Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Framboise    01/10/2014    5 recensioni
Italia, anno domini 1381: Eufemia ha diciotto anni ed è figlia di un macellaio piuttosto importante nella Corporazione dei Beccai. Non è come la vorrebbe suo padre, remissiva e pronta ad un buon matrimonio, ma gestisce la bottega di famiglia con pugno di ferro, proprio come un uomo. Quando però arriva un matrimonio combinato ad intralciare i suoi piani, la ragazza non ha che una soluzione: fuggire, nonostante la guerra che da anni insanguina la sua città ed il Comune vicino sia appena ricominciata...
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 13:


In una stanza spoglia e buia, illuminata solo dalla luce tremolante di una candela, una figura sedeva davanti ad un vecchio tavolo di legno scuro e pesante, china su alcuni fogli di pergamena. La penna che stringeva tra le dita danzava sopra uno di essi, lasciando dietro di sé una scia nera d’inchiostro, lo stesso liquido che macchiava le dita della donna che scriveva. Sì, si trattava di una donna, nonostante i vestiti da uomo, i corti capelli castani ormai striati di fili grigi ed il volto angoloso e sgraziato, attraversato da una lunga cicatrice che andava dalla fronte allo zigomo sinistro, potessero far pensare il contrario. La sua scrittura nitida e precisa riempiva la pergamena, estendendosi risoluta da un lato all’altro del foglio.

... Dopo un lungo consulto, i capitani accettarono l’offerta e restarono fedeli alla mia città. Un anno dopo, vincemmo finalmente la guerra: grazie ai mercenari, il Comune era salvo. Ci fu una festa... fu un vero trionfo. La gente era in strada, i menestrelli cantavano ed i bambini ridevano, mimando combattimenti brandendo dei rametti secchi. Noi soldati, come sempre, eravamo isolati ed osservati con la coda dell’occhio. Uomini e donne parlavano alle nostre spalle, coprendosi la bocca con una mano ed avvicinandosi impercettibilmente per non farsi udire. Nonostante tutte queste precauzioni, tutti noi udivamo le frasi malevole bisbigliate non appena ci allontanavamo dai piccoli gruppi di persone.
«Hai visto? Abbiamo vinto!»
«Guarda i mercenari, non sembrano nemmeno felici che sia finita».
«Certo, se la guerra fosse continuata loro avrebbero guadagnato di più... il tutto sulla nostra pelle!»
«Comunque, tutti sanno che non c’è da fidarsi. Mio cognato mi ha detto che suo fratello, che è amico di uno dei consoli, gli ha raccontato che ad un certo punto  stavano per tradirci!»
Molti di noi si limitavamo a scrollare le spalle, a scuotere la testa, a imprecare a mezza voce rivolti a loro. In certi momenti, avrei voluto impugnare la spada e minacciare tutti coloro che dicevano cose del genere. “Che cosa ne sapete?” avrei voluto gridare loro. “Voi eravate qui. Avevate paura, certo, eravate in pericolo, ma non stavate combattendo. Era il nostro sangue che scorreva, eravamo noi che cadevamo uno dopo l’altro per salvarvi la pelle!”
Naturalmente, non lo feci mai. Sarebbe stato inutile: non avrebbero capito e certamente non sarebbe servito a conquistarci la loro gratitudine. Siccome eravamo in licenza per alcuni giorni, li passai camminando inquieta per le strade della città; a volte lo facevo parlando con alcuni dei miei commilitoni, di solito Wiligelmo e Alois, ma spesso girovagavo da sola. Ad un certo punto passai lentamente davanti alla bottega della mia famiglia. Al bancone si affaccendavano mio padre e Lodovico, lo sposo di mia sorella. Erano piuttosto impegnati, infatti nessuno dei due alzò lo sguardo verso di me, ma continuarono a servire i clienti, spostando rapidamente pezzi di carne ed  ascoltando gli ultimi pettegolezzi delle comari. Poco lontano da loro c’era Maria, bella come sempre, con i capelli biondi raccolti in una treccia avvolta attorno al capo. Sembrava pensierosa e stringeva in braccio un paffuto bambino addormentato. Stavo per andarmene, quando ad un tratto alzò lo sguardo, forse sentendosi osservata: i nostri occhi si incontrarono e le sue labbra si arricciarono per un istante in un sorriso indirizzato a me. Mi parve persino che le sue labbra articolassero un “grazie”, ma probabilmente l’ho solo immaginato.

Naturalmente, quella non fu la mia ultima guerra. Rimasi nell’esercito e poco dopo ci spostammo più a nord, chiamati da un signore che voleva impadronirsi di un territorio vicino. Ho visto fare cose che non avrei mai voluto vedere, ma non ci si può aspettare altro da un conflitto, questo lo avevo già imparato da tempo. Spesso ho tradito le città per cui combattevo, cambiando fronte per denaro. Non sono un’eroina: talvolta i capitani non acconsentivano alle richieste di Agilulf, che cercava di essere sempre corretto e di pensare a coloro che difendevamo; non sempre i governanti erano disposti ad aumentare la paga di noi soldati, o ad accettare di abbassarsi a dichiarare una resa incondizionata. So che è terribile dirlo, ma è molto più facile abbandonare persone a cui non sei legato: mi è dispiaciuto, certo, ma nonostante ciò non ho mai abbandonato l’esercito. A volte ho fatto parte di missioni diplomatiche, ho dovuto dare fondo alle mie capacità di prendere decisioni difficili e di immedesimarmi in entrambe le parti di un accordo... non è stato facile, ma deve pur esserci qualcuno che si prenda la responsabilità di fare il lavoro sporco. È come lavorare in una macelleria, posso garantirlo: tutti amano mangiare la carne la domenica, ma sono pochi quelli che accettano di disossare, tagliare i quarti e gettare via ciò che è commestibile. Ho sempre cercato di trovare la soluzione migliore per tutti e non sempre ci sono riuscita. Ci sono stati dei momenti in cui mi sono chiesta perché rimanevo nell’esercito, perché non mi decidevo una volta per tutte a cercarmi un posto dove stare e un mestiere meno pericoloso, o che almeno non comportasse il rischio costante di venire scoperta.
Una volta ho quasi ceduto a questo desiderio. Successe dopo una delle innumerevoli battaglie alle quali ho preso parte. Io e Alois eravamo usciti dall’accampamento ed avevamo camminato per alcuni minuti, fino a quando non eravamo stati completamente soli. A quel punto lui parlò, arrossendo ma andando dritto al punto.
«Sai... io ho pensato molto ad una cosa. Insomma... tu e io... potremmo lasciare l’esercito. Andare ad abitare da qualche parte, vivere una vita in cui non rischiamo di morire ogni giorno. Non sposarci» rettificò subito, conoscendo l’avversione che nutrivo nei confronti del clero. «Potremmo semplicemente dire che siamo già sposati, nessuno importerebbe di controllare questo. Sarebbe... bello». Era così nervoso che nel parlare non aveva mai incrociato il mio sguardo, ma non appena terminò il suo discorso mi guardò negli occhi con uno dei suoi sorrisi disarmanti e gli occhi azzurri che brillavano.
Le sue parole non mi stupirono troppo: nonostante non me ne avesse mai parlato prima, avevo intuito ciò che provava per me. Per un attimo, quella possibilità mi attraversò la mente. Certo, avremmo potuto fare ciò che diceva: se avessi coperto i capelli con un fazzoletto nessuno si sarebbe accorto del fatto che erano corti. Con il tempo avremmo potuto avere una casa, un lavoro, sicurezza, forse persino dei figli. Sicuramente lui non avrebbe mai cercato di prendere decisioni sulla mia vita, o di trattarmi come molti uomini facevano con le loro mogli...
Questa visione durò per qualche secondo, ma ad un tratto la verità mi colpì come un fendente e capii che non avrei mai potuto accettare. Forse Alois non mi avrebbe fatto sentire inferiore, ma agli occhi di tutti gli altri cittadini lo sarei stata. Non avrei potuto prendere parte alle decisioni politiche, non avrei potuto combattere, sarei stata relegata a crescere i miei figli e sarei stata additata con un misto di pietà e disprezzo se non ne avessi avuti: sarei stata lo stesso una schiava, non di mio marito, ma della società. Non potevo accettare un’eventualità del genere: una volta provata l’ebbrezza della libertà, come si può rinunciarvi e tornare volontariamente in gabbia? Inoltre, non riuscivo a pensare di tornare alla vita civile: come mi aveva detto Wiligelmo tempo prima, io ero nata per combattere. Sapevo che non era una vita sicura, ma era quella che cercavo e non volevo lasciarla... o almeno, non ancora.
Lo guardai mentre mi osservava speranzoso, mordendosi le labbra. Gli volevo bene, ma non potevo acconsentire.
«Alois... mi dispiace, davvero, ma non posso».
Nel sentire quelle parole, il suo sorriso crollò e mi rivolse uno sguardo stupito e ferito.
«Ma... p-perché?»
A quel punto gli spiegai tutto ciò a cui avevo pensato. Mano a mano che lo facevo, lo vidi arrossire e poi impallidire bruscamente.
«Capisco. Tu non preoccupare te, non importa. Non posso non darti ragione» disse alla fine, in tono serio. Non stava mentendo, lui non mentiva mai. Cercava davvero di vedere le cose dal mio punto di vista... forse era per questo che in quel momento mi sentivo tanto meschina.
«Per quello che vale, mi dispiace. Ma non posso fingermi una sposa timorosa e remissiva, non dopo essere stata un soldato».
Lui mi sorrise, ma con tristezza. In quel momento lo abbracciai goffamente: fu un gesto spontaneo, non ebbi bisogno di pensarci. Lo strinsi per un attimo, poi ci separammo e ci incamminammo in silenzio verso l’accampamento. Da quel giorno, nessuno dei due fece più parola della proposta: entrambi ci comportavamo come se non fosse successo nulla. Cominciavo a sentirmi sollevata, ma un giorno, dopo essermi svegliata, non riuscii a trovarlo da nessuna parte. Inizialmente pensai che fosse in infermeria, visto che i feriti richiedevano spesso delle cure e lui di solito aiutava i medici, ma quando andai a cercarlo vidi che non era là. Domandai a vari soldati, ma nessuno sembrava averlo visto, perciò cominciai a preoccuparmi. Ad un tratto, mentre camminavo per l’accampamento, mi imbattei in Wiligelmo, che passava delicatamente un dito sulle piume del falcone posato sul suo braccio. L’animale, che ghermiva saldamente con gli artigli il guanto di cuoio che proteggeva la pelle, stridette sentendomi arrivare ed il falconiere alzò lo sguardo verso di me.
«Lodovico!» mi salutò con un sorriso, poi cambiò espressione notando la mia angoscia.
«Tutto bene? Sembri preoccupato».
«Non riesco a trovare Alois da nessuna parte. Sai dov’è?» replicai, cercando di mantenere un tono neutrale, nonostante un brutto presentimento cominciasse a farsi largo nella mia mente.
Wiligelmo sembrava stupito. «Alois? Ha lasciato l’esercito, voleva andare a vivere in una città poco lontano da qui. Mi aveva detto che sarebbe partito stamattina presto... pensavo che lo sapessi».
A quelle parole, barcollai come se mi avessero colpito.
«No... non lo sapevo. Non mi aveva detto nulla» mormorai, sconvolta. Gli occhi mi pizzicavano, ma ricacciai indietro le lacrime e mi sforzai di riprendere il controllo.
Il mio amico mi guardò dolcemente.
«Avevate avuto una discussione?»
«Sì...» mentii. «Alcuni giorni fa avevamo litigato, ma poi ci eravamo chiariti. Non sapevo che avesse in programma di andarsene. Pensavo che, se mai avesse voluto fare qualcosa del genere, me ne avrebbe parlato».
Lui non disse nulla, non ne aveva bisogno. Mi fece segno di sedermi accanto a lui ed io obbedii. In quel momento, il suo falcone si alzò in volo e lo guardammo allontanarsi fino a quando non scomparve.

Nonostante conoscessi il vero motivo per cui Alois se ne era andato e sapessi che era colpa mia, non riuscivo a non sentirmi tradita. Confesso che in quei giorni lo odiai e disprezzai anche me stessa. Continuavo a ripetermi che avrei dovuto accorgermene, che forse avrei potuto rifiutare meno recisamente la sua proposta. Forse un modo per accontentarci entrambi esisteva...
Mi mancava molto, ma riuscii ad andare avanti. Non era la prima volta che dovevo fare fronte alla perdita di qualcuno che mi stava a cuore e sapevo che avrei superato quella sensazione di abbandono, per questo strinsi i denti e continuai a combattere.
Si susseguirono nuove guerre: noi mercenari fummo chiamati a combattere per una città molto più a sud, poi fummo ingaggiati per proteggere un Comune dalle invasioni di una vicina signoria. Ho continuato a combattere per anni ed anni. Vidi molti dei miei compagni cadere. Vidi Wiligelmo venire colpito da una freccia in pieno petto e morire ancora prima di toccare terra. Vidi l’uomo che diffondeva notizie poco attendibili, di cui non seppi mai il nome, venire preso prigioniero e poi decapitato dai nemici. Vidi i miei compagni rendersi complici di azioni orribili: il non essere riuscita a fermarli mi perseguita ancora oggi. Durante una battaglia, venni colpita in pieno volto da un fendente: nonostante il dolore, in qualche modo riuscii a resistere fino alla fine dello scontro e a trascinarmi in infermeria, dove mi dissero che per il mio occhio sinistro non c’era più nulla da fare. Combattere senza riuscire a vedere bene quanto prima mi sembrava impossibile, poi però ci feci l’abitudine: mi aiutò anche un mio compagno d’arme che un tempo aveva dovuto affrontare lo stesso problema.
In tutti quegli anni, nessuno scoprì mai la mia vera identità. Non mi pentii di avere scelto di rimanere nei mercenari, anche se sentivo la mancanza di qualcuno con cui potermi confidare. Rimasi sotto la guida di Agilulf per molto tempo, fino a quando anche lui non decise di lasciare l’esercito. Ho saputo che si è sposato, ma è da un po’ di tempo che non ho più sue notizie. Fu il comandante più competente ed uno degli uomini migliori che abbia mai conosciuto. In seguito, combattei agli ordini di altri capitani, ma nessuno era abile quanto lui, o tanto capace di conquistarsi l’ammirazione dei propri uomini.
Anche io ormai ho smesso di combattere. Nonostante un giorno abbia rinunciato a vivere una vita tranquilla per continuare a farlo, sentivo di non poter più continuare: ormai ho quarantadue anni, sono vecchia. Non sono più agile come una volta: negli scontri schivare i colpi diventava sempre più difficile, inoltre molti dei miei compagni erano morti da tempo, oppure avevano già lasciato l’esercito. Nonostante in cuor mio sapessi di non poter trovare un altro posto in cui sentirmi totalmente me stessa (anche se, in effetti, nessuno dei miei compagni mi conosceva davvero), non volevo finire la mia vita come una vecchia grottesca che rifiuta di capire che è giunta l’ora di andarsene. Ho visto tante volte quella scena, il lampo di follia suicida negli occhi dei governanti di una città già sconfitta che rifiutavano di arrendersi, condannando tutti i cittadini per il loro sciocco rifiuto di accettare la realtà...non era quella la fine che volevo per me.
Una volta lasciata l’armata, non abbandonai la mia falsa identità. Seguendo un impulso assurdo, decisi di tornare nella città dove Alois era andato a vivere tanti anni prima. “Certamente avrà una famiglia, una moglie... probabilmente anche dei nipoti. Forse non si ricorderà più chi sei. Potrebbe essere morto” mi dicevo, ma non potevo impedirmi di sentirmi speranzosa. Non sapevo esattamente cosa volevo da lui. Da un lato ero ancora infuriata con lui per essersene andato in quel modo, visto che non ero mai riuscita a perdonarlo, ma dall’altro avrei voluto semplicemente dirgli che mi era mancato. Domandai alla prima persona che incontrai se conosceva un certo Alois, ma mi guardò scuotendo la testa. Dopo alcuni tentativi inutili, finalmente un passante annuì con convinzione.
«Ma certo! Il fabbro... abita poco lontano da qui. Lo conoscete?»
«Sì. Era un amico, ma ci siamo persi di vista».
L’uomo annuì comprensivo, poi mi diede le indicazioni per raggiungere la sua bottega. Quando la raggiunsi, lui era all’interno. Il volto era invecchiato, i capelli ingrigiti ed i suoi vestiti erano sporchi di fuliggine, ma lo riconobbi subito. Quando alzò lo sguardo su di me, vidi che i suoi occhi non erano cambiati, ma erano azzurri e limpidi come sempre.
«Buongiorno, signore. Desidera?» mi domandò.
Rimasi muta, guardandolo con gli occhi spalancati senza riuscire a trovare la voce. Per un attimo, lui mi osservò perplesso, ma d’un tratto sorrise ed i suoi occhi si illuminarono.
«M-ma... Eufemia!» esclamò, avvicinandosi a me ed abbracciandomi.
«Non avresti dovuto andartene così» mormorai, non appena fui di nuovo in grado di parlare. Subito dopo averlo detto, mi rimproverai, ma prima che potessi scusarmi lui mi interruppe.
«Lo so. Me ne pentii presto, ma ero troppo orgoglioso per tornare indietro. Ormai il danno era fatto. Cosa ci fai qui?» replicò.
«Niente. Volevo solo vederti... come stai? Hai una famiglia?» gli domandai.
«Ero sposato, ma mia moglie è morta cinque anni fa. Nostro figlio abita in un paese poco lontano da qui... e tu? Hai notizie di Agilulf, Wiligelmo e degli altri?»
Gli raccontai ciò che sapevo, osservandolo illuminarsi, sorridere o contrarre le labbra in smorfie addolorate a seconda di ciò che gli dicevo.
«Che cosa farai, adesso?» mi chiese infine, dopo che ebbi terminato di raccontare.
«Non lo so. Andrò ad abitare da qualche parte, forse aprirò una macelleria... all’inizio sarà difficile, ma ci riuscirò».
«Potresti.. potresti aprirla in questa città. Tu sei mancata me» mormorò, guardandomi di sottecchi.
«Si dice “mi sei mancata”.  Sai, mi sei mancato molto anche tu e forse... forse potrei davvero restare» risposi, correggendolo come facevo tanto tempo prima. Nel sentirmi, lui scoppiò a ridere ed in pochi secondi contagiò anche me.

Alois mi ospitò per qualche tempo, prima che mi trasferissi nella mia nuova casa. Nessuno fece domande, anche perché due vecchi soldati che si ritrovano dopo molti anni non offrono molti spunti per i pettegolezzi. Naturalmente, se qualcuno avesse saputo che uno dei due in realtà era una donna, le voci sarebbero passate di bocca in bocca nel giro di pochi giorni... ma questo non accadde: dopo anni passati a celare la mia vera identità, non correvo il rischio di compiere mosse imprudenti. Poco tempo dopo aprii una macelleria: nonostante fossero passati molti anni da quando aiutavo mio padre, ricordavo ancora alla perfezione tutto ciò che dovevo fare. In breve mi feci conoscere nella città. «Lodovico è un ottimo beccaio, dovresti servirti da lui» dicono oggi le anziane comari, quando parlano tra di loro. Come uomo, mi sono guadagnata il rispetto di tutti i cittadini e non ho mai rinunciato alla mia libertà.
Poco tempo fa ho assunto due apprendisti. Talvolta possono essere piuttosto fannulloni, ma nel complesso sono dei bravi ragazzi. Mi accusano spesso di essere molto autoritaria, tanto che a volte, quando ordino loro di fare qualcosa, rispondono esclamando: «Sissignore!»
Quando Alois è venuto a saperlo ha detto loro che, se avessero continuato a portarmi tanto rispetto, forse un giorno, oltre a insegnare loro ad usare i coltelli da macellaio, avrei potuto mostrargli come usare una spada... da quel momento quei due mocciosi non mi danno più tregua. In effetti, conservo ancora la mia arma, nascosta in una cassapanca. Non ho più avuto occasione di usarla da quando ho lasciato i mercenari, anche perché pensavo di essere ormai troppo vecchia per farlo ed in questi anni il Comune in cui vivo sta attraversando un lungo periodo di pace, certo... ma ora so che, se un giorno dovessi scendere in battaglia per difendere ciò che è mio, non esiterei ad impugnarla di nuovo.
D’altronde, combattere è ciò per cui sono nata.

Eufemia posò la penna e guardò fuori dalla finestra. Si era fatto tardi, il cielo era scuro ed Alois la stava aspettando. Sorridendo, si alzò, soffiò sulla fiamma della candela ed uscì di casa, l'eco dei suoi passi che svaniva nella notte.


Fine

 

 

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:
Ed eccoci alla fine. Mi sembra così strano, dirlo! In effetti, non l'ho ancora pienamente realizzato. Ormai ero affezionata alla storia ed ai personaggi... come farò senza?
Vorrei ringraziare chiunque abbia letto questa storia o l'abbia inserita
nelle seguite/preferite/ricordate, ma soprattutto, grazie mille a chi ha recensito. Davvero. Grazie a tutti. Meritereste un monumento, anche solo per la pazienza!
Fra

PS: Oddio, è davvero finita!
PPS: Prima o poi (ma, conoscendomi, sarà più prima che poi) ritornerò nel fandom storico... Framboise 2 - la vendetta!

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Framboise