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Autore: Bookmaker    30/09/2014    4 recensioni
Non avrebbe mai pensato di trovarsi in quella situazione.
Lì, sperduto nello spazio, anzi, in un luogo completamente diverso dallo spazio, a parlare tranquillamente con una ragazzina con degli assurdi capelli rosa.
Una ragazzina… una divinità, probabilmente.
Proprio come lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Shinji Ikari
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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Provisory Gods: The Savior and the Demon
 
If i wasn’t here tomorrow,
would anybody care?
If my time was up, I’d wanna know
you were happy I was there.
 
Skillet, Would it matter
 
 
Non avrebbe mai pensato di trovarsi in quella situazione.
Lì, sperduto nello spazio, anzi, in un luogo completamente diverso dallo spazio, a parlare tranquillamente con una ragazzina con degli assurdi capelli rosa.
Una ragazzina… una divinità, probabilmente.
Proprio come lui.
***
Il ragazzo stava immobile, con la testa fra le ginocchia ad aspettare qualcosa. Non era importante che cosa sarebbe successo, gli bastava che accadesse qualcosa. Voleva solo che l’immobilità immensa di quel non-luogo finisse.
“Non era così che l’avevo immaginato” pensò.
Provò ad aprire gli occhi e a sollevare la testa, guardandosi un po’ intorno, ma ancora una volta non trovò nulla: non c’erano oggetti, né persone, né uno spazio che potesse contenere oggetti o persone. “Ma cosa mi aspettavo, dopotutto?”
Tirò un sospiro, chiudendo nuovamente gli occhi e rimettendosi nella posizione di prima. “Ci ho provato così tante volte… perché avrebbe dovuto essere diverso?”
Si accoccolò ulteriormente, cercando il contatto con il suo stesso corpo pur di sentire qualcosa, e tornò ad aspettare.
Improvvisamente, però, si portò una mano alla tasca destra.
Tirò fuori dai pantaloni una piccola scatoletta di plastica e metallo, un lettore musicale S-DAT, il suo lettore musicale S-DAT. Riaprì gli occhi apposta per vederlo, e lo fissò a lungo. Non era sicuro di averlo con sé, prima; gli era venuto in mente di prenderlo, tutto qua.
“Oh, beh… Immagino che sia uno dei vantaggi di essere Dio.”
Con un gesto lento e minuzioso sbrogliò i fili delle cuffie, portandoseli alle orecchie e incastrandoli con cura nei padiglioni auricolari. Dopodiché diede un’occhiata al piccolo display del lettore. Il brano indicato era il venticinque.
“Dovrei pensare di cambiare un po’ la scaletta.”
Quel pensiero però non ebbe alcuna conseguenza reale. Il ragazzo premette semplicemente il tasto play, e la musica cominciò a riempire le sue orecchie. Era un brano che lui conosceva fin troppo bene. L’aveva ascoltato un numero esagerato di volte, anche se non era mai riuscito a definire la ragione di quella abitudine. Probabilmente, era stata la mera consuetudine ad averlo portato a lasciare che i brani scattassero continuamente dal venticinque al ventisei e viceversa.
Però lui li odiava, quei brani.
Gli riportavano alla mente solo brutti ricordi, tutti relativi al precedente proprietario di quello strumento.
Con un ultimo sguardo si assicurò che il lettore avesse carica sufficiente. Non che avesse molto senso: la carica avrebbe potuto durare in eterno, così come quella situazione. In realtà, voleva solo assicurarsi che la canzone potesse continuare per almeno un paio d’ore, così da permettergli, una volta di più, di chiudere il suo cuore insieme alle sue orecchie.
Ad ogni modo, la carica era al massimo. Confortato da quella scoperta, il ragazzo tornò nella sua posizione precedente, e vi rimase per un tempo che non riuscì a definire.
All’improvviso, un lampo di luce lo fece sussultare. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma l’intensità di quel bagliore fu tale che riuscì ugualmente a percepirlo.
Era accaduto qualcosa, alla fine.
“Dovresti aprire gli occhi.”
“Non voglio.”
“È accaduto qualcosa. Dovresti controllare.”
“Che senso avrebbe? Tanto, non credo che le cose potrebbero cambiare.”
“Dovresti almeno fare un tentativo.”
“Dovresti, dovresti! Mi sono stancato di tutto questo. Io sono venuto qui per stare da solo. Ora, lasciami in pace.”
– Ehm… chiedo scusa…
Quella voce lo fece sussultare. Si fece indietro, o almeno immaginò di farlo, e nel farlo riaprì gli occhi. Le cuffie gli caddero dalle orecchie, cominciando a galleggiare pigramente davanti alla sua testa.
Davanti a lui c’era una ragazza. Doveva avere all’incirca la sua età, ma sembrava un po’ più piccola. In parte era merito dei capelli rosa che le incorniciavano il volto, in parte dei fiocchi rossi che definivano i suoi due corti codini laterali. La maggiore responsabilità, però, era da attribuire al vestito che indossava: una specie di corsetto, con una gonfissima gonna a balze e corte maniche a sbuffo, un paio di guanti candidi e delle scarpette con un piccolo tacco. Tutto era sui toni del rosa e del bianco, ad eccezione delle scarpe, che erano rosse.
Al collo portava un collarino rosa scuro, con un piccolo pendente attaccato. Nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi una pietra, però, c’era solo una cornice vuota.
Accorgendosi della reazione del ragazzo, la ragazzina sembrò alquanto imbarazzata. Chiuse gli occhi con aria nervosa, inclinò la testa di lato e si portò una mano alla nuca.
– Scusami, – disse con un sorriso timido. – Non volevo spaventarti, ma ti ho visto tutto assorto e…
Il ragazzo continuò a fissarla con curiosità. Era singolare incontrare qualcuno in quel luogo, anzi: incontrare una persona vestita in quel modo sarebbe stato singolare ovunque. Nonostante tutto, però, non ci fece molto caso. Il suo pensiero non si soffermò quasi per niente su di lei, e così calò un lungo silenzio. Toccò alla ragazzina avviare la conversazione.
– Comunque… – mormorò con un pizzico di esitazione, guardandosi intorno con incertezza. – Sai per caso dove ci troviamo?
Il ragazzo distolse lo sguardo da lei e rifletté per qualche secondo, fissando il suo S-DAT che fluttuava a mezz’aria. – Da nessuna parte, – disse infine. – Non siamo da nessuna parte.
La ragazzina non sembrò scossa da quella frase così melodrammatica. – Già, – sorrise. – Lo immaginavo.
Improvvisamente, la nuova arrivata fece qualcosa che il ragazzo non si sarebbe mai aspettato: gli tese la mano, continuando a sorridere con un sottile imbarazzo. – Credo che sia il caso di presentarci, non trovi? Io sono Madoka Kaname, e sono una maga.
Il ragazzo rimase interdetto da quel gesto così rilassato. Non riusciva a concepire un comportamento così spontaneo. Alla fine, però, decise di ricambiare la cortesia, e seppure esitando strinse la mano della ragazza. – Shinji Ikari, – disse a mezza voce. Pareva non aver prestato attenzione alla parola “maga”.
– Piacere di conoscerti! – rispose lei, il sorriso timido sostituito da un’espressione solare. – Se vuoi, puoi chiamarmi solo Madoka, che ne dici?
Sempre più stupito da quella strana ragazza, il ragazzo annuì appena. – Va bene… – mormorò con una nota di incertezza. Poi si affrettò ad aggiungere: – Anche tu puoi chiamarmi Shinji, se ti va.
Si pentì quasi subito di averlo detto. Solo un paio di persone lo chiamavano per nome, e con loro le cose erano andate decisamente male. Ormai, però, il danno era fatto.
– Bene! – esclamò l’altra annuendo con soddisfazione. – Shinji, che bel nome! Deriva da shin, vero? “Verità”! Però, magari avessi un nome come il tuo!
– Ma no… – glissò Shinji distogliendo nuovamente lo sguardo. – È solo un nome qualunque… e poi, anche il tuo non è male.
Madoka si illuminò di colpo. – Grazie! – esclamò, dopodiché tornò a guardarsi intorno con perplessità. – Però… certo che è vuoto, questo posto.
Shinji intervenne: – Non è proprio un “posto”… È uno spazio che non esiste, un riassunto di tutti i mondi non esistenti. Qui, pertanto, c’è solo ciò che non esiste.
– Inclusi io e te, – disse. – Credo di aver capito.
Si sedette a poca distanza da Shinji, portandosi le mani sotto la gonna per non sgualcirla. Sgualcirla con cosa, poi, Shinji non riuscì a capirlo. In realtà era abbastanza strano che quella ragazza potesse non solo muoversi liberamente in quello spazio, ma perfino sedervisi. Solo in quel momento estrapolò la parola “maga” dalla presentazione di poco prima.
Il ragazzo si sentì abbastanza frustrato. Lui era lì da molto più tempo di quella strana tipa, eppure sapeva a mala pena cambiare posizione. “Come al solito,” pensò, “non sono capace di fare niente.”
– Senti… – chiese Madoka. – Tu perché sei qui?
La domanda disturbò Shinji più di qualunque cosa gli fosse capitata fino a quel momento. Un moto di malessere risalì dal suo stomaco, serrandosi attorno al suo sterno e alla sua gola. Dovette faticare per trattenere le lacrime.
– Questo, – spiegò, – è il luogo del mio esilio.
Madoka lo guardò con aria interrogativa. – Non capisco.
Shinji avrebbe preferito stare zitto per altri cento anni piuttosto che continuare quella conversazione, ma non se la sentì di non rispondere. – Vedi… – mormorò fissandosi i palmi delle mani, – non so esattamente cosa mi sia successo. So solo che ad un certo punto ho avuto la possibilità di scegliere quale mondo desiderassi.
La ragazza sembrò sconvolta da quella rivelazione. – E hai scelto un mondo in cui non ci sei?
Shinji si limitò ad annuire.
– Ma è terribile! – esclamò Madoka. – Perché hai fatto una cosa simile?
– Credevo… – sussurrò il ragazzo, – credevo che avrei trovato un po’ di felicità, se non fossi mai esistito… ma mi sono ritrovato qui. Tu, invece, – chiese, più per cambiare argomento che per reale interesse, – perché sei qui?
La ragazza si portò una mano sul petto, accarezzando la cornice vuota attaccata al suo collarino. – Io… ho espresso un desiderio, come te.
Shinji sollevò un sopracciglio, guardando Madoka con aria pensosa.
– Volevo aiutare alcune persone, – proseguì lei. – E non ho trovato altro modo.
“E io ho solo pensato a me stesso.” Il pensiero di Shinji era sempre più nero, come un’enorme nuvola foriera di pioggia. “Non ho salvato nessuno.” Sullo schermo dell’S-DAT, la traccia cambiò ancora una volta diventando la ventisei.
– Però…
La voce di Madoka richiamò ancora una volta l’attenzione di Shinji. – Però se sei qui vuol dire che puoi ancora cambiare le cose, no?
Il ragazzo scosse la testa. – Non capisco cosa vuoi dire. Ad ogni modo, a me sta bene così. Un posto vale l’altro.
– Voglio dire, – insistette la ragazza, avvicinandosi a Shinji e facendolo rabbrividire, – che se puoi ancora desiderare che il mondo cambi, il mondo cambierà. Dunque, se desiderassi di tornare a esistere, il tuo desiderio si avvererebbe.
Il ragazzo guardò altrove e rispose con voce monocorde. – Ma perché dovrei desiderare una cosa del genere?
– Ma come? – mormorò Madoka con un’espressione dispiaciuta. – Non hai nessuno che ti voglia bene?
– No. Non so fare altro…
Il ragazzo singhiozzò. Solo allora Madoka si accorse che stava piangendo. – Non so fare altro che ferire gli altri! Ho fatto cose… cose terribili a chi mi era più vicino! Io non potrei mai essere amato! Io sono stato rifiutato!
Le mani di Madoka si portarono intorno al collo di Shinji, e la ragazza appoggiò la testa del ragazzo sul suo petto, lasciandolo sbalordito. – Sono sicura che ti vogliono ancora bene, – disse con un sorriso lieve accarezzandogli la testa con delicatezza. – Se ti senti male per loro, basta chiedere scusa, no?
Qualcosa si smosse, nel petto di Shinji. Un peso enorme si sgretolò in un fiume di sabbia, frusciando contro i suoi polmoni fino a farglieli scoppiare. Il ragazzo avvertì una stretta al cuore, mentre lo spazio vuoto intorno a lui si dissolveva.
“Allora…” pensò. “Allora è questo, quello che provo?”
Una serie di immagini passarono davanti ai suoi occhi, immagini di vestiti gialli e occhiali ambrati, di uniformi scolastiche e lattine di birra. Il volto di Madoka scomparve lentamente dalla sua visuale, e l’ultima cosa che Shinji riuscì a vedere fu il grande e gentile sorriso di quella che gli si era presentata come una maga.
– Addio, Shinji, – lo salutò lei, riuscendo in qualche modo a farsi udire. – Spero che tu possa trovare la tua felicità.
– Allora? Se n’è andato?
Una voce richiamò Madoka, facendola voltare. Una ragazza della sua stessa età, vestita con una cappa da moschettiere e un vestito bianco e blu, le venne incontro guardandosi intorno con aria spaesata.
– Sì, Sayaka, – annuì Madoka. – Pare di sì.
– Uff… – sbuffò l’altra, passandosi nervosamente una mano fra i capelli turchini. – Speravo che rimanesse almeno un altro po’… che so, avrebbe potuto farci compagnia.
– Non sarebbe stato giusto, – sorrise la maga dai capelli rosa. – Lui desiderava sinceramente tornare nel suo mondo.
– Già, già. Ehi, adesso che siamo da sole, che facciamo?
– Credo che ci tocchi aspettare, – sospirò Madoka sdraiandosi nel mezzo di quella distesa di nulla. Da un momento all’altro, sopra di lei si formò una volta stellata. – Nel frattempo, – propose, – potremmo guardare un po’ le stelle, ti va?
Sayaka fece una faccia dubbiosa, ma poi fece spallucce e abbozzò un ampio sorriso. – Ma sì, – rise. – Perché no? La nostra città era tanto luminosa che non vedo le stelle da almeno un secolo. Devono essere belle, qui, – disse sdraiandosi accanto all’amica con le mani dietro la testa. – Vediamo se me ne ricordo ancora qualcuna.
***
L’angolo dell’autore
Salve a tutti, e grazie per aver letto la mia prima fanfiction. Spero di avervi fatto una buona impressione, e vi invito a farmi sapere che cosa pensate del mio lavoro. Vi aspetto di nuovo su questi schermi (i vostri) e vi ringrazio ancora una volta per la cortese attenzione.
Stay tuned!

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