Nota dell'autrice:
Questa storia è stata scritta per la Sfida "Twilight: Il
Predatore e la sua Preda" indetta su Writers Arena, e gareggia contro
una storia di Elyxyz. Il tema della sfida è la caccia, da
interpretare come meglio si desidera. Ho scelto di giocare molto sulla
contrapposizione preda-predatore, come suggerito dal titolo della
Sfida. La mia scelta di questo particolare episodio da raccontare
deriva soprattutto dal fascino che questo momento nella storia della
famiglia Cullen ha per me, soprattutto perché amo molto il
rapporto tra Edward e Carlisle. La decisione che Edward prende alla
fine della storia potrebbe, forse, sembrare un po' affrettata, ma in
realtà ho immaginato che l'episodio da me raccontato sia
soltanto l'ultima goccia che convinca il vampiro a fare una scelta che,
in realtà, era già dentro di lui da tempo. Se ne avete
voglia, fatemi sapere che ve ne pare!
La preda perfetta
Non ci riusciranno. Non mi prenderanno mai. Sono troppo stupidi per
farcela, la farò franca ancora una volta.
Eccone un altro. Era incredibile
quanto fosse semplice trovare delle prede perfette in quella città. Edward si
trovava lì da più di due mesi, ormai, e non passava giorno che non incrociasse
per strada individui i cui pensieri fossero in sintonia con ciò che cercava,
con ciò che cacciava. Bastava fare una passeggiata durante la notte per
imbattersi nei “brutti ceffi”. Certo, non doveva farsi prendere dalla fretta e
dalla sete. Prima di scegliere il proprio nutrimento, doveva accertarsi che si
trattasse proprio di quella tipologia
di persone. Sapeva bene che un solo pensiero non esattamente puro non
costituiva la prova che si trovasse di fronte a gente talmente corrotta da meritare la sorte che il vampiro aveva
in serbo per loro. Molti esseri umani non potevano essere classificati
facilmente, ed Edward, nel dubbio, preferiva lasciare andare per la loro strada
quelle persone per le quali riusciva a intravedere anche solo un barlume di
speranza, una minima possibilità di redenzione. Non era il caso dell’uomo che
aveva puntato quella sera, comunque, i suoi pensieri raccontavano una lunga
sequela di infami delitti e non una singola stilla di pentimento albergava in
lui. Edward si concesse qualche minuto per esaminare l’aspetto di quell’uomo,
che percorreva la strada semideserta nella direzione opposta alla sua. Era alto
e robusto, quasi completamente calvo, l’espressione del viso minacciosa e torva
pure in quel momento in cui stava semplicemente camminando per strada. I pochi
esseri umani ancora in giro a quell’ora tarda gli lanciavano occhiatine
impaurite di sottecchi e cambiavano direzione all’ultimo momento pur di non
incrociare il loro cammino con il suo. L’uomo si compiaceva della paura che
riusciva ad incutere nei suoi simili, mentre la mente ancora riviveva il feroce
delitto compiuto solo qualche ora prima. Si era appena disfatto del cadavere e
già pensava alla sua prossima vittima, una giovane donna dai capelli rossi che
Edward riuscì a distinguere in maniera nitida tra i pensieri osceni e
raccapriccianti di quell’essere disgustoso.
Ogni tanto capitava di incontrare
feccia del genere. Sicari, professionisti che uccidevano “su commissione”,
soltanto per denaro. Dalla loro parte non c’era nemmeno la pallida
giustificazione di delitti compiuti per rabbia o per vendetta. Agivano a sangue
freddo, guardando negli occhi la loro vittima e senza provare il minimo
rimorso. Non sapevano cosa fosse il pentimento, non erano capaci di provare
empatia, e talvolta non si limitavano solo a uccidere, ma infierivano senza
alcun valido motivo sulle loro vittime innocenti. Proprio come quell’energumeno
stava in quel momento pensando di fare con la donna dai capelli rossi.
A volte la capacità di leggere nel
pensiero era una vera maledizione. Edward detestava poter vedere così
chiaramente in menti come quella, lo disgustavano. Uomini come quell’assassino
non meritavano di vivere, anzi la loro morte era necessaria, perché vite
innocenti potessero essere risparmiate. Loro, assassini, predatori della
peggior specie, erano le prede perfette per la caccia del vampiro solitario e
assetato, la cui coscienza non permetteva di uccidere uomini e donne innocenti.
Edward si sarebbe nutrito del sangue di quell’uomo, dando la giusta punizione
ad un essere indegno, e la giovane donna e tutte le future potenziali vittime
sarebbero state salve, avrebbero continuato a vivere ignare del pericolo che
avevano corso. Era giusto che andasse così.
A volte, quando nel cuore della
notte, nel bel mezzo di una strada completamente deserta, i dubbi lo
assalivano, Edward riusciva a scacciarli pensando alla propria condizione sotto
quella prospettiva. Era un dannato, un essere senz’anima, completamente solo da
quando aveva abbandonato Carlisle ed Esme, ma almeno aveva uno scopo. Faceva
qualcosa di buono, qualcosa di giusto. Salvava la gente, impediva che si
compissero delle atrocità. Sapeva che non era abbastanza, che niente era
abbastanza. Non si illudeva, come Carlisle, che il comportamento di un vampiro
potesse fare la differenza.
È inutile sperare quando si è già
dannati, era questo che Edward continuava a ripetersi. Che aveva detto tante
volte a Carlisle.
Eppure, la consapevolezza che da qualche
parte, su quel pianeta smisurato che per un immortale diventava più piccolo
giorno dopo giorno, ci fosse qualcuno che conduceva un’esistenza felice grazie
a lui, al suo operato, lo rincuorava. Nutrirsi di quelle prede costituiva un
doppio guadagno, da un lato per se stesso, per la sua sete che veniva
soddisfatta in maniera decisamente migliore con sangue umano, e dall’altro per
quegli esseri umani che non sapevano nemmeno di aver rischiato di venire
brutalmente assassinati. Certo, non sapevano nemmeno niente di lui, nessuno al
mondo provava riconoscenza per un vampiro che agiva col favore delle tenebre,
ma questi dettagli ad Edward non importavano. Doveva sfruttare il dono che gli
era stato fatto al momento della trasformazione, la capacità di leggere le
menti altrui. In primo luogo per se stesso, perché anno dopo anno sentiva che
lo stile di “vita” che Carlisle gli aveva inculcato non gli sarebbe appartenuto
mai del tutto. Non aveva idea di come l’altro vampiro facesse a resistere
all’odore invitante del sangue umano, sembrava avesse un dono innato tutto suo,
un dono che invece Edward non possedeva affatto. Quell’esistenza di privazioni,
lo sapeva, avrebbe finito per incrinare il suo rapporto con Carlisle,
nonostante l’immensa ammirazione che provava nei suoi confronti. Le loro
discussioni, anche se molto pacate nei toni, poiché Carlisle aveva davvero
un’incredibile capacità di ascoltarlo, erano sempre più frequenti nel periodo
immediatamente precedente alla decisione di Edward di separare la propria strada
da quella della sua famiglia.
Carlisle aveva cercato fino alla fine
di persuaderlo a rimanere con loro, ma invano, poiché l’istinto mai del tutto
soppresso del vampiro assetato di sangue umano aveva avuto il sopravvento ed
Edward se ne era andato. Il sangue degli animali non era più sufficiente e
cominciava ad attribuire a Carlisle la colpa di quella vita di stenti, di
repressione. Di quella vita che sempre di più gli sembrava in contrasto con la
sua natura.
...
“Io ho deciso, me ne vado. Non posso più continuare in questo modo.”
Lo sguardo colmo di rammarico di Carlisle, nell’udire quelle parole, non
era niente, niente in confronto all’angoscia dei suoi pensieri. L’affetto
dell’altro vampiro nei suoi confronti era sincero e disinteressato, Edward poteva
chiaramente sentirlo tra le pieghe della sua mente. Carlisle non avrebbe mai
voluto che il vampiro più giovane soffrisse in quel modo, ma non poteva, al
tempo stesso, insegnargli a vivere in una maniera diversa dall’unica che
riteneva giusta.
Edward sapeva che le sue intenzioni erano nobili, anche per questo doveva
andare via. Perché Carlisle non soffrisse e non provasse vergogna di lui,
vedendolo nutrirsi di sangue umano. Non poteva restare senza abbracciare per
sempre il suo stile di alimentazione. E non poteva rinunciare all’istinto
ancora a lungo, perché sapeva di non essere nobile come Carlisle.
“Mi dispiace, Carlisle. Non ci riesco. Ho paura di perdere il controllo
da un momento all’altro, di assalire degli innocenti. Invece...”
“Non accadrà, Edward, ti aiuterò io! So che è difficile, ma insieme...”
Ignorando le parole di Carlisle e la tacita preghiera di quella mente che
solo a lui era concesso di sentire, Edward proseguì:
“Invece, sfruttando la mia capacità, posso agire con senno. Posso scegliere
con cura le mie prede,” finse di non vedere Carlisle che abbassava lo sguardo
alla parola “prede”, che Edward aveva volutamente scelto di utilizzare, “Posso
nutrirmi senza uccidere degli innocenti... posso addirittura fare...” il volto
di Edward si contrasse in una smorfia, nemmeno lui credeva fino in fondo alle
proprie parole, anche se non ne era pienamente consapevole, “Del bene.”
Carlisle sollevò lo sguardo. I suoi occhi, come sempre, erano lo specchio
perfetto della sua indole gentile e compassionevole, anche se il tono della
voce era più duro del solito. Le sue parole esprimevano perfettamente i
pensieri che gli attraversavano la mente in quel momento, anche se Edward non
avrebbe avuto bisogno di quella prova per essere certo della schiettezza del vampiro
che lo aveva creato.
“Non è così, Edward. Non è questo il modo giusto di utilizzare la tua
capacità. Non macchiandoti del sangue di esseri umani, per quanto vili e
corrotti. Nessuno ha il diritto di ergersi a giudice del loro comportamento,
nemmeno noi immortali. E lo sai bene, Edward, so che lo sai. Nemmeno tu credi
alle tue parole.”
Fu Edward, stavolta, ad abbassare lo sguardo. Ma per lui non era
sufficiente non vedere Carlisle per ignorare quello che stava provando. La
preghiera dell’altro vampiro echeggiava dolorosa nella sua mente e non poteva
impedire a se stesso di ascoltarla. Un pensiero, in particolare, attirò la sua
attenzione, facendolo riflettere.
-Io non ho la tua dote, Edward. La mente di chi mi sta davanti non è un
libro aperto, per me. La tua mente, d’altro canto... la tua mente riesco a
sentirla.-
Era la verità. Nessuno lo comprendeva come Carlisle. Era il suo solo
appiglio in quell’esistenza maledetta, era la forza del bene fatta corpo che
gli urlava di avere fede. Di aggrapparsi a quella speranza che negava di
nutrire anche allo stesso Carlisle, ma che era lì. Relegata in un angolo della
sua mente, abbandonata a se stessa per la maggior parte del tempo, perché
contemplarla era troppo doloroso. Se quella speranza di redenzione, quella
speranza che spingeva Carlisle a credere in qualcosa di ultraterreno anche per
i vampiri, si fosse rivelata vana, sarebbe stato ancora più doloroso. Molto
meglio non illudersi, era questa la conclusione a cui Edward era arrivato.
Perciò aveva deciso di seguire l’istinto, per quanto gli dispiacesse
allontanarsi da Carlisle si trattava di una separazione necessaria. E
d’altronde, non era nemmeno l’unico motivo. Carlisle aveva finalmente trovato
una compagna, era felice con Esme, Edward era sempre intimamente stupito di
quanto fossero forti i sentimenti che percepiva nella mente di lui in presenza
della donna vampiro. E che al tempo stesso percepiva in Esme nei confronti di
Carlisle. Il loro legame era qualcosa di forte, qualcosa di puro... qualcosa
che a Edward non era concesso provare. E, doveva ammetterlo, un po’ li
invidiava. Invidiava quel rapporto esclusivo che c’era tra di loro, e non
poteva fare a meno, di tanto in tanto, di sentirsi scomodo. Di sentirsi di
troppo. Loro erano una famiglia e avevano tutto il diritto di condurre in pace
la loro esistenza. Senza l’ingombrante presenza di un vampiro che non riusciva
a reprimere il desiderio di bere sangue umano.
Ormai aveva deciso, se ne sarebbe andato. L’affetto di Carlisle e le
suppliche di Esme non l’avrebbero trattenuto.
...
L’odore del sangue cominciava a
prendere il sopravvento sulla parte razionale della mente, mentre la gola
ardeva più forte via via che la preda si avvicinava. Lo sguardo quasi famelico
dell’assassino umano non era nulla a confronto di quello del vampiro. Edward si
fermò, lasciando che fosse il predatore divenuto preda a completare il percorso
che l’avrebbe condotto alla sua giusta punizione. Era difficile resistere ora
che il sangue che l’avrebbe dissetato era così vicino, ma doveva riuscirci,
cosicché nel frattempo l’ultimo ignaro viandante si allontanasse abbastanza per
non accorgersi di nulla. Non lasciare testimoni del proprio operato era
imperativo per un vampiro.
Edward riuscì a distinguere l’esatto
momento in cui l’assassino si accorse della sua presenza, parzialmente celata
dalle tenebre di quella notte senza luna. L’uomo si fermò a guardarlo,
stupendosi del brivido che percorreva la sua schiena, ed Edward sentì i suoi
pensieri aggrovigliarsi frenetici nella percezione istintiva del pericolo. Mosse
un passo indietro, incerto, mentre Edward, avvolto dall’istinto predatore, si
muoveva verso di lui scoprendo i denti. Il vampiro aveva oltrepassato il punto
di non ritorno, in quel momento non avrebbe potuto fermarsi nemmeno se, per
assurdo, lo avesse desiderato. Una frazione di secondo e fu addosso all’uomo,
che non ebbe il tempo di gridare, che non si rese conto di quanto stava
accadendo, finché non sentì il dolore acuto del morso del vampiro sulla carne
tenera del collo. Incurante della sofferenza dell’uomo il predatore si
concentrò nella soddisfazione del proprio bisogno, sorreggendo la preda che a
poco a poco si accasciava perdendo le energie. I pensieri della vittima
agonizzante erano solo un’eco lontana per il vampiro intento a nutrirsi, non
era difficile ignorarli. Almeno finché una singola, nitida immagine non catturò
la sua attenzione. Non era la donna dai capelli rossi di cui l’uomo stava
pianificando la morte fino a pochi istanti prima. Si trattava dell’immagine di
una bimbetta, in lacrime, con le braccine levate verso l’alto. Edward tentò di
ignorarla, ma cominciava a diventar difficile man mano che il sangue scendeva
lungo la sua gola e l’istinto, saziato, lasciava il posto alla ragione.
Nonostante gli sforzi del vampiro, un pensiero dell’uomo, potente, urlato,
sofferto, si sovrappose a quell’immagine, diventando per un brevissimo istante
il pensiero di Edward.
Perdonami, figlia mia.
Con quella preghiera nella mente,
l’uomo morì, tra le braccia d’acciaio del suo aguzzino. Edward lasciò cadere la
carcassa dissanguata e, in piedi dinanzi ad essa, non riuscì a distogliere lo
sguardo. Nell’ultimo istante di quella sua vita maledetta, di quella esistenza
macchiata della più atroce infamia, l’uomo non aveva pensato al dolore
terribile che stava provando. Il suo pensiero era corso a quella figlia, abbandonata
chissà quanti anni prima, perché d’intralcio ai suoi sordidi affari.
L’assassino aveva visto nella sua
mente la figlia in lacrime e, per un istante, uno zampillo di luce era guizzato
tra le tenebre della crudeltà e della corruzione.
Possibile che quell’uomo, se avesse
vissuto più a lungo di quanto lui, vampiro assetato, non gli aveva concesso, si
sarebbe... redento? Si sarebbe salvato?
Nessuno ha il diritto di ergersi a giudice del loro comportamento,
nemmeno noi immortali.
Le parole di Carlisle risuonarono
nella sua mente, assumendo un significato del tutto nuovo. Il suo creatore, il
suo mentore, suo padre... aveva
ragione. Per quanto quell’uomo fosse stato meschino, crudele e corrotto, forse
poteva ancora cambiare. Eppure, se l’avesse lasciato andare, che ne sarebbe
stato della donna dai capelli rossi, e di tante altre dopo di lei? Quell’uomo
aveva forse il diritto di vivere più di quanto non lo avessero le persone
innocenti che avrebbe ucciso? Edward non sapeva rispondere a quella domanda. E
ciò non faceva che confermare la verità nelle parole di Carlisle. Non poteva
ergersi a giudice, non poteva scegliere chi punire e chi risparmiare, se non
era in grado nemmeno di trovare risposta a quel quesito. Ed un’altra domanda,
ancora più accorata, più intensa, si fece strada in lui. Se esisteva speranza
per uno come quello, per un assassino di professione, possibile che non ne esistesse
anche per lui? Per Carlisle?
Edward scosse la testa. Anche a
quella domanda non sapeva trovare risposta, per quanto si sforzasse. Magari non
era ancora il momento, magari, chissà, un giorno ci sarebbe riuscito, il tempo
a disposizione, dopotutto, non mancava. Nel frattempo, però, c’era qualcosa che
doveva fare, qualcosa che lo avrebbe avvicinato alla verità, anche se Edward
non se ne rendeva pienamente conto, ancora.
Doveva ritornare dalla sua famiglia.
E da Carlisle.
FINE