere te stessa. E questo penso sia il regalo più bello che potesse farti.”
Mako è ancora turbata, nonostante si sforzi di tenere tutto dentro di se. Per quanto Raleigh possa averle fatto capire che non deve vergognarsi a mostrare la sua parte più vulnerabile, il suo carattere riservato e l’abitudine a cavarsela sempre da sola ancora la ostacolano… ma ce la farà, ripete tra se. Se lui ce l’ha fatta ad affrontare la morte di sua madre prima e quella di Yancy poi, anche lei potrà rialzarsi. Cammineranno insieme, come hanno fatto dal giorno in cui sono tornati a riva e hanno preso tra le mani le loro vite, scambiandosele, scommettendo l’uno sull’altro e vincendo senza dubitare mai. Tracceranno la loro strada, sempre più sicuri, più forti.
Anche ora che il Drift non è più un luogo fisico da raggiungere per collegare due menti, Raleigh sa che potrà sempre ritrovare Yancy, se ne avrà voglia e Mako potrà riabbracciare il Marshal e riascoltare la sua risata, cullare quelle sue ultime parole come un testamento pieno di fiducia. Fantasmi fatti di ricordi e di frasi, ma non per questo meno tangibili.

“Lo hai reso orgoglioso di te, Mako. Scommetto che, dovunque si trovi, ti sta guardando. E non si è mai pentito di averti adottata come sua figlia.”

Il sorriso che lei gli porge lo scalda più della coperta che cade sulle loro spalle. Le nuvole nei suoi occhi si sono schiarite: forse torneranno, ma per ora la tempesta sembra decisamente essere passata. A volte basta poco ad entrambi per stare meglio, ed è quella strana magia che si crea tramite la loro vicinanza a stupirli ogni volta di più.
Mako appoggia la testa contro la spalla di Raleigh e lascia andare un sospiro che trattiene tutta l’ansia, il dolore e la tristezza che l’avevano assalita, che le corrodevano l’anima da chissà quanto tempo. Lui ascolta il suo respiro e pensa che non si sentirà mai a casa se non ci sarà Mako al suo fianco. È un legame che non sa spiegare, il loro, ma lo percepisce come se un filo invisibile li legasse da tempo immemore. Quando camminano insieme e i loro passi si sincronizzano senza volerlo, quando trascorrono del tempo anche senza parlare, seduti vicini, ognuno perso nei propri pensieri ma sempre pronto a tornare a quelli dell’altro. Quando fanno l’amore e si uniscono anche fisicamente oltre che spiritualmente, per minuti che sembrano durare secoli, millenni interi. Una completezza che ha riempito ogni angolo del suo cuore, anche quel vuoto nel petto dove vive ancora il ricordo di Yancy: lo lascerà lì, tra le parole e tutto ciò che ha reso felice il suo passato, senza mai dimenticare. Senza abbandonare nessuno dei suoi fantasmi.
Lasciami stringere il tuo cuore tra le mani, vorrebbe dirle. È fragile come vetro, ma guardandoci attraverso posso percepire il calore, il movimento, la gioia che tieni nascoste, come un caminetto acceso dietro ad una finestra. Lasciami entrare, spingerò piano la porta e non disturberò la tua quiete: la accompagnerò, come ho sempre fatto. Ti accompagnerò e soffieremo sui nostri cuori di vetro perché si riscaldino.

Vorrebbe dirle tante cose, baciarla e dirle che non deve aver paura, che lei è forte ma anche lui lo diventerà, piano piano. Il sonno, però, gli impedisce di formulare altri pensieri coerenti: si addormentano vicini, come due bambini stremati dall’emozione di aver trascorso la notte insieme, a raccontarsi storie e a ridere, spaventandosi a vicenda. Le teste che si sfiorano, le mani abbandonate una sull’altra.

I primi raggi del sole li trovano così e passano avanti, senza disturbarli.
 
 





*Maestro… ti voglio bene. (La traduzione letterale sarebbe più un “I love you”, che però ha il doppio significato di “amare” e “voler bene”, amore che lega due membri, ad esempio, di una famiglia).
 


 
 







 
   
 
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