Libri > I Regni di Nashira
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Autore: itsrigel    23/09/2014    4 recensioni
Tutto iniziò con una giovane Talarita e un povero schiavo.
Tutto finì con un amore vietato.
//Dal testo//
Allungò una mano verso Varda. Guardò i suoi occhi allungati, i suoi capelli verde palude, la piccola cicatrice sul mento. Si accorse di volere tutto di lui.
Si accorse di voler essere libera.
«Andiamo.»
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '“Perché dividere un amore come il nostro?„'
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Cal camminava ostentando sicurezza, preceduta da un Femtita che non doveva avere più di dieci anni. A guardarlo non sembrava, ma Cal sapeva benissimo che era agitato almeno quanto lei. Nessun Talarita scendeva al piano degli schiavi per parlare con uno di loro.
Ogni passo era una specie di tortura per la ragazza. Le scarpe erano troppo strette, la gonna troppo lunga, il corpetto le dava a mala pena la possibilità di piegare il busto. Per non parlare del fatto che non aveva mai respirato un'aria così viziata prima di allora. A tratti, le pareti erano coperte da chiazze di muffa, che contribuivano a rendere quel posto invivibile.
Il piccolo Femtita svoltò per l'ennesima volta, senza l'incertezza che opprimeva il petto della Talarita.
Stava facendo la cosa giusta? Aveva deciso di strappare un ragazzo a sua madre solo per uno stupido capriccio, lo sapeva. Ma l'aveva comunque salvato dalla morte, giusto? 
“Hai fatto la scelta migliore, Cal” cercò di rassicurarsi. “L'hai fatta ora, la farai domani, sempre.”

***

Cal cercò di fare meno rumore possibile mentre correva sulla pietra fredda della grotta. Stava cercando di regolare il respiro affannoso e di calmare il cuore, ma non ci riusciva.
Non sapeva cos'avrebbe trovato alla fine di quel tunnel scuro.
Un cadavere? Altri Femtiti? O magari profughi Talariti, sopravvissuti chissà come alla sete di vendetta degli schiavi?
Si morse le labbra fino a farle sanguinare.
“Avresti dovuto raccogliere la pietra dell'aria” si rimproverò.
Già, avrebbe dovuto. Ma anche se l'avesse fatto? Avrebbe potuto usare la magia sul corpo di Varda? O la sua natura Femtita si sarebbe ribellata? E, soprattutto: sarebbe riuscita a trasportare il corpo del ragazzo con le mani occupate?
Come sempre, la sua mente era offuscata da domande senza risposta.

***

Il bambino Femtita si fermò improvvisamente davanti a una delle porte che si aprivano su entrambi i lati dello stretto corridoio. Per sua fortuna, Cal lo stava seguendo a distanza e ebbe il tempo di rallentare prima di raggiungerlo. 
Il bambino si guardò intorno, e per un tremendo istante Cal ebbe paura che avessero sbagliato strada. Poi si voltò verso di lei, lo sguardo fisso sulle scarpe.
«È questa la sua stanza, mia signora.»
Cal annuì. Quando parlò diede alla sua voce il tono più neutro possibile. «Entra e avvisa il ragazzo della mia visita.»
Il piccolo Femtita si esibì in un goffo inchino, prima di aprire la porta e scomparire al suo interno.

***

Lo slancio con cui Cal corse verso il corpo di Varda impressionò anche lei stessa. Mentre si accovacciava al fianco del ragazzo, steso a terra, privo di sensi, batté le ginocchia sulla pietra scura. Un dolore sordo le si propagò per tutta la lunghezza delle gambe. Imprecò tra sé, maledicendo quel miscuglio di sangue che le scorreva nelle vene.
Probabilmente era l'unica mezzosangue in tutta Talaria a provare dolore e sentire brividi di paura mentre toccava la pietra dell'aria, anche se questo non le impediva di maneggiarla con sicurezza.
Tornò presente a sé stessa. Controllò con cura la ferita che squarciava in obliquo il petto del Femtita, assicurandosi che non si fosse infettata o avesse perso troppo sangue. 
Per il momento, l'unica sicurezza di Cal era il petto di Varda, che continuava ad alzarsi e abbassarsi con un ritmo piuttosto regolare, rispetto a quello di qualche decina di minuti prima. 
Cal pregò gli dei che non fosse un brutto segno.
Strinse tra le dita l'ago che aveva ricavato da un piccolo osso e la stoffa con cui aveva intenzione di ricucire la ferita. Le mani le tremavano, non sapeva dire se dal freddo o dalla paura. 
«Andrà tutto bene» mormorò la ragazza, cercando di rassicurare più sé stessa che Varda. «L'ho già fatto altre volte. Sono un'esperta.»
Prese un respiro profondo, prima di cominciare ad incidere la pelle. 

***

Cal entrò dalla porta con quanta più sicurezza possibile. Mento in alto, occhi severi. L'acconciatura dei capelli e l'abito dal taglio semplice contribuivano a darle un'aria austera, di controllo, nonostante il viso dai tratti infantili tradisse la sua giovane età.
Il ragazzo con cui doveva parlare era al centro della stanza, con accanto il bambino e una donna piuttosto giovane, che avrebbe potuto essere benissimo la madre come avrebbe potuto essere la sorella.
Tutti e tre si inchinarono al suo arrivo. Cal li ignorò. Tutta la sua attenzione era riservata al ragazzo, il quale non aveva il coraggio di ricambiare il suo sguardo e teneva gli occhi dorati fissi a terra. Aveva dei capelli piuttosto corti rispetto a gli altri schiavi, legati in una coda bassa che gli ricadeva su una spalla. Era alto, decisamente più di lei, e non doveva avere più di quattro anni in più rispetto a Cal.
«Fuori» ordinò lei, dopo un lungo silenzio. Con la coda dell'occhio vide la donna tremare appena, poco prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Cal non poté impedirsi un'altra domanda.
Perché era lei a dar ordini, e non la femtita?

***

Cal non era mai stata brava a calmarsi, quando era agitata. Ma era stata allenata sin da piccola a mascherare le proprie paure anche a sé stessa, al punto che, quando finì di ricucire la ferita di Varda, non le tremavano più le mani.

Il femtita si svegliò il giorno successivo. Spossato, senza forze, ma vivo.
Tornò perfettamente presente a sé stesso circa una settimana dopo. Ogniqualvolta cercasse di alzarsi o di far qualcosa indipendentemente, Cal era presente per ordinargli di starsene buono e di lasciar fare a lei il lavoro. Suo malgrado, Varda doveva assecondare i suoi desideri. D'altronde, non era la prima volta che gli salvava la vita. E aveva come l'impressione che non sarebbe stata l'ultima.

***

Il ragazzo invitò Cal a sedersi, con un gesto misurato della mano. Cal declinò con quanta più dolcezza potesse permettersi quell'invito.
«Siediti tu, piuttosto» propose lei. Non tanto per gentilezza tanto che per la differenza d'altezza, che la metteva piuttosto in soggezione.
«Non vorrei mancarti di rispetto, mia signora» rispose educatamente il femtita.
«Non è buona educazione rifiutare l'invito di una persona più importante di te. Siediti.»
Cal lo fissava negli occhi quando lui, con estrema calma, si sedette. Per qualche istante cercò di sostenere il suo sguardo, ma era un'impresa pressoché impossibile: lei sembrava volerlo studiare, gli perforava inconsciamente l'anima fino a leggere al suo interno. Dovette abbassare lo sguardo.
«Potrei conoscere il motivo di questa... visita, mia signora?»
Cal notò un'incrinatura nella sua voce. Pregò gli dei di non avere la stessa nota di paura nella propria.

***

«Non ti muovere.»
Le mani di Cal si muovevano esperte sulla ferita di Varda. In una teneva stretto un pugnale, la lama di un arancione incandescente dopo essere stata lasciata a lungo sotto dei carboni. Con l'altra stava sfilando gli ultimi pezzetti di filo che il sangue aveva attaccato alla pelle.
«Sta' tranquillo, non dovrebbe far male.»
Varda fissava il soffitto, vagamente cosciente del fatto che la ragazza stava per bruciare il lungo taglio sul petto. «Qui l'unica agitata sei tu. Io non provo dolore.»
Cal si fermò un istante per assimilare l'affermazione. Già, lui era un Femtita. I Femtiti non provavano dolore.
«Hai ragione» disse. Prese un respiro profondo. «Ma sta' calmo, non lascio cicatrici in più.»
Varda si permise un sorriso. «Va bene, sto calmo.»
Cal annuì. Contò fino a tre prima di premere il ferro bollente contro la pelle delicata di Varda. Sentì il sangue sfrigolare a contatto con questo. Rabbrividì.
«Va tutto bene?» domandò il Femtita, mentre lei rimuoveva l'arma. Le tremavano le mani, nonostante stesse cercando di minimizzare la paura che stava provando. Teneva gli occhi chiusi.
«Certamente. Penso che la ferita si sia chiusa, ora.»
Varda annuì. «Questo vuol dire che possiamo riprendere il viaggio?»
«Sì.»
Cal fece scivolare i polpastrelli sulla lunga cicatrice che era rimasta. Spiccava rossa come fuoco su un campo di neve. Era quasi bollente, ma ancora riusciva a sopportare il calore.

***

La giovane Talarita spiegò con quanta più calma fosse in grado di trattenere la situazione. Cercò di non fare troppi giri di parole. 
«Tra una settimana partirò», esordì. «Verrai con me. Domande?»
Il ragazzo la guardò per qualche istante confuso. Sembrava quasi non capisse quello che stava succedendo. O meglio, non volesse capire. Poi negli occhi passò un'ombra, e il suo sguardo si fece ancora più serio di quanto già non fosse.
«No, mia signora.»
Era normale provare un piacere egoistico nel sentire tanta riverenza e paura nella voce di qualcuno? Pensava di no, ma non poteva fare a meno di avere quel pensiero in testa.
«Il tuo nome?» domandò ancora.
«Varda, mia signora»
Cal annuì. Lasciò che lo sguardo spaziasse intorno a lei. Non che ci fosse molto da vedere.
«Ringrazia il tuo attuale padrone di averti risparmiato la vita» ordinò. Varda chinò il busto in avanti.
«Sarà fatto, mia signora.»
Mia signora. Mia signora, mia signora. Sempre e solo quell'appellativo. Cal strinse i denti, fissò i suoi occhi in quelli dorati del ragazzo.
«E non chiamarmi così. In qualsiasi altro modo, ma non così.»
«Certamente.»
Dopo essersi concessa ancora qualche momento di pace, Cal si voltò e aprì la porta. Fuori, in fondo al corridoio, la donna e il bambino ancora aspettavano.
Cal non riusciva ancora a scrollarsi di dosso il senso di colpa e il piacere di essere superiore a qualcuno.

***

Varda si fece aiutare da Cal per tirarsi in piedi. Nonostante non sentisse nulla, aveva ancora le membra intorpidite dal poco utilizzo negli ultimi giorni.
«Stai bene?»
Varda annuì. «Benissimo, Cal» rispose. «L'unica Talarita a preoccuparsi di quando un Femtita senta dolore.»
Cal ridacchiò, mentre si allontanava dal ragazzo. «Hai ragione. Scusa, me ne dimentico.»
«Ho notato.» Varda le sorrise. Era bello sentire la sua risata. «Tu, piuttosto. Non mi hai ancora detto come stai.»
Cal picchiettò l'indice su un'orecchio appuntito, la cui estremità era ornata da un cerchio di legno scuro. Varda ancora non aveva capito perché lo indossasse sempre.
«Ancora non sento bene da qui, ma le piccole ferite si sono già rimarginate.»
«Allora cosa stiamo aspettando ancora?» Varda sorrise di nuovo. Il suo sorriso sembrò illuminare a giorno la grotta. 
Cal ricambiò. Dove sarebbero andati? Neppure loro lo sapevano. Avevano solo una cosa fissa in mente: andare via. Fuggire, stare insieme. Il bosco del divieto – anzi, del ritorno? Un ottimo candidato, per il momento. 
Allungò una mano verso Varda. Guardò i suoi occhi allungati, i suoi capelli verde palude, la piccola cicatrice sul mento. Si accorse di volere tutto di lui.
Si accorse di voler essere libera. 
«Andiamo.»

.:: Angolo dell'autrice ::.
Salve gente <3 Rieccomi qua con una Cal/Varda~~
E niente, non c'è un motivo preciso per chi l'ho scritta. Sappiate solo che quelle che ho scritto sono la prima e l'ultima volta che i due formuleranno un discorso sensato, a prescindere da come finirà la saga. 
E ora che (forse) vi ho preoccupato, vi auguro felici Hunger Games, e possa la fortuna sempre essere a vostro favore <3 (Non so voi, ma la scuola già mi sta facendo impazzire, gnn-)
   
 
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