Eh eh… Chi non
muore di rivede. O si rilegge, se
proprio ci sentiamo in vena di pignolerie. Fatto sta che dopo
un’assenza
apparentemente interminabile - perché sì, mai
più avrei pensato di tornare a
scrivere fic sui gazemen o chi per loro -, eccomi qui, e con uno spin
off,
perdipiù!
È che so che vi
mancava un certo Takanori. Quello di TEENAGERS,
per la precisione.
Buona lettura.
THE ONLY LOVE I’VE
EVER KNEW I THREW IT ALL AWAY.
L’altro giorno
stavo pisciando e mi è venuto in mente Ryo. Avete presente,
quello che avevo
mollato, quella volta… Il biondino. Adesso mi viene il
dubbio di non avervi
detto che era biondo. Va be’, fatto sta che mi succede
spesso, di realizzare le
cose o che il mio cervello si tuffi in riflessioni sulla vita, mentre
piscio.
Alla gente di solito capita sotto la doccia, magari mentre si fa lo
shampoo, non
so perché a me no.
Insomma, mi è
venuta in mente quella notte che avevo passato con lui,
l’ultima, e nel mio
stomaco c’è stato un movimento strano. Ho avuto
una sensazione come se mi
dispiacesse di non averlo più attorno. Come se fosse un gran
peccato che fosse
finita, e mi è venuto spontaneo domandarmi cosa fosse
successo. È inusuale, lo
so, ma era proprio come se non ricordassi, non ero in grado di
richiamare alla
mente il motivo per cui avevo deciso di mollarlo.
Ricordavo che non
riuscivo a dormire, e che a una certa ero balzato in piedi senza
neanche
preoccuparmi di non fare rumore. Avevo rovistato nei cassetti della
scrivania
alla ricerca di un pezzo di carta e, una volta trovata una penna che
scrivesse -
non so perché, ma Ryo aveva l’abitudine di
affezionarsi alle penne e non le
buttava mai via una volta che erano scariche, né le metteva
da parte, cosicché
era praticamente impossibile trovarne una che funzionasse come Dio
comanda -,
avevo iniziato a trascrivere i miei pensieri sconclusionati,
probabilmente
nella speranza di mettermi ordine in testa e di riuscire finalmente a
chiudere
occhio.
Una cosa di cui
ero certo, è che il foglio non gliel’avevo
lasciato. Non ha mai nemmeno saputo che
c’è stato, un qualcosa di scritto, tra me e lui,
quella notte. Allora, una
volta finito di sbrigare le faccende private mie e del mio apparato
escretore, sono
andato a rovistare in ogni angolo possibile e immaginabile della mia
stanza,
finché non l’ho trovato.
“ Puoi sentirlo?
Il mio stupido cuore battere come un pazzo - ed incessantemente, perdipiù -, riesci a sentirlo?
Perché,
vedi, sto cercando di convincermi che sia questo, il motivo per cui non
riesco
a dormire, ma non ce la faccio proprio, a mentirmi
così spudoratamente; e, come se non bastasse, ‘sto
silenzio è
come una fottuta bolla in cui ogni sensazione è amplificata
all’impossibile, e
se tendo bene le mie stramaledette orecchie posso sentire perfino
l’ansia strisciare nel
casino in cui ho lasciato
la stanza - la tua stanza, poi. Ho
gli occhi talmente sbarrati che ho paura i bulbi mi cadano da un
momento all’altro
facendo un casino della Madonna e svegliandoti - cosa che, in
realtà, non
sarebbe poi così male, perché forse riusciresti a
farmi sentire meno solo; e
invece è proprio l’ultima cosa che voglio, averti
vicino. E poi, Dio!, respiri
così maledettamente
rumorosamente che mi stai mandando fuori di testa, giuro. Te lo stai
gustando
proprio, eh?, il tuo stupido sonno.
Mi sembra quasi che ti stia prendendo gioco di me e non hai idea di
quanto
tutto ciò mi faccia incazzare. Cristossanto, il cervello
deve essermi partito
una volta per tutte, se me la sto veramente
prendendo con te perché respiri.
È che,
semplicemente, all’improvviso realizzo che non ho
null’altro da offrirti, se
proprio vogliamo essere sinceri. Se proprio dobbiamo.
E questa cosa me la fa quasi fare addosso, per tanto è
inaspettata. Dal nulla realizzo
che tutte quelle certezze su cui ho basato il mio sentimento per te,
sono
proprio il motivo di tutto il groviglio di pensieri che ho in testa da
quando
nella mia vita ci sei anche tu, ed è fastidioso in modo che
non puoi capire,
averti affianco, in questo momento. Vorrei quasi svegliarti, dirti che
è finita
e mandarti a casa, ma poi mi ricordo che tu
sei a casa. Sono io quello nel luogo sbagliato, come
sempre, se proprio devo dirlo. Ma la vuoi sapere una cosa
buffa? Questa è proprio da pisciarsi addosso dal ridere, te
lo giuro: una volta,
guardandoti, ho pensato che l’ultima cosa possibile al mondo
fosse che qualcuno
ti ferisse. Giuro! So che è sdolcinato e che non
è per niente da me dire una
cosa simile, ma non ti dico una balla quando affermo che la sola idea
che
qualcuno fosse riuscito nell’impresa mi faceva sentire
schifato, era qualcosa d’insopportabile
e... Ora, invece, mi rendo conto che è una cosa inevitabile
e che, questa
volta, sarò proprio io a sferrare il colpo di grazia. Ma
senza grazia, perché
sono uno povero stronzo e nulla di più, e questo lo sappiamo
entrambi molto
bene.
Sul serio, lo
riesci a sentire adesso? Giuro che non la smette, non ce la posso fare.
Ho la
fottuta paura che da un momento all’altro salti per aria come
un povero Cristo,
e i miei occhi non si decidono a posarsi su un punto che sia uno - e fissarlo fino a sanguinare,
anche, se fosse necessario. Lo preferirei, dico sul serio, mi sento che
sto
andando totalmente fuori di testa e vorrei solamente dormire e
annullare
completamente il rave party di
pensieri che va avanti nella mia testa, ma non c’è
modo né di zittirli, né di
capire cosa vogliono da quei pidocchiosi che mi ritrovo per neuroni. Mi
dispiace di averti illuso, non era mia intenzione. Mi dispiace di
ferirti,
sappi che non ti ho mai mentito.
Ma, vedi, non
sono in grado nemmeno di mettere insieme un discorso lineare e di senso compiuto - od uno che abbia almeno uno dei due requisiti -, come
posso pretendere di riuscire ad amare qualcuno? Quando sono a malapena
capace
di voler del bene per me stesso, poi? Per un momento, uno soltanto, mi
sono
illuso che tu fossi diverso, che tu fossi speciale. Invece non
è così, ma un
attimo è bastato per farmelo credere per settimane. Forse,
semplicemente, ho
pensato di essere io come tutti gli altri e di essere capace di tanto
altruismo, rinunciare a un po’ del mio spazio per permettere
a qualcuno di
avvicinarsi un po’ di più. E non è
neanche che mi sento soffocare, è questo il
punto!, ciò che mi manda tanto in crisi al momento. Io non
lo so cosa c’è che
non va in te. O, meglio, lo so, ma
se
messo a confronto con ciò che non va in me, è
quasi zero, giusto un pelino
sotto, diciamoci le cose come stanno. E lo so che sembra assurdo da
pensare
perché viviamo in una società che ci bombarda di
storie sulle anime gemelle eccetera
eccetera ancora prima che possiamo essere definiti embrioni,
ma io non sono proprio fatto per stare con qualcun’altro.
Ed è questo il motivo per cui ora ti ritrovi come un cane
abbandonato in un
giorno di pioggia abbondante. E mi dispiace, giuro che mi dispiace, ma
non c’è
niente che possa farci. E con questo intendo dire che possiamo
farci, chiaramente.
Mi sento come uno
di quei poveracci nelle sitcom che se ne escono con le solite frasi
fatte. Non sei tu, sono io, e via
discorrendo. Diossanto,
se solo quelli che scrivono copioni scadenti contenenti battute del
genere
sapessero in che situazione di merda mettono quelli che si ritrovano
sul serio
a pensare frasi così, sarebbe da far loro causa. Non
scherzo, hanno abusato in maniera
assolutamente villana di tale
affermazione, che ha
perso tutta la drammaticità di cui originariamente era
intrisa. È uno schifo,
lo giuro. Dio quanto mi fa incazzare, ho quasi voglia di mettermi a
cercare un
avvocato.
In ogni caso… Non
è colpa tua, sul serio. All’inizio, sai, di te mi
piaceva proprio che riuscissi
a starmene immerso in me stesso pur trovandomi in tua compagnia.
Riuscivo allo
stesso tempo a perdermi nella vastità sconfinata del mio
vuoto interiore e seguire te e
sentirti familiare,
sentirmi a casa. Poi, però, ho smesso di riconoscere me
stesso, ma mi sono
detto che poteva essere una cosa buona, del tipo che stavo
semplicemente cambiando,
crescendo, e quelle stronzate del
genere che piacciono tanto ai genitori, hai presente. Oh, oh! Senti
qua: avrei imparato a conoscere il nuovo me!
Pazzesco,
no? E tutto perché c’eri tu, e avevi scelto di
stare con me e il non esattamente
lieve bagaglio di miei difetti.
E lo pensavo sul
serio. Ciononostante, la sensazione che ci fosse qualcosa fuori posto
cresceva
a dismisura, ma mi dicevo che era solo la novità, a farmela
provare. Ho
ignorato i segnali - li ho proprio ignorati!
-, e ora non posso lamentarmi della violenza con cui la
verità mi è piombata in
faccia. Ma sai che non c’è nessuno a cui piaccia
lagnarsi tanto quanto piace a
me, per cui eccomi a scarabocchiare i miei pensieri sconnessi su un
pezzo di
carta che non avrò mai il coraggio di lasciarti sotto mano -
figuriamoci se
metterei mai così tanto
a nudo me
stesso, è patetico anche solo pensare che una cosa simile
sia possibile.
In ogni caso, per
fartela breve, non è colpa tua, perché non sei tu
che mi hai chiesto di
cambiare, né hai mai provato ad apportare dei cambiamenti
sulla o nella mia
pidocchiosissima persona. Ho fatto tutto di testa mia, e come al solito
ho
fatto un gran casino. È che ogni giorno che passava mi
piacevo sempre meno.
Ogni giorno che
passava, mi mancavo sempre più.
Ed è per questo,
che ora mi perdo in più o meno vorticosi giri di parole che
vorrebbero finire
con un “ciao”.
Ma sono un gran
codardo, e lo sappiamo bene entrambi. ”
Allora mi sono
ricordato.
Mi sono ricordato che volevo veramente solo del bene per lui e che io non lo ero.
Quasi
dimenticavo: dedico questa fic a morning
star, perché lei c’era. Proprio qui,
al mio fianco, quando tutto ha avuto inizio. (Dio, mi domando
perché devo
essere così negata nello scrivere dediche – Ah. Ma
lo so.)