Dei
rumori mi fanno svegliare di soprassalto.
Rimango
seduta sul letto, la camera rischiarata dalla luce mattutina che filtra dalle
tapparelle ancora abbassate, mi volto verso la sveglia.
Le
sette del mattino.
Sarebbe
dovuta suonare fra mezz’ora, ma la disattivo obbligandomi ad alzarmi. I rumori
continuano e mi fermo in piedi in mezzo alla stanza, sforzandomi di ascoltare
con attenzione.
Sportelli
che vengono aperti e richiusi in fretta, oggetti che vengono spostati, dubito
che possa essere Felix, il mio gatto, a fare quel rumore e la cosa,
improvvisamente, mi spaventa. Adesso sono decisamente sveglia. Apro l’armadio e
afferro la mazza da softball, cimelio di quando andavo al college.
Cammino
in punta di piedi verso la stanza da cui provengono i rumori, mazza stretta al
petto, pronta a scattare. Dalla cucina arriva un’imprecazione bisbigliata e
decido di irrompere nella stanza con la mia arma sollevata sopra la testa.
«AH!»
io e l’estraneo gridiamo insieme e lui istintivamente solleva le mani sopra la
testa e si allontana da me.
«Liv, son io. Per l’amor di Dio, posa quell’affare!» Sbraita
impaurito.
«David?!»
Sbatto gli occhi un paio di volte, sorpresa. «David.» Ripeto abbassando la
mazza. «Che diavolo ci fai qui, stupido fratello?» Domando irritata. «Stavi
cercando di uccidermi per la paura?»
«Quella
eri tu.» Replica lui, poi allarga le mani e si avvicina. «Abbracciami,
sorellina.» Faccio un passo per trovare il mio posto fra le sue braccia e mi
lascio stringere con forza e dolcezza. «Tanti auguri.» Dice posando le labbra
sopra la mia testa.
«Già.»
Mi gratto la fronte e mi siedo al tavolo. «Avevo dimenticato.»
«Per
questo ci sono io.» David ride soddisfatto e indica i fornelli, dove sta
cuocendo delle uova e del bacon.
«Wow.»
Fischio approvando. «Cosa c’è sotto?» Chiedo subito sospettosa.
«Non
posso preparare colazione alla mia dolce sorella il giorno del suo compleanno?»
Chiede sorridendo a trentamila denti.
«Certo,
che puoi.» Rispondo. «Ma c’è sicuramente qualcosa sotto.» Aggiungo mentre
riempie una tazza con il caffè e me la porge. «Vorrei solo sapere cosa.»
«Dobbiamo
rinviare la cena.» Dichiara sottovoce e mentre sta voltato verso i fornelli.
«Cosa?»
La mia voce sale di un’ottava. «Perché?»
«Ho
una serata di lavoro. Una noia mortale, ma devo andare.» Sbuffa platealmente.
«Credimi, se potessi passerei la giornata con te.»
Faccio
spallucce cercando di non dimostrare quanto possa esserci rimasta male.
La
verità è questa: le mie amicizie sono poche e tutte lontane. Qui a Londra non conosco
praticamente nessuno, grazie al fatto che ho studiato in Francia negli ultimi
cinque anni. Se non ci fosse mio fratello e la sua famiglia sarei sola come un
cane. Non ho neanche colleghi con cui uscire, perché sto cercando di aprire una
libreria per conto mio. In poche parole se David stasera mi darà buca, passerò
il giorno del mio trentesimo compleanno a casa da sola.
Mio
fratello sistema la mia colazione in un piatto e me la porge sedendosi di
fronte a me.
«Spero
sia commestibile.» Ironizzo prima di portare la forchetta alla bocca e lui
sorride, ma sappiamo entrambi che l’atmosfera si è guastata.
«Perché
non vieni con me stasera?» Domanda dopo avermi osservato in silenzio per un po’.
«Sei
impazzito?» Sollevo la forchetta, con tanto di bacon infilzato, verso di lui.
«Tu sei un attore, io non sono nessuno, ergo no.»
«Tu
sei mia sorella, ergo sì.» Replica imitando il mio tono e afferrando il cellulare
dalla tasca dei pantaloni.
«Non
verrò mai.» Ripeto portando la posata alla bocca e masticando rumorosamente
mentre lui mi ignora e porta il telefono all’orecchio. Dopo pochi istanti
inizia a parlare velocemente con la sua agente. Lo lascio fare mentre mi gusto
la colazione in tutta calma.
Sto
bevendo l’ultimo sorso di caffè quando riattacca e mi guarda gongolando.
«Ci
divertiremo tantissimo.» Dice stringendo la mia mano libera e in risposta
sollevo le sopracciglia da dietro la tazza.
«Mi
hai sentita vero quando ho detto che non verrò?» Domando posando la tazza sul
tavolo.
«Sì,
certo.» David dà un paio di colpetti alla mia mano. «Ma ti ho ignorata e
verrai.» Si alza e strofina le mani fra di loro.
«No
che non lo farò.» Dico divertita dal suo atteggiamento, posando piatto, tazza e
posate nel lavello. «Non puoi costringermi.»
«Non
ne ho intenzione.» Risponde fissando una mano. «Però se verrai, potrai passare
la giornata a fare shopping a mie spese.» Afferma con tono non curante sfilando
la carta di credito dal suo portafogli.
Mi
fermo a fissarlo e incrociando le braccia al petto.
«Dove
sta l’inghippo?» Domando facendo un passo verso di lui.
«Non
c’è.» Sghignazza divertito.
«Chissà
perché non riesco a crederti.» Replico allungando una mano verso la sua.
«Però…»
Allontana la carta dalla mia presa e mi guarda cingendomi un fianco. «Dovrai
stare sotto la mia sorveglianza.» Dichiara mentre afferro la carta.
«Andata.»
Sfilo la tessera magnetica dalla sua mano. «Ѐ sempre un piacere fare affari
con te, fratellone.»
«Compra
qualcosa di carino.» Dichiara guardando l’orologio. «Devo scappare.»
«Di
già?» Faccio il broncio nella sua direzione. «Sei sempre di corsa.» Mi lamento.
«Georgia
ha l’ecografia.» Spiega prima di posare le labbra contro la mia guancia. «Ci
vediamo stasera verso le cinque, ok?»
Annuisco
prima di abbracciarlo di nuovo.
«Ti
voglio bene.» Dico prima di lasciarlo andare, in risposta i miei capelli
vengono scompigliati. «No, ripensandoci non ti voglio affatto bene.»
«Tanto
lo so che mi adori.» Replica uscendo dal mio appartamento.
Cinque
ore e mezzo dopo ho comprato un paio di jeans e tre magliette e un maglione, ma
non un vestito per la serata che mi aspetta e osservo il mio armadio con fare
critico.
Potrei
mettere l’abito rosso, ma ho paura che sia troppo vistoso per la serata.
L’ultima cosa che desidero è sembrare un semaforo ambulante. Afferro un vestito
blu scuro e lo faccio aderire al mio corpo mentre mi osservo allo specchio
affisso all’anta dell’armadio. Potrebbe andare.
Mi
vesto senza continuare a pensare troppo, non staranno certo tutti a guardare la
sottoscritta. Spero solo che David abbia il buon cuore di tenermi tutto il
tempo con lui e che non si azzardi a pensare di lasciarmi da sola.
Appena
finisco di prepararmi suonano alla porta e senza rispondere al citofono afferro
la borsa e chiudo la porta alle mie spalle. Quando raggiungo la strada e mio
fratello, sollevo le braccia al cielo e aspetto un suo giudizio.
«Questo
non è il vestito che ti ho regalato un paio d’anni fa?» Domanda osservandomi
aggrottando la fronte.
«Puoi
sempre andare da solo, sai?» Rispondo gonfiando le guance.
«Stai
benissimo, ma…» Apre la portiera dell’auto. «Rendimi la mia carta.»
«L’ho
lasciata in casa.» Sorrido con fare innocente mentre lo osservo sedersi al tuo
fianco e l’auto riprende il suo viaggio. «Te la renderò.»
«Me
lo auguro.» David sorride divertito.
«Tranquillo,
Scrooge.»
Do un paio di colpetti alla sua guancia sinistra. «Come è andata la visita?»
Chiedo eccitata.
«Bene.
Tutto benissimo.» Gli occhi di mio fratello brillano ed il sorriso si allarga
ancora di più sul suo volto. «La tua ricerca?»
«A
rilento.» Sbuffo voltandomi verso il finestrino osservando le luci di Londra
scorrere veloci. «Vorrei riuscire a trovare il posto perfetto, ma sembra non
esistere.»
«Perché
non prendi un posto con delle potenzialità e non lo rendi tu perfetto?» David sorride con fare incoraggiante stringendo la
mia mano destra fra le sue.
«Non
sono sicura di averne le capacità.» Abbozzo un sorriso e mi stringo nelle
spalle per sminuire la cosa. «Stasera voglio pensare ad altro.»
«Sicuramente
ci riuscirai.» Mio fratello continua a sorridere contagiandomi. Ci è sempre
riuscito, sempre sicuro delle sue e delle mie capacità, sempre pronto a vedere
il lato positivo. Sempre pronto a rendermi la speranza e a credere in me, più
di me stessa.
«Ci
sarà Benedict stasera.» Dice nelle stesso momento in
cui la nostra auto rallenta.
«Come
scusa?» Chiedo mentre parla con l’autista e poi scende dall’auto.
«Benedict Cumberbatch.» Pronuncia
il suo nome mentre mi incollo al suo braccio. «Sarà qui stasera.» Finisce
sorridendo con fare incoraggiante. «Hai ancora una cotta per lui?» Domanda.
«Vado a firmare qualche autografo, ci vediamo dentro, ok?» Aggiunge senza
aspettare una mia risposta e richiamando un addetto alla sicurezza per guidarmi
dentro.
Mi
lascio condurre verso la sala senza prestare molta attenzione al percorso che
svolgiamo io e il ragazzo a cui mi ha affidata David.
Non
ho una cotta per Benedict Timothy Carlton Cumberbatch. Lo adoro con tutto il cuore. Lo trovo
tremendamente affascinante e un attore di enorme talento. Ho pregato David di
presentarmelo in tutte le lingue che conosco, che sono cinque giusto per la
cronaca sei se consideriamo il dialetto scozzese, ma non mi ha mai
accontentata.
Adesso
se ne esce fuori con questa storia e io non
sono pronta.
Cerco
di prendere dei grossi respiri per calmarmi, con scarsi risultati, così decido
di dirigermi verso il buffet. Riconosco la chioma bionda di Billie
Piper, si sta servendo e parla con suo marito, decido di avvicinarmi e salutare.
Almeno non resterò ferma come un baccalà a guardarmi intorno.
«Ciao.»
Busso sulla spalla di Billie e sorrido. Passano
diversi secondi di pausa prima che lei mi riconosca.
«Liv.» La bionda sorride cordiale. «Che bello rivederti.»
Scioglie l’abbraccio e si volta verso suo marito. «Ti ricordi di Liv, la sorella di David?»
«Sì,
certo. Come stai?» Chiede stringendo la mia mano.
«Bene,
grazie. Voi come state?» Domando mentre mi servo al buffet. «Il piccolo
Eugene?»
«Cresce.»
Billie sorride smagliante. «Stasera è rimasto con i
nonni.» Aggiunge mentre addento un crostino e annuisco. «David ti ha
abbandonata?» Domanda sorridendo.
«Siamo
appena arrivati.» Ti copri la bocca con una mano mentre parli. «Dovrebbe
arrivare, si era fermato dai fans.» Aggiungo prendendo un altro crostino.
Rimaniamo
tutti e tre in silenzio per qualche istante, in preda all’imbarazzo mi invento
una scusa e mi allontano.
Il
problema è che non conosco bene Billie, l’ho vista
solo una volta di sfuggita a casa di David e probabilmente è stata una pessima
idea andare a parlarle senza la supervisione di David. Afferro al volo un
calice di spumante dal vassoio di un cameriere e lo butto giù d’un fiato per
riprendere un minimo di coraggio.
«Quello
non era per te, sai?» Un voce parla alle mie spalle e per poco non mi strozzo.
La
conosco, la riconosco. Ho sognato che si rivolgesse a me infinite volte,
destandomi sempre nel mio letto, da sola.
Mi
volto lentamente con la paura di svegliarmi da un momento all’altro anche
questa volta, il bicchiere ancora vicino alla bocca ed il cuore in gola. Se è un
sogno è diecimila volte meglio di tutti quelli che ho fatto finora. I suoi
occhi chiari mi osservano divertiti le labbra leggermente incurvate, sta
ridendo sotto i baffi mentre attende una mia risposta, ma sono senza fiato. «Ѐ del tavolo laggiù.» Indica il
tavolo a cui sono sedute diverse persone dall’aspetto importante.
Credo
che mi stia prendendo un infarto.
«Scusa,
non volevo spaventarti.» Si passa la mano sinistra sul mento come se volesse
lisciare la leggera barba che lo ricopre e solo quando sorride leggermente
verso di me riesco a ritrovare la voce.
«Non
mi hai spaventata.» Muovo la mano mentre stringo il calice vuoto. «Sono
imbarazzata.» Mento solo in parte. Ovviamente sono frastornata e mi ha
leggermente spaventata, insomma uno con una voce del genere non dovrebbe
avvicinarsi alle spalle di povere ragazze indifese, ma devo ammettere che
sapere che ho rubato da bere a qualcuno e che sono stata beccata proprio da lui
per giunta, mi mette tremendamente in imbarazzo.
«Ok.
Scusa comunque, si vede lontano un miglio che non sei abituata a queste cose.»
«Beh…No.
In effetti non sono abituata.» Mi guardo intorno e mi stringo le braccia al
petto a disagio.
Lui rimane
in silenzio per un attimo poi fa un passo e allunga la mano destra verso di me.
«Benedict.»
«Sì,
lo so.» Sposto il bicchiere vuoto da una mano all’altra mentre stringo la presa
e sorrido come se fossi una deficiente.
Anzi
lo sono, perché continuo a oscillare le nostre mani, ma non mi degno di
presentarmi.
«Liv.» Esclamo mollando la presa sulle sue dita. «Liv McDonald.» Aggiungo con un sorriso incerto.
«Piacere,
Liv.»
Ha pronunciato il mio nome.
Trattengo
la risatina isterica che potrebbe partirmi da un momento all’altro, stringendo
le labbra fra di loro.
«Non
hai perso tempo, noto.»
No. No. No. NO!
Mi
giro verso mio fratello, che si è avvicinato sghignazzando e mi ha passato un
braccio intorno alle spalle.
«Non
ho fatto niente.» Io e Benedict parliamo assieme e ci
guardiamo aggrottando la fronte.
«Stavo
parlando con mia sorella, Ben.» David sorride e batte un paio di colpi sulla
sua spalla.
«Tua
sorella.» Benedict sorride nella mia direzione e
arrossisco. « Ѐ una bellissima ragazza.»
Aggiunge con nonchalance.
Spalanco
la bocca. Certo che questo è essere
diretti.
David
afferma che lo sa perfettamente e si crogiola nei complimenti diretti a me,
come se li avessero rivolti a lui. Come se avesse una qualche responsabilità
sul mio essere, a quanto pare, una bellissima ragazza.
«Lei
dice lo stesso di te. Troppe. Troppe volte.» La voce di David mi riporta con i
piedi per terra nel peggiore dei modi. Praticamente ero sdraiata su una nuvola
e lui me l’ha sfilata da sotto la pancia facendomi schiantare con la faccia
sulla terra.
«Non
è vero.» Protesto. Poi ricordo che Benedict è lì,
quindi mi affretto ad aggiungere. «Non lo dico troppe volte.» Poi parlo a denti
stretti. «E adesso smettila di umiliarmi maledetto fratello.»
«Agli
ordini.» Dave si mette sugli attenti. «Andrò a
salutare Billie, l’ho vista di sfuggita.» Aggiunge
poco prima di allontanarsi. Lo osservo scuotendo la testa prima di realizzare
che mi ha lasciata di nuovo sola.
E
pensare che aveva detto che voleva tenermi d’occhio.
«Tuo
fratello sembra una trottola.» Benedict parla mentre
si avvicina al mio fianco.
«Non
lo sembra, lo è. Una trottola vivente che crea scompiglio e caos ovunque vada.»
Ben ride alla mia affermazione e mi ritrovo a sorridere a mia volta. «Ma è
buono e lo adoro.»
«Si
vede da come lo guardi.» Afferma in un sussurro prima di allungare un braccio
per guidarmi di nuovo verso il tavolo del buffet.
«Siamo
una famiglia, quindi è normale, no?» Dico e lui annuisce e sorride in un modo
che mi lascia incantata mentre mi distraggo seguendo il profilo dei suoi
zigomi, cercando di non perdermi sulle sue labbra o nei sui occhi.
«Sei
alto.» Affermo distogliendo lo sguardo e concentrandomi sulle tavole imbandite.
Meglio non guardare niente di lui, potrei iniziare a sbavare da un momento
all’altro.
«Forse
sei tu che sei bassa.» Risponde con fare divertito riempiendo il suo piatto,
poi mi guarda e sembra realizzare solo in quel momento che ha appena dato di
nana ad una sconosciuta, apre e chiude la bocca alla ricerca di un modo per
scusarsi, credo.
«Un
uomo di un metro e ottantatré è alto.» Parlo prima che possa farlo lui. «Ed io
nel mio metro e sessantacinque sono nella media delle donne.» Mi giro verso di
lui e sorrido facendogli capire che non sono offesa, anzi quasi divertita. «Voglio
anche io un po’ di salsa, grazie.» Allungo il piatto e mi lascio servire.
Livello imbarazzo pareggiato, tié.
«Ok…»
Riprende a parlare dopo avermi servita e insieme ci dirigiamo verso un punto
imprecisato della sala, mangiucchiando dai nostri piatti. «Raccontami altro di
te, tu sai già qualcosa di me essendo una fan. Non mi piace essere in
svantaggio.» Afferma quando troviamo due posti all’ingresso di una terrazza.
Una leggera brezza libera una ciocca dalla mia coda, la risistemo dietro l’orecchio
e lo osservo mentre guarda il profilo dei palazzi illuminati di Londra.
«Io
non conosco così tante cose di te. Mi piace il tuo lavoro, ma la tua vita è
tua.» Rispondo quasi ferita dalle sue parole. Non mi avrà mica etichettato come
una di quelle ragazze ossessionate dal loro attore preferito?!
«Meglio
così.» Sorride rimanendo in silenzio. «Mi piace parlare di me, senza dover
competere contro un’immagine errata di me. Ma non pensare di cavartela così.»
Aggiunge voltandosi verso di me e cogliendomi intenta a fissarlo rapita.
Scommetto che avevo gli occhi a cuore peggio di un cartone animato manga,
divertito porta la forchetta alla bocca e mi fa cenno di parlare.
«Se
proprio insisti…» Prendo tempo, cercando di calmarmi. «Io sono tornata a Londra
da poco, ho studiato lettere antiche in Francia, adesso avrei intenzione di
aprire un negozio di libri usati e antichi tutto mio.»
«Bello.»
Commenta. «Non riuscirei mai a staccarmi da antichi manoscritti se venissero in
mio possesso.»
«In
realtà pure io, infatti Dave è convinto che non andrò
molto lontano. Dice che comprerei tutti i libri usati e poi perderei tempo a
scoprire la loro storia.» Affermo con occhi sognanti. Già mi immagino a
sfogliare con delicatezza vecchi manoscritti fra scaffali pieni di libri.
«Perché
non hai chiesto di lavorare in qualche archivio, se è questo che vorresti
veramente?» Domanda interrompendo la mia fantasia e afferrando due calici dal
vassoio che gli porge un cameriere.
«Perché
non è così semplice lavorare in quei posti e perché adoro stare a contatto con
le persone, sapere le loro storie e non scoprirla solo attraverso la carta.»
Affermo prendendo il bicchiere che mi porge e posandolo sul tavolino basso fra
di noi. «Tutti hanno una storia da raccontare, spesso tendiamo a dare meno
importanza a quella degli uomini comuni, quando a volte sono quelle più
interessanti.» Dichiaro prima di riprendere a mangiare.
«Su
questo sono d’accordo.» Benedict muove la forchetta
nella mia direzione. «Ti auguro di realizzare questo tuo sogno. Ne parli con
molta passione.»
Sorrido
grata di quelle parole. «Tu invece?» Provo a chiedere guadagnandomi uno sguardo
perplesso. «Che fai nella tua vita, oltre a recitare e rovinare la vita di milioni
di donne attorno al mondo?»
«Questo
è un colpo basso.» Dichiara a bassa voce.
«Devo
difendere la categoria.» Affermo ridendo prima di portare un crostino alla bocca.
«Quindi
sei una delle donne che avrei rovinato?» Chiede inclinando il volto e puntando
i suoi occhi meravigliosi nei miei.
«Nah…» Mi stringo nelle spalle. «Tu non mi hai rovinata. Mi
hai semplicemente fatto capire che esiste l’uomo perfetto, ma sono
assolutamente fuori dalla sua portata.»
«Perché
sarei io l’uomo perfetto?» Chiede divertito e curioso dalla mia affermazione.
«Diciamo
che…Questa non è una conversazione che vorrei avere con nessuno, figuriamoci
con te.» Dico fingendo ilarità e tirandomi un pizzico su un braccio, perché se
fosse un sogno questo sarebbe decisamente il momento in cui vorrei svegliarmi.
«Era
divertente.» Risponde accavallando le gambe.
«Per
te.» Preciso sotto voce e iniziando a lottare contro la ciocca di capelli libera.
«Sono
tutt’altro che perfetto, fidati.» Dice dopo qualche attimo di silenzio. «E se
anche lo fossi non sarei fuori dalla tua portata, visto che sono qui a parlare
con te.»
«Sospetto
che David ti abbia pagato per farlo in effetti.» Lui si limita a sghignazzare,
attirando la mia attenzione.
«E
perché mai avrebbe dovuto farlo?»
«Per
una strana idea di regalo di compleanno.» Suggerisco cercando di trovare una
buona motivazione. «Non so, è David. A volte non c’è logica dietro i suoi
comportamenti.» Mi arrendo alla fine.
«Ѐ il tuo compleanno?» Benedict domanda sorpreso, mi limito ad annuire in
imbarazzo. Afferra i nostri calici e mi invita a prendere il mio. Quando
finalmente lo afferro, fa tintinnare il suo calice contro di esso.
«Auguri.»
Dichiara e sembra veramente augurarmi tutto il meglio possibile mentre incrocia
il suo sguardo con il mio.
«Grazie.»
Sorrido sinceramente. Entrambi portiamo i nostri bicchieri alla bocca e
sorseggiamo lo spumante. «Forse dovremmo rientrare…» Dico spezzando il contatto
fra i nostri sguardi.
«Dovremmo?»
Domanda lui non molto convinto.
«Non
vorrei che David combinasse qualche guaio, inoltre non voglio tediarti oltre,
sei già stato gentile a stare con me quando c’è una sala piena di persone molto
più in di me.» Affermo alzandomi in
piedi e stringendomi nelle spalle.
«Colleghi
e addetti ai lavori che posso vedere ad ogni occasione.» Dice alzandosi a sua
volta. «Tu non hai una massima stima nei tuoi confronti, vero?» Rispondo con
una smorfia e lui scuote la testa. «Fidati, ai miei occhi non c’è nessuno più
interessante di una ragazza carina che è spaesata a feste del genere, ma che è
se stessa quando racconta di sé e si relaziona con gli altri.» Si stringe nelle
spalle e mi guarda serio. «Non c’è niente di più interessante della semplicità
in questo mondo.» Allunga una mano ad afferrare una delle mie. «Ѐ stato un piacere ed un onore
conoscerti stasera, Liv.» Abbassa il volto sulla mia
mano senza sfiorarla con le labbra e tenendo gli occhi fissi nei miei.
Avvampo
sotto quello sguardo così chiaro e profondo.
Dura
solo un secondo, forse anche meno, poi la sua mano lascia la mia, i suoi occhi
rimangono per un attimo ad osservare il mio volto, le sue labbra sorridono e si
allontana dalla mia vista.
***
Salve!
Come
definire questa storia…Uhm...Mesi fa, scrissi una shot
su Ben e Liv, la shot
lasciava intravedere il loro passato e in due o tre recensioni mi era stato
chiesto un prequel. Ho pensato spesso a cosa avrei potuto scrivere, avevo
pensato ad un’altra shot, ma scrivendo c’erano troppe
cose che avrei voluto dire e quindi ho optato per dividere in tre (?) capitoli
+ la shot che ho scritto come finale, quindi alla
fine penso che farò una raccolta (se riesco a capire come funzionano visto che
non le ho mai fatte qui su EFP).
Volevo
dire un paio di cose molto molto importanti:
1) Non voglio danneggiare nessun
personaggio famoso con questa mia storia, quindi mi scuso con David, Billie e Ben e tutti i loro fans se si sentiranno offesi
per questa mia opera
2) Sì, David è David Tennant e la ff è ambientata nel 2013,
quando il piccolo Wilfred non era ancora nato.
Forse
era meglio se invertivo le note, ma vabbé.
Non
so quando continuerò la storia, perché l’ispirazione è una stronza va e
viene.
Fatemi
sapere, se continuare o no… Accetto suggerimenti, critiche (purché costruttive)
e appunti. Tutto.
Ultimo ma non ultimo, vi lascio il link del gruppo FB che tengo insieme alla mia migliore amica sulle nostre storie, lì troverete informazioni, spoiler e tutte le cose che stanno dietro alle nostre creazioni. Blame it on the words
A
presto (?)
Cos