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Autore: _Lalli    13/10/2014    1 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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17. Dras-Leona

Corremmo incessantemente fino a che i primi chiarori dell'alba non illuminarono il mondo della luce sufficiente per vedere con assoluta chiarezza l'ambiente intorno a noi. O almeno, fino a che io non vidi chiaramente l'ambiente intorno a noi.
La notte aveva portato con sé un po' di neve, che in quel momento ricopriva leggera il terreno già ghiacciato.
Quando lo Spettro si fermò dovetti trattenere un sospiro di sollievo: ero insonnolita, i muscoli delle gambe mi dolevano e il braccio allungato nella direzione di Durza era tutto contratto per la lunga e scomoda posizione.
Posizione che, mi resi conto solo in quel momento, avrei potuto abbandonare con serenità già un paio di ore prima siccome la luce era da tempo sufficiente per permettermi di indovinare i contorni delle cose.
Tuttavia, prima di lasciarmi la mano, lo Spettro depositò un canzonatorio bacio sulle mie dita, accennando un inchino.
Ritirai il braccio con rabbia. Se pensava che qualche moina mi avrebbe fatto dimenticare le vicende della sera precedente si sbagliava. Mi aveva voluta come alleata? Allora era suo dovere essere onesto con me, almeno per ciò che concerneva quella nostra missione in sodalizio.
«Sto ancora aspettando le tue spiegazioni» dissi, secca.
Durza parve non sentirmi, si passò una mano tra i capelli, ricoperti di piccole perle di ghiaccio, e se li scrollò con un sorriso divertito sulle labbra pallide.
«Durza!» ringhiai, al limite della proverbiale pazienza elfica.
Lo Spettro sbuffò. «Non ti risponderò, Arya. Sì, lo so che ti ho detto che ti avrei dato delle spiegazioni e ho intenzione di mantenere la parola, credimi, ma non ti dirò tutto quello che mi è successo ieri, per il semplice fatto che non ti riguarda. Diciamo che stavo facendo gli affari miei quando un uomo mi ha provocato, mi ha infastidito e ha trovato la morte che si meritava».
«Stavi facendo gli affari tuoi, o stavi lavorando ad affari loschi?»
Durza scostò gli occhi dai miei.
Centro!
«Ti prego non farmi domande a cui non posso e non voglio rispondere» fu il commento aspro. Si sfilò lo zaino dalle spalle e prese a mormorare Brisingr per liberare uno spiazzo dalla neve.
«Gli affari tuoi sono anche i miei ora. Dubito che si trattasse di qualcosa che non aveva a che fare con quello che stiamo progettando adesso».
Vidi che continuava ad ignorarmi e mi avvicinai a lui, afferrandogli una ciocca di capelli vermigli. I suoi occhi, all'improvviso color sangue, mi fissarono pericolosi.
«La nostra alleanza può dirsi conclusa, allora». E feci per andarmene.
Mi afferrò per un gomito. «Ho incontrato un informatore e l'ho ucciso perché ormai sapeva troppe cose. Era necessario» disse, palesemente controvoglia.
«E che informazioni hai avuto?» chiesi scettica.
«Non buone. Il re ha raggiunto Carvahall e sta cercando la pietra».
Mi gelai sul posto. «Credevo che avessi tenuto quell'informazione per te! Perché lo hai detto al re?»
«Come se avessi scelta, Elfa!» sibilò e vidi un lampo di umiliazione nei suoi occhi.
Deglutii. «Devo avvertire assolutamente Brom!»
«No, non puoi. Ragiona, un messaggio di qualunque natura attirerebbe solo l'attenzione. Se il tuo Brom ha trovato l'uovo che gli hai gentilmente spedito, avrà avuto l'accortezza di metterlo al sicuro, magari lasciando Carvahall e portandolo con sé. Probabilmente a questo punto sarà già dai Varden o dalla tua gente».
«Forse saremmo dovuti andare a Carvahall, non a Dras-Leona» osservai, inquieta.
«A Carvahall bazzicano i Ra'zac, principessa. Non ho nulla contro di loro per carità, gente simpatica, ma il loro odore e la loro fedeltà al re non mi fanno impazzire».
Pensai a Brom. Se la sarebbe cavata contro i Ra'zac? Probabilmente sì, ma ancor più probabilmente era già lontano da Carvahall, non era uno sprovveduto. Rabbrividii e per la prima volta da quando avevo lasciato Gil'ead sentii di aver preso la scelta sbagliata.
Lo spettro stese a terra le sue coperte e mi rivolse un sorriso, che parve voler essere rassicurante.
«Vieni a dormire un po' Arya».
«Hai abolito i falò?» domandai, sfilandomi finalmente lo zaino dalle spalle e sganciando la spada e le coperte.
«Ormai è giorno, il freddo non è così terribile, e nel caso il gelo fosse insopportabile puoi avvicinarti a me». Percepii un sorriso di scherno nel tono della sua voce.
«Non ne avrò bisogno, grazie» dissi, e mi infilai sotto le coperte a un paio di iarde da lui, dandogli le spalle.
«Puoi anche prenderti delle libertà se lo desideri».
«Durza non sei stanco di questi giochetti?» ribattei, nascondendo a fatica l'esasperazione.
«Tu assecondami, non sarà troppo difficile, no?» rispose lui ridendo.
Tacqui. Era la prima volta che -anche se in maniera indiretta- faceva riferimento alla notte in cui era strisciato nella mia cella sanguinante e mi aveva baciata. A quel ricordo si aggiunse quello del bacio che mi aveva rubato giusto qualche ora prima davanti alla locanda, quello del suo respiro che mi sfiorava il collo sul pagliericcio e quello della sua mano stretta forte nella mia.
Cosa stava cercando di fare Durza? Se pensava che con un paio di mosse da seduttore consumato mi avrebbe incantato, allora non sapeva proprio niente di me.
Ma era quello il vero problema: da quel punto di vista mi conosceva meglio di chiunque altro al mondo, aveva avuto una prova concreta della mia tenacia e quindi doveva essere consapevole del fatto che qualunque sua mossa non avrebbe cambiato il mio atteggiamento nei suoi confronti.
Forse per lui era veramente solo un gioco.
E forse gli sfuggiva che poteva essere benissimo giocato in due.
Quanto potere avevo su di lui? Poco, ma un po' sì. E forse potevo giocarmelo con intelligenza e tirarlo completamente dalla mia parte.
Scossi la testa tra me e me. Durza era testardo almeno quanto lo ero io e su quello non avrebbe ceduto, quindi era inutile umiliarmi di fronte a lui,
assecondandolo.
Che continuasse pure a fare l'arrogante impertinente, la cosa non mi avrebbe toccata.
            Forse ero riuscita a riposare per un'ora quando la visione che mi era ormai familiare mi assorbì completamente.
Ma questa volta comparve anche Durza.
Era completamente coperto di sangue e pugnalava con cattiveria un corpo che giaceva a terra, inerte tra le sue ginocchia. Gli occhi dello Spettro erano spiritati e sembrava sudare sangue dalla fronte.
Poi una luce improvvisa illuminò il volto della sua vittima.
Ero io.
«Questo è un avvertimento» cantilenò Fäolin ferocemente e i suoi lineamenti si fusero con quelli di Durza.

Il tocco di una mano gelida sul viso mi catapultò bruscamente alla realtà. La mia condizione era la solita di tutte le notti: ero sudata eppure tremavo di freddo, la testa mi doleva e le mie ciglia erano umide delle lacrime che non mi ero accorta di aver versato.
Sentii un fruscio alle mie spalle e mi voltai spaventata, giusto il tempo per vedere Durza allontanarsi da me e tornare al suo giaciglio.
Per l'ennesima volta fui felice che non accennasse a quella mia debolezza e gli fui riconoscente per avermi svegliata.
Non volevo chiudere gli occhi. Mai più.
E in effetti per il momento non lo feci, nonostante fossi stanca. Mi limitai a rilassare le membra e anche quello mi permise di recuperare un po' di forze.
Un paio d'ore dopo il sole era ormai sorto, ma era nascosto dietro pesanti nuvole grigie e l'aria rimaneva fredda. Lo Spettro si svegliò, si stirò come un gatto e poi scattò agilmente in piedi.
«Buongiorno madamigella! Pronta a correre per qualche altro miglio?»
Non mi guardò, ma sorrise a fior di labbra.
«Pronta» risposi, laconica.
Ricominciammo a correre.
Quella sera mi ritrovai mio malgrado a chiudere gli occhi, stremata. Non dovevo dormire, non dovevo dormire, non dovevo dormi..
Quando mi svegliai dalla visione il mio panico fu ulteriormente amplificato dall'assenza di rumore. Oltre al mio respiro affannato c'era un silenzio inquietante.
E Durza non era disteso accanto a me. Un terrore cieco mi si riversò nel petto e per poco non balzai in piedi a gridare il suo nome. Cercai di dominarmi, mi alzai in piedi, sfoderai la spada e il pugnale e mi avventurai tra gli alberi del boschetto dove eravamo accampati. Non trovai neanche un'impronta nella neve.
Camminai in cerchio nella luce grigia del mattino per una decina di minuti, allontanandomi sempre di più dai nostri zaini, poi sentii un respiro davanti a me e mi diressi con decisione in quella direzione.
Durza era seduto a terra, incurante della neve che gli bagnava i vestiti, aveva gli occhi chiusi e le dita sulle tempie. E sembrava che non mi avesse sentita arrivare.
All'improvviso mi ritrovai a non sapere cosa fare.

[Durza]
Non sapeva cosa fossero esattamente quegli strani attacchi che prendevano l'elfa ogni volta che pareva addormentarsi. Sapeva solo che se i primi giorni era bastato fare un po' di rumore per ridestarla, la sera prima aveva dovuto scuoterla a lungo prima che i suoi occhi bagnati di lacrime si spalancassero.
La cosa lo turbava. Più di quanto desse a vedere.
Però sapeva che, se avesse osato ficcare il naso negli affari di Arya, lei avrebbe reagito come una gatta inferocita, intimandogli di non impicciarsi. E poi gli sembrava una cosa troppo.. intima da condividere, sopratutto con lui.
Tuttavia sentiva la gratitudine di lei ogni volta che la svegliava.
E nonostante tutto quella notte non l'avrebbe fatto. Non aveva alcun interesse a fare soffrire la sua ex-prigioniera, ma doveva terminare un certo lavoretto e se l'unico modo per tenerla fuori dai piedi era lasciarla a contorcersi in un dolore che lui non sapeva spiegare, beh l'avrebbe lasciata lì.
Doveva mettersi in contatto con gli Urgali che vivevano sulla Grande Dorsale, sotto il suo diretto controllo, e mandarli in direzione di Carvahall immediatamente. Aveva a lungo ragionato sulla direzione che dovevano aver preso Brom e il neo-cavaliere, Eragon, ed era giunto alla conclusione che, in ogni caso, sarebbero passati da Yazuac. Ed era lì che aveva intenzione di mandare il suo esercito personale. Voleva fermarli, catturare il ragazzo e il suo drago e aggiungerli alla babele di piccole alleanze che negli anni aveva stretto contro il tiranno.
            Capì immediatamente quando Arya cominciò a stare male perché il suo respiro si fece affannoso. Con qualcosa che somigliava vagamente a vergogna a zavorrargli il petto, si alzò e sgusciò via tra gli alberi. Non sapeva quanto tempo avesse, quindi tanto valeva darsi una mossa e tornare a scuoterla dai suoi incubi.
Sedette per potersi concentrare meglio. Il primo manipolo di Urgali era parecchio a nord e avrebbe impiegato qualche minuto ad individuarli dato che non li monitorava da settimane. Controllare quelle menti primitive e violente non era stato troppo difficile, gli ricordavano sin troppo bene una versione alleggerita degli spiriti che abitavano nel suo cuore.
Le tribù erano più di una decina e tendevano a darsi battaglia ogni primavera, ma Durza era riuscito a tenerli buoni e a riunirli sotto vari reparti, ognuno con il loro capo, e da allora non c'erano più stati scontri tra di loro.
Si concesse un sorriso a fior di labbra. Qualcosa di buono aveva fatto anche lui, no?
Quando finalmente trovò il contatto con il capo del manipolo più vicino -in corrispondenza del lago Fläm- cominciò a dettare rapide e secche istruzioni nell'asprissima lingua urgali, che conosceva bene quanto l'elfico. Ordinò loro di concentrarsi tutti nei pressi dei paesi del nord: Yazuac, Daret, Gil'ead e anche Ceuron. E in particolare di formare uno sbarramento su Yazuac.
Poi diede loro la descrizione di Brom, o almeno del Brom che conosceva quindici anni prima, insieme all'informazione che con lui c'era un ragazzo, giovane, con un segno luccicante sul palmo -probabilmente il destro- e che un drago color zaffiro viaggiava con loro.
Ripeté le istruzioni più volte: dovevano catturare il ragazzo ma non nuocere né a lui né al suo drago. Per quanto riguardava il vecchio potevano fare ciò che volevano. Per quanto riguardava gli abitanti di Yazuac, pure.
Stava ripetendo il tutto daccapo per la terza volta quando la pressione di qualcosa di gelido sulla sua gola lo costrinse a ritornare a concentrarsi sul suo corpo.
Inginocchiata nella neve davanti a lui c'era Arya, con il viso pallido e tirato. Reggeva il pugnale nella mano sinistra e lo teneva dolcemente appoggiato contro la sua pelle.
«Cosa stai facendo, Spettro?»
Le sorrise, elaborando rapidamente l'ennesima bugia. «Ho parlato con Hillr. A Gil'ead è tutto a posto, nessuno sospetta che Alba abbia preso il tuo posto e nessuno le ha fatto del male. Contenta?»
Lesse l'indecisione nei suoi occhi, ma poi parve fidarsi di lui perché rinfoderò il pugnale.
«Te stai bene elfa? Mi sembri un po' sconvolta».
Sapeva di stare toccando una piaga dolente, ma era proprio quello il suo scopo. Arya voleva sicuramente evitare di ammettere che qualcosa non andava, quindi avrebbe rapidamente cambiato discorso, fingendo di dimenticare.
«Eri sparito, credevo che un branco di lupi ti avesse sbranato» disse infatti.
Come se fosse possibile, Principessa.
«Purtroppo per te sono ancora intero». Si alzò e le allungò una mano per tirarla in piedi. Lei la ignorò e si alzò subito dopo di lui.
«Benissimo, allora credo che tornerò a riposare. Ma la prossima volta sei pregato di avvisarmi». Lo anticipò in direzione del piccolo spiazzo tra gli alberi dove avevano piazzato il loro accampamento.
Restò a guardarla per qualche minuto dopo che ebbe chiuso gli occhi. Aveva ripreso parecchio da quando erano partiti da Gil'ead, ma aveva scritto in volto che il riposo era un lusso che raramente riusciva a concedersi ed era convinto che, se avesse interrotto il debole flusso di energia che le passava a sua insaputa durante la loro corsa giornaliera, sicuramente non avrebbero viaggiato così agilmente.
Con reticenza tolse gli occhi dai capelli di inchiostro sparsi intorno al viso pallido, indugiò un istante sulle labbra screpolate e leggermente bluastre per il freddo e poi si costrinse a chiudere gli occhi a sua volta.
Poteva rispettare i suoi silenzi e i suoi segreti, del resto anche lui ne aveva parecchi nei suoi confronti, ma non voleva assolutamente che un sogno, una malattia o quel diavolo che era la sciupassero.
Oh no, le era costata mesi di sofferenze e convincerla a diventare sua alleata era stato ancora più difficile. Non avrebbe permesso che una bazzecola se la portasse via. Avrebbe aspettato ancora un po'.
E poi l'avrebbe convinta a dirgli cosa le succedeva.
Più tardi sognò di baciare il suo cadavere.

[Arya]
Continuando a quel ritmo serrato, tagliando per i boschi e le pianure, lontani dalle strade e correndo come pazzi sopratutto di notte, dopo due giorni di viaggio avvistammo l'Helgrind in lontananza.
Il mattino dopo avvertimmo il luccichio del lago Leona e smettemmo di correre, rientrando nelle strade e sistemando il nostro aspetto umano.
Costretti a mantenere un'andatura lenta, arrivammo in città solo a sera inoltrata, quando era ormai buio.
Chiamarla città poteva effettivamente essere un complimento. Era un caotico grumo di case di legno talmente scuro da apparire nero.
«Dras-Leona la fangosa» mormorò Durza, e mi parve di cogliere una nota di sincera soggezione nella sua voce.
Lo Spettro mi aveva svegliata ogni volta che le mie visioni mi avevano aggredita. Ma poi, come al solito, aveva mantenuto il silenzio sulla faccenda. Non ero una persona espansiva e ammettevo di essere abbastanza orgogliosa, tuttavia cominciavo a sentire il desiderio di parlare di quel mio problema con qualcuno.
Peccato che al momento Durza fosse l'unico possibile candidato.
Ci avvicinammo alle mura, alle quali la città doveva il proprio infelice nomignolo. L'Helgrind era una presenza opprimente alla mia sinistra e la vista delle guglie della cattedrale, che riprendevano la sua struttura, mi fecero rovesciare lo stomaco.
Istintivamente, mi aggrappai al braccio dello Spettro e lui posò una mano sulla mia senza dire una parola.
I cancelli erano enormi e neri come il resto della città, ingentilita da una spennellata di neve bianca sui tetti di legno.
«Ehi voi due sbrigatevi!» urlò una guardia. «Stiamo per chiudere!»
Durza mi lanciò un'occhiata ammonitrice e iniziò a correre, ma molto piano. Capii l'antifona: gli umani non corrono come avevamo fatto noi negli ultimi giorni, chiaro. Lo seguii.
Probabilmente se fossimo arrivati di giorno, con il flusso normale di chi entrava in città, ci avrebbero fatto passare senza alcun problema. Invece in quel momento avevamo ben dieci guardie con gli occhi puntati sospettosamente su di noi.
Pensai alle spade che nascondevamo sotto i mantelli e capii immediatamente che non ce la saremmo cavata con un paio di rassicurazioni sulle nostre buone intenzioni.
Durza poggiò le mani sulle ginocchia e finse di ansimare, lo imitai portando la mano sinistra al petto e le porte si chiusero dietro di noi. All'improvviso mi sentii terribilmente in trappola.
«Chi siete?» tuonò quello che doveva essere il capitano delle guardie, un uomo alto con i capelli biondi e sporchi legati in una coda bassa.
Lasciai che il mio compagno di viaggio offrisse le nostre generalità e mi guardai intorno rapidamente. Molte delle guardie sembravano insonnolite, oltre che sospettose. Forse c'era una minima possibilità che ci lasciassero andare, fosse anche solo per tornare finalmente a casa. Probabilmente erano al termine del loro turno.
«Quindi cercate una casa qui a Dras-Leona?» La voce del capitano emerse improvvisa.
«Vorremmo trasferirci qui, sì, ma nel caso non ci piacesse l'ambiente nelle prossime settimane proveremo a Belatona, vorremmo solo stare sul lago Leona o nei pressi». Durza rispondeva con ferma allegria, venata di spensieratezza. Sembrava un giovane ingenuo ed entusiasta, niente a che fare con l'uomo micidiale che conoscevo.
«Ancora pochi minuti e sareste rimasti chiusi fuori!»
«Oh mi spiace» fece lo Spettro senza perdere il sorriso, «ma abbiamo avuto un paio di intoppi da stamattina, purtroppo la mia signora non si è sentita bene».
Il biondo mi guardò. «E neanche adesso mi pare tanto in forma. Sai parlare, ragazza?»
«Sì» mormorai, «mi dispiace molto».
La guardia scoppiò a ridere e i suoi compari lo seguirono, apparentemente a caso.
«Non riesco a credere che ti sia sposato una donna così musona» disse poi rivolto a Durza. «Sembrate diversi come il giorno e la notte!»
Trattenni l'istinto di alzare gli occhi al cielo.
Poi sorrisi radiosamente. «Devo contraddirti, sono semplicemente molto stanca. Sono solo al secondo mese, ma il bambino comincia a pesarmi».
Ebbi modo di vedere un lampo di sconcertata sorpresa negli occhi -in quel momento castani- dello Spettro, prima che si decidesse a reggermi il gioco, avvicinarsi a me e baciarmi sulla fronte.
«Andiamo a cercare una locanda» disse, a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti.
«Il primo figlio?»
«Sì» risposi, posando una mano sul mio addome piatto. Ma con il buio e i vestiti e il mantello sopra nessuno se ne sarebbe accorto.
«Mi ricordo il mio primo figlio» disse il capitano delle guardie. «Quando arrivò il momento ero più agitato di mia moglie». E rise.
Mi si strinse il cuore. Quelli erano i soldati di Galbatorix: uomini normali, che facevano il loro dovere, che avevano una famiglia a cui badare, a casa.
Uomini che avevo e probabilmente avrei ucciso in battaglia.
All'improvviso ebbi voglia di vomitare.
Ci lasciarono andare con i migliori auguri, appena prima che arrivasse il drappello che doveva dare loro il cambio per la notte.
Ricominciai a respirare solo quando fummo ad un paio di strade di distanza. Ce l'eravamo cavata con poco, dopotutto.
«Elfa farmi diventare padre così all'improvviso è stato un gran brutto colpo!» bisbigliò Durza ridacchiando e rifiutandosi di lasciarmi il braccio per il quale mi aveva trascinata via dal portone. «E per di più non ricordo di aver mai consumato il matrimonio» concluse, gettandomi un'occhiata allusiva.
«Probabilmente eri ubriaco, Spettro».
Lo spiazzai. Sollevò entrambe le sopracciglia e rinunciò a fare commenti.
«Se non troviamo presto una locanda mi perderò tra questi cunicoli» disse invece.
Non aveva tutti i torti. A parte qualche lanterna appesa saltuariamente a qualche incrocio, il buio più totale avvolgeva la città. Le case erano tutte in legno, altissime, e pendevano verso il centro della strada, tanto che non era raro trovare un palo inchiodato orizzontalmente a sostenere le due strutture. Solo una piccolissima porzione di cielo era visibile e ormai il debole bagliore del tramonto lo aveva abbandonato da un pezzo.
Alla fine Durza cominciò a chiedere indicazioni ai frettolosi passanti, ma impiegammo ancora parecchio tempo prima di trovare un posto per dormire.
Al contrario della silenziosa Gil'ead, a Dras-Leona pareva non esistere un coprifuoco. Io e Durza entrammo alla
Ghiandaia impazzita e ci ritrovammo pressati tra fitti tavoli di legno, boccali di birra e avventori parecchio alticci. Per di più c'era un odore insopportabile.
Raggiungemmo il bancone a fatica e lo Spettro dovette urlare per farsi sentire sopra il baccano.
Ci trovarono una “stanza”. Uno stanzone spoglio, senza camino, tappezzato di paglia. Non una coperta e non un lenzuolo a disposizione, nemmeno un modo per separare un letto da un altro.
            Fummo costretti a dormire con le bisacce abbracciate a noi e, quando arrivò il nostro vicino e cominciò ad infastidirmi con complimenti non richiesti, Durza lo guardò con ferocia e poi mi passò un braccio intorno alla vita. Lo accettai, almeno teneva lontano disturbatori, e, ancora meglio, mi riscosse con prontezza non appena la visione tentò di accalappiarmi.
Fummo costretti a rimanere lì, pressati tra corpi puzzolenti, fino a che il sole non fece capolino. Andarsene prima sarebbe stato piuttosto sospetto e poi un po' di riposo in più non ci avrebbe certo danneggiati.
Non appena il pavimento fu abbastanza libero da poter camminare senza pestare le membra degli altri ospiti, ci affrettammo ad andarcene, allungando quanto dovuto al locandiere.
«Dovremo prendere una stanza più vicina alla cattedrale, ma non troppo, in modo da poter avvicinarci ed allontanarci senza problemi. E in più pretendo un alloggio decente! Per la miseria, il denaro ce l'ho, tanto vale usarlo!»
Mi strinsi nelle spalle. Non ero molto esperta per quanto riguardava il denaro degli umani. Gli elfi si limitavano a scambiarsi favori e, fino a che avevo viaggiato in veste di ambasciatrice, non avevo mai dovuto pagare nulla, mi era sempre tutto dovuto.
Tuttavia quando Durza comprò due focacce calde dal forno che incontrammo lungo il cammino, fui felice che il denaro esistesse e divorai la mia in un istante.
Mano a mano che abbandonavamo la cerchia esterna le case si facevano più basse e solide, ne incontrammo poi alcune in pietra e il culmine fu la vista del grandioso palazzo in granito del governatore della città, un tale Marcus Tàbor.
A quel punto eravamo decisamente nella zona più ricca della città e fu lì che cominciammo a cercare un'ennesima locanda da usare come base, tuttavia nei dintorni trovammo solo case grandiose, circondate da inaccessibili cancelli impreziositi da fiori stilizzati. Decisamente la componente ricca della città non se la passava troppo male.
«Dovremmo tornare indietro» osservai. «Qui non ci sono locande. Magari ce ne sono oltre la cattedrale, ma poi saremmo.. lontani».
Lontani dalle porte della città ovviamente.
Durza capì bene cosa intendessi dire: non volevo rimanere chiusa in quella città come un topo in una sudicia trappola e sembrava condividere il mio stesso desiderio, tuttavia la sua proposta fu di altra natura.
«Raggiungiamo la cattedrale e superiamola. Più ci allontaniamo dalla cattedrale più i quartieri sono miseri, quindi dovremmo trovare un posto nella fascia intermedia; e lo so che preferisci il semicerchio della città vicino alle porte. Però nella parte opposta alla porta della città siamo vicini al lago e ci sono gli scarichi delle fognature..»
Aggrottai la fronte, ma lo Spettro mi fece cenno di seguirlo e quindi decisi di tacere. C'erano troppe persone intorno a noi per fermarsi a discutere.
Più ci avvicinavamo al cuore di Dras-Leona più la cattedrale sembrava inghiottire ogni luce intorno a noi, eppure, quando ci ritrovammo nel piazzale al di sotto si essa, dovetti ammettere che era grandiosa.
Non avrei saputo trovare una definizione migliore di quella. Era alta, talmente alta che ero costretta a rovesciare il capo totalmente all'indietro per vedere la struttura per intero.
Il marmo nero era lucido e poco segnato dalle intemperie. La chiesa non doveva avere più di mezzo secolo, nonostante la setta religiosa esistesse da tempo immemorabile. Probabilmente in assenza dei cavalieri si erano rafforzati altri credi religiosi e quello dei sacerdoti dell'Helgrind era antico e ora pieno di aderenti, quindi probabilmente era anche ricco.
Quando riuscii a staccare gli occhi dal gigantesco rosone centrale trovai gli occhi di nuovo rossi di Durza puntati sulla mia gola, con uno sguardo rapace nelle iridi. Sembrava sul punto di sbranarmi.
Indietreggiai automaticamente.
Lo Spettro si riscosse all'improvviso e le sue pupille e le sue iridi tornarono umane.
«Avrai tempo più avanti di osservarla in ogni particolare, ora andiamo» disse, con un tono assente.
Poi si voltò e riprese a camminare.
Un po' turbata, gli andai dietro, portando una mano alla fodera del pugnale che tenevo a cintura sotto il mantello.
Trovammo una locanda più che decorsa, ma non di lusso. Era a dieci minuti dalla cattedrale e a più di mezz'ora a piedi dai cancelli.
E, cosa più importante, avevamo una stanza con una serratura e una chiave, ma purtroppo con un solo letto.
Era una camera al terzo piano e c'erano solo un paio di stanze occupate oltre alla nostra. Meglio così.
Lasciammo i nostri zaini e le nostre armi sulla cassapanca ai piedi del letto ed esplorammo con lo sguardo la stanza: c'era il letto, la cassettiera, un grande catino pieno di acqua e un paio di ganci alle pareti.
«Una stufa! Addirittura una stufa!» esclamò lo Spettro lanciandosi in direzione di una stufetta di terracotta e iniziando a riempirla di piccoli ciocchi di legna ammucchiati lì accanto.
L'accese schioccando le dita.
Mi sedetti sul pavimento di legno accanto a lui, godendomi il tepore delle fiamme sul viso mezzo congelato.
«Le fogne sono..?» mi interruppi. Non volevo veramente dire quello che stavo pensando. «Non saranno una possibile via di fuga vero?»
Durza sorrise innocentemente. «Finiremmo nel lago, che è come lavarsi no?»
A proposito di lavarsi.. avrei veramente avuto bisogno di un bagno.
«Va bene» concessi. «Nel caso ne avessimo bisogno sai dove andare con esattezza?»
«Non proprio, dovremo andare in esplorazione anche per quelle» ammise. «Poi sarebbe ora che prendessimo qualche decisione pratica per quanto concerne la nostra visita di cortesia ai Sacerdoti».
«Hai insonorizzato la stanza?»
Lo fece, stranamente senza fare commenti. «Non volevo andare lì e presentarmi come Durza, nel caso lo scoprissero non credo che sarebbe un problema, ma preferirei trattare in incognito.»
«E come credi di poter spiegare ai sacerdoti il fatto che un apparentemente comune essere umano vada alla ricerca di un misterioso e potentissimo incantesimo?»
«Chiederò di poter visitare la loro biblioteca e basta, sono certo che ne abbiano una! Non è necessario che sappiano cosa sto cercando».
«Vorranno certamente qualcosa in cambio» gli feci notare.
«Tutto ha un prezzo e tutto si può comprare Principessa. Non credo che abbiano bisogno di denaro, ma qualche informazione su una qualsiasi attività del sovrano potrebbe essere una buona merce di scambio» disse, stirandosi pigramente le braccia.
Mi fermai un istante a ragionare. «Quanti schieramenti tra loro indipendenti sono contro Galbatorix? Quante.. potenze stanno attentando alla sua corona?»
Era un dubbio che non mi era mai sorto prima di allora. Per tutta la mia vita lo schieramento composto dai Varden, dai nani e dal mio popolo era stato l'unico con cui ero venuta in diretto contatto.
Lo Spettro fece un sorriso arrogante. «Noi siamo una, Elfa. E non so te, ma la componente maschile di questa potenza comincia ad avere fame. Che ne dici di scendere e farci preparare qualcosa?»

  
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