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Autore: Ely79    21/09/2014    1 recensioni
A Kyrador sta per prendere il via la finale del “Grand Prix de Celest(is)e Pâtisserie”, il talent che coronerà il miglior pasticcere amatoriale di Celestis. Brando, amico e coinquilino del Capitano Alexia Stirling, si accinge a partecipare, sicuro delle proprie capacità e della speranza di vedere i propri sogni realizzarsi.
I dolci andranno ad intrecciarsi con le indagini della MAB e con le vicissitudini di chi gli sta intorno, dai suoi avversari alla stessa Alexia, alle prese con spacciatori e gli strani atteggiamenti del suo sottoposto.
[Ispirato e scritto con la collaborazione di Carlos Olivera, autore della serie "Tales of Celestis" di cui troverete il link alle pagine EFP]
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The L Factor_Cap. 6
 6.    Coodle

Sandwich di biscotti d’avena alla birra, riso soffiato e gocce di cioccolato bianco delle dimensioni di un cookie, farcito con creme fraiche all’albicocca, yogurt, riduzione di birra speziata
e una grossa cucchiaiata di gelatina di albicocche concentrata con Libea in granelli.


Micio, allungato sul divano, spazzava l’aria con la coda. Dopo i pasti non era mai molto attivo, cosa che concedeva a Brando e Alexia lunghe pause di tranquillità. L’uomo, compresso nel risicato spazio accanto al bracciolo, tentò per l’ennesima volta di bere il caffè, ma una volta potata la tazza alle labbra fu incapace di prenderne un sorso. Ormai doveva essersi raffreddato, l’aroma non gli solleticava più le narici.
«Ne hai per molto?» domandò Alexia, da qualche parte alle sue spalle.
«Non lo so. Forse» bofonchiò.
«Fattela passare, è un ordine. Stasera hai la finale, non puoi andare in onda con un muso che tocca terra».
«È che… è così ingiusto» sospirò.
Continuava a pensare all’eliminazione di Shonna, la sera prima, a quanto l’aveva trovata profondamente sbagliata. Il dolce di quella donna avrebbe meritato molta più considerazione, proprio in virtù di ciò che aveva alle spalle ed escluderlo sulla base di una presunzione di raffinatezza era qualcosa di davvero biasimevole per non dire volgare. Di certo molto aveva pesato il giudizio di Eck e la sua fanfaronaggine da Signore dei Pasticcini, ma aveva sempre ritenuto Mtawarire e gli altri più giudiziosi nelle loro critiche e soprattutto sperava vantassero un maggior peso decisionale. Il fatto che ciò non corrispondesse al vero dava ampio spazio a congetture circa il nome del presunto vincitore. I programmi tv facevano notare come i favoriti fossero la Simmons e Jerkins, in virtù del loro ruolo di svantaggiati; ipotesi avvalorata dalle loro frequenti visite in “Bake Room”, chiamati sia dai giudici che dagli ospiti. In alternativa si faceva il nome di McCoy, dato per grande favorito dalla carta stampata.
Alexia fraintese il motivo del suo abbattimento, notando il cordless far capolino da sotto le zampe del gatto.
«Ti prego, evitami i tuoi patemi da cuore infranto perché non ti ha risposto!» sbottò irritata, sedendo sul tavolinetto di cristallo con tanta foga da rischiare di mandarlo in pezzi.
Aveva indosso solo un tubino blu notte, che contrastava con il reggiseno a balconcino di un arancione sgargiante. In un altro momento, Brando le avrebbe fatto notare quanto l’accostamento fosse spaventoso, ma in un angolo remoto della mente ricordò di aver sentito qualcosa a proposito di una camicetta a fiori di quel colore.
«Ci sono quattro ore di fuso orario tra noi e Otisa, non ti viene in mente che forse, e ripeto, forse! stia lavorando? Che si trovi in riunione con qualche pezzo grosso che aveva mandato quell’enorme idiota del figlio a studiare in un signor college a Kyrador, solo che quel cretino si è fatto beccare con un sacchetto di Jellykiss durante un festino losco e ora devono capire come tirarlo fuori da una cella senza causare un incidente diplomatico? È questo che fanno gli avvocati: riunioni e tribunali, tribunali e riunioni! Lo sai».
«I Jellykiss…» ridacchiò appena Brando, lo sguardo lontano.
Una delle sue prime creazioni, quando ancora lavorava nella ditta dolciaria di famiglia. Gelatine alcoliche alla frutta che ancora impazzavano nei supermercati. Erano stati addirittura usati come “guarnizione” sul corpo del protagonista in un film comico, durante una scena dove il malcapitato si giocava il tutto per tutto per dimostrare all’amata la propria vena amatoria facendosi trovare nudo nel suo letto, ma finendo col farsi ricorrere da tutti i cani del vicinato, ingolositi dai bonbon che portava appiccicati addosso.
Vendendo che non si riscuoteva dal torpore, Alexia pensò bene di rifilargli uno scappellotto.
«Allora?» sbraitò. «Ti dai una mossa sì o no? Devi vincere la gara e levarti dai piedi come da programma, te lo ricordi o no che me l’hai promesso? Rivoglio casa mia solo per me e Micio!»
«Non c’era bisogno di picchiarmi! Ho capito» piagnucolò passandosi una mano tra i ricci neri.
«Oh, scusa… volevi un bacino perché ti senti tanto solo?» sghignazzò arricciando le labbra.
«Per favore! Non accetto queste cose da una come te» sibilò disgustato, mettendole una mano sulla faccia per allontanarla.
«Una come me?» urlò liberandosi per rivolgergli uno sguardo carico di rabbia.
«Sì. Una come te» ripeté, facendo andare su e giù l’indice con cui la stava additando.
«Ovvero?»
«Una povera agente della MAB, sola, repressa e inacidita…» attaccò con lirismo, ma un trillo l’interruppe.
Sul display virtuale videro che si trattava di una comunicazione riservata per Alexia. Un pessimo segnale.
«Fammi capire che sta succedendo» disse alzandosi e puntando dritta alla camera.

***

«Dici davvero?» domandò all’immagine del tesserino di Pierre, che la fissava inespressivo.
«Sì, Capitano. Ci stiamo già dirigendo sul posto. Se Cane non ci fa schiantare prima…» mugugnò e subito in sottofondo si udì un’imprecazione e lo strombazzare di un clacson.
Grazie alla serata finale del “Grand Prix de Celest(is)e Pâtisserie”, le strade di Kyrador ribollivano di torme di fan e scalmanati, a piedi, in auto o su pullman titanici, giunti da ogni dove per festeggiare i propri beniamini. Sfortunatamente, Carmy aveva fatto sapere loro che la nuova consegna affidatale da Timur avrebbe avuto come destinazione proprio gli studi della CKT-24, in un deposito poco distante da dove si sarebbe tenuta la gara.
Non ci voleva. Proprio stasera, pensò nervosa.
«Allertate l’Anticrimine, sono sicura che offriranno l’appoggio necessario. E sentite anche il T.M.D. Anche se dovessero negare la loro presenza dietro le quinte, è bene che siano in allerta e sappiano che stiamo conducendo delle indagini da quelle parti. Non voglio che ci intralcino» decise mentre abbottonava la camicetta di seta.
«E se dovessero far storie? Sicuramente vorranno capire cosa c’è di mezzo. È insolito che li si contatti per…»
«Dite che stiamo conducendo un’operazione congiunta sullo spaccio della Lilith. Se si ricordano quali effetti collaterali può provocare e com’era esagitata la concorrente dell’altra sera, sono sicura basterà a convincerli» disse storcendo il naso alla vista di come la fantasia floreale la facesse sembrare stranamente in sovrappeso.
«D’accordo» convenne Lucas.
«Se ci fosse altro, fatemi sapere. Sarò lì» aggiunse distrattamente, sfilando la camicia dalla testa senza sbottonarla.
«Ma non è la sua serata libera?»
«Sarò tra il pubblico in studio. Sono stata invitata alla trasmissione» spiegò seccata, infilandosi per metà nella cabina armadio in cerca di un’alternativa.
Subito però la voce di Cane riecheggiò nella stanza, facendola sobbalzare.
«Da quel bellimbusto amalteco impiastrato di Libea
«E anche se fosse?» ribatté.
«Una volta avrebbe declinato e avrebbe partecipato all’indagine, Capitano. Evidentemente questo riempicannoli ha qualcosa che la distoglie dal suo ufficio» insinuò, con tale cattiveria da lasciarla di sasso.
«Cos’è questo tono?»
«Abbiamo una consegna in un luogo sensibile e tu ti preoccupi di quello che fa la panna montata?» sbraitò, anche se parte delle parole furono inghiottite dall’ennesimo clacson e dalle suppliche di Pierre.
«Cane!» strillò, andando incontro alla videata a passo di carica, quasi si aspettasse di vederlo comparire.
«Come puoi preoccuparti per uno scarto della Limmenshau, quando di mezzo ci potrebbero essere migliaia di vite? E Carmy? Dov’è finita tutta la preoccupazione per lei?»
Alexia esitò. Non era stato l’accenno alla collega sotto copertura o alle potenziali vittime della Lilith a bloccarla, ma quel riferimento alla scuola. La Limmenshau era un’Accademia di Alta Formazione Gastronomica nota solo a chi era ben addentro al mondo della pasticceria d’alto livello. Ed era certa che sulla scheda concorrente di Brando non fosse segnalata perché non aveva mai completato il ciclo di studi finale per dedicarsi alle ricerche in proprio. Se l’avesse concluso sarebbe diventato un pasticcere professionista, escludendosi quindi dai partecipanti al concorso.
«Questo è un colpo basso. Anche per te» gli rinfacciò. «E comunque, non devo rendere conto ai miei sottoposti di ciò che riguarda il mio privato».
«Ci servi» insisté, ma era una palese bugia.
«Non è vero. Siete in grado di cavarvela benissimo. Voi e Carmy. Chiudo».
Frustrata dalla conversazione, levò la gonna e la gettò via, da qualche parte nella stanza, e sedette sul letto. Era fortemente tentata di restare a casa. Cane aveva ragione: anni addietro si sarebbe precipitata dai suoi uomini senza pensarci due volte, ora era diversa, aveva imparato a darsi delle priorità, a staccare la spina per non impazzire.
«Guarda che nuda non ti fanno entrare».
Trasalì. Brando era in piedi davanti alla cabina armadio e sorrideva comprensivo. Difficile dire se avesse sentito qualcosa. Abbassò lo sguardo sull’abito che le porgeva: un vestito corto, rosso, con le maniche ad aletta, lo scollo a cuore e una decorazione di cristalli sui fianchi.
Le strizzò l’occhio.
«Peccato. Stasera fa caldo» sbuffò grata.

***

Inutile. Nonostante la tensione del momento, la sua mente continuava a tornare all’eliminazione di Shonna. Per qualche assurdo motivo, non riusciva a concentrarsi sul test di quella sera. Si sentiva fuori posto, sbagliato, a disagio. Gli era impossibile capacitarsi del fatto che il Pudding Gorbeko, col suo carico di amarezze nascoste e difficoltà, fosse stato bollato come inadatto alla finale. Certo, forse la presentazione poteva essere migliorata, resa più accattivante, ma trovava avrebbe snaturato l’insieme. Un dolce tanto semplice, domestico, puro nella sua essenzialità meritava…
«Che diavolo sto facendo?» esclamò orripilato guardando l’impasto molliccio che aveva nella terrina.
Gettò una rapida occhiata alla postazione. Birra, farina d’avena, Libea, yogurt, albicocche. Dall’odore e dalle bollicine che costellavano la pastella, dedusse di aver mischiato la birra con l’avena. Intinse il dito e assaggiò, scoprendo una dose di zucchero appena sufficiente a spezzare l’amarognolo del luppolo. Che cosa doveva farci? Perché aveva preso quelle cose in dispensa? O gli erano state assegnate? Non riusciva a ricordare.
Il timer sopra il banco dei giudici indicava che mancavano sessantadue minuti al termine della sfida.
Fingendo di schiarirsi le idee, fece un passo indietro e spiò attorno. La Mehran muoveva sinuosa un largo coltello, spezzettando fichi secchi, cannella, mandorle e pistacchi. A Jerkins mancava solo un berretto da baseball per dare l’impressione di essere nella cucina di casa sua mentre preparava dei banali pancake alla banana. McCoy stava stendendo un panetto di pasta all’uovo che poco o nulla aveva a che spartire con un dolce. La Simmons, infine, stava litigando con la presa elettrica, nel tentativo di inserire la spina della gelatiera a due tazze.
Brando s’inginocchiò accanto a lei, le fece segno di spegnere il vessel e di aspettare un istante. Controllò l’attacco dell’elettrodomestico e si accorse che non era compatibile con la placchetta elettrica. Era capitato anche a lui, specie quando all’estero usava i suoi attrezzi, ed essendo la Simmons di Alepto, era ovvio che le fosse capitato qualcosa di analogo. Con un incantesimo modificò la distanza tra i dentini della spina e la inserì senza problemi.
«Grazie» mormorò Kelly con un gran sorriso sotto le fitte lentiggini.
Lui sospirò mesto.
«Non ho la più pallida idea di cosa sto facendo» ammise.
La donna afferrò al volo a cosa si riferisse e fece ondeggiare i lunghi boccoli rossi scuotendo la testa.
«Si vede» ridacchiò, fingendo di controllare che il cavo non si sfilasse dall’alloggiamento. «Chi userebbe la birra in un dolce per la Festa della Fondazione?»
La guardò alzarsi e rimettersi all’opera, tramortito da qualcosa che somigliava all’esplosione del Megonia. Era nei guai fino al collo. Un manicaretto per la Festa della Fondazione delle prime colonie su Celestis a base di birra, avena e albicocche? Gli aveva dato di volta il cervello?
Tornò in postazione e guardò intorno. Gli avversari lavoravano come forsennati alle creazioni. Dal banco dei giudici, Mtawarire gli teneva gli occhi incollati addosso. Nella platea scura che si stendeva oltre una cortina di luci abbaglianti, Alexia, Feng, Ertemios, Hannu, Mark, Billy Roy e Aditi, lo incitavano in silenzio. E c’erano altri, gente senza volto che tifava per lui, che agognava di potersi sedere a gustare le delizie che avrebbe preparato nel suo nuovo negozio.
Qualcosa riprese a muoversi nella sua testa.
Sì, amici. Amici che passano tempo insieme, che fanno festa, si disse agguantando le albicocche. Gente cresciuta fianco a fianco, che ha condiviso colazioni e merende, le prime sbronze, che sa farti sentire leggero, sempre in festa. Che ti vuole bene e non manca mai di fartelo sapere.
Ricominciò di buona lena a comporre la sua proposta. Ora sapeva cosa avrebbe fatto con la pastella di birra e avena: avrebbe aggiunto riso soffiato e cioccolato bianco per formare dei grandi biscotti, croccanti all’esterno e morbidi all’interno, e ad unirli, un ripieno lievemente aspro – degno delle liti dell’infanzia - che avrebbe lasciato posto ad una sorpresa dolcissima.
Sorrise, senza sapere che le telecamere rimandavano il crescere del suo ottimismo alle televisioni dell’intero globo. Versò il riso soffiato accompagnandolo con un incantesimo che impediva ai chicchi di ammollarsi nella pastella. Kelly, alla sua sinistra, gli mostrò il pollice levato e lui rispose allo stesso modo.
«Ma dov’è finito Stroad?» si domandò, notando all’improvviso l’assenza dell’ospite.

***

Kelvis Stroad, era sgattaiolato fuori dello studio con la scusa di una capatina in bagno. Sbuffava come geyser mentre caracollava sulle gambe tozze e grassocce lungo l’aiuola. Essere tra gli ideatori del “Grand Prix”, oltre che uno dei critici di settore più quotati a livello internazionale, nonché il proprietario di una catena di ristoranti di lusso, lo poneva costantemente al centro dell’attenzione. Non c’era angolo di Celestis dove potesse passare inosservato, a dispetto delle infinite precauzioni che metteva in atto per proteggere la propria privacy. E la prova era lo sguardo torvo di Cane e Lucas che, nascosti dietro una catasta di materiale di scena, l’osservavano muoversi furtivo nel cortile.
«Pensi che sia lui il destinatario?» chiese Pierre allungando cautamente il collo oltre lo spigolo.
«Vedi altri dall’aria sospetta aggirarsi qui intorno?» ribatté seccato.
Carmy? Lo vedi? domandò telepaticamente alla giovane.
Non ancora. Sono dietro il capannone dodici, lui dov’è? chiese.
Sta arrivando. È al tredici. Stai attenta, uno della Chiesa ti è venuto dietro ma l’abbiamo perso quando è entrato negli uffici della dirigenza. Usa la telepatia solo per estrema necessità, non sappiamo se è un mago.
Calò il silenzio. Ormai doveva mancare una manciata di secondi al contatto.
Oh, no! Cane! esclamò improvvisamente la voce di Carmy nella testa del collega.
Che c’è?
Non mi ha vista! Stavo per fargli un segnale ma è arrivata una guardia! Lo sta mandando indietro!
Stroad stava tornando allo studio scortato da un agente basso e tarchiato quanto lui, giustificandosi tra mille risatine, sussulti e mezze frasi sconnesse, che lasciavano intendere quanto la crisi d’astinenza stesse progredendo ad ampie falcate nel suo organismo. Se avesse dato in escandescenze in diretta, il network avrebbe avuto un’indiscutibile impennata di ascolti, ben più di quella derivata dallo pseudo-orgasmo della Gellar. Ma per la MAB avrebbe rappresentato un gigantesco buco nell’acqua.
«Dannazione. La consegna è saltata!» ringhiò Thomas appoggiandosi ad una pila di cartoni umidi. «Stupido idiota! Perché non è rimasto a ingozzarsi di ciambelle come nei film, così potevamo fare il nostro lavoro?»
«Che si fa?»
«Nulla, che vuoi fare? Non c’è modo di prendere quel tipo con le mani nel sacco».
«Io credo dovremmo…» azzardò, strizzando gli occhi nella penombra dei capannoni.
«Dovremmo? Hai qualche idea geniale?»
Forse Pierre no, ma il Capitano sì, intervenne Carmy.
Vorrei farti notare che non è qui con noi, sibilò indispettito, rimettendo la pistola nella fondina.
Sei sicuro?

***

«Immagino che vi starete chiedendo cosa succede» esordì la Gellar. «È molto semplice. Stroad, da quel galantuomo che è e tutti apprezziamo, ha ritenuto opportuno, dopo averci deliziato con i suoi spunti riguardo le scelte dei concorrenti e le sue gustose anticipazioni circa le nuove tendenze della pasticceria, defilarsi, concedendo a un super ospite davvero eccezionale di decretare non solo il vincitore ultimo, ma già la triade dei finalisti!» mentì con eleganza.
Ai vertici della CKT-24 era preso un accidente quando avevano ricevuto comunicazione dal Capitano Stirling che l’ospite di punta sarebbe divenuto il loro ospite principale nella sede dell’Agenzia, almeno per le ore successive. Per fortuna, la regia aveva avuto la prontezza sufficiente per aggiustare la situazione e i giudici, per quanto sbigottiti dalle notizie, si erano adeguati con altrettanta naturalezza.
«Signore e signori, un bell’applauso a una persona che più di molte altre potrà rivelarci non tanto le abilità tecniche o le raffinatezze estetiche dei concorrenti, quanto la profondità delle loro intenzioni e passioni!» dichiarò Mtawarire facendosi da parte per permettere a Shonna Martinez di fare il suo ingresso sul palco.
I partecipanti strabuzzarono gli occhi mentre il pubblico in sala esplodeva in un boato di sentita approvazione, vedendo il donnone avanzare in un tripudio di tessuti floreali e un turbante tempestato di pietre colorate.
«Chi meglio di una di voi potrà dire chi accederà alla finalissima?» cinguettò Robin.
Jerkins serrò la mascella non visto: aveva sempre trattato la donna con sufficienza, ritenendola solo il pittoresco parto di un arcipelago khariyano, buono solo per trascorrerci il viaggio di nozze. Sentiva di aver già detto addio alla finale: quella era una che non ammetteva simili affronti, ritenendo un buon rapporto più importante della stupefacente riuscita di un dolce.
Il primo ad essere chiamato al tavolo delle degustazioni fu Brando.
«Forza ragazzone, fai vedere come usi il tuo fattore “L”» lo incitò Shonna, vedendolo avanzare con passo incerto.
«Il mio fattore “L”?» chiese perplesso.
Lei gli scompigliò affettuosamente i capelli.
«Non c’è bisogno che te lo spieghi. Lo sai da te di cosa si tratta» disse togliendogli il piatto dalle mani e portandolo davanti alla faccia per osservare con attenzione le sua proposta. «Allora, cosa ci hai preparato?»
Per qualche strano motivo, Brando non riuscì subito a trovare le parole giuste per raccontare il dolce. Poi, notando gli sguardi che si scambiavano i giudici – sguardi di bambini curiosi davanti a un pacco misterioso – ritrovò la parola.
«Coodle. Da mangiare con gli amici».

***

Carmy, appena effettuata la consegna, si era dileguata alla volta del tempio per riferire a Timur e nel piazzale restavano solo un’auto scura con le insegne della MAB e una manciata di persone. Bloccare Stroad mentre scartava il pacchetto con la Lilith era stato questione di fortuna ma soprattutto, di un aiuto inatteso.
«Smettila o stavolta ti faccio rapporto per davvero» sbottò Alexia, abbassando l’orlo dell’abito fino alle ginocchia.
«Non ci penso neanche. Non puoi venire in ufficio vestita così?» ridacchiò additando la scollatura a cuore.
«Ti distrai già abbastanza» rimbeccò Pierre salendo sull’auto per scortare Stroud alla sala interrogatori.
Quando il sospetto e la guardia si erano trovati a pochi passi dalla porta dello studio, questa si era aperta e ne era uscita Alexia. Se non fosse stato per gli anni di servizio alle spalle, probabilmente Cane avrebbe lasciato cadere la pistola per la sorpresa: il vestito scarlatto che indossava le arrivava a stento a mezza coscia e le spalline erano state deliberatamente abbassate lungo le braccia per lasciar scoperte le spalle, messe sensualmente in evidenza dalla lunga coda di cavallo bionda che ricadeva da un lato. Con la luce soffusa che pioveva dalle alte vetrate dello studio e il suo incedere da valchiria sui tacchi altissimi, Alexia aveva totalmente assorbito l’attenzione dei presenti: approfittando della guardia che balbettava offerte d’aiuto alla signorina “sicuramente mal indirizzata da qualche steward”, Carmy si era avvicinata non vista a Stroad e gli aveva recapitato il pacco, ritirando con altrettanta rapidità il denaro.
«Come sapevi che era lui e che le cose si stavano mettendo male?» le chiese Thomas, guardano la berlina sparire.
«Ho notato che sudava come una fontana, incespicava nelle parole, fingeva di essere agitato per l’emozione della gara e lanciava occhiate disperate a tutte le uscite. Chiari sintomi di crisi d’astinenza. E tu eri troppo intento a coprire Carmy per accorgerti che Lucas mi ha mandato un messaggio sul cellulare per aggiornarmi» spiegò mostrandogli il piccolo schermo virtuale con la scritta: “S
OSPETTO ALLONTANATO DA GUARDIA. PROCEDURA?”
«Beh, se abbiamo finito, io tornerei ad appollaiarmi nel buco davanti al tempio» sbadigliò Cane stiracchiandosi.
«No, è inutile. Carmy incontrerà Timur solo domani mattina» rispose sistemando le spalline. «Rimani qui».
Lui le rivolse un’occhiata acida. Proprio non aveva voglia di vederla festeggiare o, peggio, consolare il suo bello.
«Ho di meglio da fare» tagliò corto, facendo per andarsene.
«Hai detto che Carmy era seguita. Potrebbe accadere dell’altro stasera, forse non c’era un unico destinatario o forse si trattava solo di un supervisore. C’è troppa gente in sala per star tranquilli. Dobbiamo stare all’erta e io... potrei avere bisogno di una mano» ammiccò.
Combattuto tra l’assecondarla e il girare sui tacchi, Thomas allungò la mano e le sistemò la spallina dell’abito con un sorrisetto perfido, affinché coprisse quella nera del reggiseno.
«Non si corre comodi coi tacchi alti e i vestitini sexy, eh?» rispose con un sospiro rassegnato.

***

«Da questa gara usciranno i tre finalisti che, a breve, si lanceranno nella sfida finale del “Grand Prix de Celest(is)e Pâtisserie”, che consegnerà il titolo di Sommo Pasticcere di Celestis» annunciò Marcel Moryiama con tono solenne. «Prego pertanto la nostra cara ospite di pronunciare i verdetti!»
Il brusio della platea andò scemando rapidamente. Le telecamere inquadrarono uno ad uno i cinque dolci, partendo dalla Mehran, passando sulla Simmons, Brando, McCoy e Jerkins, tornando infine sul sorriso materno di Shonna. Sfilò la pergamena dalla busta e lesse tra sé i nomi.
«Kelly Simmons» annunciò.
Dalla platea si levò un boato: la Simmons era stata, insieme a Jula Antonova e Pitt Jerkins, una delle poche concorrenti non maghe ad arrivare alle fasi finali del contest. Nonostante l’uso pressoché occasionale del vessel, molti la guardavano con malcelato timore. Si vociferava che una squadra del T.M.D. la tenesse costantemente d’occhio per evitare che sfuriate analoghe a quelle della Antonova sfociassero in qualcosa di peggio.
«La tua Coppa Blue Desert Rhymes ci ha ricordato quanto calore si può celare in una deliziosa cucchiaiata di gelato sabbioso. A prima vista ricordava davvero delle dune di sabbia, calde ed esotiche per quel tocco di spezie e ananas, che richiamava la fatica dei nostri antenati. E sotto la sorpresa, un giacimento di golosità che spalanca le porte a un gioioso futuro. Bravissima, Kelly! » si complimentò.
Nuovo silenzio. Secondi che si dilatavano nello spazio accompagnanti dal sorriso di Shonna che si rivolgeva agli ex-compagni d’avventura tesi e confusi.
«Jacques McCoy».
Altre grida di giubilo. Il paladino di Castar, l’ex direttore di banca finito a fare il pescatore per essersi opposto ai vertici societari durante una pericolosa manovra economica che avrebbe messo sul lastrico i suoi correntisti. L’intera Contea di Castar aveva mandato rappresentanti tra il pubblico, per la maggior parte gente che McCoy aveva aiutato di tasca propria, dilapidando così le proprie finanze e mandando a monte un solido matrimonio.
«Un’originale rivisitazione dei Tagliolini zucchine e carote. Chi l’avrebbe detto che un piatto tanto semplice della cucina dei nostri pranzi o cene, potesse trasformarsi in un sublime e delicatissimo dolce, con tanto di salsa d’accompagnamento? Una delizia domestica, un inganno che ci ricorda le speranze disilluse dei pionieri, che però trovarono il modo di volgere a loro favore – e con insperate soddisfazioni – ciò che li aveva condotti qui!»
Silenzio.
Un vuoto interminabile.
Luci che brillavano come piccoli soli roventi.
Brando aveva i capogiri e lo stomaco rivoltato dall’ansia. Aveva cominciato col piede sbagliato, si era ripreso, aveva incespicato di nuovo, e ora che aveva avuto modo di osservare le altre creazioni, i dubbi lo assalivano.
«Floscioflosciofloscioflosciofloscio» mormorò, certo di non aver mai provato sensazione peggiore in vita sua.
Eppure aveva lavorato tanto per acquisire sicurezza, per liberarsi di certe “vecchie maniere” che lo zio Giovanni gli aveva insegnato e che nella pasticceria contemporanea non risultavano così utili, per affinare il gusto e aguzzare l’ingegno. Perché ora, di fronte a quei curiosi, bizzarri pochi dolci, si sentiva un assoluto incapace? Forse non era così bravo come aveva creduto. In fondo, era solo un pasticcere amatoriale, non un professionista.
«Brando Pellegrini!» chiamò la voce di Shonna, irrompendo nei suoi pensieri.
Gli occorse qualche secondo per capire che le pacche e gli scossoni degli altri finalisti erano di congratulazioni e non di conforto. Era a un passo, uno solo, dal coronare il suo sogno. Gli passarono davanti tutti gli sberleffi dei compagni di scuola da ragazzo, le noiose settimane alla “Union Joy Sweets” a inventare caramelle che di artistico e sofisticato avevano ben poco, le scottature, i fallimenti degli impasti e degli incantesimi, i tagli sulle dita e il limone negli occhi, gli ingredienti che non si univano, che non entravano in sintonia, le rese finali che non combaciavano con le idee, le sconfitte nelle prime gare, i rimproveri dei maestri – ufficiali e non – che l’avevano aiutato a crescere, gli amici che l’avevano sostenuto, l’accoglienza di Alexia e poi quel sorriso, quegli occhi. L’amore. Avrebbe voluto fosse lì.
Non ascoltò una sola sillaba degli elogi per i suoi Coodle, per la magnifica unione delle feste all’aria aperta – familiari, chiassose, caserecce – e il ricordo delle vecchie merende per bambini, da cui promanava un senso di allegria, affetto e speranza d’altri tempi che il limitato uso della Libea non smorzava affatto: la testa era di nuovo partita su un binario proprio.
Devo vincere. Ormai ci sono, ce la posso fare! si disse mentre stringeva la mano ad un indispettito Jerkins e ad una Mehran in lacrime per la delusione.
«Signori, avete mezz’ora di tempo per raggiungere, pulire e riorganizzare la mise en place delle vostre postazioni! Dopo di che, daremo il via al gran finale!» strillò eccitata Robin, indicando loro i banchi da lavoro.
   
 
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