Lucrezia se
ne sta lì, con la schiena poggiata a un albero, proprio
davanti al “Magnolia”,
il bar gelateria più alla moda della città. La
sua amica Melissa le ha dato
appuntamento lì, però è in ritardo.
Normale, pensa Lucrezia. Prima di lei
Melissa doveva vedere il suo ragazzo, si sarà trattenuta con
lui. Eppure non
può impedirsi di provare una leggera punta
di fastidio.
Non ha
voglia di entrare nel locale da sola, però neppure stare
impalata lì fuori è il
massimo. Tira fuori il cellulare per controllare l’ora. Le
quattro. è quasi
tentata di chiamarla, quando la voce di Melissa la raggiunge, un
po’ attutita
dal rumore del traffico : solleva
il capo e sorride di sollievo, vedendo la sua amica che si sbraccia per
salutarla dall’altra parte della strada, mentre aspetta di
attraversare.
Finalmente scatta il verde e Melissa si affretta a percorrere i pochi
metri che
la separano da Lucrezia, un sorriso di scusa già pronto
sulle labbra.
-
Ciao Lu!- la
saluta baciandola su
entrambe le guance, un’abitudine che ha preso solo negli
ultimi tempi- scusa il
ritardo, ma sai… Roberto quando ci si mette…-
alza gli occhi al cielo e poi le
strizza l’occhio con espressione complice - comunque, me ne
sono liberata anche
per questa volta!- e liquidata tutta la faccenda con una risata, varca
decisa
la soglia del bar. E Lucrezia la segue.
Sarà la
seconda volta che entra in quel posto così elegante in tutta
la sua vita.
Melissa, invece, è una cliente abituale, a giudicare dal
sorriso con cui la
accoglie il ragazzo dietro il bancone.
-
Ciao Melissa!-
la saluta infatti- il
solito frullato?
-
No! - risponde
lei ridendo- oggi è un
giorno speciale. Devo festeggiare e perciò la dieta va a
farsi benedire!
-
Senti senti -
commenta il giovane
barista - questo sì che è un evento. E posso
sapere cos’è successo di così
eclatante?
Anche
Lucrezia, che finora si è tenuta in disparte, drizza le
orecchie. Melissa, al
telefono, non le ha accennato nulla di tutta questa storia.
La ragazza,
però, non sembra disposta a rivelare il suo segreto:- Voglio
una coppetta con
cioccolato, amarena e… tiramisù!
Il giovane assume
un’espressione scioccata:- Ma allora è davvero
grave!- ride, prende una
coppetta e inizia a riempirla con i gusti richiesti.
Dopo averci
infilato in cima una cialda di biscotto a forma di fiore, la depone tra
le mani
di Melissa con espressione esageratamente scettica, poi si volta verso
Lucrezia
e le chiede affabilmente:- E per te?
-
Per me
liquirizia e mirtillo, grazie
- risponde lei.
Mentre le
due si allontanano per sedersi a un tavolino, il ragazzo le fa
l’occhiolino,
indicando contemporaneamente Melissa con la spatola: - Mi raccomando,
controlla
che la mangi tutta!
Lucrezia
sorride imbarazzata, senza sapere bene cosa rispondere.
Ed eccole
lì, sedute una di fronte all’altra, a gustare in
silenzio le prime cucchiaiate
di gelato.
A un certo
punto, però, Lucrezia non resiste più:- Insomma,
si può sapere cosa
festeggiamo? Io non ne so nulla…
Melissa
sorride, ed è come se il suo sguardo volasse via, molto
lontano da quel
tavolino, fuori dalle finestre del bar:- Quest’estate, subito
dopo la maturità…
vado via, vado a Milano con Roberto!!
Lucrezia
sobbalza. Prima che se ne renda conto, il cucchiaino le scivola di mano
e si
abbatte tristemente sui suoi pantaloni.
Melissa
neppure se ne accorge, presa come è ora dalla foga di
parlare. Continua a
gesticolare fissando un punto al di là della sua spalla,
mentre il gelato nella
coppetta inizia a sciogliersi.
-… capisci?
Finalmente vivrò in una città vera…
uscirò da questo buco.- sospira soddisfatta.
Se a
Lucrezia restava ancora qualche dubbio sul fatto che sarebbe mancata
alla sua
amica, queste ultime parole servono a toglierlo.
E dire che
la settimana prima, quando ha avvisato Melissa che lei e gli altri
ragazzi del
paese stanno organizzando un campeggio di ritrovo in cima alla
montagna, lei,
incredibilmente, ha accettato. Lucrezia non se lo aspettava affatto, e
non ha
nascosto la sua gioia. Ma si era solo illusa. Ora Melissa sembra
essersene
completamente dimenticata. Certo, il loro stupido campeggio non
può competere
con un viaggio a Milano, completo di stage, però si
aspettava almeno un
“mi dispiace”, “salutami
tutti”. Niente di tutto questo. Anzi, si è anche
dovuta prendere, come al solito, una bella dose di sottile disprezzo
gratuito,
lei che vive ancora in un “buco”, e che in quel
buco si trova benissimo.
Mentre cerca
di pulire i pantaloni da quella stupida macchia rossa, pensa che in
fondo gli
altri glielo ripetono da anni. “E’
cambiata” “E’ inutile che la consideri
ancora la tua migliore amica.” “Sei solo un
ricordo, per lei.” Queste le frasi
che le hanno detto fino alla nausea, e che lei ha sempre ignorato,
pensando che
fossero solo giudizi, giudizi, giudizi. Invece, erano la
verità.
E ora è qui,
seduta in questo bar che non le è mai piaciuto e che trova
ridicolo, con la
musica da discoteca in sottofondo in pieno pomeriggio, sentendosi una
cretina
per essersi macchiata i pantaloni, ma soprattutto, per essere stata
presa in
giro. Ascolta appena Melissa che continua riempire l’aria
attorno a loro di
parole, forse per impedire che parli lei; ma Lucrezia non ha,
sinceramente,
nulla da dire.
A un certo
punto si alza di scatto:- Scusa Mel, ma io adesso devo
andare…
Melissa
interrompe il suo chiacchiericcio come una radio che si spegne di colpo
e la
fissa lievemente sorpresa:- Ma come? Non torniamo a casa insieme?
-
No ecco
io… devo andare via prima
perché… mia nonna mi ha chiesto di farle la
spesa… lo sai che non sta bene in
questo periodo, te l’ho detto, no?
-
Lucrezia pronuncia l’ultima frase con un tono quasi di sfida,
mentre studia la
reazione sul volto di Melissa.
-
Ah
sì… certo.- mormora lei,
abbassando leggermente gli occhi. - va bene, allora ci
sentiamo…
-
Certo.- Lucrezia
si china a baciarla
sulla guancia, le rivolge un freddo sorriso di circostanza, e la lascia
lì al
tavolino del bar. Si allontana come se non gliene fregasse niente,
mentre invece si sente schiacciare da quella sensazione di abbandono a
cui pensava di essere abituata ormai.
Eppure, lei
e Melissa non erano sempre state così diverse. Per anni
erano state così unite
da sembrare sorelle, e molti guardavano quasi con invidia a
quell’amicizia così
forte, che sembrava impossibile da scalfire.
Si erano
conosciute alle scuole elementari del loro piccolo paese di montagna.
Erano
capitate per caso vicine di banco, e subito si erano trovate bene
insieme
perché entrambe erano brave a scuola e appassionate di
disegno. Ben presto
avevano cominciato ad andare ciascuna l’una a casa
dell’altra e poi, quando
erano diventate più grandi, era un evento raro vedere una
delle due scorrazzare
per le stradine, o in piazza, senza l’altra. Lucrezia
ricordava benissimo i
pomeriggi passati a casa di Melissa, sedute al tavolo grande della
cucina,
ricoperto da un allegro disordine di fogli e matite, a farsi il
ritratto a vicenda.
Alle medie si trovavano a casa della nonna, che aveva un terrazzo con
una
bellissima vista sulle montagne circostanti, con i loro cavalletti:
cercavano
di riprodurre i boschi con tutti i verdi possibili e immaginabili , di
catturare i riflessi che il sole creava sull’acqua del lago,
là sull’orizzonte,
e dipingevano delicatamente le nuvole, alcune dense come panna montata,
altre
appena visibili nell’azzurro del cielo. All’ora di
merenda scendevano sempre
con un bel po’ di colore sulle dita, a volte anche sulla
faccia o- peggio- sui
vestiti. La nonna fingeva di arrabbiarsi ed esclamava:- Andate subito a
lavarvi, altrimenti non vi do da mangiare!
Erano stati
anni bellissimi. Melissa era allegra, spiritosa, con lei non ci si
annoiava
mai. A quei tempi, Lucrezia ne era sicura, a Melissa non dispiaceva
affatto la
sua vita, la compagnia di amici che frequentavano, le gite e i giochi
nel
torrente, le strade tortuose del suo paese.
Era con il
liceo che tutto era cambiato.
Lucrezia
aveva deciso di frequentare il Liceo artistico, mentre Melissa aveva
optato per
un istituto di design. Entrambe le scuole si trovavano però
in città, a
parecchie fermate di pullman da casa loro. Non che le due non fossero
mai state
fuori del loro paese; ma un conto è fare una puntatina ogni
tanto, magari per
qualche gita scolastica, e un conto è dover affrontare una
realtà simile ogni
giorno, così diversa da quella a cui erano abituate.
A Lucrezia
la città non piaceva molto. Troppa confusione, troppo caos.
Lei invece amava
così tanto il silenzio, tanto che da piccola a volte la
madre si preoccupava,
perché parlava molto poco rispetto alle bambine della sua
età.
Aveva
accettato semplicemente il fatto di doverci andare; si era adattata,
sì, ma nel
profondo non era cambiata affatto. Era come una roccia, lei, aveva
delle
abitudini che erano difficili da scalfire. Inoltre, in classe aveva
trovato
parecchi compagni che provenivano da piccoli paesi, insomma, era in
mezzo a
persone che erano cresciute come lei.
Per Melissa
era stato diverso. Inizialmente, la nuova scuola era stata un trauma.
Era
finita in una
classe composta quasi
interamente di “cittadini”, che avevano sentito
nominare solo un paio di volte
il paese dal quale veniva lei, e che la guardavano con aria di
sufficienza.
“Mi considerano
una specie di Heidi” si lamentava i primi tempi con Lucrezia.
Si era chiusa in se
stessa, ma poi, a poco a poco, venne
fuori il lato caparbio del suo carattere. Smise di commiserarsi e
decise di
farsi valere, di primeggiare, per dimostrare che anche lei valeva
qualcosa, che
non era seconda a nessuno. Voleva fargliela vedere, a quel mucchio di
snob.
Almeno, questo era quello che diceva lei. Ma Lucrezia aveva capito che,
semplicemente, Melissa voleva essere accettata da quei compagni che
fingeva di
odiare tanto.
Si gettò a
studiare come una pazza, e ben presto divenne la prima della classe.
Lei non
aveva mai dato grande importanza ai voti: era sempre stata brava,
sì, ma era
quel genere di persona a cui piace studiare di per sé, e non
le aveva mai fatto
differenza prendere un otto piuttosto che un nove.
Ma i
“cittadini” presero a vederla con occhi diversi. Si
accorsero che anche lei era
una persona intelligente. E, man mano che si avvicinarono a lei,
scoprirono che
aveva anche un bel carattere, che era spiritosa, solare, non era la
montanara
scontrosa che si aspettavano.
Così,
presero ad invitarla ad uscire con loro. Quando ne parlava con
Lucrezia,
Melissa cercava di nascondere il suo entusiasmo; fingeva di doverci
andare per
forza, a quegli appuntamenti: erano i suoi compagni di classe, mica
poteva fare
l’asociale…
Pian piano,
però, aveva smesso di mentire a se stessa e alla sua
migliore amica. Tanto,
oramai, la sua trasformazione era diventata evidente.
Si vestiva
in modo diverso. Prima lo faceva solo per andare a scuola,
“per non attirare
l’attenzione”. Parlava in un altro modo, usava
atteggiamenti che ai suoi vecchi
amici erano sconosciuti. Cambiò interessi: nulla di quanto
le piaceva prima
sembrava più degno della sua attenzione. Lucrezia non
ricordava più l’ultima
volta che fossero andate a dipingere insieme da qualche parte. Con gli
altri
andava anche peggio: ormai Melissa declinava quasi sempre gli inviti
dei suoi
vecchi amici, con giustificazioni che sapevano un po’ di
scusa: “Devo
studiare”. “dobbiamo fare una ricerca”,
“Giulia non ce la fa proprio con questo
argomento, ho promesso di aiutarla…”
Lucrezia
sapeva perfettamente che Melissa non usciva certo di casa solo per
andare a
fare ricerche. Agli altri non raccontava quasi più nulla,
era diventata
estranea e silenziosa. Ma sul pullman verso casa, tra una fermata e
l’altra,
nell’unico momento che ancora loro due condividevano insieme,
parlava quasi
sempre lei. Le parlava di negozi, di locali, di pomeriggi in piscina
con una
ricchezza di particolari che una volta dedicava alla sua vecchia vita.
Era
sempre stata brava, Melissa, ad affascinare l’uditorio, ma
questa volta
Lucrezia non riusciva a lasciarsi contagiare dal suo entusiasmo.
Provava a
simulare un po’ di ammirazione per quel mondo, ma non le
riusciva bene fingere,
e comunque non ci vedeva proprio nulla: solo apparenza, finzione. A
volte
avrebbe voluto dire la sua opinione a Melissa, ma poi aveva paura di
passare
per acida; si sentiva anche un po’ in colpa, e pensava che
forse il suo
giudizio così duro era dettato dalla gelosia: in fondo, le
stavano portando via
la sua migliore amica…
A dire la verità,
un paio di volte Melissa aveva invitato Lucrezia a uscire con i suoi
nuovi
amici. Lucrezia aveva accettato, per vedere se i suoi pregiudizi erano
proprio
infondati. Ma già dai primi cinque minuti aveva capito che
non ce l’avrebbe mai
fatta: si sentiva così esclusa, così fuori dai
loro discorsi. Era come se ci
fosse una linea sottile, una barriera non esplicita, che
però stava
innegabilmente tra lei e gli altri; e Melissa era dall’altra
parte. Aveva
provato a parlare un po’ con loro della sua passione per la
pittura, per le
arrampicate, ma come rimando aveva avuto sguardi vacui, dei
“Sìì? Belloo” che
trasudavano indifferenza. Dopo qualche minuto si era trincerata nel suo
silenzio, ma nessuno pareva accorgersene: gli altri continuavano a
parlare tra
loro, senza chiederle un commento, un parere, perché avevano capito che lei con loro non
c’entrava nulla.
Al ritorno,
però, Melissa l’aveva rimproverata duramente:- Sei
sempre la solita, Lu! Mai
una volta che ti apra a nuove amicizie. Mi sembravi una mummia,
lì in un angolo
del tavolino, zitta e muta…
-
Io ho provato a
parlare di qualcosa,
ma poi… - si era difesa lei, ma l’amica
l’aveva interrotta:- Sì certo! Le
arrampicate! E perché non la festa della polenta? Cavolo Lu,
quelle cose
interessano soltanto a voi… noi del paese. Per il resto del
mondo non
significano niente!
L’
espressione di Lucrezia si indurì, mentre dentro si sentiva
andare in pezzi.:-
Sono una sfigata che fa cose per sfigati? E’ questa la tua
opinione di me?
Melissa alzò
gli occhi e sbuffò, poi si rivolse a lei col tono paziente
che usano gli adulti
per far capire qualcosa a un bambino capriccioso:- Non sto dicendo
questo. Ma
forse dovresti allargare un po’ i tuoi orizzonti…-
di colpo aveva cambiato espressione,
le aveva lanciato un’occhiata quasi d’accusa:- Lo
so che cosa pensate voi,
invece. Pensate che siano tutti dei bambini viziati, superficiali,
modaioli. Ma
non è così.
Lucrezia si
era messa a guardare fuori dal finestrino. Fuori era buio, e il suo
viso
galleggiava riflesso nel vetro. Non riusciva a riconoscersi, in quella
ragazza
che si era truccata maldestramente prima di uscire; si accorse solo in
quel
momento che la matita sotto gli occhi era sbavata. Chissà se
gli amici di
Melissa lo avevano notato, chissà se avevano capito che era
la prima volta che
la metteva. O magari non ci avevano neppure fatto caso, ed era inutile
farsi
tante paranoie.
Si voltò
verso Melissa e le sorrise debolmente:- Sai, hai ragione. E’
per questo che
vorrei che tu mi accettassi così come sono. Non siamo tutti
uguali, Mel. Io sto
bene così, mi capisci? Non devo cambiare per forza per
restare tua amica. O no?
Lucrezia
scende dal pullman. La fermata, a quest’ora del pomeriggio,
è praticamente deserta,
e il mezzo riparte lasciandola lì da sola. La ragazza si
issa la borsa sulla
spalla e si incammina verso il paese, anche se la sua meta non
è quella. Non ha
voglia di tornare subito a casa e neppure di andare dalla nonna.
Improvvisamente, proprio quando mancheranno circa duecento metri alle
prime
case, scarta a destra e scompare nel folto del bosco che costeggia la
strada.
Il sentiero,
che si snoda accanto a un ruscello, è appena segnato tra
l’erba alta, e parecchi
arbusti protendono i loro rami. La ragazza però cammina
sicura, senza
preoccuparsi troppo delle scarpe che affondano un po’ nel
terreno umido. Di
solito ama percorrere questo sentiero lentamente, guardandosi attorno,
anche se
lo ha fatto mille volte: c’è sempre qualche fiore
strano che è spuntato nella
notte, c’è sempre qualche angolo verde a cui il
giorno prima ha dato solo
un’occhiata distratta, e che quello dopo le sembra buono per
un dipinto.
E poi,
questo posto è soltanto suo. Non sa se è
l’unica ormai a conoscere ancora
l’esistenza di questo sentiero, ma, pur venendoci quasi ogni
giorno, non ha mai
incontrato nessuno…
Stavolta
però è diverso. Neppure il silenzio e la calma
del bosco oggi riescono a
tranquillizzarla. Continua a camminare in fretta, senza pensare a
niente in
particolare, ma con un peso nel petto che non riesce a mandare
giù. Calpesta il
terreno con furia, e i suoi piedi affondano nel fango. Non
può fare a meno di
rievocare un ricordo buffo: per un certo periodo, quando erano ancora
piccole,
Melissa aveva il terrore di schiacciare le formiche: si sentiva
un’assassina,
così quando andava in giro teneva sempre lo sguardo fisso a
terra, attenta a
non pestare nessuna forma di vita.
Lucrezia non
ha svelato questo posto neppure a lei; è l’unico
luogo che ha scelto di non
condividere. Non sa perché non ci abbia mai portato la sua
migliore amica, ma
comunque le sembra un segreto piuttosto stupido, il suo, confrontato a
tutte le
cose che Melissa ha taciuto negli ultimi tempi. Compreso questo viaggio
a
Milano: non crede affatto che Roberto gliel’abbia detto solo
oggi,
probabilmente lo sapeva già almeno da un mese…
La ragazza
rallenta un po’, fino ad arrivare ad una zona in cui il
ruscello forma una
specie di ansa. Qui, sul ciglio del sentiero, c’è
uno di quei sassi di
montagna, che, magicamente, sono dotati di quella conchetta speciale,
perfetta
per sedersi. Lucrezia si siede, tira su i
piedi e circonda le gambe con le braccia, appoggia il mento sulle
ginocchia e
resta lì, finchè non viene buio.
Erano
rimaste a quel punto. Dopo quella piccola discussione, niente sembrava
essere
davvero cambiato , ma in realtà si allontanarono ancora di
più: Lucrezia non
manifestò più nessun desiderio di usicre con i
“cittadini”, e Melissa dal canto
suo non glielo propose neppure. Continuavano a sedersi vicine in
pullman e a
chiacchierare del più e del meno, ma avevano sempre meno
argomenti da
condividere.
Lucrezia
provava a raccontare qualche vicenda che era accaduta nella compagnia:
fidanzamenti, piccoli pettegolezzi… ma per Melissa era come
parlare di
sconosciuti: gli altri ragazzi infatti l’avevano lasciata
perdere già da tempo.
Avevano smesso di invitarla alle feste di compleanno e alle gite, per
non
sentirsi dire sempre di no. Non sopportavano l’aria di
superiorità con cui lei li trattava; o perlomeno, questo era
quello che dicevano loro. Era
stata lei ad allontanarli per prima, e loro non avevano certo bisogno
di
mendicare le sue attenzioni.
Lucrezia soffriva quando in
compagnia
l’argomento cadeva sulla sua migliore amica e subito
fioccavano commenti
maligni; anche se a volte condivideva certe opinioni, pensava che gli
altri non
avessero diritto di giudicarla così e
si
lanciava subito a difenderla a spada tratta. I suoi compagni la
prendevano
bonariamente in giro, cercando di farle aprire gli occhi, ma lei ormai
si era
ostinata a trascinare quell’amicizia sempre più
inconsistente, e se qualcuno le
chiedeva chi fosse la sua migliore amica, lei rispondeva Melissa
Barberini.
Nessun’altra ragazza della sua compagnia era riuscita a
sostituirla.
Quando, la
settimana prima, Flora l’aveva chiamata per avvisarla del
campeggio di ritrovo,
Lucrezia le aveva chiesto:- Hai chiamato anche Melissa?
C’era stato
un attimo di silenzio.
-
La Barberini?-
aveva risposto Flora
titubante- veramente no…insomma, sono secoli che non la
sento, non saprei…
magari glielo potresti chiedere tu.
-
Perché
no?- era stata la risposta,
inaspettata, dell' amica - è tanto che non faccio qualcosa
del genere. Però forse non ho
più il sacco a pelo, cioè, non so più
dove posso averlo messo…
- Te ne
presto uno io!- si era subito offerta Lucrezia. Se avesse saputo che
quella
risposta affermativa era nata solo per farle piacere, magari dettata un
po’
anche dalla compassione, e già pronta per essere cancellata
da una
plausibilissima scusa, si sarebbe risparmiata il costo della telefonata.
Lucrezia
alza la testa e si guarda attorno: ha perso il senso del tempo, e
adesso è
quasi buio. Si alza
di scatto e si avvia
in fretta verso il paese, attraverso una scorciatoia che porta proprio
al prato
dietro casa sua. Finalmente, gli alberi si diradano, per lasciare il
posto a
una distesa di erba verde, alta quasi mezzo metro e punteggiata di
piccoli
fiori gialli. In fondo, le luci di alcune case sembrano lucciole
giganti.
Un rumore che somiglia a una vibrazione rompe il silenzio: è
il telefono, che in mezzo al bosco non
prendeva. Senza smettere di camminare, lo
tira fuori per controllare i messaggi.
E
qualcosa la fa fermare di colpo: sullo schermo campeggia il nome di
Melissa.
Cinque messaggi, e sono tutti suoi. Prima che possa decidere di
cancellarli
senza leggerli, Lucrezia ha già aperto il primo.
Scusami.
Grazie.
La tua migliore amica, Mel.