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Autore: Pluma    22/09/2014    1 recensioni
Lui guardò il volto della ragazza, lo stesso viso che giorno dopo giorno per tutta la loro giovane vita aveva visto cambiare e crescere, come cambiava e cresceva il suo. Eppure sembrava tanto diverso da come se lo ricordava.
“Che occhi grandi che hai, Valerie.” Sussurrò Peter.
“Per vederti meglio, amico mio.” Sorrise lei.
“Che bocca grande che hai…”
“Per divorarti meglio!”
Le scuse sono d'obbligo, ma non avevo le idee molto chiare, ma questa, lo prometto, è la versione definitiva.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Seduti su due sedie, uno di fronte all’altra, il padre parlava mentre la figlia ascoltava.
“E’ un dono Valerie. Un dono che mio padre ha passato a me. Ad ogni generazione diveniamo sempre più forti; io sono più potente di quanto lo fosse tuo nonno e tu lo sarai ancora di più. Hai visto cosa sono capace di fare, prova a pensare cosa potresti fare tu. Insieme saremo invincibili.”
La ragazza guardò suo padre dritto negli occhi; occhi caldi e profondi, tutto il contrario dei suoi, freddi e ferini, sia per il colore sia per la forma. Forse era quello il motivo che l’aveva sempre fatta sentire diversa dalle altre ragazze: in lei scorreva sangue della sua famiglia paterna, il sangue dei lupi mannari. Un dono, così lo aveva chiamato suo padre, che la rendeva più forte e più agile di quanto avrebbe dovuto essere una giovane donna; più passionale e più irrequieta di quanto fosse permesso alle ragazze del villaggio; più bella, persino di sua sorella con cui condivideva solo la madre.
Con questi pensieri nella testa il suo sguardo colore del ghiaccio scivolò sulla figura del padre. Cesaire era un sempliciotto, con una maglia di cotone logora e calzoni deformati, un gilet di pelliccia usurato completava l’opera. Capelli corti scompigliati e barba incolta, non lo rendevano l’uomo più bello del villaggio, soprattutto per i gusti della moglie che preferì le braccia del ricco fabbro a quelle del legittimo marito.
Valerie alzò gli occhi sul volto di Cesaire e vide una scintilla che non aveva mai notato prima. Potere, forza, libertà erano tutte cose che suo padre aveva pregustato per poi accantonarle, nell’attesa della Luna di Sangue, unico periodo di tre giorni in cui avrebbe potuto tramandare il dono. Infettarla, avrebbe detto Padre Solomon, ma tra il religioso e il lupo mannaro, l’essere maggiormente inquinato, era sicuramente il primo. Cesaire aveva dissimulato la sua vera natura ottenendo solo il tradimento della moglie Suzette e una primogenita, Lucie, non sua. Al ricordo della sorella maggiore Valerie si riscosse:
“Avete ucciso Lucie e anche la nonna. Come potete dire che è un dono?”
“Mi dispiace” rispose l’uomo senza, però, abbassare lo sguardo. Era completamente diverso dall’ubriacone che tutti conoscevano; vedendolo ora nessuno, nel villaggio, avrebbe osato schernirlo. “Volevo bene a mia madre e a Lucie, ma quando lei non capì le mie parole, nella mia forma di lupo, compresi che tua madre mi aveva mentito. Tua sorella non poteva essere mia figlia, come te, anche lei avrebbe dovuto comprendermi, come ci sei riuscita tu. Ma tu questo lo sapevi già” concluse l’uomo lupo.
La sua non era un’accusa, non voleva far sentire in colpa la figlia, semplicemente voleva farle capire che non poteva nascondergli la verità, nessuno poteva. Lui non era lo stolto che appariva.
Il cuore di Valerie perse un battito, lui sapeva che la madre si era confidata, ma come spiegargli che in fondo aveva accettato di proteggere il segreto per il bene di una famiglia, già erosa dalla disgrazia? Ma non era necessario, al padre non interessava.
“Adrien era il padre di Lucie e scoprendolo ho perso la testa e mi sono esposto, per la prima volta dopo decenni. La mia impulsività mi ha portato male, ma tu puoi essere quello che vuoi. Con il mio aiuto, puoi essere migliore di me senza fare i miei errori.”
Gli occhi di Cesaire mutarono dal marrone all’ambrato e in essi la fanciulla vide strade di città e di villaggi in cui la gente tremava al loro passaggio. Due lupi, dalla taglia eccessivamente grande per essere semplici bestie, entrambi con il manto nero come il fondo di una grotta da cui non c’è ritorno. E ancora, valli e monti in cui poter correre fino allo stremo delle forze. Una vita un cui poter amare come e chi si desideri, senza limiti imposti da stupidi dettami e convenzioni.
Le narici di Valerie si dilatarono, il suo naso era stato colpito dall’odore di muschio selvatico proveniente da Cesaire che si era avvicinato alla sua sedia, mentre lei era immersa dalla visione di una promessa. Le sorrideva predatori, mentre il petto di Valerie si alzava e abbassava aritmico e veloce. Nel cestino di vimini, appoggiato sul tavolo, vi era, nascosta l’unica arma che avrebbe potuto uccidere il lupo mannaro: la mano strappata a morsi, la notte precedente, di Padre Solomon le cui unghie erano d’argento; ma con la morte del padre Valerie avrebbe perso la possibilità di vivere una libertà incondizionata.
“Valerie” sussurrò con dolcezza Cesaire alla figlia “non mi lasciare solo. Dimmi che non mi sono sacrificato solo per perdere chi amavo e rimanere con un pugno di mosche in mano.”
Valerie, incantata da questa nuova figura paterna, un vero padre, sicuramente più dignitoso di quanto fosse mai stato, da che lei aveva memoria, liberò il pollice destro dal buco che manteneva la manica stesa lungo il braccio, per far salire il tessuto verso il gomito, lasciando libera la pelle dell’avambraccio.
“Farà male?”
“Ne varrà la pena”
Le mani grandi di Cesaire afferrarono con una gentile fermezza il braccio della figlia mentre s’inginocchiava di fronte a lei avvicinando la bocca alla pelle calda. Valerie, nonostante la paura del dolore, non riuscì a distogliere lo sguardo dallo spettacolo che la vedeva come coprotagonista. L’uomo lupo fu veloce e preciso: aprì la bocca, morse la figlia, lasciandola subito dopo libera dalla sua presa.
Rimasero immobili così: lui un assassino perfetto, inginocchiato di fronte alla sua bellissima figlia, per la prima volta, entrambi coscienti di chi avevano davanti.
“E ora?” chiese lei con voce spezzata, un po’ per il dolore del morso, un po’ per l’adrenalina che le scorreva nelle vene assieme al velenoso dono di famiglia.
“Ora aspettiamo la luna.” Rispose Cesaire alzandosi in piedi facendo forza sulle ginocchia con le mani.
Le porse la mano con galanteria, offrendole il suo aiuto per alzarsi in piedi dalla sedia di legno; lei accettò lasciando che suo padre la attirasse a sé, avvolgendola in un abbraccio protettivo.
In quel momento la porticina di legno della casa sbatté con forza contro la parete ingombra di stoviglie appese di ogni genere e tipo.
“Mostri!” urlò Peter disperato.
 
Il ragazzo aveva seguito Valerie dopo che lei lo aveva ferito al ventre con il pugnale, fino alla casetta nel bosco; aveva assistito impotente al teatrino tra Cesaire e Valerie, il disgusto e l’orrore lo avevano accalappiato allo stomaco, facendolo vomitare sulla neve candida del vialetto della nonna. Aveva impiegato qualche minuto per riprendersi e ragionare, per decidere cosa fosse giusto fare e alla fine la scelta fu unica: a morte i demoni assassini.
Aveva spalancato la porta d’ingresso, irrompendo nell’unica stanza della casa e senza aspettare che la fanciulla bionda dagli occhi belli e gentili si girasse verso di lui, prese la sua accetta appesa nella cintola e caricò, puntando direttamente la testa di Cesaire. Non poteva permettersi di guardare Valerie, la amava e temeva che se le avesse lasciato il tempo di spiegarsi non avrebbe avuto la forza di fare quello che andava fatto. Era arrivato a pochi centimetri dal suo obiettivo principale, quando tra lui e l’uomo lupo si frappose una figura minuta, ma incredibilmente forte, che bloccò, con una sola mano il braccio di Peter.
Lui guardò il volto della ragazza, lo stesso viso che giorno dopo giorno per tutta la loro giovane vita aveva visto cambiare e crescere, come cambiava e cresceva il suo. Eppure sembrava tanto diverso da come se lo ricordava.
“Che occhi grandi che hai, Valerie.” Sussurrò Peter.
“Per vederti meglio, amico mio.” Sorrise lei.
“Che bocca grande che hai…”
“Per divorarti meglio!”
 
 
 
Partiamo con il chiedere scusa, ma la prima volta che ho pubblicato questa storia non avevo le idee molto chiare. Non ricapitolo quello che ho pensato in precedenza; erano gran fantasie senza controllo dovuto alla mancanza di allenamento: è da veramente molto tempo che non tocco la penna.
 
Tornando a questo capitolo è nato mentre guardavo il finale del film “Cappuccetto rosso sangue” e mi chiedevo perché la protagonista dicesse no al padre. Io personalmente avrei riposto di sì. La questione del cattivo lupo assassino mi sembra (a mio modesto parere)  molto uomo centrico e anche un pochino arcaico. L’idea che qualsiasi cosa che uccida o che si cibi di esseri umani sia un assassino e un mostro da abbattere a tutti i costi, per me, è basata sul presupposto che l’uomo è in cima alla catena alimentare. Basterebbe che l’umano fosse costretto a condividere la terra con creature come i licantropi o, peggio ancora i vampiri, ed ecco che non sarebbe più il re indiscusso del mondo.
E’ ovvio, che tali creature non esistono nella realtà, ma il fantasy e simili esistono per questo, quindi  in questa fan fiction l’uomo non è più superiore; per lo meno sarebbe la mia intenzione, vostro compito è giudicare se ci sono riuscita o meno.
   
 
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