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Autore: Shichan    07/10/2014    0 recensioni
«Te l’ho detto» lo interruppe il demone «sembra che ci sia un tuo simile. O addirittura due.»
Haruki vede cose che gli altri non vedono, e ha imparato con il tempo e a sue spese che quella capacità non è affatto un dono.
Hideyuki osserva gli spiriti passargli accanto come se non li vedesse, perché ha imparato che se fingi che non esistano, loro faranno lo stesso con te.
Chiaki, che vorrebbe poter scegliere cosa vedere e cosa no, lascia che tutto le passi davanti agli occhi perché non può fare altro che quello.
Tutti e tre pensavano di essere soli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IV
Shiki

Was what you tried to protect with your hands,
someone you loved?
Staring at your hands awash in red,
you finally recognize your sins.


Erano passati giorni da quando Hideyuki aveva visto Chiaki e Haruki l’ultima volta.
Per la precisione, la ragazza si era presentata al suo appartamento il giorno dopo l’incidente, tornando da scuola a giudicare dall’orario. L’aveva fatta accomodare, ma dopo quasi mezz’ora di completo silenzio – ad eccezione di piccole cose come “vuoi un tè?” e “sì, grazie” –, aveva iniziato a temere che non sarebbero andati da nessuna parte o che lei non sapesse da dove cominciare. In realtà non riusciva ad intuire se ad averla spinta lì fosse il volersi scusare o l’arrabbiatura per ciò che lui e Haruki avevano fatto; potevano giustificarlo sostenendo di volerla aiutare, ma questo non cambiava che avessero visto e sentito cose che Chiaki avrebbe di certo voluto tenere per sé, specie con due sconosciuti.
Il vedere gli youkai, chi per un motivo e chi per un altro, gli aveva fatto dimenticare quell’aspetto: si conoscevano a malapena.
Invece Chiaki non si era presentata in casa sua né per scusarsi, né per aggredirlo.
«Non ti darà più problemi.» aveva interrotto così il silenzio, lo sguardo sulla tazza di tè davanti a sé.
«Cosa?»
«Lo zashiki-warashi. Fin dall’inizio era qui solo per proteggere te che vivi nell’appartamento, Hideyuki-san. Mi dispiace di non essermi accorta dell’altro spirito.» aveva spiegato brevemente. Lui l’aveva osservata tacendo per qualche istante, scuotendo la testa: «Nessuno di noi se ne era accorto. Hai fatto anche più di quanto ti avessi chiesto.» l’aveva rassicurata, almeno su quell’aspetto. Aveva avuto la sensazione che Chiaki fosse davvero fragile in quel momento, più di quanto gli fosse sembrato dai precedenti incontri. Lui non era certo molto più grande di lei o di Haruki, eppure si considerava fortunato: aveva sempre vissuto abbastanza bene la sua capacità, senza che questa lasciasse mai in lui ferite troppo profonde. Forse perché aveva appreso abbastanza presto il kotodama ed era riuscito a farne un uso tale che fingere di non vedere era diventato molto semplice. Oppure doveva essere stato fortunato e niente di più.
Vedere frammenti dell’animo di Chiaki aveva lasciato in lui un segno più profondo di quanto avesse creduto quando si era ripreso: non si era trattato solo di sentirsi addosso la tristezza di un’altra persona, ma di un insieme di cose – probabilmente era aver visto Chiaki bambina, o poco più, avere a che fare con qualcosa di tanto grande.
«Mi dispiace.» aveva esordito quindi «Anche se fatto con le migliori intenzioni, non deve essere stato piacevole sapere cosa abbiamo visto io e Haruki.»
Lei era rimasta in silenzio, senza mai alzare lo sguardo. Era come se non sapesse cosa dire, se fosse combattuta tra troppe cose. Poi, continuando a guardare il tè nella sua tazza, aveva scosso impercettibilmente la testa: «Non sono arrabbiata.» aveva detto «Non per quello.»
Lo aveva colto alla sprovvista, doveva ammetterlo; sebbene avesse messo in conto la sua rabbia come se fosse una cosa scontata, sentirle pronunciare quelle parole era stato strano, dal momento che Chiaki non aveva mai mostrato una vasta gamma di espressioni o di sentimenti, in sua presenza. Non le faceva il torto di crederla insensibile – dubitava che qualcuno che poteva vedere potesse esserlo – ma fino a quel momento era sembrata più che altro una fantasia, qualcosa che poteva esistere ma senza alcun riscontro nella realtà.
L’aveva vista alzarsi, lasciandola tazza di tè per metà piena.
«Allora per cosa sei arrabbiata?» l’aveva accompagnata alla porta, osservandola varcare la soglia senza sapere se fosse il caso di fare altre domande nel caso lei non avesse risposto. Inaspettatamente, Chiaki gli aveva risparmiato la scelta sbagliata.
«Io non so cosa tu o Haruki-kun abbiate fatto fino a pochi giorni fa. Per la verità non so molto della vostra vita nemmeno adesso.» aveva detto, come se ci avesse ripensato all’ultimo momento: «Ma non ho mai giudicato nemmeno le cose che mi sembravano più insensate di voi. Mi fa arrabbiare che invece vi sia bastato vedere cose che non avreste mai dovuto nemmeno sapere, per sentirvi in diritto di pensare quello che volevate.» aveva replicato quasi bruscamente, congedandosi con un breve cenno della testa.
A Hideyuki era sembrata più sola e fragile che mai.
Ma la stranezza di quella giornata non era stata tanto la visita di Chiaki, quanto quella che le era seguita; appena la ragazza non era rientrata più nel suo campo visivo, a palesarsi era stato Shiki.
«Non sta bene origliare.» gli aveva detto, senza un reale rimprovero nel tono, conscio che sarebbe stato comunque inutile rivolgergliene uno. Il demone non aveva ribattuto subito, guardando nella direzione in cui si era allontanata la ragazza.
«Haruki-kun non è con te?»
«Ti sorprenderà sapere che non gli sto sempre appiccicato come può sembrare.» aveva detto ironico, portando l’attenzione su di lui. In silenzio era scivolato nella sua abitazione, e Hideyuki lo aveva seguito richiudendosi la porta alle spalle. Rispetto a quando aveva accolto Chiaki, tuttavia, non lo aveva invitato ad accomodarsi, rimanendo fermo dov’era; Shiki doveva aver colto il senso della sua immobilità perché aveva sorriso divertito.
«Non mi piace proprio, il tuo odore.»
«Credo che sia inevitabile, come il fatto che a me non piaci tu. Né quello che fai ad Haruki-kun, anche se immagino che una cosa come quella sia una scelta.» aveva detto, parlando chiaramente e senza sorrisi o cortesie di circostanza. Il volto di Shiki si era fatto più cupo, il ghigno ferino sulle belle labbra.
«Non che siano affari tuoi.»
«In effetti no. Se non avessi visto il marchio per puro caso, magari non mi sarebbe mai venuto in mente. Anche se devi ammettere che un demone che gira con un ragazzino non è proprio una cosa che si vede tutti i giorni, nemmeno quando hai la cosiddetta vista.» era stato il suo commento, muovendo qualche passo verso l’interno: «A cosa devo la visita?»
«Ho seguito l’odore della ragazzina, per la verità.» aveva ammesso con una scrollata di spalle; Hideyuki si era chiesto perché Shiki volesse avere ancora a che fare con Chiaki, quando le parole di Haruki avevano lasciato chiaramente intendere che non ne aveva alcuna intenzione, soprattutto nell’immediato futuro. Si era ritrovato a sorridere, senza nemmeno accorgersene, finché Shiki non aveva inarcato un sopracciglio perplesso.
«Forse lei ti piace tanto perché è l’unica a cui puoi piacere tu.» aveva osservato, con fare innocente.
«A me non piace.» aveva tagliato corto «E a lei non piaccio io. È solo attaccata agli spiriti, anche troppo.»
L’attimo dopo Hideyuki era solo nella stanza.

Haruki non si sentiva in colpa. Non gli interessava nemmeno sapere cosa ne pensasse Hideyuki, o la stessa Chiaki, né che lo considerassero crudele per quanto aveva detto dopo ciò che aveva visto.
Era proprio per quello che era convinto di essere dalla parte della ragione: quale persona cercava il dolore di propria spontanea volontà? Avrebbe potuto capire se le ricerche del padre di Chiaki fossero state di importanza vitale e lei fosse stata l’unica a poterle portare avanti, o ancora avrebbe potuto fare uno sforzo se marchiarsi in modo da poter vedere avesse significato salvare molte persone o il padre stesso. Ma così non era, Chiaki aveva scelto di fare quel che aveva fatto solo per sentirsi vicina al padre, e per quanto Haruki si sentisse vicino alla propria famiglia, sapendo bene quale peso fosse vedere gli youkai non lo avrebbe mai cercato per se stesso.
Aveva passato la vita a chiedersi come liberarsi di quella capacità maledetta, e ora incontrava qualcuno che non era schiavo della cosa che lui più odiava, ma si era condannato da solo.
Era sicuro della propria decisione di tenersi alla larga da Chiaki e da Hideyuki: dopotutto non aveva mai pensato che sarebbero potuti essere gli amici che lo avrebbero compreso nel profondo. Erano troppo umani, e quando si trattava di youkai, per assurdo lo erano troppo e troppo poco al tempo stesso. Haruki aveva passato anni a trovare il giusto distacco, a cercare dentro di sé solo i sentimenti che gli avrebbero permesso in qualche modo di combatterli senza avere alcuna pena per loro, e adesso che finalmente credeva di riuscirci… quei due arrivavano, improvvisandosi amici suoi e degli spiriti.
«Ohi, Kirihara.» alzò lo sguardo con qualche secondo di ritardo, come quando non si era abituati a un appellativo, inquadrando uno dei suoi compagni che si avvicinava al suo banco. Haruki non aveva un buon rapporto con la classe, o per meglio dire, non aveva un rapporto: qualche chiacchiera in più con i maschi, forse, ma perché le ragazze erano più guardinghe nei confronti di quello che era considerato uno studente problematico.
Il compagno si fermò a un paio di passi da lui, accennando con la testa alla porta della classe: «Ti cercano.» comunicò semplicemente, andando ad unirsi di nuovo ai suoi amici poco più in là.
Haruki portò lo sguardo verso l’entrata della classe, convinto di trovarvi Chiaki: dubitava che ci fosse qualcun altro nella scuola che potesse avere interesse a parlare con lui tanto da scomodarsi; se era per le risse, lo aspettavano direttamente fuori.
Invece fu smentito quando riconobbe vagamente la compagna di classe di Chiaki, di cui non ricordava affatto il nome, ma che era sicuro fosse quella a cui aveva chiesto di chiamare l’altra ragazza da parte sua. Si alzò perplesso, raggiungendola.
«Ciao.» pronunciò lei, un sorriso disteso sulle labbra, anche se sembrava meno a proprio agio di quanto non fosse stata in classe; non ci diede troppo peso, essendo abituato a quel tipo di reazione: «Tu sei…
«Endou. Sono in classe con Hiiragi.»
«Sei quella a cui ho chiesto di chiamarmi Chiaki l’altra volta, sì.» convenne, giusto per accorciare i tempi, dal momento che dubitava l’altra fosse lì solo per comunicargli come si chiamava. La vide indugiare qualche attimo, dopo il quale raddrizzò la schiena. Sembrava quasi che si fosse convinta che quel che aveva da dire fosse più importante di qualsiasi forma di timidezza o di timore.
«Ho visto che tu e Hiiragi-kun non state più insieme. Quando arrivate o quando andate via da scuola.»
«Non è che siamo andati via insieme così tante volte.» commentò lui seccato. Cos’era, bastava andarla a prendere in classe una volta o essere visto con lei perché la gente si facesse idee contorte e sbagliate?
«Nessuno è mai andato via con Hiiragi-kun a parte te, Kirihara-kun.» lo corresse lei, con un sorriso mite: «Di solito non sono impicciona. Sono brava a capire quando le persone non vogliono che gli si facciano delle domande.» riprese prima ancora che lui potesse ribattere «Penso di aver capito da tempo che tu non sei cattivo, in fondo, come Hiiragi-kun non è soltanto “più matura della sua età” come dicono i professori per spiegare che lega poco con la nostra classe.» affermò, schietta nel parlare, senza nascondere la verità.
Ma Haruki si chiedeva ancora cosa volesse da lui.
«Scusami quindi se vengo a chiederti questo. Non voglio sapere cos’è successo tra voi due, solo se sai come sta di recente.» chiarì «Forse lei non mi considera un’amica, e non posso definirci così nemmeno io, ma è una brava persona. Ho la sensazione che non leghi con noi per paura di… non lo so. È un po’ forte come espressione, ma direi “essere deleteria”.» soppesò, arricciando un poco il naso. Haruki fece per interromperla, ma lei piantò lo sguardo nel suo, mettendolo a tacere come poche persone riuscivano a fare: «Spero che sia tutto a posto. Che lo sia abbastanza da non dovermi preoccupare sul serio. Se la vedi, dille che la sto cercando, mh?» aggiunse, aspettando qualcosa, forse un cenno positivo.
Haruki non gliene diede uno, ma ad un certo punto lei sembrò comunque soddisfatta e si voltò per andarsene così com’era venuta.
Allora Haruki lo vide, avendo il campo visivo libero: uno youkai debole, che aveva incrociato qualche volta per i corridoi, fingendo di non vederlo. Era una massa abbastanza informe, in parte trasparente, come se stesse svanendo nel preciso istante in cui la si guardava. La cosa più definita di quell’essere era una maschera, con due fessure piccolissime al posto degli occhi, e decorata con motivi apparentemente astratti. Non era grandissimo, e rimaneva fermo in un luogo, anche quando gli passavano davanti delle persone.
Ma ora si stava muovendo, e fu questo che fece uscire Haruki dall’aula.

Non aveva nemmeno badato ai corridoi in cui girava, lo sguardo attento e fermo sullo spirito che stava seguendo. Non dava troppo nell’occhio, essendo ancora nel pieno della pausa, studente in mezzo ad altri coetanei che si alternavano in un via vai generale. Nemmeno lo spirito lo aveva notato, e per una volta l’assenza di Shiki era un bene: probabilmente lui sarebbe stato percepito, e come minaccia.
Haruki non era mai stato il tipo da fare pulizia a scuola per un qualche senso del dovere nato dal semplice vedere gli spiriti; tuttavia, con il tempo si era preso almeno la briga di assicurarsi che non facessero danni ai quali – irrimediabilmente – si sarebbe ritrovato in mezzo pur non volendolo. In quei casi li seguiva senza dare segnali sul vederli o meno, fino a che non passavano oltre un muro verso l’esterno o si rifugiavano negli sgabuzzini. A quel punto, tornava sui suoi passi e li abbandonava a se stessi così come aveva iniziato a seguirli; non badava mai troppo a dove andava, se era l’edificio scolastico: non c’erano luoghi in particolare dove la sua presenza avrebbe potuto dare nell’occhio o dove rimanere intrappolati sarebbe stato pericoloso.
Per questo non faceva troppo caso al corridoio in cui camminava, né alla presenza di sempre meno studenti, fino a che non si ritrovò ad essere l’unico a far risuonare i propri passi insieme a una senpai che andava nella direzione opposta alla sua e che incrociò quasi a metà.
Troppo concentrato sullo youkai, impiegò diversi istanti per registrare il suono proveniente dall’aula di musica: quella stanza era sfruttata, lontano dalle lezioni, o dal club omonimo o dagli studenti che approfittavano delle pause per esercitarsi; si trovava in un’ala meno trafficata dei corridoi che ospitavano le aule normali, per cui era il luogo ideale, privo di visitatori e – quindi – di seccatori.
Se Haruki si fermò fu perché anche lo youkai fece lo stesso: galleggiava a mezz’aria, sulla soglia, come se stesse ascoltando. Con discrezione, il ragazzo si accostò alla parete. Forse non era saggio avvicinarsi tanto a uno spirito, per quanto innocuo fosse, ma l’alternativa sarebbe stata piazzarsi davanti all’aula e magari attirare l’attenzione di chi era dentro, agitando lo spirito. Aveva imparato che non era mai una buona cosa.
Tutte quelle elucubrazioni per cui Shiki lo avrebbe preso in giro, tuttavia, furono rese vane dallo stesso youkai che oltrepassò la soglia entrando nell’aula. Haruki attese qualche istante, prima di sbirciare dentro: il suono del pianoforte che proveniva dalla stanza era fluido, una melodia non troppo lenta, ma che non avrebbe definito esattamente allegra. Sembrava il ripetersi della stessa parte, come se chi stava suonando avesse dimenticato il resto della canzone ad eccezione di quel passaggio; poi cambiava, un movimento simile ma con note diverse. Haruki non aveva mai capito nulla di musica, ma se avesse dovuto provare a descrivere quella melodia, avrebbe detto che sembrava un addio, un ultimo saluto ad accompagnare chi partiva per non tornare più.
E quando, finalmente, sbirciò all’interno dell’aula se ne pentì: a suonare era Chiaki, gli occhi attenti sui tasti – e in quel momento Haruki notò l’assenza di uno spartito e che lo spirito l’aveva ormai raggiunta, affiancandola e continuando a guardarla, galleggiando quasi pigramente.
Strinse i pugni, deciso ad andarsene: Chiaki sapeva benissimo cavarsela da sola, quello che le accadeva non era affar suo, e quanto allo spirito non avrebbe comunque creato problemi.
«Dovresti andare.» la sentì pronunciare, e si sporse definitivamente per ribattere che non era lì per scusarsi come poteva sembrare, ma per seguire quello stupido youkai a cui lei era rivolta. E lo capì quando seppe di essere rientrato nel suo campo visivo e la notò irrigidirsi, assumendo l’espressione di chi ha visto l’ultima persona che si aspettava di incontrare.
Fu felice almeno dell’assenza di Shiki: quel malinteso idiota sarebbe stato la sua rovina, altrimenti.
A volersi aspettare una reazione, pensava che Chiaki gli avrebbe intimato di andarsene; lei, invece, tornò con lo sguardo sullo youkai e Haruki seppe di essere appena stato ignorato. O almeno la sensazione avuta era esattamente quella.
La osservò mentre allungava una mano, sfiorando con la punta delle dita quello spirito che, l’istante dopo, si dissolse nel nulla. Non era la prima volta che Haruki li vedeva sparire: non aveva mai saputo se “morire” fosse un termine esatto, quindi aveva sempre sostenuto che si dileguassero e basta, finendo chissà dove. Lo aveva visto succedere con quegli youkai fuori dalla sua portata e di cui era capitato si occupasse Shiki; non era accaduto spesso, ma non era mai stato uno spettacolo piacevole. Haruki non amava gli spiriti, quindi non si sentiva emotivamente legato al concetto di morte o sparizione che fosse, ma gli aveva sempre lasciato addosso una pesantezza che né il riposo né altro riusciva a mandare via per diversi giorni.
Si ridestò notando che Chiaki tremava. Abbassando lo sguardo, la vide stringere i pugni così forte che le nocche erano sbiancate.
Farsi coinvolgere era esattamente ciò che non avrebbe dovuto fare. Eppure, prima di riuscire a comprenderne il motivo, le fu davanti e entrambe le sue mani presero la sinistra di lei, facendo una pressione leggera in un tacito intimarle di smettere di conficcarsi le unghie nei palmi della mani. Lentamente lei rilassò la stretta, inspirando lentamente e buttando fuori l’aria in silenzio; i segni c’erano, ma le unghie non avevano scavato tanto a fondo da ferire la carne. In compenso, ora la mano tremava leggermente e Haruki, nel tenerla nelle proprie senza sapere cosa fare, rimpianse di aver agito d’istinto.
Non era stato per Chiaki. Era stato perché lei gli aveva ricordato quando da piccolo, impaurito dagli spiriti che vedeva, stringeva le mani nello stesso modo nella speranza che il dolore lo svegliasse da quello che credeva fosse un incubo. In quelle occasioni suo nonno si avvicinava e gli teneva pazientemente le mani, rilassando la sua stretta fino a scioglierla, posandogli carezze rassicuranti sia sul palmo che sul dorso, fino a calmarlo.
Haruki, però, non stava facendo lo stesso. Era fermo senza sapere quanto pericoloso fosse, rivolgerle quel trattamento che era per le persone che sapevano prendersi cura degli altri e lenire il loro dolore, una cosa che lui non aveva mai imparato, riuscendo a malapena a convivere con la propria di sofferenza, e facendolo come un animale ferito che per istinto si rivolta verso chiunque.
Era fermo, piegato sulle ginocchia senza aver avvicinato una sedia per sedersi – non sapendo nemmeno lui se volesse trattenersi o meno –, con quella mano tra le sue che fissava, come se la risposta dovesse arrivare da lì.
La sentì contrarsi impercettibilmente e fu tentato di alzare lo sguardo, ma le parole di Chiaki glielo inchiodarono lì dov’era, un po’ a terra e un po’ su quella mano: «Mio padre è scomparso così.»
Haruki non avrebbe saputo dire perché lei gli stesse confidando una cosa simile, dopo quello che lui aveva detto e che lei non aveva che pensato, senza ribattere nulla. La presa del ragazzo si fece più debole, forse con l’intento di lasciarla andare, e lei non si oppose, facendo cadere mollemente le mani in grembo.
«Non è sparito nel nulla, non lo hanno rapito gli spiriti.» chiarì, come se Haruki avesse chiesto spiegazioni che invece non era nemmeno sicuro di voler sentire. Ma Chiaki, incurante delle sue volontà o come se lui non fosse nemmeno lì, continuò a pronunciare quel flusso di coscienza: «Ne aveva percepiti tanti, andare via. E lo aveva raccontato solo a mia zia. Le aveva chiesto di aiutarlo a pensare a un modo per accompagnarli, visto che non potevano esserci lapidi o niente del genere. E allora mia zia scrisse una canzone.» proseguiva guardando le proprie mani, i capelli lunghi che ne nascondevano in parte il volto, impedendo ad Haruki – se anche avesse alzato lo sguardo – di scorgerne l’espressione.
«Pensava che se anche gli youkai non esistevano, avrebbe potuto distrarre mio padre. Che se quelle erano solo fantasie per non sentirsi solo, una canzone lo avrebbe fatto sentire amato, visto che lei l’aveva scritta per lui. Ma mio padre continuava a suonarla anche dopo essersi sposato, e dopo che io ero nata, e… non era solo. Voleva solo dire addio. E quando lo sentivo suonare, mi diceva che stava salutando un vecchio amico: che gli spiriti secondo lui diventavano luce, perché quando qualcuno di loro spariva e lui sentiva l’assenza, poi gli sembrava sempre di vedere un bagliore nella stanza.» continuò a raccontare.
Haruki avrebbe voluto farla smettere, dirle che non le interessava e che non glielo aveva chiesto, ma quando apriva bocca per farlo gli tornavano in mente le scene viste nella sua coscienza, quell’urlo di quando lui e Hideyuki avevano provato a raggiungerla. E allora si sentiva un macigno pesare sul cuore e nello stomaco, e ogni parola rimaneva lì in gola.
«Mio padre non li vedeva e non li sentiva parlare. Avvertiva solo delle presenze, avrebbe potuto ignorarle ma non lo fece mai. Anche se nessuno ci credeva. Anche se tutti pensavano fossero solo fantasie.» Haruki sentì che la voce le tremava e sgranò un poco gli occhi, deglutendo – codardo, non alzava ancora lo sguardo. Ma quando lo fece, fu in tempo per vederla fare lo stesso e sentirsi spingere senza troppa forza, ma con convinzione. Finì sedere a terra, non un grande danno visto che era comunque in una posizione per cui si era trovato vicino al pavimento. Ma l’impatto era più che altro emotivo: di Chiaki non aveva mai visto grossi cambi di espressione, e anche quando le aveva rivolto parole dure e cariche di rabbia a casa di Hideyuki, lei non aveva detto nulla. Ora, invece, aveva gli occhi lucidi – quelli di quando non piangere richiedere uno sforzo enorme, destinato comunque a fallire.
«Mio padre non era un bugiardo!» esclamò «Io ora li vedo, e so che mio padre non ha mai mentito. Lui sapeva che c’erano, e cercava di dirgli addio. E anche se fosse stato uno youkai a portarmelo via, gli esseri umani lo hanno abbandonato molto, molto prima che morisse!» continuò, alzandosi in piedi: «Tu non hai il diritto di biasimarmi per quello che ho fatto. Non ce l’hai, né lo ha quel demone che ti porti dietro, né Hideyuki-san. E io non penso di aver fatto nulla di male. Non mi scuserò con te. Mai.» pronunciò, andandosene via senza nemmeno aspettare una risposta.
Ma Haruki, che guardava dov’era stata seduta fino a poco prima, non avrebbe avuto comunque niente da dire.
Anche le sue mani tremavano.


«La vuoi smettere di seguirmi?!» sbottò Haruki, seccato, le mani in tasca e Shiki che sembrava entrato in sciopero. Era sparito dopo avergli sussurrato all’orecchio che c’era un ospite indesiderato, facendogli anche alzare la guardia convinto che si trattasse di uno youkai, e invece non aveva visto altri che Hideyuki e Shiki non si era più manifestato.
«Hai detto che stai andando ad occuparti di un lavoro, giusto? C’è una cosa che vorrei chiederti, però.» ammise Hideyuki con tono affabile e pacato, affiancandolo come se Haruki non l’avesse invitato per l’ennesima volta a lasciarlo in pace. Il più giovane alzò gli occhi al cielo e sospirò seccato, senza nemmeno impegnarsi a nasconderlo: «Non puoi chiedere e poi andartene?»
«Si tratta di una questione lunga, temo.»
«Allora non sono sicuro di volerla sentire. O puoi dirmela dopo.» tagliò corto, senza far desistere l’altro, visto che non si fermò né diede segno di voler rallentare in alcun modo.
«Se non ti dispiace, vengo con te.» disse Hideyuki, con quel mezzo sorriso sulle labbra che caratterizzava la sua cosiddetta espressione cordiale, che ebbe il potere di irritare Haruki in mezzo secondo. “Se non ti dispiace”, diceva. Come se non fosse palese che non lo voleva in mezzo alle scatole.
Affrettò il passo, con cipiglio contrariato: «Odio avere gente fra i piedi quando lavoro.»
«Il che è curioso, potrei anche darti una mano.» rimbeccò il più grande, come se fosse ovvio che non aveva altra intenzione che quella di aiutare.
«Non ti ho chiesto una mano.»
«Per come la vedo io, non mi chiederesti aiuto nemmeno se uno youkai ti stesse uccidendo lentamente, Haruki. Questo non vuol dire che potrei girarmi dall’altra parte e fingere di non vedere.» fece presente Hideyuki con calma invidiabile, continuando ad affiancarlo, velocizzando l’andatura di pari passo con l’altro.
«Sta’ a sentire.» sbottò fermandosi senza preavviso, fortunatamente senza finire addosso a nessuno visto che non si trovavano in una strada trafficata «Lo so dove vuoi andare a parare. Se ti dispiace per Chiaki, vai a dirlo a Chiaki. Io ho chiuso, non ho intenzione di sentirmi in colpa per nessuno, e—»
«Ti senti già in colpa.» lo redarguì, il tono e lo sguardo più severi, anche se non particolarmente duri: «E ti senti anche in dovere di essere arrabbiato. Diciamo anche che lo capisco, in parte, dal momento che anche io ho una vista naturale, se così vogliamo chiamarla. Ma rispondi a questo: credi che Chiaki, per com’è, potrebbe odiare gli spiriti come li odi tu?» lo interrogò, guardandolo dritto negli occhi.
Haruki non capiva nemmeno dove volesse andare a parare, ma anche senza conoscere la ragazza da più di qualche giorno, quella era una cosa così ovvia dal primo istante in cui avevano interagito da non dover essere nemmeno ponderata più di qualche istante.
«Figurati.» sputò fuori seccato «Quella quasi li preferisce alle persone.» commentò pungente.
«E tu potresti farti piacere gli youkai come fa lei?»
«Mai.»
«Esatto. Perché da te, non so come e non voglio saperlo, si sono fatti odiare. Da lei no. Non puoi pretendere che li odi perché tu lo fai, lei non può sperare che li apprezzi solo perché così li percepisce. Hai le tue esperienze, lei le sue, e se sei convinto che non conti nulla allora sei davvero un ragazzino che ha bisogno più della balia, che di un demone che lo segua.» commentò aspro Hideyuki, sorprendendolo anche, perché non aveva mai usato niente più di un tono vagamente severo nei loro confronti o in loro presenza.
«Sai che il fare da saputello mi sta veramente sul cazzo? Come se—» ma il termine di paragone, qualunque esso fosse, si perse con l’apparizione di Shiki e il suo ringhiare con gli occhi fissi davanti a sé.
In un primo momento, quando entrambi i ragazzi portarono lo sguardo in quella stessa direzione e videro l’unica figura presente, sarebbe stata una scena quasi ilare se vista da esterni: Shiki ringhiava contro Chiaki. Ma la comicità durò ben poco: la ragazza stava correndo nella loro direzione, e lo faceva perché era inseguita da qualcosa.
Bastò uno sguardo a entrambi per riconoscerlo: era lo youkai che avevano visto nella coscienza di lei, quella cosa grande e informe che si era avviluppata ad un frammento di anima della ragazza, stordendoli per il solo aver tentato di tirarlo via e lontano dalla vittima. Sembrava più grande, però, e questo non parve un buon segno a nessuno dei due.
«Ma quel coso non muore mai?!» sbottò Haruki indietreggiando di mezzo passo e addossandosi al muretto alle proprie spalle. Non sapeva se dovesse consolarli, il fatto che al momento non passasse nessuno che avrebbe potuto prenderli per tre pazzi; considerando che la cosa si doveva al loro essere in una zona residenziale in un orario dove le casalinghe erano già rientrate e gli impiegati erano ancora a casa, forse non era poi così positivo. Ci mancava solo che inglobasse qualche casa.  
«Se non lo uccidi direi di no!» rimbrottò Shiki sarcastico – ed in effetti si erano preoccupati tanto delle condizioni psico-fisiche di Chiaki, nonché delle loro, che né lui né Hideyuki avevano mai mosso un dito contro quello spirito se non per allontanarlo dalla ragazza.
Haruki si diede dell’idiota. In tanti anni a contatto con gli youkai si era fatto sfuggire la cosa più importante: se hai fatto infuriare uno spirito, assicurati o che sia sparito per sempre o che sia stato sigillato. Non aveva fatto nessuna delle due cose ed ecco il risultato.
Hideyuki allungò una mano, riuscendo ad afferrare al volo Chiaki per un braccio e tirandola verso di sé; lo spirito sembrò avere riflessi troppo lenti, ritrovandosi ad avanzare ancora per qualche metro per poi fermarsi confuso, come se non avesse la minima idea di dove fosse improvvisamente sparita la sua preda.
In quel breve lasso di tempo, i tre si guardarono.
«Grazie.» pronunciò Chiaki, liberandosi con un gesto lento della presa di Hideyuki: «Posso farcela da sola.» aggiunse.
«Lo escludo.» replicò subito Hideyuki «Se c’è qualcuno che rischia più degli altri, sei tu che sei già stata posseduta, Chiaki.» chiarì, sentendo Haruki sbuffare.
«Stare con voi è veramente una rottura di palle. È per questo che non mi piace la gente che si immischia negli affari degli spiriti: poi succede questo.» sbottò, voltandosi nella direzione dello youkai, Shiki al suo fianco che non aveva mai perso di vista quella creatura che evidentemente gli causava un certo disgusto vista l’espressione che aveva.
«Pensavo che non volessi più avere a che fare con me.» commentò lei, gli occhi sul più giovane e lo sguardo indecifrabile; Hideyuki l’affiancò e guardò a sua volta Haruki: «Vedremo di non starti tra i piedi.» disse «Dopotutto hai detto che non ti serve aiuto, giusto?» lo riprese, riferendosi a quanto si erano detti mentre arrivavano lì.
Haruki gli rivolse un’occhiataccia, ma Shiki ne richiamò l’attenzione visto che lo youkai si stava lanciando contro di loro.
Hideyuki probabilmente non si aspettava di scatenare una cosa simile, rifiutandogli l’aiuto. O forse accadde perché a dispetto di quanto sembrasse innocuo, lo spirito era innegabilmente maligno e per questo tutto tranne che docile. La cosa si era resa evidente quasi subito, specialmente quando Haruki era rimasto ferito, sebbene di striscio, imprecando a mezza bocca. Ciò che ancora di più aveva lasciato basito Hideyuki – e, supponeva, anche Chiaki – era stato il fatto che Shiki fosse rimasto… fermo. Entrambi si erano erroneamente fatti l’idea che il demone fosse una sorta di guardia del corpo, ma a giudicare da come era rimasto e rimaneva ancora fermo, senza intervenire nonostante le evidenti difficoltà di Haruki, dovevano aver male interpretato il loro rapporto.
Ma non avevano ancora capito davvero. E questo fu invece chiaro quando Haruki finì per cozzare contro il muro, il respiro mozzato e del sangue che colava sia dalla tempia – doveva essersi ferito di striscio battendo la testa – che dal braccio precedentemente colpito. Hideyuki aveva lasciato Chiaki e si stava per muovere in avanti, quando Haruki gli sbraitò contro di rimanersene al suo posto.
«Non ho bisogno del tuo aiuto!» gridò infatti, allungando il braccio verso Shiki dopo aver tirato su la manica con l’altra mano; teneva gli occhi sullo youkai e Shiki guardava invece il ragazzo con una luce negli occhi che a Chiaki mise i brividi.
Capì poi perché. Lo comprese quando Haruki pronunciò qualcosa che lei non riuscì a comprendere e il marchio che aveva intravisto sul suo braccio la prima volta sembrò muoversi per qualche strano e inquietante gioco di luci. E quando Shiki incurvò le labbra in un sorriso ferino, posizionandosi alle spalle di Haruki, lei non riuscì a visualizzare subito cosa stesse per succedere; non finché il demone non affondò le fauci nella carne alla base del collo del ragazzo e non sentì quest’ultimo emettere un grugnito dolorante.
Allora e solo allora, tutto acquisì un significato: il marchio, la presenza di Shiki, l’avversione di Haruki per gli spiriti. Era schiavo di un contratto fatto per salvarsi, fatto per tenere lontane creature che non avrebbe mai saputo come combattere – che, senza Shiki, lo avrebbero consumato in ogni modo in cui era possibile consumare l’anima di un essere umano e il suo corpo.
Era il primo a ripudiare quella scelta, ma sapeva di averla compiuta autonomamente; lasciava che un demone si cibasse di lui, gli aveva promesso la sua anima quando sarebbe morto, e questo solo per una vista che non aveva mai desiderato avere.
Sentì le gambe cederle e si ritrovò a scivolare fino a ritrovarsi in ginocchio sull’asfalto, le mani che erano andate a coprire istintivamente le labbra e nascondere la prima, vera espressione che – Haruki lo pensò notandola per puro caso – si addiceva a tutto quello che loro tre potevano vedere: terrore.
«Finalmente.» mormorò, guardandola lì a terra, a niente più di una manciata di passi da lei. Quando Chiaki ne vide il sorriso rassegnato e lo sguardo vuoto, non seppe dire se fosse per quello che leggeva sul suo volto o per la consapevolezza che alle proprie spalle Shiki si cibava di uno spirito con una brutalità difficile da immaginare senza averla mai vissuta davvero.
Seppe solo che un conato la costrinse a voltarsi da un lato, riempiendole la bocca di un sapore orribile.
«Finalmente hai paura.»

 

 

 

 

Le mie indegne tempistiche non sono più un mistero per nessuno, ahimé.
Purtroppo rimarranno tali – troppo lavoro e una laurea che si avvicina, ma confidate che questa storia vedrà la parola fine.

La citazione in apertura è della canzone “The Everlasting Guilty Crown” degli Egoist (seconda opening dell’anime Guilty Crown).
Ci tengo a dire che Haruki è davvero una persona orribile. *ride*

   
 
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