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Autore: istrice_riservato    22/09/2014    2 recensioni
I fatti descritti in questa storia sono immaginari. Ogni riferimento a cose o persone reali è puramente casuale. I personaggi sono ispirati a persone realmente esistite.
“[...] « Oh beh, allora – Liam tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans il suo portafoglio – sono arrivato giusto in tempo per offrirvi da bere ».
La testa della rossa, che nel frattempo stava guardando altrove, si girò di scatto verso di lui. « Non ce n’è alcun bisogno, grazie » disse, facendogli chiaramente capire quanto la sua presenza lì fosse poco gradita, almeno da parte sua.
« Volevo solo essere gentile ed offrire da bere a due belle ragazze come voi, skinny jeans » e, terminata la frase, si stupì lui stesso dell’audacia con cui le aveva affibbiato quel nomignolo strano e buffo. [...]”
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '«Five foot something with the skinny jeans».'
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Non ho nulla da dire di questa OS, se non che è il prequel di quest’altra OS qui.
Buona lettura. <3





 

“Alcohol! Because no great story started with someone eating a salad”.

 

Dire che quella folta chioma rossa avesse attirato la sua attenzione era un eufemismo: l’aveva completamente rapito, incatenandogli gli occhi alle leggere e soffici onde che ricadevano sulle spalle magre e sulla schiena dritta. Più di una volta, da quando era entrata nel pub con le sue amiche, Liam si era ritrovato a fissare quei capelli, rimanendone completamente affascinato, soprattutto quando venivano mossi, accarezzati o spostati dalle mani curate – con le unghie smaltate di viola e qualche anello – della ragazza a cui appartenevano. E lei se n’era accorta di aver attirato l’attenzione del ragazzo castano seduto al tavolo in cui non facevano altro che ordinare birra in continuazione, così come l’avevano fatto le sue amiche che ogni tanto ridacchiavano di lui.
Nel tentativo di distrarsi da quella ragazza almeno per qualche minuto, Liam si voltò verso Tom, seduto al suo fianco, e lo guardò mentre beveva.
« Dovresti alzare il culo da quella sedia ed andare a parlarle » gli suggerì, lanciando una veloce occhiata al tavolo a cui lei sedeva.
« No, aspetta ancora un po’ prima di provarci » s’intromise nel discorso John, « Se ne sta ancora troppo sulle sue per darti anche solo una possibilità ».
Liam spalancò la bocca. « Come diavolo… »
« Come facciamo a saperlo? Dio, Liam, guardati… Non stai facendo altro che guardarla da quando ha varcato la porta del pub in compagnia delle sue amiche! Anche un cieco si sarebbe accorto che sei interessato alla rossa laggiù » spiegò Tom, prima che il ragazzo potesse anche solo lontanamente pensare a come concludere la sua domanda.
Si mordicchiò un labbro, tenendo gli occhi fissi sul collo della bottiglia di birra che aveva davanti: aveva cercato di essere discreto, di non farsi cogliere subito con le mani nel sacco dai suoi amici mentre la fissava, ma non ci era riuscito, al contrario di quello che aveva creduto fino a quell’istante.
Quando sollevò nuovamente lo sguardo, vide la rossa parlare con una delle amiche seduta al suo fianco, gesticolando animatamente, ed aggrottò la fronte nella speranza vana di capire quello che le due avevano da dirsi – peccato solo che la distanza era troppa anche solo per captare il loro discorso per sbaglio. Dopo poco le vide alzarsi dal tavolo ed iniziare a camminare nella sua direzione. Liam s’irrigidì sulla sedia perché, per un momento, ebbe l’impressione che la rossa stesse fissando proprio lui ed i suoi amici ridacchiarono del suo comportamento perché sembrava tanto un tredicenne alle prese con la sua prima cotta seria. Si rilassò solo quando le ragazze deviarono verso il bagno, passandogli esattamente alle spalle ed inebriandolo di un leggero profumo per lui tutto nuovo. Tornarono indietro una decina di minuti più tardi e si fermarono al bancone del pub per ordinare qualcosa da bere.
Liam si torturò le mani per qualche istante, completamente indeciso se alzarsi e raggiungerle al bancone oppure restare dov’era, fino a quando John non gli tirò un calcio alla tibia da sotto il tavolo, indicando col mento le due ragazze. A quel punto si mise in piedi, si asciugò i palmi sudati sulla stoffa dei jeans che gli fasciavano perfettamente lo cosce, prese un respiro profondo e s’incamminò verso le due ancora al bancone, con gli occhi che non vedevano altro che una bellissima chioma rossa. Appoggiò le braccia sul ripiano che aveva davanti a sé, esattamente accanto a quelle della ragazza che lo interessava, e si schiarì la voce un paio di volte, sia per cercare di tranquillizzarsi che per cercare di attirare la sua attenzione. Lei comprese subito il suo intento – lui le era così vicino che le cose non sarebbero potute andare in nessun altro modo – ed arricciò le labbra, alzando gli occhi al cielo, prima di voltarsi verso la sua amica e dargli le spalle. Lui non si lasciò però scoraggiare e le si avvicinò ulteriormente, deciso ad attaccare bottone.
« Avete già ordinato? » buttò lì, senza sapere che altro dire.
A quella domanda, entrambe si girarono nella sua direzione. Due sguardi completamente diversi lo squadrarono da capo a piedi: uno era appena sufficiente, quasi infastidito dalla sua presenza – quello della rossa – , l’altro era sorpreso, curioso – quella della sua amica. Fu proprio quest’ultima a rispondere alla sua domanda con un « No, non ancora » accompagnato da un sorriso cordiale.
« Oh beh, allora – Liam tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans il suo portafoglio – sono arrivato giusto in tempo per offrirvi da bere ».
La testa della rossa, che nel frattempo stava guardando altrove, si girò di scatto verso di lui. « Non ce n’è alcun bisogno, grazie » disse, facendogli chiaramente capire quanto la sua presenza lì fosse poco gradita, almeno da parte sua. 
« Volevo solo essere gentile ed offrire da bere a due belle ragazze come voi, skinny jeans » e, terminata la frase, si stupì lui stesso dell’audacia con cui le aveva affibbiato quel nomignolo strano e buffo. 
« Che tu ci creda o no, ho anche un nome, sai?! »
« Ah, davvero? » Liam si finse sorpreso ed anche un po’ scontroso, visto che la gentilezza non sembrava proprio il modo migliore con cui trattarla, « E sarebbe... ? »
« Non ho intenzione di dirtelo! » puntualizzò la ragazza.
« Se la metti così, continuerò a chiamarti skinny jeans, allora ».
« Idiota! » berciò lei e tornò al tavolo senza aver ordinato nulla, trascinando la sua amica per un polso.
Momentaneamente sconfitto – la rossa aveva appena vinto una battaglia, ma lui avrebbe vinto la guerra – , anche Liam tornò al suo tavolo, la testa leggermente piegata verso il basso. Si abbandonò malamente sulla sedia, le gambe appena divaricate, gli avambracci sulle cosce e le mani incrociate tra loro in mezzo alle ginocchia, in completo silenzio.
« L’avevo detto io che se ne stava troppo sulle sue » commentò John e Liam, in risposta, sbuffò pesantemente. Continuò poi a mantenere il suo silenzio, mentre i suoi amici trovavano altro di cui parlare. Apprezzò il loro tentativo di distrarlo, perché pensare al rifiuto appena ricevuto era l’ultima cosa che voleva fare e perché ancorarsi a quello non lo avrebbe di certo condotto al suo scopo.
Non fu in grado di quantificare per quanto tempo rimase chiuso nel suo mutismo senza nemmeno muovere un muscolo ad eccezione di quelli coinvolti nella respirazione, ma, quando lo fece, puntò subito lo sguardo verso il tavolo della rossa e quello che vide non gli piacque per niente: al gruppetto iniziale di ragazze si erano infatti aggiunti quattro ragazzi e uno di loro – quello biondo con gli occhi azzurri, per l’esattezza – le sedeva così vicino che Liam sentì immediatamente l’impulso di odiarlo farsi largo dentro di sé. E tutto quanto si intensificò maggiormente quando si rese conto che lei sorrideva serena mentre lui le parlava, che lei rideva alle battute che lui faceva, che lei apprezzava la compagnia di lui, al contrario di quanto aveva fatto prima con la sua. Ma sarebbe riuscito a far andare le cose nel giusto senso entro la fine della serata, ne era sicuro.
Si alzò di nuovo dal tavolo e tornò al bancone. Attese pazientemente il suo turno per ordinare, pagò quello che doveva e poi tornò al tavolo, senza nulla tra le mani. Per i successivi dieci minuti lanciò occhiate fintamente disinteressate al bancone del pub – non voleva destare sospetti tra i suoi amici – , però quando vide partire uno dei camerieri munito di vassoio con sopra un cocktail appena preparato se ne fregò di tutto e tutti e focalizzò su di lui la sua attenzione. Lo osservò poggiare il drink sul tavolo davanti alla rossa che, stupita, si affrettò a chiedere spiegazioni. Fu allora che il cameriere lo indicò: Liam prese la sua birra e la sollevò appena, come se volesse brindare, con lo sguardo fisso in quello della ragazza, la quale gli rispose sorridendo e sollevando il dito medio, prima di prendere un sorso del cocktail che le era stato offerto. Sorrise anche Liam, la bottiglia davanti alle labbra, contento di essere riuscito a strapparle un sorriso – risultò meno contento del dito medio che gli aveva rifilato, ma poteva passarci sopra.
 

* * *

 
A quel drink offerto ne erano seguiti altro di vario genere e, a fine serata, la ragazza era parecchio ubriaca. Liam la trovò seduta su di una panchina appena fuori dal pub con la testa tra le mani ed i capelli rossi – l’aveva riconosciuta proprio grazie a quelli – che le ricadevano davanti alla faccia, coprendola in parte. Non ci pensò un attimo in più e le si sedette accanto.
« Tutto bene, skinny jeans? » chiese, vedendo che quella stava completamente immobile nella posizione in cui l’aveva trovata.
« Non proprio » borbottò lei, « Appena mi muovo oppure apro gli occhi gira tutto quanto ».
Liam le si fece più vicino. « Hai bisogno di prendere un po’ d’aria » commentò e le spostò i capelli dal viso con gentilezza, notando immediatamente quanto fossero morbidi, folti e setosi al tatto.
Al di sotto della chioma rossa, c’era un volto quasi cadaverico. Quel lieve rossore sulle gote che aveva visto solo poche ore prima dentro il pub era sparito, lasciando spazio ad un bianco tutt’altro che rassicurante. Vedendola in quelle condizioni, una sola domanda affollò la mente di Liam. Domanda che non ci mise poi molto a raggiungere le sue labbra.
« Hai già vomitato? »
Le palpebre di lei sbatterono per un paio di volte lente e confuse davanti a quel quesito. « Non voglio vomitare » la sentì sussurrare, « Non mi piace farlo ».
Aveva detto quella frase con un tono che l’aveva fatta sembrare piccola ed indifesa di fronte al mondo intero e Liam non se ne stupì poi più di tanto: aveva infatti imparato che, il più delle volte, dietro ad un atteggiamento di difesa come quello tenuto dalla ragazza, se ne nascondeva uno altrettanto dolce, indifeso e spesso fragile ed un senso di protezione nei suoi confronti si impadronì di lui.
« Non ho ancora conosciuto nessuno a cui piaccia farlo, sai? » le accarezzò dolcemente la schiena, per farla rilassare, « Ma ora, skinny jeans, ho bisogno che tu lo faccia. Hai bevuto troppo e, per stare meglio senza ricorrere a rimedi drastici, questo è l’unico modo per il momento. Fidati di me ».
Lei annuì, muovendo la testa il minimo indispensabile. Lui l’aiutò ad alzarsi con cautela, per evitarle di compiere movimenti che le avrebbero solo fatto girare la testa più del dovuto. Ringraziò il cielo che l’avesse ascoltato, così ora non si sarebbe ritrovato a metterle due dita in gola contro la sua volontà per vuotarle lo stomaco da tutto quello che aveva bevuto.
Camminando piano, la portò con sé sul retro del locale. Lì le sfilò la borsa che aveva a tracolla e se la fissò su di una spalla, in modo che non creasse disturbo a nessuno dei due.
« Sto da schifo e lo stomaco mi fa malissimo » si lamentò la ragazza con le braccia strette intorno al busto.
« Tra poco starai meglio » le assicurò Liam.
La prese per le spalle con entrambe le mani e la scosse un po’, quel tanto che bastava per creare ancora più scompiglio nel suo stomaco già sottosopra a causa dell’alcool ingerito nelle ore precedenti. L’attimo dopo la rossa era piegata su se stessa e vomitava, mentre Liam le teneva indietro i lunghi capelli in modo che non li sporcasse e che non la infastidissero. Finito, la ragazza aveva acquistato giusto quel poco di colore perché lui non si sentisse più in pensiero per le sue condizioni di salute come quando l’aveva trovata sulla panchina, abbandonata a se stessa, poco prima. Le passò un fazzoletto, che lei gli aveva detto di avere nella borsa, con cui pulirsi e asciugare le piccole gocce di sudore che le imperlavano la fronte. La riaccompagnò pian piano alla panchina, dove la fece sedere nuovamente.
« Torno dentro a cercare le tue amiche. Tu aspetta qui, d’accordo? » disse e le lasciò la borsa al suo fianco prima di sparire dentro il pub.
Quando però riuscì era da solo. Aveva girato tutto il locale, guardato in ogni angolo, ma delle amiche della rossa non ne aveva trovato traccia da nessuna parte. La raggiunse alla panchina, sulla quale lei si era stesa ed addormentata. Liam le sfiorò un braccio, trovandolo gelato per colpa dell’umidità della notte, e si sfilò di dosso la leggera giacca nera che aveva addosso per mettergliela sulle spalle con gentilezza.
La osservò per qualche minuto, fino a quando non sbadigliò. Buttò un occhio all’orologio da polso, che segnava quasi le quattro di notte, e decise che fosse arrivato il momento di andare a casa. Allo stesso tempo, però, non poteva lasciare la rossa a dormire su quella panchina, così si chinò e la prese in braccio, passandole un braccio dietro la schiena ed uno sotto le ginocchia e passandosene uno suo intorno al collo. Lei mugugnò qualcosa di completamente incomprensibile nel sonno e si sistemò meglio contro il suo petto ampio.
Facendo più attenzione possibile, Liam raggiunse la macchina con la rossa tra le braccia e l’adagiò sui sedili posteriori con la massima cura. Poi si mise al posto del guidatore, si allacciò la cintura di sicurezza e fece partire la macchina, non prima di averle lanciato un’ultima occhiata dal sedile anteriore. Non sapendo nulla di lei – non aveva voluto dirgli nemmeno il nome – la portò a casa con sé. Guidò con calma e tranquillità per le strade della città addormentata, mentre canticchiava un allegro motivetto tra sé e sé e l’aria fresca della notte filtrava dal piccolo spiraglio del finestrino automatico.
Arrivato sotto casa, dovette girare un po’ prima di trovare parcheggio. Fatto questo uscì dalla macchina e prese in braccio la ragazza, che ancora stava dormendo. La lasciò andare soltanto raggiunto il letto della sua camera. Accese l’abat-jour sul comodino, che riempì la stanza di una leggera luce soffusa, e poi si armò di calma e pazienza, caratteristiche che utilizzò per liberare la rossa dai suoi indumenti che erano tutt’altro che comodi ed adatti per dormire. Prima di tutto le tolse le scarpe col tacco, poi le sfilò da sopra le spalle la sua giacca nera e la buttò sul pavimento, senza curarsi più di tanto di dove quella andasse a finire. Bottone per bottone slacciò la camicietta di seta verde che si abbinava alla perfezione con i suoi capelli rossi e deglutì più e più volte quando la aprì e scoprì che nascondeva un reggiseno di pizzo nero, in netto contrasto con la sua carnagione chiara. Fu poi il turno dei jeans, così stretti da essere quasi una seconda pelle, che le fasciavano le gambe lunghe ed affusolate in una maniera difficile da descrivere a parole e che le avevano fatto meritare il nomignolo di “skinny jeans” da parte di Liam.
Il ragazzo le mise addosso una delle sue vecchie e consumate magliette che utilizzava solitamente per dormire, poi la coprì con il lenzuolo fino alla vita. Nell’inconscio, lei si accoccolò al cuscino e respirò profondamente dal naso.
« Buonanotte, skinny jeans » disse Liam quando finì di ripiegare con cura i suoi vestiti. Li lasciò in fondo al letto, spense l’abat-jour e, più stanco di quello che lui stesso credeva, si trascinò verso il divano in salotto che, per quello che ormai restava della notte, sarebbe stato il suo letto.
 

* * *

 
Non appena Clover aprì gli occhi, comprese di non trovarsi nella sua camera da letto. Battè le palpebre un paio di volte e si tirò su a sedere non senza un po’ di fatica – i postumi della serata precedente ancora si facevano sentire. Nella stanza c’era un profumo strano, lo stesso di cui erano impregnati anche il cuscino e le lenzuola di quel letto in cui si trovava, il quale lei aveva l’impressione di aver già sentito prima di quel momento, anche se non sapeva dire dove.
Si scostò le coperte di dosso e si mise in piedi, mentre si passava una mano tra i capelli. Barcollò appena e quando la fresca arietta che filtrava dalla tapparella semi abbassata le solleticò le gambe nude, si rese conto di non aver addosso nient’altro che una vecchia maglia da uomo che le arrivava appena sotto il sedere. Anche quella aveva lo stesso profumo che c’era per tutta la stanza e se la portò al naso, respirandone l’odore un paio di volte.
Con lo sguardo cercò velocemente i suoi vestiti dato che non li aveva addosso e li trovò ordinatamente piegati ai piedi del letto. Per quanto riguardava il resto della stanza invece “ordinata” non era proprio l’aggettivo più adatto con il quale descriverla: c’erano vestiti ovunque, sul pavimento e sulla bellissima poltrona nell’angolo accanto alla finestra – perfetta per leggerci sopra un libro, pensò Clover – , per non parlare delle scarpe abbandonate alla bell’e meglio dove capitava e come capitava. Avrebbe tanto voluto aprire l’armadio e la scarpiera dall’altra parte della stanza per vedere se fossero entrambi vuoti o meno – lei credeva di sì, considerando l’innumerevole quantità di capi di vestiario fuori posto.
Clover s’incamminò verso la porta della stanza, evitando i mucchi di panni che giacevano sul pavimento come se si trovasse in un percorso ad ostacoli, e raggiunse il salotto di quella casa a lei estranea, non prima di essere passata dal bagno per rimuovere dal volto i rimasugli rovinati di trucco. Sobbalzò quando vide sul divano, ancora addormentato, il ragazzo della sera precedente. Indossava ancora gli stessi vestiti e, guardandolo, tutto quanto nel cervello della ragazza trovò la giusta collocazione spazio-temporale, compresa l’impressione di conoscere il profumo che la circondava da quando si era svegliata, dato che gli apparteneva. L’unico quesito a cui ancora rispondere era se avessero fatto sesso ma, molto probabilmente, la risposta era no dato che avevano dormito in stanze separate e lui aveva addosso i vestiti della sera prima. Avrebbe voluto svegliarlo e chiederglielo, visto che ricordava sicuramente più cose di quanto potesse fare lei, ma non lo fece perché poi si sarebbe sentita in colpa per averlo fatto.
Tornò in camera da letto ed indossò di nuovo i suoi abiti, lasciando la maglietta piegata in fondo al letto. Tirò fuori dalla borsa il piccolo block notes che portava sempre con sé ed una penna e scrisse velocemente qualcosa sul primo foglio bianco disponibile. Poi lo staccò dal resto stando attenta a non strapparlo o rovinarlo. Ripose il block notes e la penna nella borsa e lasciò definitivamente la stanza, anche se tutto quello che in realtà avrebbe voluto fare era rimetterla in ordine – era ordinata per natura e tutto quel disordine le stava dando ai nervi. Appoggiò il foglio sul tavolino basso davanti al divano su cui il ragazzo castano stava ancora dormendo e lo guardò un’ultima e veloce volta prima di lasciare quella casa facendo meno confusione possibile.
Liam si svegliò all’improvviso e sentendo leggeri movimenti provenire dalla direzione della porta d’ingresso scattò in piedi, rischiando di sbattere sul tavolino basso davanti al divano sul quale aveva passato la notte, dato che aveva ceduto il suo letto ad una ragazza di cui nemmeno conosceva il nome. Tutto quello che vide fu la porta di casa chiudersi, non prima che una folta chioma di capelli rossi sparisse dietro di essa.
Si sedette sul divano e non passò molto prima che si accorgesse del foglietto sul tavolino. Lo prese tra le mani e si affrettò a leggerlo tra sé.
 

Grazie per esserti preso cura di me.
Skinny jeans
 
* * *

 
Fosse stato per lui, in quella giornata non avrebbe proprio messo il naso fuori di casa, ma aveva delle commissioni da fare che ormai non poteva più rimandare. La testa gli doleva a causa della serata passata al pub e delle ore piccole, per non parlare della schiena che gli sembrava tutto tranne che una schiena per quanto gli faceva male. Dormire sul divano non di era rivelata una genialata, anzi era stata l’idea peggiore che avesse mai avuto, ma aveva dovuto farlo a causa di forze superiori, ovvero la presenza di una rossa, ubriaca ed addormentata, nel suo letto.
Svoltò in una via secondaria per cercare di evitare il più possibile il traffico delirante della città sulla strada del ritorno, in modo da arrivare a casa il prima possibile. Peccato solo per il fatto che, lungo quella via secondaria che aveva deciso di percorrere, incappò in una folta chioma di capelli rossi che mandò all’aria tutti i suoi intenti. Accostò lungo il marciapiede ed abbassò il finestrino automatico, attendendo che lei passasse accanto alla macchina per salutarla.
« Ciao, skinny jeans » disse, cogliendola di sorpresa.
Lei rimase un attimo senza parole, mentre le sue amiche – le stesse che la sera prima l’avevano letteralmente abbandonata al suo destino di ubriaca, notò Liam – allungavano il collo oltre le sue spalle, curiose di scoprire con chi la loro amica si fosse fermata a parlare.
« Ciao… » e si guardò intorno, nella speranza che qualcuno le suggerisse il nome del ragazzo dentro la macchina.
« Liam » le corse in soccorso lui.
« Ciao, Liam » lo salutò allora, con un sorriso appena accennato.
Alle sue spalle, le sue amiche ridacchiarono per via dell’imbarazzo palpabile che c’era tra loro due e Liam avrebbe tanto voluto che sparissero dal suo campo visivo in un batter d’occhio. Nonostante il loro ridacchiare però, il ragazzo non si lasciò scoraggiare e pose alla rossa la domanda per cui aveva deciso di accostare la macchina ed attenderla.
« Ti va di prendere un caffè con me? »
Dalla reazione che ebbe dopo quella domanda, Liam comprese che proprio non se l’aspettava. « Cioè, se vuoi, dico… » aggiunse.
« Sì » rispose lei, con tono squillante e, prima che potesse accadere qualunque altra cosa, si trovava già sul sedile del passeggero con la cintura di sicurezza allacciata.
Liam partì immediatamente e, lasciate dietro l’angolo le amiche – pettegole, tra l’altro – della ragazza al suo fianco, tirò un sospiro di sollievo. E lei fece la stessa cosa.
« Grazie per aver accettato di prendere un caffè con me » disse.
« No… Grazie a te per avermi sottratto dall’interrogatorio delle mie amiche su quello che ho combinato dopo essere “sparita” ieri sera ».
« Che poi sono loro ad essere sparite chissà dove… »
« Già » commentò lei. « E grazie anche per esserti preso cura di una versione di me molto diversa dai soliti standard ».
Si strinse nelle spalle. « Di niente, non potevo lasciarti su quella panchina nelle tue condizioni ».
Restarono in silenzio finchè non raggiunsero il bar preferito di Liam che, fortunatamente, non distava molto da dove si erano incontrati per puro caso. Ordinarono due caffè al barista e poi si accomodarono nel primo tavolo libero.
« Allora… » il ragazzo tossicchiò, mentre abbassava di poco la cerniera della sua giacca di pelle, « Come ti chiami? »
La ragazza si passò una mano tra i capelli, portandoli tutti sulla spalla destra. « Clover » fece con un filo di voce.
« Clover » ripeté lui, assaporando il suono di quel nome sulla lingua, sui denti e sulle labbra. « È un bel nome, ma credo continuerò a chiamarti skinny jeans ancora per un po’ ».

   
 
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