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Autore: Nadine_Rose    20/09/2014    2 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 14

 

Di nuovo insieme

 

- Eternamente tua, eternamente mio -

 

“Lasciami libere le mani e il cuore, lasciami libero! Lascia che le mie dita scorrano per le strade del tuo corpo”.

Pablo Neruda

 


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Massimo Girotti e Lucia Bosé

 

Engel era davvero su tutte le furie. Con uno scatto, voltò le spalle a suo marito e si avvicinò ai fornelli per preparare la cena. “Sai benissimo che non è così. Nadine fa parte del mio passato.” ribatté Kurt e, sorridendo ironicamente, continuò: “Sono passati dieci anni, Engel. La tua gelosia è assurda.” “Ma certo! Adesso sarei io la pazza! La moglie isterica che vede le amanti del marito dappertutto!” urlò la donna, fuori di sé. “Ti rendi conto delle stupidaggini che stai dicendo?” fece Kurt irritato “E non urlare che potrebbe sentirti.” “Non m’interessa!” rispose Engel in modo altero. E, in quel preciso momento, squillò il telefono. Andò a rispondere Engel e, quando ritornò in cucina, aveva sul viso un’espressione stravolta. Mise le mani fra i capelli e, dopo un lungo sospiro, disse: “Ci mancava solo questo … Mia zia … Zia Klara sta molto male e devo andare subito da lei.” Poi abbracciò suo marito con un’improvvisa dolcezza e gli sussurrò all’orecchio: “Scusami se a volte mi comporto come una stupida … è che ti amo troppo e non voglio perderti.” Kurt sorrise e l’abbracciò più forte. “Anch’io ti amo tanto, Engel.” rispose e la baciò con passione …

Engel era scappata ad assistere la zia gravemente ammalata, la piccola Brigit dormiva già da tempo e Kurt era rimasto da solo a casa con Nadine. Tante cose aveva ancora da raccontarle e tante altre desiderava ascoltare dalla sua bocca. Il nostalgico ricordo del loro ritrovarsi alla rete di filo spinato gli attraversò il cuore e, senza indugio, bussò alla camera degli ospiti. Nadine era in piedi davanti al comò in un vestito a campana nero a pois bianchi che metteva in risalto la pienezza armoniosa del suo corpo; dai suoi lunghi capelli neri che, sciolti posavano morbidi e ondulati sulla schiena, s’intravedevano dei bellissimi riflessi rossi e Kurt si fermò ad ammirare la sua immagine riflessa nello specchio dal quale lei stessa si guardava. Nadine indossava una collana e un bracciale di perle e sul braccio sinistro nudo si vedeva chiaramente il marchio indelebile della sua prigionia a Ravensbrück; il suo viso era truccato ma non la faceva sembrare volgare, al contrario, quel rosso che le colorava le labbra esaltava la sua eleganza, la sua bellezza … la sua sensualità. Aveva davanti l’immagine di una donna raffinata e affascinante, l’esatto opposto di Engel troppo spesso trasandata e vestita da maschiaccio. “Hai chiarito con tuo marito?” le domandò, interrompendo i propri pensieri che altrimenti sarebbero andati troppo oltre. “No, non ancora. Non ce l’ho fatta a richiamare. Ho bisogno di un po’ di tempo. Sono troppo confusa, troppo delusa.” rispose, voltandosi lentamente e poggiando le mani sul comò. Poi fece un lungo sospiro e, all’improvviso, scoppiò in lacrime. Kurt la strinse in un abbraccio consolatorio e Nadine si lasciò abbracciare, ricambiando. Ma l’uomo iniziò ad accarezzarla dove e come non avrebbe dovuto e lei lo respinse bruscamente. “Ti faccio così ribrezzo?!” reagì Kurt per farsi commiserare e per farla sentire in colpa. “No … non è questo.” ribatté Nadine mortificata. “Tuo marito non ha fatto un buon lavoro.” “Ha fatto sicuramente quel che poteva.” “Perché ti ostini a difenderlo?! Dopo tutto quello che ti ha fatto! Dopo che ti ha trattato come uno straccio vecchio! Non vedi come ti ha ridotto?!” affermò l’uomo fuori di sé. Nadine non rispose e, con espressione sfinita, sedette sul letto. Dopo alcuni secondi, Kurt si pose in ginocchio davanti a lei e, addolcendo il tono di voce, continuò: “Ti sei mai chiesta come sarebbe stata la nostra vita insieme, se quella notte fosse andato tutto bene?” Ma la donna perseverò nel suo silenzio. “Nadine, ascoltami bene. Adesso abbiamo la possibilità di ricominciare tutto daccapo, di rivivere quella notte che non abbiamo mai vissuto. Andiamo via, Nadine. Scappiamo insieme, come decidemmo dieci anni fa. è inutile che fingi, io lo so che non mi hai mai dimenticato.” Nadine ruppe il suo silenzio e, confusa, disse: “E tua figlia? … E mio figlio?” “Suvvia, Nadine! Non sono neanche carne della nostra carne, sopravvivranno senza di noi.” E, prima che potesse controbattere da buona madre di famiglia qual era, Nadine si ritrovò tra le braccia di Kurt travolta da un improvviso e violento vortice di passione. “Vedrai che insieme saremo felici … Fidati di me.” le promise, baciandole ripetutamente il collo e inebriandosi del profumo dei suoi capelli. I due erano di nuovo insieme, stretti l’uno all’altra, uniti da un amore che dopo dieci lunghissimi anni ritornava prepotente alla luce, rivendicando tutte le promesse di eternità e facendo battere i loro cuori e fremere i loro corpi. E, improvvisamente, i due si ritrovarono giovani sulla brandina dell’infermeria di Ravensbrück. Nadine era ritornata nel suo camicione a righe da prigioniera, esile, pallida, senza trucco, senza capelli e le cicatrici che deturpavano il volto di Kurt erano scomparse. “Prendimi … E portami via.” sussurrò la ragazza e si sdraiò, attirando l’amato su di sé. Intanto, dalla finestra di quella che era diventata la baracca dell’infermeria del lager, giungeva in lontananza “Habanera”, la loro canzone. “Te lo prometto …” ribatté Kurt “… Tu sei mia.” E la fede nuziale scivolò dal dito di Nadine, cadendo rovinosamente sul pavimento …

 

Questo è il tempo di vivere te,

fino all’ultima parte di me.

Perché il mondo ha deluso anche te,

ora devi fidarti di me.

 

Michele Zarrillo, L’alfabeto degli amanti 

   
 
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