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Autore: ToscaSam    04/10/2014    1 recensioni
Questa è la storia di Elena da Travale, detta l’Incantatrice. Giovane donna realmente esistita, che visse in Toscana nel XV secolo. La fantasia vuole qui avviluppare quel che la storia ha lasciato a pezzi e bocconi, vuole ricucire una trama bucherellata dalla quale tuttavia si percepisce un disegno intrigante e misterioso.
Genere: Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Medioevo
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Questa è la storia di Elena da Travale, detta l’Incantatrice. Giovane donna realmente esistita, che visse in Toscana nel XV secolo. La fantasia vuole qui avviluppare quel che la storia ha lasciato a pezzi e bocconi, vuole ricucire una trama bucherellata dalla quale tuttavia si percepisce un disegno intrigante e misterioso.
 
 
Ripamarrancia 1, 1400
 
Il sole splendeva caldo sui  celi di un piccolo borgo che affondava le sue radici in una meravigliosa collina della Toscana. Le mura di pietra delle case sembravano chiedere al sole di non staccarsi mai da quell’abbraccio rovente ed emanavano un senso di fuoco che accentuava ancora di più l’aria estiva.
Si sarebbe detto che non avrebbe potuto esserci nemmeno una goccia d’acqua e che le gole degli abitanti fossero costrette a rimanere arse e asciutte fino all’arrivo della stagione più fresca; eppure, in gran fermento, una donna tarchiata rivestita di cenci sudati, correva con un secchio in mano.
Gridava: « Fate passare! Fate passare! ». I pochi coraggiosi che si erano addentrati nel rogo delle strade si scansavano chiedendosi il perché di tanto chiasso.
« Nasce ora ora il figliolo di madonna Eunice» biascicava la poveraccia fra i sospiri della furia.
Tutta la folla si trasformò in un brusio di assenzi monosillabici e la donna corpulenta fu fatta passare senza indugi, così da farla giungere più velocemente alla sua destinazione.
Dovette percorrere diversa parte del paese prima di poter attingere alla cisterna dell’acqua e ovunque la sua marcia forsennata incontrasse sguardi curiosi, la povera affaticata si affrettava senza fiato a raccontare che la sua padrona stava partorendo.
Intinto il secchio nella grande pozza d’acqua che, vista in controluce pareva ricoperta da un mantello polveroso, prese un caldo respiro e i suoi bronchi intasati dall’afa e dall’affanno si concedettero una sorsata di ossigeno leggermente più abbondante.
Quando il secchio fu pieno, la serva riprese la sua marcia, ora affaticata dal peso maggiorato che gravava sul suo braccio largo e traballante.
Aveva assunto una consistenza scivolosa e lucida, quasi gommosa, simile alla pelle di una lucertola. La sua grossa persona respirava con toni pesanti e mucosi, provata dalla frusta del sole e dall’ansia di dover aiutare una buona donna.
Finalmente quella zoppicante figura trasse un qualcosa di simile a un sospiro di sollievo, sempre nella sua tossicchiante maniera, quando davanti ai suoi occhi comparve la nota sagoma di un arco antico di pietra.
L’ombra della donna sparì dentro una porticina secondaria incastrata al fianco della vecchia struttura. Dall’interno, la donna seguì i gridi di dolore della sua padrona, partoriente.
« Quartilla, ce l’hai fatta?!»
« C’era gente che chiedeva un monte di cose, e poi un caldo, madonna! Come mai ce n’era stato in questi giorni»
La sua voce rauca era l’esasperazione della sete e della gola secca.
Affidando il secchio a una giovane donna con i capelli raccolti dentro un velo grigio, Quartilla si abbandonò su una pancaccia vicino alla parete.
« Su, madonna. Ce la farete, com’hanno fatto tutte le donne di questo mondo, come fece vostra madre per far nascere voi!»
Disse la giovane, inzuppando uno straccio bianco nell’acqua e posandolo poi delicatamente sulla fronte della donna sudata, sdraiata sul letto, che gridava.
« Avete sentito che fresca che è? Quartilla è stata brava, via… »
Parlava sorridendo con le piccole labbra minute, sperando di mettere di buon umore colei che soffriva e gridava.
Quartilla guardava il secchio con avido scoraggiamento: era l’unica acqua disponibile in casa e in quel momento le veniva insudiciata sotto gli occhi da uno straccio sudato e mezzo insanguinato.
L’unico modo per poter bere, pensò fra sé, era quello di ritornare alla vasca.
Disperata, lasciò cadere la pesante testa su una spalla e si raschiò un po’ la gola, sperando di dissetarsi con la sua stessa saliva.
D’un tratto gli strilli di madonna Eunice e le premure della levatrice Alina alzarono di tono e, sobbalzando sulla panca, Quartilla dette una sbirciatina verso la porta del mondo.
« Guardate, si vede un capino!»
Esultò, con lo sguardo ora fisso fra le gambe della partoriente, per vedere la creatura che ne sarebbe uscita.
« Brava, madonna! Brava che siete! Spingete un altro pochino e la creatura manda fuori il capo! Uscito quello è facile, madonna, via! »
La giovane levatrice con il velo grigio si spostò, lasciando la pezza bagnata sulla fronte di Eunice, e si posizionò ad aiutare la creatura ad uscire.
Quartilla allora intese che era il suo turno di fare coraggio alla signora e si precipitò a tamponarle la fresca pezza sul capo.
Alina armeggiava con il neonato, mormorando  piccoli incitamenti e grandi complimenti. Aveva lunghe braccia esili con i gomiti sporgenti e i suoi movimenti risaltavano come figure in sbalzo in uno sfondo fatto su una lamina di rame.
« si vedono dei capelli rossi rossi!»
Disse Alina verso madonna Eunice, che non la smetteva di mandare grida.
Dopo alcune ore di travaglio, uscì a vedere le sue prime luci una splendida bambina.
Aveva un viso tondo, con le guance sporgenti come fossero due borracce piene d’acqua. Il corpicino era sporco, ma anche dopo averla immersa e lavata, alla bimba rimasero i capelli di un rosso infuocato.
Quartilla e Alina sorridevano gioiose alla loro padrona, che intanto aveva chiuso gli occhi per riposarsi dopo la grande fatica, ma sentivano in loro una crescente preoccupazione.
Guardavano alla creatura grinzosa e striminzita che piangeva e si dimenava come un uccellino e aggrottavano le sopracciglia. La posero in un morbido panno pulito che era stato precedentemente preparato, poi la posero accanto alla madre.
 
«Che nome le darete, madonna?»
Eunice aprì gli occhi e vide sua figlia.
La guardò così intensamente che pareva mangiarla con le pupille. La bimba percepì la presenza della madre e fu catturata dal suo sguardo magnetico, smettendo di piangere.
Si guardarono entrambe, poi Eunice alzò debolmente una mano e con il dorso accarezzò la minuscola guancia della figlia, poi con il palmo ve la poggiò, sentendo la morbidezza che quella bella e rosea gota aveva in sé.
Quartilla si fece un po’ più vicina a Eunice e, credendo che la padrona non avesse udito le sue parole, ripeté con un po’ più di tono:
«Madonna, come la chiamate?»
Alina alzò gli occhi al cielo, lamentandosi dentro di sé per la scarsa sensibilità di Quartilla.
Eunice non staccò gli occhi dalla bimba, ora così pacifica da sembrare finta.
«Si chiama Elena. Come voleva suo padre, che presto raggiungerò»
Disse con un filo di voce.
A Quartilla venne un brivido e agitando le sue grosse braccia verso il cielo per poi farsi il segno della croce, agitò con sé tutta la sua figura corpulenta.
«Madonna! Che dite? Siete solo stanca, è andato tutto bene!»
«Madonna, non dite così! Il Signore vi sente!»
«E che senta. Io so quello che devo fare. Una vita per una vita. La natura chiede la mia in cambio di quella della creatura speciale che è Elena. Fatele sapere che io l’ho amata più di me stessa e di tutto l’universo.»
Così dicendo, Eunice si avvicinò alla figlia e le dette un bacio sulla fronte.
La piccola Elena incominciò a piangere forte dopo il bacio della madre.
Alina e Quartilla continuavano a guardare quella creatura con timore: speravano che i capelli della nascita, una volta caduti, lasciassero posto a capelli di un altro colore, magari biondi come quelli della madre, ma non di quel rosso così acceso. Non era rimarchevole per una fanciulla avere quelle fiamme del demonio in testa, la gente avrebbe iniziato subito a mormorare. Era un segno che non piaceva mai a nessuno.
Quella sera Eunice, accingendosi a dormire pacificamente come aveva sempre fatto, spirò.

 
 
Note
( 1 ) Oggi Pomarance. L’origine del nome è incerta ma probabilmente significa “riva sinistra” (ripa: riva marancia: sinistra), poiché il paesino sorge appunto nei pressi del fiume Cecina. Porre in questo luogo la nascita di Elena è un dato di pura fantasia.
  
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