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Autore: Alicecream    07/10/2014    1 recensioni
Ci si ama da morire.
Genere: Dark, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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VIT (VERY IMPORTANT TEXT)
Buonsalve gente! Sono tornata (più o meno). Volevo solo scusarmi con tutti quelli che seguivano la mia long, sono sparita all'improvviso senza più farmi sentire. Perdonatemi. Comunque, ho scritto questa storiella in un momento di incazzatura totale e non potevo non condividerla con il mondo di EFP.
In conclusione, buona lettura! E non dimenticatevi di lasciare un pensierino, in regalo riceverete Gocciole virtuali.
Ciao ciao! :)




La cella della prigione era umida e buia. L'avevano lasciata in una gabbia singola, un pagliericcio sformato gettato per terra e un buco da cui fuoriusciva odore di merda e vomito. Stava in un angolo, rannicchiata, con la tuta a righe lurida di polvere e di piscio. Qua e là qualche buco, non faceva più caso ai topastri grigi che le mordicchiavano i vestiti o la carne. I polsi grondavano sangue e pus, colpevoli le manette troppo strette e tenute troppo a lungo. Erano giorni che lei era là, a dondolarsi avanti e indietro come una pazza, in attesa di un giudizio che forse non sarebbe mai arrivato.
 La porta si aprì all'improvviso. Una guardia, un vecchio con la barba lunga sulla cui faccia si notavano ancora i buchi dell'acne, entrò nella stanzina e sollevò l'essere con una manata. Era uno scricciolo, un mucchio d'ossa ricoperto da quel poco di carne che bastava a restare in vita. Le labbra rosse risaltavano sulla carnagione biancastra, rendendo il suo ghigno ai limiti della sopportabilità.
 Con forza la accompagnò lungo tutto il corridoio, tirandola per la catena collegata alle manette, mentre lei faticava a stargli dietro. Era passata una settimana dall'ultima volta in cui aveva camminato, due giorni dalla sua ultima cena, e una febbre feroce l'aveva consumata per molto tempo.
 Con passo malfermo però continuava ad avanzare, forte di una passione che nessuno poteva imparare, la volontà. Una forza che aveva dimostrato di avere già in passato.
 La camminata terminò nella stanza 966, dove la donna fu sbattuta senza delicatezza. Restò in piedi quel tempo che bastava per erigersi fiera, ancora all'apice della perfezione, davanti ai due poliziotti che la osservavano su due sedie di acciaio, poi cadde scompostamente a terra. Le fu portata una sedia, di legno stavolta, ma nessuno l'aiutò ad alzarsi e a sedersi. Non che lei avrebbe accettato un ipotetico aiuto: si rialzava sempre con le proprie gambe, e anche quella volta fece lo stesso.
 Studiò gli uomini che si ritrovava davanti. Il primo, a sinistra, era un giovane di massimo trent'anni, capelli neri legati in un codino e barba portata corta. Ostentava un'aria arrogante, ma si notava che era un novizio nel campo. Il secondo era più vecchio, un panzone con lunghi baffi che probabilmente sfiorava i sessanta. Vecchio, sì, ma dotato di esperienza e di fiuto.
 "Allora" cominciò il primo "io sono il detective Ross. Ora accenderò il registratore e rilascerai la tua versione dei fatti in modo chiaro e preciso. Non ti interromperemo. Alla fine, possiamo farti qualche domanda. Iniziamo".
 L'uomo premette il pulsante, ma ciò che uscì dalle labbra della giovane fu un leggero "Voglio dell'acqua. Fresca. E una tavoletta di cioccolato al latte, speziato con il peperoncino".
 La reazione di Ross fu di sconcerto, ma dopo che si fu ripreso da tale richiesta spense la registrazione.
 "Senti troia tu non sei nella condizione di poter-"
 "Portatele ciò che ha chiesto, insieme a del vino. Forse la aiuterà a sciogliersi la lingua" era il Vecchio che aveva parlato con autorità, imponendosi su Ross, e le richieste della ragazza furono accontentate.
 Dopo la consumazione del pasto, fu la giovane stessa ad allungarsi e premere per l'accensione della registrazione.
 "Sono Emily Storm, americana, 18 anni il sei giugno di quest'anno, e sono qui per confessare l'omicidio di Alexander Stonheart, americano, 19 anni il ventisette ottobre di quest'anno.
 Questa è la mia versione dei fatti".
 Aveva la voce roca ma decisa.
 "Sono le ore dieci e ventun minuti di sabato sedici agosto. Sono affamata, ma ho nulla in frigo. La mia abitazione si trova a due passi dal centro, così decido di farmi una scappatella al volo per comprarmi un kebab. Non era nei miei piani uscire quella sera, ma alla fame non si comanda."
 Diede un morso a ciò che rimaneva della tavoletta di cioccolato.
 "Mi tolgo il pigiama e indosso qualcosa di più consono. Prendo la borsa rossa, ci infilo le chiavi, il portafoglio, lo spray al peperoncino per eventuali assalimenti. Sapete, è pericoloso per le ragazze come me uscire la notte da sole. Alex me lo diceva sempre".
 Sorrise, mettendo i brividi a Ross: parlava come una normale teenager, come se non sapesse cosa sarebbe accaduto in seguito.
 "Dicevo, mi sistemo un po' i capelli allo specchio e esco. Scendo le scale, saluto quello del terzo piano che stava salendo e, nell'uscire, sbatto la porta. Mi piace sbattere le porte. Mi da quel senso di euf-".
 "Non divaghi."
 Il tono imperioso del Vecchio la spinse a proseguire nel suo racconto.
 "Cammino. Impiego circa sette minuti per arrivare dal mio kebabbaro di fiducia. Fa ottimi panini, ve lo consigl- comunque lo trovo chiuso, sarà andato a spacciare dai suoi amici musulmani penso. Allora decido di andare in qualche locale, quelli sono sicuramente aperti, e bermi qualcosa. Lo stomaco mi brontola. Nonostante io sia vestita alla cazzo, entro nel primo bar che mi capita davanti. Convinco in chissà quale modo il tipo al bancone a prepararmi qualcosa di più di un semplice drink, e lo pago dieci euro per una focaccia stantia avanzata dal giorno prima. Che ladri. Mangio lì quella roba e intanto mi guardo intorno. Non c'è molta gente, alcuni stanno guardando la partita di football al megaschermo, altri si stanno bevendo una birra in compagnia. Qualcuno balla, qualcuno beve, qualcuno vomita. Solita storia di noia mortale.
 Poi arrivano loro".
 Il tono piatto della ragazza subì un cambiamento, quando pronunciò l'ultima frase. Come se a parlare fosse una persona diversa.
 Forse lo era.
 "All'inizio non lo riconosco. Alex è un normale liceale americano, spalle larghe e corporatura robusta. Il figo che vorrebbero scoparsi tutte. Ma è il mio ragazzo, e me lo scopo solo io".
 Parlava di lui ancora al presente.
 "E invece lui si presenta in quel baretto del cazzo con una troietta sottobraccio? No, no, non ci sto."
 Gesticolava, lo sferragliare delle manette era in sintonia con il suo tono irato.
 "Non so cosa fare. Mi imbosco nell'ombra, cerco di non farmi riconoscere. I due si avvicinano al bancone, ordinano da bere. Riesco a vedere anche lei ora, e la conosco: è quella cagnetta di Rose Botton, una che ha come obiettivo principale di vita quello di darla via a più gente possibile. I due si scolano alcolici a non finire, e più bevono e più si palpano a vicenda. Le sue mani, le stesse dita che erano entrate dentro di me più e più volte, ora si infilano sotto la sua gonnellina di merda. Mi chiedo quante volte l'abbiano già fatta sta cosa. Lo schifo mi pervade, devo correre in bagno a vomitare quella pessima focaccia scaduta".
 Smise di sgranocchiare il cioccolato, lanciandolo per terra, e bevve due sorsate di vino di ultima qualità.
 "Anche questo vino fa cagare. Quando torno al bancone, li trovo su un divanetto a coccolarsi. Decido di aver retto abbastanza, così cerco di uscire senza farmi notare. Non che siano abbastanza sobri da riconoscermi, sia chiaro. Passo loro accanto, e sento una voce maschile dire "Sei mia, solo mia, piccola ragazza impertinente". Niente di male, se non fosse che quello era ciò che diceva A ME prima di avermi. A quel punto non ci vedo più".
 Un altro sorso, più feroce, poi si pulì il labbro superiore con la manica lercia. Le tremavano le mani, notò il Vecchio.
 "Decido di aspettare che finiscano ciò che hanno da fare. La cagna di compagnia abita nei quartierotti alti, non lo porterebbe mai a casa. Il miniappartamento di Alex fa cagare, non porterebbe mai una del genere in quel buco. Concludo che a fine prestazione ognuno sarebbe andato per i cazzi suoi. Così vado sotto casa di Alex ad aspettarlo. Fortuna che abita vicino, e che la troia a quanto pare ha poche doti, perché nel giro di mezz'ora lo vedo spuntare dalla strada. È ubriaco marcio.
 Mi vede ma impiega un po' a riconoscermi.
《Ehumiliii che shi faiii qui》cerca di dirmi. E io, per qualche secondo, non so cosa rispondergli. Cosa ci faccio lì? Lo voglio insultare? Gli voglio urlare contro? Lo voglio castrare? No. In verità, so cosa voglio.
《Sono qua per impedirti che tu mi tradisca una seconda volta》lo minaccio. Impallidisce, e per un attimo penso che si sia veramente spaventato, ma poi lo vedo vomitare nel cespuglio dei vicini.
 E si autocondanna a morte.
 Prendo lo spray al peperoncino e glielo spruzzo in faccia. Gridando si porta le mani sugli occhi, piegandosi, e a quel punto gli sferro un calcio nei coglioni che lo capotta a terra. Non freno la mia furia. La riempio di calci nelle palle, nello stomaco, in viso. L'ubriacone non si difende, si rannicchia in posizione fetale gemendo, ma io lo colpisco.
 Ancora. Ancora. Ancora.
 Continuo anche quando il flebile lamento straziante smette di uscire dalle sue labbra, niente adesso può fermare la mia forza vendicatrice.
 Non so per quanto vado avanti. Non so se è un'ora, un minuto, tutta la notte. L'unica cosa che posso dire con certezza è che alla fine io ho tra le mani una lunga sbarra di metallo, e che la cosa che trovo per terra non è più un corpo. È una poltiglia grondante liquido rosso, è carne sanguinolenta da cui proviene tanfo di morte. Indistinguibile. Irreale."
 Aveva uno sguardo perso nel vuoto, uno stato catatonico di pensieri nascosti e memorie ritrovate. Era calma, come se stesse raccontando una storiella, non un omicidio.
 "Torno a casa, faccio una doccia, indosso vestiti puliti e vado a letto. Ho ancora quell'odore nelle narici, ma stavolta è un profumo di soddisfazione. Così mi addormento, con il sorriso sulle labbra.
 Il resto lo sapete. Siete venuti a prendermi, mi avete chiuso in quel buco del cazzo e ora sono qua, come se avessi commesso il peggiore dei crimini."
 "Come lo chiami questo?" Le chiese il Vecchio, un misto di curiosità e stupore.
 La ragazza ebbe un attimo di esitazione, poi, guardandolo negli occhi, rispose "Lecita difesa". E spense il tasto di registrazione.


"Hai un'ultima frase da dire?"
 Emily, lo sguardo perso, non rispose.
 "Bene. Procediamo all'esecuzione".
 La siringa entrò nella vena pulsante della ragazzina, il boia spinse lo stantuffo.
 E fu il buio.

  
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