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Autore: Querthe    14/10/2008    12 recensioni
Un mondo alternativo, strano e oscuro, dove nessuno è quello che sembra. Mamoru e Usagi divisi da una guerra già persa troppo tempo prima...
Genere: Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Chibiusa, Mamoru/Marzio, Rei/Rea, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Rei
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La Terra sembrava una sfera molto grossa e bluastra, come il cadavere di un annegato, dalla finestra del castello. Mamoru la stava osservando da qualche minuto, perso nei suoi pensieri, ma non riusciva a trovare il pianeta attraente quanto era la Luna vista dai terrestri.
Voltò lo sguardo, incontrando le mura e le guardie che presidiavano la sua abitazione. Altre, molte altre, ne era sicuro, erano per le strade di Crystal Tokio per far rispettare il coprifuoco e la sua giustizia.
I ribelli erano in agguato, era certo anche di quello.
E lui, come Endimion del regno, non poteva lasciarli fare. Rientrò nella sua stanza, chiudendo l’ampia porta-finestra. La notte era ancora lunga, e qualcuno richiedeva la sua attenzione.
La sua amata era nel grande letto matrimoniale, sotto le lenzuola di seta nera. Era buio, ma il suo sorriso era raggiante. Il corpo perfetto, i lunghi capelli sciolti sulle spalle e sui seni, la leggera camicia da notte pronta a cadere.
- Rei… - sussurrò mentre la baciava.

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Nel sottosuolo lunare, poco oltre la zona comunemente chiamata “Il bordo”, l’estremo limite dove le guardie artificiali di Mamoru arrivavano a pattugliare, vi era la base dei ribelli. Non erano molti, circa un centinaio contro nessuno voleva conoscere esattamente quante guardie armate, ma sapevano farsi valere. In quegli anni, da quando Mamoru aveva preso il potere, rigettando sua moglie, e legittima regnante, Usagi, instaurando una tirannia in nome della stabilità, spaccando il regno in due e vincendo una guerra civile che aveva bagnato di sangue tutta la Luna, i ribelli erano una costante spina nel fianco dell’Endimion. Convogli saccheggiati, avamposti bruciati, prigionieri liberati erano il loro pane quotidiano. Ma in quel momento, nella sala principale, si stava organizzando qualcosa di ben diverso.
- Siete sicure di quello che state dicendo? Ne parlate come di una scampagnata.
- Minako, sarei qui a proporlo a te e a Makoto senza averci pensato mille volte più una?
- Ho vagliato ogni possibilità, e abbiamo notevoli probabilità di…
- Ami, notevoli cosa vuol dire? – la interruppe Makoto a braccia incrociate.
Anche seduta, svettava per la sua notevole altezza e per i muscoli scolpiti e messi in evidenza dalla tuta da battaglia verde scuro e nero.
- C’è il novanta percento di riuscita. – rispose la donna aggiustandosi gli occhiali rettangolari sul naso. La sua tuta azzurra, a qualificarla come tecnico e scienziato, era seminascosta dal lungo camice da laboratorio.
- Capisci quindi, Minako, che non possiamo non tentarci.
- Lo sai che sono con te Usagi, e non solo perché regina del Regno della Luna. Oltre ad essere la mia Selenity, sei mia amica, ma stai proponendomi di organizzare un enorme cortina di fumo per permettere a te, ad Ami e a Makoto di penetrare nel castello, disattivare Chibiusa e uccidere Mamoru. Non è uno scherzo.
- Ed è per questo che ho bisogno della migliore spia della Luna. – sorrise la bionda, appoggiando la sua mano su quella guantata di arancione dell’amica. Minako aveva apportato alcune modifiche alla tuta standard, e tutti gli uomini della base erano ben felici quando la vedevano. – Allora?
La donna chiuse gli occhi qualche secondo, inspirando lentamente, per poi buttare fuori l’aria tutta di un fiato.
- Va bene. - Rispose rassegnata. - Quando?
- Dopodomani. Makoto ti darà tutti i suoi uomini da coordinare con i tuoi e gli altri. Abbandoniamo la base. Comunque vada a finire, non ci servirà più. - spiegò la ragazza dai corti capelli azzurri.
- Indietro non si torna. – disse Usagi.
- Indietro non si torna. – confermarono le altre.

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Dieci minuti dopo il coprifuoco, una nuvola di fumo nero si levò nella città, poco a sinistra del castello. Le guardie subito si mossero, guidate dai comandi radio impartiti da Chibiusa, il supercomputer nascosto nelle segrete del castello, costruito in tempi lontani, sebbene nessuno si ricordasse perché.
Altri scoppi, persone spaventate in giro per le vie della capitale, la notizia di un’esplosione oltre “Il bordo”, misero a dura prova le capacità di calcolo dell’elaboratore.
Mamoru osservava la città dal balcone della sala reale. Indossava l’armatura simbolo del suo potere, una protezione nera e lucente non solo scenografica. La spada al fianco tintinnò mentre rientrava.
- I ribelli si sono scatenati… - sorrise Rei, mollemente seduta sul trono una volta di Usagi. La veste bianca e rossa da sacerdotessa era quanto ancora la legava alla sua vecchia vocazione, a cui aveva rinunciato la sera in cui, per l’amore che provava per Mamoru e su sua richiesta, diede fuoco all’intero tempio dopo aver versato sonnifero nel cibo e nelle bevande delle sue consorelle. Era stata da allora la migliore guardiana del fuoco sacro, essendo l’unica. – Stasera festeggeremo con il loro sangue.
- A volte mi spaventi.
- Anche adesso? – lei sorrise sorniona, accarezzando il volto dell’amante.
Lui la baciò con passione, afferrandola per la vita.
- No. Ora mi ecciti. – rispose slacciando la cinta del fodero.

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- Via libera. – sussurrò Ami, controllando il suo piccolo palmare. – Anche in questa zona le guardie si sono allontanate. Ormai siamo dentro il castello. A parte qualche controllo, non dovremmo trovare resistenza.
- Fino alla camera reale.
- Fino a quella. Hai ragione, Makoto. Ma credo che il tuo apporto a quel punto diventerà essenziale.
- Effettivamente so sparare bene e conosco i punti deboli di quegli androidi, Usagi.
- Ferme! – sibilò la donna dai capelli azzurri. – Due guardie nel corridoio davanti a noi.
Le tre si immobilizzarono, sentendo avvicinarsi, e poi fortunatamente allontanarsi, i passi orribilmente sincronizzati dei due esseri artificiali. Anche se non li avevano mai visti quella sera, sapevano che indossavano caschi simili a quelli da motociclista, integrali, neri come la loro armatura, una versione distorta di quella del loro padrone. Una corta spada e un fucile chainrail completavano l’armamento.
- Anche questa è andata. Quanto tempo ci rimane prima che mangino la foglia?
- Dai miei calcoli, e considerando la curva di apprendimento mostrata da Chibiusa, direi circa mezz’ora, Makoto.
- Niente giro turistico, allora. Abbiamo due piani ancora. E le guardie. - Mostrò per un secondo un sorriso sghembo, tirato. - Ci sarà da ridere.

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L’uomo si rivestì immediatamente, mentre Rei lo osservava, semisdraiata sulla sua veste che fungeva da coperta.
- Sei irrequieto, amore io…
- Qualcosa che non mi quadra. Troppo rumore e troppe poche guardie a proteggerci.
- Stai diventando paranoico. – rise lei, alzandosi.
- Sono ancora vivo grazie alla mia paranoia.
Udirono un tonfo fuori dalla porta e uno sparo, poi un altro. La donna si risistemò velocemente la tunica ed estrasse il pugnale nascosto nell’ampia manica.
- Mi sbagliavo…
Lui le rispose sorridendo in modo tirato. Si avvicinò al trono come cercando qualcosa, per poi schiacciare un pulsante nascosto sotto il bracciolo sinistro. Due nicchie si aprirono nella parete vicino a lui, e quattro guardie si attivarono, imbracciando i fucili.
- Non sapevo che… - iniziò Rei.
- Nemmeno io conosco perfettamente il tuo beauty-case. – controbatté lui, per poi voltarsi verso gli androidi. – Controllate e terminate la minaccia.
Silenziose, le quattro figure si mossero all’unisono. Aprirono la porta e scavalcarono il corpo fumante di un loro simile. Le schegge di mercurio, sparate magneticamente dieci volte la velocità del suono dai loro fucili, costrinsero Makoto e le altre a ripararsi dietro la parete del corridoio.
- E queste da dove spuntano? – mormorò la donna, controllando le cariche residue delle sue pistole laser. – Non posso certo dire di avere molte munizioni. Dieci colpi in tutto.
Ripose una delle armi nella fondina e afferrò l’altra con entrambe le mani. Inspirò come a calmarsi, quindi si sporse e sparò due colpi in rapida successione, prima di tornare accucciata. Buttò la pistola ormai scarica ed estrasse l’altra. Un altro grosso sospiro e si sporse nuovamente, ma dopo alcuni secondi e tre spari si ritrasse, la pistola persa, colpita da un proiettile, la sua mano destra sanguinante, ma intatta.
- O mio… - gridò Usagi.
- Siamo fregate. Senza armi siamo inermi. Possiamo solo ritirarci.
Ami scosse il capo.
- No. Non così vicino. Non dopo tutto questo tempo, non di nuovo.
- Cosa stai dicendo Ami? Di nuovo?
- Usagi non puoi capire. Ovvio. Perdonami, se puoi. Makoto, programma Thunderstorm, codice di attivazione Jupiter. Confermare.
La bruna si irrigidì, lo sguardo vuoto.
- Codice confermato. L’unità attende ordini.
- Ami…
- Dopo Usagi. Makoto, abbandonare configurazione standard. Terminare le minacce e l’unità Endimion.
La donna annuì, mentre io suo corpo sembrava gonfiarsi, cambiare. La tuta, quindi la pelle si strapparono, mostrando muscoli metallici e cavi subito coperti da placche metalliche come il volto, un brandello della faccia a cadere vicino a Usagi, che si ritrasse inorridita. Ciò che era Makoto camminò nel corridoio, i proiettili a rimbalzare o solo a scalfire la corazza. Le mani si serrarono sul collo di una delle guardie, stritolandolo, fluidi verdastri ad uscire dalla massa ormai inerte. Anche le altre guardie fecero la stessa fine, sebbene più per fortuna che per precisione uno dei proiettili aveva distrutto l’occhio destro di Makoto e lesionato i comandi della gamba dello stesso lato, resa rigida, come morta.
- Oltre la porta, Makoto.
- Ami, tu sapevi che Makoto era…
- Anche Minako, se lo vuoi sapere. Le ho costruite io. Ora muoviamoci, Chibiusa ci aspetta. – le rispose dura la donna, afferrandola per un braccio e trascinandola via. – Presto, prima che le guardie convergano qui.

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- Immaginavo che saresti arrivata, un giorno o l’altro, dopo l’ultima volta. – sembrò ridere la voce fanciullesca, che si sparse nella vicina stanza nel piano più segreto del castello, metri sotto la superficie.
- Ci ho messo più del previsto, ma ci sono riuscita. – rispose Ami, appena entrata nel grande locale, illuminato debolmente da delle luci al neon azzurrastre. – Come va, Chibiusa?
- Bene. Sai che anche questa volta non riuscirai a fermarmi?
- Ami, con chi…
- Usagi, siamo davanti a Chibiusa, o meglio al suo interno.
- E’ senziente? Come una persona vera?
- Io! – tuonò la voce da bambina, mentre la luce si alzava come il tono. – Io sono viva. O non te lo ricordi, mamma?
Usagi sgranò gli occhi.
Ami le lasciò il braccio e si mosse sicura verso in pannello, aprendolo.
- Non ti immaginavi che potessi arrivare così vicino, vero? L’ultima volta ho sbagliato e mi hai fermato prima di poterti… uccidere. Ma oggi, oggi sarà tutto diverso, e tutto avrà fine.
- Ti illudi. – rise. - Non riuscirai mai ad arrivare a me. Davvero a me.
- Ami, perché mi ha chiamato mamma?
- E’ una lunga storia, e avremo tutto il tempo dopo. Ora vai alla porta e avvertimi se senti rumori sospetti.
- Ma…
- Usagi, cazzo, fai quello che ti dico! – urlò esasperata Ami, mentre armeggiava con una combinazione numerica.
La bionda, stupita dal tono, obbedì, mentre mille pensieri le attraversavano la mente.
Dopo quasi cinque minuti i passi delle guardie la distrassero dai suoi ragionamenti.
- Arrivano.
- Sei stata veloce Ami, ma Mamoru e gli androidi di guardia arriveranno prima che tu possa giungere al mio nucleo. Non hai nessuna speranza. Anche questa volta ho vinto io. Sei lontana dal mio cervello. Troppo lontana.
La scienziata sorrise, allungando la mano e parte del braccio oltre il foro apertosi nel pannello.
- Io dico di no.
- Hai solo sette, sei, cinque…
- Me ne basta uno.
- Arrivano! La porta si sta aprendo! – gridò Usagi, vedendo il braccio di Mamoru e la sua spada gettarsi su di lei.
- Addio, Chibiusa.
Il dito di Ami si chiuse sul meccanismo che iniettò un potente veleno nel cervello di Chibiusa, rinchiuso da oltre trecento anni in un sistema di sostentamento e quindi collegato con l’intero castello tramite enormi e potentissimi computers.

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Usagi era immobile, le mani come a coprirsi il volto, la lama di Mamoru a pochi millimetri da lei. Era immobile come tutti gli altri nell’intero castello, nell’intero regno. Tutti erano come cristallizzati.
Solo Ami e Minako, pesantemente ferita, stavano ancora muovendosi.
- E’ finito. Ora è tutto finito. – mormorò Ami, estraendo il braccio e alzandosi. Passò davanti a Usagi senza degnarla di uno sguardo. Attraversò i corridoi silenziosi. – Ora è tutto finito! – echeggiò la sua voce, sempre più volte. – Finito.
Camminò a lungo. Sentì che Minako si era spenta, ma non pianse. Era solo un androide. Come Makoto. O Rei, o Mamoru, o la stessa Usagi. Tutti erano androidi, macchine comandate da altre macchine, comandate a loro volta da Chibiusa.
Povera bambina, così giovane eppure così malata.
La disperazione dei genitori. La paura, il terrore, la ricerca di una cura che non esisteva, e poi la speranza, la possibilità di mantenere in vita Chibiusa, o almeno il suo cervello.
Una proposta di cui Ami si pentì per tutta la sua vita. Una scelta da cui non si poteva tornare indietro.
Tutto sembrava andare bene, poi i primi squilibri, la enorme, immotivata gelosia verso la madre, un complesso spesso normale nei piccoli, che sarebbe passato velocemente, ma non ad un cervello collegato con l’intera struttura del palazzo, bloccato da sensazioni finte e da freddi fluidi di mantenimento. Chibiusa quasi senza accorgersene uccise i suoi genitori e gli altri servi del palazzo dopo circa dieci anni. Ami, scappò, rifugiandosi oltre i confini dove i robot, e poi gli androidi, non potevano arrivare. Doveva ritornare nel palazzo, e spegnerla. Ma non aveva il tempo. Non le sarebbe bastata una sola vita. O due.
Ami arrivò, con un mezzo preso all’esercito ormai immobile, fino ad un ben preciso cratere, dove si fermò e scese.
Riconosceva quel posto. Ci era stata varie volte. Era la prima volta che arrivava lì, ma le memorie delle Ami precedenti erano sempre presenti, chiare e limpide nella sua mente. In quel luogo riposavano le spoglie della vera Usagi e della vera Ami, e del vero Mamoru. Ormai erano tre secoli che nessuno nasceva o moriva sulla Luna.
Solo androidi.
Androidi soldato, androidi persone, androidi ribelli, creati da Chibiusa e un paio dall’androide Ami, con i falsi ricordi di uomini e donne mai nati. Tutti burattini nel folle gioco di bambole di Chibiusa, che le costruiva e dava loro il libero arbitrio, li gettava sul palco della Luna e li manovrava nella speranza che il suo sogno di sposare e di tenersi tutto per sé suo padre si avverasse.
E lei, prendendo possesso del corpo voluttuoso e meccanico di Rei durante gli amplessi con Mamoru, ci era forse riuscita.
Ami, il quindicesimo androide che la rappresentava, con i suoi ricordi, le sue paure e la sua vergogna per quello che la sua creatrice aveva fatto, si inginocchiò sopra le tombe nascoste dalla sabbia. Finalmente era riuscita ad utilizzare il veleno che la vera donna dai capelli azzurri aveva piazzato nel complesso sistema che teneva in vita il cervello di Chibiusa. Tutto meccanico, solo leve e molle, nulla che quello che fu la bambina potesse controllare o manomettere, se anche l’avesse scoperto. Ed era tutto finito.
- Ora riposate in pace. Ora chiunque riposa in pace.
L’androide guardò la Terra. Era bella, era luminosa, era viva.
Ami si disattivò, sorridendo.

Riposa in pace.


P.S.: Attenzione. Tutti i personaggi descritti, come è chiaramente scritto, sono androidi. NON sono persone reali! Nessun reale rapporto di incesto (Mamoru/Chibiusa tramite Rei)è stato descritto.
   
 
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