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Autore: daisyssins    10/10/2014    9 recensioni
"...Le sembrava quasi impossibile non dare “troppo peso” ad una persona come Luke Hemmings, perché certe persone, quando ti entrano dentro, non è che tu possa farci un granché. Lei lo odiava, non aveva mai odiato tanto una persona quanto lui, sapeva chi era, aveva paura di lui, una fottuta paura, perché le ricordava tutto quello da cui stava scappando."
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«Sei strana. E sei bellissima» sussurrò lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, facendo scorrere le dita tra i capelli corti della ragazza.
Phillis sbottò in una breve risata sarcastica, prima di «E tu sei matto.» rispondere divertita.
«Io sarò anche matto, ma tu resti strana. E bellissima.»
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«Luke, ho paura, stai perdendo sangue..»
«Ancora non te l'hanno insegnato, Phillis? Il sangue è il problema minore. E' questo ciò che succede quando cadi a pezzi.»
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La verità ha un peso che non tutti, e non sempre, hanno la forza di reggere.
Trailer Pieces: https://www.youtube.com/watch?v=vDjiY7tFH8U&feature=youtu.be
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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2. How's your dad?


Phillis ordinò i libri nel suo armadietto, prima di avviarsi nell’aula in disuso del secondo piano. Aveva dovuto salutare Lucy, accordandosi con lei per vedersi quella sera stessa a casa della rossa. Lei, a differenza della sua amica, avrebbe dovuto passare ancora un’ora nel suo inferno personale. Le era stato chiesto dal professore di scienze applicate di prendere parte ad un progetto di recupero, in cui ogni alunno più portato in una materia specifica avrebbe avuto l’opportunità di aiutare qualcuno di meno abile. Lei, in quella che loro chiamavano “opportunità”, ci vedeva solo un bello schifo: prendere parte al progetto avrebbe significato perdere ogni giorno un’ora in più degli altri a scuola, in un’aula polverosa, ad insegnare ad un ipotetico ragazzo meno “abile” concetti di cui, con tutta probabilità, non gli interessava pressappoco nulla. La ragazza sospirò di stanchezza, portando automaticamente gli anulari a stropicciare gli occhi; poi, dopo aver imprecato mentalmente per l’ennesima volta, si decise a varcare la porta dell’aula buia. Era ancora vuota, nonostante lei avesse tardato di cinque minuti, il che la diceva lunga sulla voglia di chiunque fosse il suo ‘allievo’ di passare quell’ora con lei e le scienze applicate.
Si avvicinò alla finestra dopo aver posato la tracolla sulla cattedra, dando le spalle alla porta per poter osservare il cortile esterno. C’era ancora qualcuno che perdeva tempo davanti alla scuola, gente a gruppetti che chiacchierava, rideva e scherzava spensierata. Tanto la scuola, per loro, era finita, e prima di 24 ore non avrebbero rimesso piede lì dentro. Phillis sbuffò e pensò che anche lei, in un altro momento, sarebbe stata lì sotto il sole in compagnia di Lucy; diede uno sguardo al solito muretto accanto alle scale dove erano solite sedersi, e notò che era comunque occupato. Conosceva le quattro figure sedute lì, a far dondolare le gambe svogliatamente, come se tutto ciò che succedeva attorno a loro non li toccasse davvero. Conosceva i capelli blu e neri di Michael Clifford, le immancabili bandane di Ashton Irwin, i sorrisi di Calum Hood. L’unica persona di cui non sapeva nulla, e della quale comunque non avrebbe voluto sapere nulla, era Luke Hemmings. Quasi calamitato dallo sguardo insistente di Phillis - il cui cuore aveva perso un battito, per poi ricominciare la sua corsa sfrenata – il ragazzo alzò la testa e in quel momento la vide. La bionda si scostò immediatamente dalla finestra, avvicinandosi alla cattedra per appoggiarsi ad essa con i palmi aperti delle mani. Prese un profondo respiro e chiuse automaticamente gli occhi per calmarsi, dandosi mentalmente della stupida. Erano passati anni da quell’evento, era solo una bambina all’epoca e probabilmente Hemmings neanche ricordava quel giorno, e di sicuro neanche sapeva che lei fosse lì. Era certo che, se mai fosse riuscito a leggere il panico che invadeva la ragazza ogni volta che i loro occhi si incontravano anche per sbaglio, avrebbe pensato di lei che fosse pazza. Ma cosa poteva farci lei, se ogni volta che la figura del biondo le si parava davanti, i ricordi la annientavano completamente? Era sempre stata così, Phillis: una ragazza normale, nella media, forse un tantino troppo orgogliosa o spavalda, ma capace di farsi buttare giù dai fantasmi del passato. Soprattutto quando quei fantasmi ti si presentavano davanti in carne ed ossa continuamente, in un continuo promemoria.
Solo quando fu sicura di essersi calmata la ragazza si allontanò dalla cattedra, tornando a volgere lo sguardo al cortile al di là della finestra. Il muretto, notò, adesso era vuoto. Passarono pochi attimi prima che la porta dell’aula cigolasse, e dei passi annunciarono una nuova presenza nell’aula. Phillis non si voltò nemmeno a guardare chi fosse lo sfigato a cui avrebbe dovuto dare una mano, partendo già in quarta.
“Non so chi tu sia, ma una cosa la so di sicuro: io non piaccio a te, e di certo tu non piaci a me” iniziò perentoria, con un tono autoritario che non credeva le appartenesse. “Però, siamo comunque costretti a passare quest’ora giornaliera insieme, con il risultato – si spera – che tu non venga bocciato. Quindi…” fece una pausa, voltandosi finalmente verso il suo interlocutore, e quando alzò lo sguardo restò impietrita. Si congelò sul posto lì, seduta stante, sentendo il coraggio venirle tristemente meno. E Luke Hemmings era lì, che la guardava con quel sorrisetto spavaldo, il sorriso di chi la sa lunga sul proprio avversario. Un po’ come un predatore sicuro di sé che osserva la sua preda, giocando con lei come il gatto col topo.
“Vai avanti, ti ascolto. Mi piaceva il tuo discorso, era molto… Io sono qui e tu sei lì, per intenderci” la canzonò ironicamente, inarcando le sopracciglia. E Phillis avrebbe voluto ribattere che no, non si erano intesi affatto, che se voleva parlare per enigmi avrebbe potuto instaurare un dialogo con la professoressa di filosofia, non con lei, che lì era per insegnargli le scienze applicate. Ma non disse niente di tutto ciò: si limitò a guardare il ragazzo con occhi sbarrati e un’aria che, probabilmente, risultava parecchio ridicola.
“Allora? Hai perso la voce, ragazzina?” rincarò la dose lui, in un autentico sfottò che sembrò rianimare Phillis. La bionda infatti arrossì vistosamente per la rabbia, gonfiando le guance, e “Non chiamarmi ragazzina” sibilò.
Luke alzò le mani, chinando la testa. “Mi scusi, prof. Allora? Cominciamo?” chiese sempre con quel velo di ironia a coprirgli la voce, sedendosi sul banco a gambe incrociate.
Phillis sospirò affranta, ma cercò di rianimarsi e di riprendere il controllo di sé. Non doveva pensare a chi avesse realmente di fronte, doveva scollegare la testa e basta, o almeno spegnere per un po’ i ricordi, e ritrovare la solita spavalderia che la caratterizzava. Si avvicinò a grandi passi al biondo seduto a gambe conserte sul banco, puntando poi un indice contro il suo petto.
“Ascoltami bene bamboccio, perché non ripeterò due volte quello che sto per dirti. Io non sono qui per perdere tempo perché, visto che mi costringono a restare a scuola per queste cavolo di ripetizioni, tanto vale provarci anziché girarsi i pollici. A me non piace restare con le mani in mano o non portare a termine un compito, e, dal momento che sei qui, immagino che anche da parte tua non ti entusiasmi troppo l’idea di essere bocciato.” Si fermò un attimo ed osservò la smorfia comparsa sul viso del ragazzo nel sentire quelle parole, poi riprese. “Quindi adesso scendi dal banco, ti siedi composto, ascolti me che chiacchiero di cose di cui ti sbatte il cazzo per un’ora e poi sarai libero di fare quello che vuoi con chi vuoi. Poi, domani, ti presenti in orario e ripeti questo teatrino, cercando di impegnarti almeno il minimo indispensabile. Ci siamo chiariti?”
Luke rimase impassibile alle sue parole, fermo come una statua di marmo, al punto da farle credere che si fosse incantato. Poi, con un guizzo impercettibile, le sue labbra si piegarono verso l’alto in un sorriso un po’ meno intriso di ironia.
“Però. Sembri sempre così timida, impaurita dalla tua stessa ombra, chi lo avrebbe mai detto Turner?” ragionò, quasi tra sé e sé. Poi stese le gambe, si alzò dal banco e, sotto gli occhi sbalorditi della ragazza – che di sicuro non si aspettava che le sue parole avessero effetto – si sedette come una persona normale in maniera composta, incrociando le caviglie sotto la sedia. Quando sorrise di nuovo, ogni traccia di ironia era scomparsa dal suo viso.
“Ah, un’altra cosa. Come sta tuo padre?
E, a quelle parole, la bionda si sentì gelare sul posto.
Sotto gli occhi inquisitori di Luke, si chiese cosa davvero lui sapesse.




Quando quella sera si diresse verso casa Perez, dopo aver noleggiato un DVD in videoteca (The Amazing Spiderman, uno dei film più amati da entrambe), Phillis poteva dirsi stanca morta. Era passata da casa propria solo per munirsi del ricambio e dei libri per il giorno dopo, trovandola ovviamente deserta. Suo padre era via da tempo e sua madre era presumibilmente a lavoro, nonostante il suo non fosse un vero e proprio lavoro, dato che non ne aveva realmente bisogno, ma bensì più un modo di occupare la giornata. I soldi che portava a casa suo padre mensilmente erano abbastanza da poter mollare tutto e vivere di rendita per minimo dieci anni, e Phillis più volte si era chiesta come facesse. Ma quando aveva provato a domandare qualcosa a sua madre sul lavoro di suo padre, lei aveva liquidato la faccenda spiegandole che faceva parte di una qualche importante associazione, ed era anche un pezzo grosso, quindi doveva stare via per parecchio tempo, ma in compenso guadagnava per tre. Eppure Phillis era sempre stata brava a leggere le persone, quindi era consapevole del nervosismo di sua madre, quando si trattava di parlare dell’impiego del padre. Inoltre, si era sempre chiesta a cosa servissero spie, telecamere e antifurto ovunque, in una villa situata esattamente al centro di una città importante come Sydney. Ma nonostante questo la ragazza era capace di riconoscere una causa persa quando se la ritrovava davanti, quindi aveva lasciato correre ed era andata, anche se con molto disappunto, avanti. Quello era il motivo principale per cui con la propria famiglia non aveva buoni rapporti: perché, appunto, una famiglia vera e propria non c’era.
Phillis scacciò quei pensieri, avvicinandosi con passi sempre più frettolosi alla casa dell’amica, un’abitazione ben più modesta della sua, ma decisamente più accogliente. Bussò poco dopo, e non dovette aspettare molto prima che la porta venisse spalancata, mostrando il viso sorridente della sorella minore di Lucy.
“Philly! Sei arrivata!” esclamò felice, attaccandosi alle gambe della ragazza che, ridendo, si abbassò per farle una carezza sulla testolina riccia. Phillis aveva sempre adorato Abigail, quella bambina così allegra e spontanea, che a soli quattro anni era un vero turbine di energia.
“Abbie! Non stringerla così forte che me la sciupi, già è abbastanza magra” una nuova voce si unì a quella della bambina, seguita poco dopo dalla figura della signora Perez. “Io lo dico che in quella scuola vi fanno mangiare troppo poco! Come stai Phillis?”.
“Molto bene, grazie Margaret. E tu?” chiese a sua volta. Aveva un rapporto informale con i genitori di Lucy perché li conosceva da tutta una vita, l’avevano vista crescere e, a volte, aveva davvero sentito più vicini Margaret e Daniél Perez dei suoi genitori biologici.
La donna le si avvicinò per stringerla in un abbraccio caloroso, mentre le rispondeva.
“Si va avanti, piccola. Come sta tua madre?”.
“Bene anche lei, adesso è tutta presa da un nuovo corso di yoga al quale si è iscritta, mi chiedo solo quanto durerà”.
“Phillis!”
La bionda si voltò contemporaneamente all’arrivo dell’amica all’ingresso, che corse da lei per abbracciarla.
“Dai, andiamo su” incitò poi quest’ultima con un sorriso, dopo aver fatto un cenno alla madre e aver scompigliato i capelli della sorella. Le due ragazze salirono al piano di sopra e si catapultarono nella stanza di Lucy, una stanza che ormai conoscevano fin troppo bene. Aveva le pareti rosa chiaro completamente tappezzate da foto, ritratti, quadri e poster; il letto bianco era disfatto, e il tappeto di una tonalità più scura di rosa era già invaso di snack. Per la stanza risuonavano le note di “This Love”, una canzone fin troppo nota ad entrambe, che era stata l’inizio del loro amore per i Maroon5.
“Tu devi raccontarmi cos’hai fatto a scuola. A chi hai dovuto dare ripetizioni? Con il culo rotto che hai, scommetto a Trevor del corso di spagnolo!” esclamò la rossa, sedendosi a gambe incrociate sul tappeto. Phillis si liberò della borsa e della giacca di jeans e poi la imitò, scuotendo la testa.
“No, non sono capitata con Trevor” rispose.
“Eppure lui è davvero pessimo in scienze applicate!”
“Sarà, ma non è a lui che devo dare ripetizioni”.
Lucy si fermò un attimo sovrappensiero, mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Ci sono! Madison di letteratura latina?”
“Nemmeno, ma ci sei vicina”. Dopotutto, il corso era giusto.
La rossa aggrottò la fronte. “E allora chi?”
“Hemmings… di letteratura latina, hai presente?” rispose con una vocina Phillis, senza perdere però il suo sarcasmo, abbassando lo sguardo sulle proprie dita che si divertivano a torturarsi tra loro. L’aria si appesantì di botto, e la bionda si chiese per quanto ancora avrebbe dovuto reggere il peso degli occhi scuri di Lucy su di sé.
“Dio, Phillis, mi dispiace” mormorò la rossa, avvolgendola nelle sue braccia esili. Phillis scrollò le spalle, per quanto le fosse possibile.
“No, non fa niente, devo solo far finta di nulla”. Sminuì la faccenda con le sue parole, e non riferì neanche la fatidica domanda che Luke le aveva posto. Per qualche motivo imprecisato, sentiva di avere paura di quelle parole, e si era auto convinta che se non le avesse ripetute ad alta voce, prima o poi sarebbero scomparse dalla sua memoria. Inoltre odiava farsi condizionare così, si era già fatta rovinare abbastanza l’infanzia da quel ragazzo senza fare nulla, non poteva permettersi di far scorrere anche l’adolescenza in quel modo. Decise semplicemente di far finta di niente, di godersi la serata con l’amica, di sentirsi una ragazza normale anche lei per una volta perché, in quel momento, la normalità era ciò che le mancava di più.




Hey guys!
... No, okay.lol
Sono negata con il cominciare gli spazi autrice, perdonatemi.
E scusatemi anche per l'attesa! Ma chi ti caga  no, cioè, saranno anche solo cinque giorni, ma per me sono tanti. Li ho spesi quasi tutti in revisione del capitolo, che era pronto circa da un paio di giorni, ma non volevo postarlo senza prima averlo controllato... solo che insomma, il tempo per controllare non c'era.ewe Chiedo venia!
Comunque torniamo a noi. Non è che accada molto, a parte una scena di vita famigliare a casa di Lucy, però concentriamoci sull'inizio del capitolo. Un piccolo botta e risposta tra Phillis e Luke, lui è il solito e lei non ci sta, non vuole sottostare ai suoi giochetti. Però perché quella frase l'ha turbata tanto? Avete qualche idea? Dai fatemi sapere!!
Intanto ringrazio cliffordsjuliet e Letizia25 per le recensioni - alle quali corro a rispondere uwu - e chiunque abbia seguito/preferito/ricordato questa storia.
A presto - credo ahahah giuro che non farò mai aspettare troppo.u.u

- Daisyssins

 
  
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