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Autore: VeganWanderingWolf    15/10/2014    0 recensioni
questa è la seconda storia della serie '4 di picche' - Vero che Danny si aspettava di poter rivedere qualcuno dei “colleghi” dei 4 di picche, ma forse non così presto e in una situazione tanto potenzialmente grave. Non solo. Dal suo passato rispunta una vecchia conoscenza che sa essere tutt’altro che innocua. E per finire, sembra che la sua vecchia conoscenza abbia individuato con precisione uno dei suoi punti deboli per eccellenza… e che sia ad un passo dall’affondarci le zanne…
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '4 di picche'
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Capitolo 3

(CALL ME)

 

 

Non c’era male, per essere il giorno che era.

Così considerava Danny tra sé e sé, mentre camminava, a passo per lui insolitamente moderato nel ritmo, lungo la strada principale di Castle MacHearty. In effetti, era la stanchezza a renderlo tanto calmo nel procedere, e forse anche la causa di quelle sue considerazioni quasi malinconiche. Forse c’entrava qualcosa anche il fatto che era ormai sera, e il sole estivo stava tramontando, diffondendo un soffuso colore rosato sull’orizzonte che si intravedeva al di sopra delle colline.

Sulla cima della collina di modesta altezza più vicina alla cittadina, il ragazzo poteva indovinare il contorno già piuttosto in ombra di casa.

Lo spirare del leggero vento fresco lo fece appena rabbrividire. Ma era più che altro una reazione da effetto placebo, perché lui non soffriva così tanto il freddo, specialmente per la sua condizione non completamente umana. Quasi di riflesso, si strinse un po’ nelle spalle, facendo muovere il giubbotto di jeans scuro ricoperto quasi interamente di toppe di gruppi e di motti punk che indossava, più che altro per affezione che per reale bisogno, sopra alla maglietta. Di tanto in tanto, estraeva una mano dalla tasca dei jeans per staccarsi dalla bocca la sigaretta che stava distrattamente fumando.

Era decisamente perso nei suoi pensieri, perlopiù impegnati a riconsiderare gli eventi delle ultime ore.

Di prima mattina aveva accompagnato Andrea all’aeroporto. Un viaggio di ben due ore, perché Castle MacHearty era, in fin dei conti, una località piuttosto sperduta, almeno a livello geografico. Qualcosa che gliela faceva apprezzare, dopotutto. Ma più che ritrovarsi in mezzo al traffico umano e di macchine di un aeroporto, cosa che non aveva mai provato prima nella sua vita, era stato il viaggio di ritorno senza Andrea a stranirlo. Ed era ancora estraniante pensare che non l’avrebbe vista per quasi due mesi. Sempre che lei non decidesse di ritornare prima, come aveva insistito a ricordargli fino all’ultimo saluto, per rassicurare lui o forse anche se stessa.

Certo, Danny poteva capire. Poteva capire che la madre di Andrea, costretta a vedere la figlia solo due volte all’anno visto che lei era rimasta a vivere in Germania, volesse cercare di farla restare là il più a lungo possibile. E, nonostante i suoi dubbi e la sua ansia di cercare di capire se Andrea era sincera fino in fondo a questo proposito, lei sembrava concordare con lui sul fatto che non fosse il caso – non ancora perlomeno – che lui andasse con lei. Non era tanto per la faccenda di conoscere la madre di lei, a dirla tutta, quanto per il fatto che affrontare due viaggi in aereo e quasi due mesi di immersione in una ‘vita normale’, probabilmente avrebbe fatto sentire Danny così fuori luogo che avrebbe iniziato a subire qualcosa di simile ad un vero e proprio shock.

Il resto della giornata che si stava avviando verso la fine era stata una questione di comune routine, anche se per lui la sola concezione di ‘routine’ era già di per sé qualcosa di bizzarro. Ma come altro chiamarla, dopotutto?

Così, era stato da un paio di clienti lì a Castle MacHearty, a raccogliere le descrizioni fin troppo minuziose e a tratti tragicamente teatrali dei loro animali domestici scomparsi. Poi aveva rintracciato un cane scomparso. A quanto pare, l’animale aveva pensato bene di fare una scappatella, ma si era perso dopo diversi chilometri percorsi più o meno a casaccio, ed era finito dietro le sbarre di un canile a diverse miglia da lì. Nel mentre aveva pensato bene di smarrire, o forse di liberarsi deliberatamente, del suo collare, rendendo impossibile ai volontari del canile rintracciarne il proprietario. Per fortuna di Danny, del cane e dei suoi affezionati proprietari, la fuga era avvenuta solo un paio di giorni prima, e la stagione calda aveva lasciato le tracce odorose del cane abbastanza vivide da permettere al ragazzo di seguirle almeno fino al punto in cui erano scomparse. Doveva essere il punto dove i volontari del canile lo avevano trovato e caricato su uno dei loro autoveicoli. A quel punto, era stata questione di intuizione e ricerca. Danny aveva dovuto esplorare due canili della zona in cui si perdevano le tracce prima di ritrovare il fuggitivo involontario, e consegnare ai volontari del canile il numero di telefono dei proprietari. Se non altro, aveva potuto beneficiare di un passaggio nell’auto del volontario che aveva riportato il cane e lui a Castle MacHearty. I proprietari gli avevano dato il suo compenso e lui ne aveva approfittato per pagare qualche provvista al supermercato.

Entrare in quel supermercato lo faceva ancora ridere sotto i baffi, nel ricordare quando lui, Andrea, Uther e Justin lo avevano saccheggiato per necessità e divertimento durante l’emergenza “zombie” di pochi mesi prima. Ma questa volta, invece, si era ritrovato più triste del solito. Questa volta non c’era con lui Andrea, che ridacchiasse con lui ogni tanto mentre facevano la spesa. Erano soliti scambiarsi appena uno sguardo di complice e segreta comprensione tra loro e iniziare a ridacchiare senza riuscire a trattenersi, mentre gli sguardi perplessi di chiunque li sentisse e non riuscisse a comprendere il motivo del loro divertimento non faceva che rendere il tutto ancora più divertente. E quel giorno, di colpo, Danny aveva realizzato che avrebbe dovuto fare a meno di quel modo un po’ meno tedioso di fare la spesa per quasi due interi mesi.

Era così ingarbugliato in questi pensieri, che inizialmente non notò affatto la sagoma seduta sul bordo del marciapiede. Almeno finché il suo sguardo distratto non intercettò il movimento convulso e precipitoso con il quale la sagoma suddetta balzò in piedi quando lui era a pochi metri da essa. Immediatamente i suoi occhi saettarono sulla figura umana che reagiva a quel modo al suo appressarsi, e i suoi muscoli si tesero d’istinto, pronti a reagire. Poi, però, si rilassò immediatamente, nonostante la figura gli stesse correndo incontro come se volesse buttarglisi addosso con tutto il suo trafelato peso.

«Danny! Oh, grazie al cielo, Danny, sei tu! Sei proprio tu!» gridò Justin, fermandosi ad appena pochi centimetri da lui, frenando a fatica il suo impeto disperato nel cogliere l’occhiata con cui l’altro lo fece tornare abbastanza in sé da evitare di buttargli le braccia al collo sull’onda del suo enorme sollievo.

«Justin…» lo salutò Danny, considerandolo con un accenno di sorriso a metà tra il divertito e l’incuriosito. Le sopracciglia appena alzate, lo esaminò sommariamente da capo a piedi, come se cercasse indizi di tanta gioia nel rivederlo. Era abituato alle scene melodrammatiche di Justin, ma esse erano rare come la neve in agosto, essendo l’altro un tipo più che mai atono, pigro e insofferentemente passivo.

«Che cosa succede?» continuò perciò Danny, in modo quasi sospettosamente ma tutto sommato gentilmente comprensivo «Non mi pare di aver visto del fumo sollevarsi dalla casa…» ironizzò, considerando che tutta quell’emotività poteva essere generata magari da qualche danno che Justin aveva appena suo malgrado prodotto a qualcosa che lo potesse riguardare da vicino.

«Oh, non sai quanto sono felice di vederti, mio dio, credo di essere morto…» continuò tuttavia teatralmente Justin.

Danny gli dedicò uno sguardo ancora più sarcasticamente perplesso, e ancora non abbastanza preoccupato. Sapeva bene che Justin tendeva a farsi prendere un po’ troppo dalle sue rare dimostrazioni di emozione, al punto da risultare ben più teatrale di quanto richiedeva un’oggettiva considerazione della situazione.

«Oh, beh… Sono felice che la tua idea di aldilà mi comprenda, ma… insomma, ti dispiacerebbe dirmi semplicemente cosa succede?» cercò di insistere, anche se sperare di indurre un Justin in quelle condizioni a esprimersi chiaramente era sempre qualcosa di un po’ troppo ottimistico, almeno per lui.

Tuttavia, il contegno del suo coinquilino cambiò di colpo dal giorno alla notte. Da estremamente sollevato e pieno di buone speranze di salvezza da chissà che cosa, si fece disperato e terrorizzato come se sentisse l’alito del Tristo Mietitore* sui peli della nuca.

«E’ terribile!» disse Justin, gli occhi spalancati e spiritati e il tono da oscura Sibilla. «Terribile, terribile, davvero…»

Danny sospirò appena, quindi, con un fulmineo movimento, fece scattare in avanti il braccio al quale non teneva appesa per i manici la sporta di plastica semi-piena del supermercato. Afferrò saldamente per il colletto della maglia Justin, avendo cura di rendere il suo gesto tranquillamente fermo e autoritario e non particolarmente violento.

«Sì, ‘terribile’, ho capito. Ora, dimmi cosa, Justin!» ordinò perentorio. Non gli arrideva particolarmente assumere quel contegno, ma sapeva per esperienza che se non voleva passare un altro quarto d’ora cercando di calmarlo, e semmai si fosse trattato di qualcosa di effettivamente importante nonostante le farneticazioni dell’altro, quello era l’unico buon modo che conoscesse per farlo parlare sensatamente.

E in effetti, una volta che parte della sua maglia si ritrovò saldamente stretta nel pugno di Danny, Justin sembrò guadagnare di colpo un’improvvisa lucidità verbale, sebbene i suoi occhi rimanessero spiritati come se avesse appena visto in faccia la morte.

«Ha squillato il telefono. Era lui! Lui in persona, capisci? E ti cercava. Con urgenza, sì, proprio così ha detto, con urgenza. Ha detto che era questione di vita o di morte che ti trovassi immediatamente, non importa dove ti fossi cacciato, e che ti portassi subito al telefono. Ha aggiunto che era questione della mia vita o morte!» iniziò a raccontare Justin, mentre il suo tono diveniva via via più piagnucolante e disperato «E allora io sono corso qui giù. Ho corso tutto il giorno, non ho fatto altro che correre, ma non ti trovavo. E tutti quelli a cui chiedevo facevano finta di non conoscerti, o mi ignoravano, o non mi rispondevano. Molti credevano che volessi chiedere l’elemosina per drogarmi. Io! Come se avessi abbastanza soldi per drogarmi. E poi, per un paio di canne sì e no alla settimana, non capisco perché le persone devono essere così cattive… e ora sono già passate ore, e io non ti ho trovato, e lui ormai avrà riagganciato e si sarà messo in viaggio. Starà venendo qui! Starà venendo a cercarmi! Sono un morto che cammina, sono praticamente…»

«Justin…» lo chiamò Danny, in tono cantilenante e paziente, scuotendolo leggermente avanti e indietro con molta delicatezza «Per favore, concentrati ora. Solo un paio di domande, d’accordo? Chi mi cercava e quante ore fa ha chiamato, esattamente?»

Justin lo guardò, spalancando gli occhi, e mormorò il nome in tono bassissimo, come se osasse a malapena pronunciarlo, o come se temesse che il solo dire quel nome lo avrebbe evocato, facendolo materializzare lì accanto a lui per ucciderlo.

Per fortuna, le orecchie di Danny erano abbastanza meno umane di quelle di molte altre persone per poter distinguere quella parola anche se era solo un sussurro. Al contrario di Justin, il suo viso si illuminò di un sorriso affettuoso, facendogli persino balenare i denti tra le labbra felicemente piegate e appena aperte. Poi il suo sorriso si trasformò in un sogghigno di comprensione, mentre rilasciava la sua presa sulla maglia di Justin, lasciandolo andare.

«Ora capisco tutta la tua paura…» motteggiò Danny. «Va bene. La seconda domanda, Justin: quante ore fa ha chiamato?»

Justin lo fissò come se la consapevolezza della morte imminente lo avesse stordito. «Che… che ore sono ora?»

Danny sospirò. «D’accordo, forse è meglio che tu non lo sappia. Va bene, avanti, gambe in spalla. Andiamo a casa. E non fare così… basterà che io lo richiami e vedrai che non ti succederà niente. Sai com’è lui… con te è sempre un po’… hum… eccessivo… non doveva essere poi una cosa così grave, in fondo. Andrà tutto bene, d’accordo? Non morirai. Davvero.» tentò di rassicurarlo, con fare sagacemente sicuro di sé.

Ma con sua sorpresa, vide Justin impallidire ulteriormente. «Ma lui non mi ha lasciato nessun numero…» mormorò, come se ora vedesse chiaramente la falce della morte che si avvicinava alla sua gola millimetro dopo millimetro.

Danny, che già si stava incamminando verso casa, si fermò e si girò di nuovo verso di lui, appena stupito. «Ah no? Beh, nessun problema, in fondo. Se era così urgente certamente richiamerà prestissimo. Vedrai che entro stasera sarà tutto risolto. E non ti succederà niente, te lo garantisco. Avanti, allora, vogliamo andare a casa?»

Justin si tirò indietro di qualche passo, barcollando e tremando, lo sguardo ancora spiritato e preda del terrore. «A casa?!» gracchiò, come se avesse la gola secca e stretta «No… oh, no no no! Quello sarà il primo posto dove verrà a cercarmi! Magari è già lì che mi aspetta! No… devo… devo nascondermi, ecco, sì… O forse… forse potrei scappare, sì, lontano da qui. Fare perdere le mie tracce… Travestirmi, anche, sì certo, aiuterebbe molto ne sono sicuro! E poi magari cambiare i documenti, sì. A che ora parte l’ultima corriera per la stazione di Foelm? No, forse dovrei andare a prendere un aereo, sì… E poi…»

Danny tornò a pararglisi di fronte, raccogliendo tutta la sua pazienza. «Justin. Ascoltami attentamente. Quante possibilità credi di avere, seriamente, di sfuggirgli, se volesse davvero trovarti?»

Il ragazzo lo fissò, e la sua espressione si aprì nella pura assenza di speranza. «Nessuna…?» azzardò, in un mormorio incerto.

«Humm… sì, esatto, pressappoco.» annuì Danny «Ma!» esclamò, rendendo il suo tono particolarmente significativo per accertarsi di mantenere il più possibile la concentrazione di Justin sulle sue parole «Ma io sono forte, no? Più forte di lui anche, parlando su un piano strettamente tecnico e fisico. Quindi, non ti converrebbe forse restare invece vicino a me? Inoltre, se c’è qualcuno che potrebbe riuscire nel convincerlo a lasciar perdere di rifarsi su di te, quello sono sempre io, no? Mi segui? Quindi, se sono io la persona che potrebbe meglio proteggerti, non ti conviene ora forse venire con me a casa e restare con me?»

Justin si prese diversi lunghi secondi per valutare attentamente quanto gli stava dicendo, in modo quasi ossessivamente sospettoso. Quindi, lentamente e circospettosamente, iniziò ad accennare un annuire insicuro «Sì… forse… forse sì…»

«Sicuramente sì!» lo incoraggiò Danny, prendendolo sotto braccio e iniziando a portarselo appresso mentre si dirigevano verso casa. «Avanti, il Conte si starà chiedendo che fine abbiamo fatto. E non preoccuparti. Andrà tutto bene. Promesso!»

Attraverso le finestre polverose del ‘Bone’s’, Gus seguì la scena dei due ragazzi che si incamminavano su per il sentiero che portava alla loro abitazione, l’uno più che altro trascinandosi dietro l’altro oltre che trasportando una sporta della spesa. Ben attento a non farsi notare da nessuno dei suoi avventori, Gus tirò tra sé e sé un sospiro di sollievo mentale.

Nell’imperscrutabile modo in cui poteva talvolta sapere tutto ciò che accadeva all’esterno, sempre nella cerchia ristretta di qualche metro di perimetro al di fuori del suo locale, sapeva che quel ragazzetto che si era precipitato la mattina nel suo bar creando tanto scompiglio, aveva poi passato tutta la giornata correndo in giro per la città, tornando sempre speranzosamente nei dintorni del ‘Bone’s’. Un paio di ore prima, esausto e privo di speranze, si era accasciato a sedere sul gradino del marciapiede, a qualche metro dalla porta del bar, la testa abbandonata tra le mani come se non avesse più niente da perdere nella vita. Salvo schizzare ad un certo punto in piedi, illuminato da un’ultima, sottile e preziosissima speranza alla quale aggrapparsi disperatamente, come qualcuno in procinto di annegare. Era tornato dentro il bar, stavolta con un contegno molto più timido e dimesso, e con la scusa di pagare la birra che aveva bevuto quella mattina e di scusarsi per non averla pagata subito, aveva accennato a chiedere di nuovo se si fosse visto Danny da quelle parti. Di fronte alla risposta negativa grugnita da Gus, sembrava essere definitivamente scivolato nella fossa della sua disperazione, a giudicare da come si era trascinato di nuovo fuori come se il suo corpo fosse privo di ossa, e dal fatto che si era di nuovo lasciato crollare sul gradino del marciapiede con la faccia tra le mani.

Nemmeno il fatto che Gus avesse fatto qualcosa che non aveva mai fatto prima in tutta la sua vita, ovvero non accettare il pagamento tardivo della birra dichiarando senza cerimonie che gliel’aveva offerta, sembrava aver scalfito la sua nube di disperazione. Invece, tale avvenimento aveva improvvisamente lasciato il bar, o meglio tutti gli avventori allora presenti, completamente senza parole. Ma l’incredibile gesto di Gus aveva anche avuto il potere di dare un’improvvisa credibilità alle parole di Pete, il quale fin dalla mattina non cessava di raccontare e ri-raccontare a chiunque mettesse piede al ‘Bone’s’ gli incredibili avvenimenti della mattina stessa, di cui poteva vantare di essere l’unico testimone autentico e insostituibile. Il fatto che raccontare appieno la storia richiedesse di mettersi a chiacchierare fittamente fuori dal locale per non farsi sentire da Gus, inoltre, aveva generato un assieparsi degli sguardi increduli e cinici ma anche curiosi degli ascoltatori sulla figura di Justin, seduto disperatamente sul gradino del marciapiede proprio lì fuori. Il ragazzo era troppo immerso nella sua disperazione per rendersi conto di essere divenuto l’oggetto di una tale attenzione quasi turistica, ma Pete ne aveva beneficiato enormemente, e il suo racconto aveva acquisito ulteriore credibilità.

Se non altro, quando finalmente la storia di Justin si era conclusa con l’incontro ormai insperato con Danny, fuori dal locale erano rimasti solo due o tre fumatori, perché ormai tutti gli avventori del ‘Bone’s’, a quell’ora, avevano già ascoltato all’incirca dalle tre alle sette volte la storia di Pete. Assistere all’incontro, comunque, era stato abbastanza per permettere a quei tre di poter poi soffiare un poco di notorietà a Pete, perché loro erano ora i diretti testimoni della conclusione della vicenda. Delle effettive parole che si erano scambiati Danny e Justin, o del loro significato perlopiù misterioso, gli avventori del ‘Bone’s’ poi non ne volevano sapere né capire niente, essendo diligenti osservatori di quella norma condivisa unanimamente dagli abitanti di Castle MacHearty, secondo la quale meno si sapeva di cosa avveniva in quella casa sulla collina o intorno ad essa e ai suoi occupanti, meglio era.

 

 

·        il ‘Tristo Mietitore’ è uno degli appellativi dell’altrimenti conosciuta come Morte :)

 

Note dello scribacchiatore: naturalmente se vi state chiedendo chi sta cercando Danny al telefono e può spaventare così tanto Justin… beh, lo scoprirete nel prossimo capitolo! ;) Ma sospetto che qualcuno/a potrebbe già indovinarlo in base a questi indizi, se ha ancora ben presente la prima storia dei ‘4 di picche’.

Per quanto riguarda il fatto che vi potrebbero comparire delle righe in orizzontale qui e là… me ne scuso, ma ho litigato più volte e a più riprese con word a questo proposito (per levarle cioè) e ancora non ne sono venuto a capo. Sappiate che comunque sono un “incidente di programma”, non c’entrano nulla nella storia e non hanno alcun significato di nessun tipo!

 

NOTE VARIE:

- Oh, naturalmente il titolo del capitolo ‘Call me’, vuole volutamente riprendere la canzone omonima di Blondie! ;)

 

  
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