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Autore: Kerberos 1001    16/10/2014    1 recensioni
La casta dei Vagabondi, noti anche come i Cacciatori, giurò di salvaguardare la totalità dei Senzienti dalle perfidie perpetrate dalla Marea, arrivando al sacrificio, se necessario.
Alle volte, però, è effettivamente molto difficile capire la differenza tra senso del dovere spinto all'estremo e semplice ambizione personale ...
(Secondo racconto dell'universo della Marea)
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stendardi garriscono al vento
La piana ci si stende davanti, uomini!
Verde di tenera erba,
Nera di brulicanti nemici
Orsù, fate sentire le vostre voci!
Gridate! Gridate più forte!
Il tempo è giunto, sporchi bastardi!


Il turno di riparazione all’esterno è stato estenuante, quest’oggi, come tutte le altre volte, del resto.
Lo detesto, ma non se ne può fare a meno, purtroppo: la nostra Nave è vecchia e bisogna fare tutto il possibile per evitare che le apparecchiature si guastino, non più di quanto già facciano normalmente, almeno …
1) Indossare la tuta (irrigidita da generazioni di rattoppi, proprio come la nave).
2) Posizionare con cura i cateteri (!!!)
3) Verificare lo stato dei collari di giunzione dei guanti, del casco e degli stivali, soprattutto le tenute ermetiche.
4) Regolare i sensori interni ed esterni, l’intercom e il tattile dei guanti manipolatori.
5) Controllare il livello delle batterie, dei fluidi vitali – acqua e soluzione nutritiva – e di tutti i serbatoi di gas, compresi quelli propulsivi.
6) Verificare le attrezzature contenute nelle tasche esterne e nella cintura.
Potrei recitare la Litania dell’Operatore anche dormendo (e non dubito che mi sia capitato, più di una volta), persino in trance: è una parte di me; la più importante, sarei quasi portato a dire, se non fosse tanto deprimente.
Completata questa noiosa trafila, ci si presenta al portello, la soglia corazzata che dà accesso alle camere stagne, si digita il codice, si attende con pazienza che il sequenziatore termini il suo balletto di led rubino e smeraldo; poi si entra nel cilindro vuoto che si chiude alle tue spalle, con un sibilo che dovrebbe essere attutito, ma che in alcune camere potrebbe perforare i timpani ad un sordo. L’aria se ne va, rimpiazzata dal vero Vuoto, quello gelido che alberga tra le stelle, e dopo qualche secondo sei fuori, di fronte all’immensità dello spazio. Il maledetto spazio …
Non c’è altro, intorno a noi, non c’è mai stato altro: stelle e vuoto sconfinato, da quando siamo nati, da quando fummo selezionati per divenire Vagabondi.
Dicono che la nave vaghi lungo il Confine da più di duemila anni, con sporadici contatti con le altre arche, sempre in moto, sempre a caccia. Vedendola come noi la vediamo, dall’esterno, non è difficile crederlo: la sua liscia forma originaria qua e là è svanita sotto una miriade di toppe, aggiunte, estensioni varie; alcune sezioni presentano larghi sfregi, nessuno sa più se dovuti a collisioni con grossi oggetti naturali o con altri, che naturali non sono mai stati: cicatrici, memento tangibile dell’onore che Nave non ha voluto nascondere.
Trainate da cavi monomolecolari come perle, intere costellazioni di asteroidi, catturati durante i rari passaggi attraverso i sistemi solari, seguono a distanza di chilometri lo scafo, mantenuti come riserva di materie prime e terreno sterile; c’è poi la nube di detriti – polvere metallo-ceramica dovuta all’incessante usura, per la maggior parte, ma anche semplice spazzatura che viene espulsa fuori bordo – che circonda tutto e tutti, come una sporca scia cometaria: buona parte dei crateri che butterano la corazza ablativa esterna è dovuta all’impatto con questo pattume, le volte che viene a trovarsi abbastanza vicino, nelle sue orbite eccentriche, da essere attirato nuovamente all’origine, in una pioggia continua. È questa la maggior fonte di crucci e di lavoro per noi Operatori delle squadre di manutenzione: dover ricercare e rimediare ai danni causati dagli impatti, valutando di volta in volta se e quando si renda necessaria una sostituzione, piuttosto che una riparazione al volo oppure niente.
Ovviamente, noi badiamo unicamente ai sei Stami mediani, le sezioni abitativo-produttive (e vi assicuro che già così è più che abbastanza!): dei quasi cento Petali indipendenti che costituiscono lo stormo da combattimento esterno e dell’Ovarium, che ospita la propulsione quantum, i generatori principali e il Com/Nav, si occupano squadre militari specializzate.
Perché, chiedete? Perché è tradizione, sin dalla Partenza, vi risponderebbe chiunque; non io, devo ammetterlo: ad essere sinceri, io non so spiegarvi perché sia così, non c’ero alla Partenza, come non c’era nessuno degli abitanti attuali della nave, nemmeno il più anziano tra loro.
Certo che la nave è davvero bella! Anche con tutte le sue aggiunte, anche con tutte le antenne e bocche da fuoco che ricoprono come peluria la sua superficie, si riesce a coglierne il disegno, l’idea di base. Avete presente le ninfee che vengono coltivate nelle vasche delle aree ricreative? Le prime arche di Cacciatori, quelli che scelsero di diventare i Vagabondi, erano né più né meno che comuni incrociatori, trasporti, navi da battaglia ritirate dal servizio attivo con questa o quell’altra scusa per essere riattate e inviate in missioni di lunga durata, alla ricerca delle basi e dei concentramenti del nuovo, onnipresente nemico. Queste missioni erano segrete, ovviamente, perché sarebbe stato controproducente svelare per intero la portata della minaccia rivelatasi con l’incidente dell’Aurora.
Purtroppo, queste prime contromosse si dimostrarono penosamente insufficienti e completamente inadeguate: pur trasformate radicalmente, attrezzate con la punta di diamante della tecnologia allora vigente – una sola di quelle navi segrete avrebbe potuto porre fine a più d’uno dei conflitti normali che si combattevano allora nello spazio conosciuto – erano quasi inermi di fronte alle sottili strategie della Marea, che faceva dell’infiltrazione, dell’offensiva psicologica e del sotterfugio il suo principale mezzo d’attacco, elevando il terrore e il parossismo ad una forma d’arte. Quando poi si trovavano ad affrontare dei bersagli fisici – altre navi, per intenderci – il più delle volte si scopriva che queste erano prede di guerra, vascelli conquistati ad altre razze e rivolti contro di noi o contro i loro stessi consanguinei. Secondo le cronache, nel corso di quella che passò alla storia come la Prima Guerra d’Incubo e per svariati decenni successivamente, capitò in più di un’occasione di rinvenire i relitti galleggianti, spesso intatti, di questi vascelli precursori, privi di ogni forma di vita a bordo oppure con pochi, regrediti bruti che, completamente impazziti, cercavano di sopravvivere alla meno peggio senza nemmeno ricordare i principi di funzionamento dei loro stessi macchinari; rispettando la consuetudine, si procedeva allora immediatamente a scaricare da remoto il contenuto delle banche dati del vascello, se ne registravano nome e numero di matricola nell’Archivio dei Caduti e infine si procedeva ad invertirne la singolarità, facendo sì che tutto svanisse in un lampo indaco. Motivi di sicurezza, capite? Non potevamo permetterci di prendere a bordo agenti della Marea in incognito, assolutamente!, e neppure lasciare che, per sterile sentimentalismo, un’unità-assassino si infiltrasse nelle nostre linee: è vero che si impara sempre dai propri errori, ma alle volte può essere tremendamente costoso …
Perciò, un settimo di arcobaleno per le povere vittime della guerra. Se ci pensate bene, ha un che di poetico.

Marciate, fratelli, marciate!
La sera avanza, il campo ci attende.
La tenda, il fuoco, il rancio serale:
Queste le gioie di noi soldati.
Queste le nostre uniche gioie.
E il sangue dei nemici sulle nostre spade!


I progettisti, gli strateghi, gli scienziati a conoscenza della minaccia fecero tesoro delle esperienze accumulate da quegli eroici pionieri: i prodotti della seconda generazione non erano più semplici navi da guerra; erano assurte al rango di Navi. Proprio così, con l’iniziale maiuscola: strutture complesse, ad architettura multipla e ridondante, completamente autosufficienti, le Navi venivano fatte crescere in località segrete, situate in sistemi remoti molto al di fuori delle normali rotte commerciali e militari; non appena raggiungevano lo Stadio Uno, equivalente grosso modo alla formazione della blastula in un embrione, un equipaggio appositamente selezionato veniva trasferito a bordo dalla stazione madre e sigillato nello scafo in formazione, per crescere e svilupparsi in tutto unico ed organico, un essere senziente che sarebbe stato impossibile coartare: la Nave incamerando secondo ritmi suoi propri tutto quello che le era necessario conoscere, l’equipaggio provando con mano cosa significasse avere a che fare con un organismo ibrido, dotato di potenzialità quasi infinite. Occorrevano circa cinque anni perché una Nave raggiungesse lo Stadio Dieci, equivalente al completo sviluppo fisico e mentale di tutte le sue parti. Al termine di questo periodo di gestazione, la Nave neonata era perfettamente in grado di controllare e gestire autonomamente ogni suo singolo apparato – in definitiva, si trattava dei suoi stessi organi! – sapeva comprendere le necessità psico-fisiche della sua componente puramente biologica – leggi: equipaggio, il quale, terminato il lungo addestramento in situ, iniziava ad interfacciarsi attivamente con il resto dell’organismo  – e possedeva un minimo di conoscenze innate su di sé, sull’universo nel quale era nata e su tutto quello che avrebbe potuto esserle utile nei primissimi periodi dell’esistenza: il resto del bagaglio culturale comune si sarebbe formato negli anni successivi, a partire dalle esperienze che avrebbero vissuto nel corso del loro viaggio. Avete capito bene: nel corso del loro viaggio. La Nave, questo complesso essere vivente misto, avrebbe avuto, da allora in poi, un unico scopo: viaggiare nel vuoto per scovare e distruggere ogni possibile componente della Marea, rintuzzandone gli assalti con ogni mezzo a sua disposizione.
In eterno, se necessario …
Con il passare dei secoli, il lavoro si è stratificato e specializzato, divenendo routine, com’era prevedibile: la nostra popolazione si è virtualmente stabilizzata, per comune consenso, a circa due terzi della massima capacità abitativa della Nave, condizione che ci consente ampi margini di sviluppo e la possibilità di vivere con una certa comodità ed abbondanza; l’unico problema, in questa situazione quasi idilliaca, è determinato dal fatto che, per ovvi motivi, buona parte di questa nostra comunità è impegnata nella gerarchia militare, ed è quindi confinata quasi permanentemente nei Petali. Con un’altra rilevante percentuale addetta alla supervisione della produzione di risorse, alla ricerca scientifica nonché alla direzione e comando della nostra comunità, ecco che per le altrettanto importanti operazioni di verifica e manutenzione esterna restiamo unicamente noi Operatori e, credete a me, siamo decisamente troppo pochi! Non che mi lamenti della situazione, anche se gradirei qualche turno di riposo in più, come tutti: sono nato a bordo, non conosco altro che i corridoi e i passaggi interni della Nave. Le Cronache di Bordo, la nostra storia, si sono accumulate nel tempo, colme di episodi allegri, comici, tristi e tragici. Sappiamo che la nostra opera è necessaria per preservare la vita, la civiltà; LA NOSTRA VITA È LA NOSTRA OPERA E LA NOSTRA OPERA È LA NOSTRA VITA: sono parole incise nella grande Sala del Consiglio, l’immensa sfera cava posta al centro dell’Ovarium, dove tutti gli abitanti potrebbero e dovrebbero riunirsi per decidere di questioni di importanza vitale, discutendone tra di loro e con la coscienza di Nave. Almeno, così dicono le Cronache di Bordo e il Regolamento: nessuno, e sottolineo nessuno, ricorda un tale evento. Forse il Regolamento è stato disatteso; forse siamo stati soltanto molto ma molto fortunati. Chissà.
Comunque, resta il fatto che noi siamo stati lanciati nell’universo per respingere il nemico oltre le nostre frontiere; la cosa buffa è che nessuno sa quali siano queste frontiere, quanto lunghe siano, ci dividano da che cosa: tracciare linee di confine nel vuoto multidimensionale non è affatto facile … che invece che prodi guerrieri, eroi delle razze senzienti, noi si sia unicamente miseri lombrichi, esche gettate nella corrente per stanare le trote e i lucci di questo nostro spazio? È un’idea che mi torna ricorrente da un po’ di tempo, soprattutto prima di un turno di lavoro lungo i cavi da rimorchio. Pensieri cupi, disfattisti, certo non sono quelli preferiti dalla Sezione Propaganda! Del resto, nemmeno loro hanno sempre il morale alle stelle, nonostante vogliano farcelo credere.

Squilli di tromba nell’aria sottile.
Udite! Udite!
Il vento porta il rombo del tuono,
il vento porta l’odore del sangue.
Avanti, scimmioni!
Puntate quel pezzo in batteria!
Vento negli occhi, se non volete
che porti anche voi!


Nave ha combattuto molte battaglie.
Nave ha vinto molte battaglie.
Noi siamo Nave. Ergo, noi abbiamo combattuto e vinto.
Hurrà!
Perché tutto questo sarcasmo, poi! Forse il motivo è che ci hanno chiamato a dare un’occhiata ad uno dei Petali della cerchia esterna: fosse stato un ordine, avrei rifiutato, ma si è trattato di una richiesta cortese, il supervisore degli Operatori militari ha chiesto una nostra valutazione, offrendosi di cooperare appieno con noi. Ed eccoci qui, sospesi sopra il guscio lucido che copre, proteggendolo, lo spiracolo di un cannone di calibro che nella pratica militare viene classificato come stellare: sun buster, un distruttore di stelle. Ogni Petalo ne ha uno al suo interno, alimentato da appositi array ridondanti di generatori quantum, gestito da una sottosezione dedicata dell’EGO di Nave, che si premura di tenerne sotto costante controllo la terrificante potenza. Durante l’addestramento, quando venni a conoscenza della loro esistenza, ricordo che sperai di non vederli mai in funzione, anzi, di non doverli vedere affatto; in seguito,  mi resi conto che erano necessari, come me, come tutti a bordo: Nave sa, Nave medita da quando è nata sulla sua missione che è anche l’unico vero motivo della sua esistenza. Se Nave non ha deciso, nel corso di tutti questi secoli, di riconvertire quegli impianti, deve avere avuto delle ragioni più che valide, mi sono detto.
Vederne uno da vicino, comunque, è davvero impressionante: l’unica traccia della sua esistenza  visibile all’esterno è appunto lo scudo protettivo che siamo venuti ad esaminare, circondato dalla corona di pori che ospitano gli attuatori miomerici e le lenti del sistema di puntamento ausiliario. La superficie sembra perfettamente liscia, a prima vista, un’illusione ottica generata dalla luce riflessa e rifratta da miliardi di scaglie di corazza composita sovrapposte a strati, sullo sfondo rossastro del “sangue” di Nave; toccandola, avverto il lento pulsare del fluido adibito al trasporto dell’energia, il suo calore che filtra  persino attraverso il guanto. Ecco cosa preoccupa il supervisore! Tutto questo non è normale, proprio per niente: detto semplicemente, è assurdo!
Perché? Ma è ovvio! L’esterno di Nave, nelle normali condizioni operative, si trova a temperatura ambiente, cioè quasi allo zero Kelvin, se si è lontani da una fonte radiante come può esserlo una stella: disperdere calore nello spazio più del necessario costituirebbe un inutile spreco di energia e una fonte di pericolo. La corazza ablativa che la ricopre, oltre ad operare come tale, funge da efficiente isolamento termico: lo so perché l’ho toccata più di una volta. La quantità di calore irradiato in questo momento attraverso il guscio … Che diavolo sta succedendo?
Dandomi un impulso di mezzo secondo con l’ugello di destra, inizio lentamente ad ispezionare lo spazio attorno a noi, ancorato saldamente all’estremità del cavo di recupero. Gli altri mi imitano subito, mentre il supervisore utilizza saggiamente la propria tuta comando per veicolare le nostre trasmissioni al più vicino centro controllo per l’analisi. Sono quasi arrivato a tre quarti del mio cono quando lo scorgo e quasi mi slogo il polso per attivare la sequenza di frenata e posizionamento: c’è qualcosa che si staglia contro lo sfondo delle stelle, indistinto, forse per la sua lontananza (Speriamo!), forse perché utilizza una qualche forma di mascheramento (Speriamo proprio di no!) …
In meno di un minuto,  tutti stiamo puntando i sensori in quella direzione: la visione si stabilizza, i contorni diventano più nitidi … il nostro orrore diventa palese. Non serve che ci guardiamo in faccia, sappiamo già qual’è la nostra comune espressione: è una Nave! Niente di più, niente di meno: riconosceremmo ovunque quelle forme, quegli spazi ingannevolmente vuoti tra le singole parti che vanno spiegandosi maestose proprio mentre le osserviamo.
La bellezza, la grazia, l’imponenza! È meravigliosa, rutilante di luci che formano arabeschi di ogni colore mentre si prepara ad attaccare. È il nemico ed è venuto a prenderci. Con mirabile coordinazione, sotto i nostri occhi i Petali si dispiegano assumendo la formazione da battaglia, allontanandosi il più possibile dal nucleo centrale per ampliare al massimo e sgomberare il campo di tiro delle artiglierie: per noi, non c’è più possibilità di ritorno al nostro Settore, almeno finché infuria la battaglia; mentre le prime bordate avversarie divorano la distanza che ci separa, noi cerchiamo la via più breve per raggiungere i portelli d’accesso alla sezione di prua del Petalo cui siamo tuttora vincolati, voltandoci di quando in quando per ammirare lo spettacolo mortale dei raggi che punteggiano il vuoto fitti come lucciole in estate. Razionalmente so che non sono pericolosi, non ancora: si tratta di una salva di saluto, per così dire, sparata per testare la resistenza degli scudi; sarebbe veramente il colmo della sfortuna se bastasse così poco per colpire Nave! Mentre valuto la distanza che mi separa dal portello, l’energia che impatta e fluisce disperdendosi sui campi di forza alle mie spalle proietta le nostre ombre distorte sulla ceramica, quasi fossimo burattini deformi appesi ad un unico filo; una frazione di secondo più tardi, tutto ciò che ci circonda viene fatto vibrare dalla brusca contrazione dello scudo: mi volto a guardare la sua superficie virtuale trasformata in una bolla di sapone dai flussi di fotoni e particelle cariche che lo percorrono, non posso farne a meno. Così perdo secondi preziosi e quando finalmente mi riscuoto e raggiungo il portello d’emergenza, gli altri si stanno già accalcando per entrare; è  un errore, lo so, e subito, insieme al supervisore, cerco di porvi rimedio, ma ormai è tardi: per evitare di ferire o schiacciare qualcuno, il sistema di sicurezza ha già bloccato la camera stagna, impedendo alla sezione esterna di chiudersi per dare il via alla compensazione, incurante dei pugni, calci e spintoni che subissano il portello interno.
Io e il supervisore militare ci guardiamo e non servono parole per comprenderci: dobbiamo proseguire, raggiungere il portello successivo e tornare a sbloccare la camera con l’override manuale di emergenza. Questione di pochi minuti, durante i quali il panico potrebbe anche scemare, facendo rinsavire uomini che hanno solamente scordato di essere praticamente nati nel vuoto. Così partiamo di gran carriera, sussultando ogni qualvolta una salva parte o arriva; ora anche Nave ha iniziato a fare sul serio: i Petali agiscono come vascelli indipendenti, coordinati tra di loro come la più organizzata ed addestrata delle flotte, gigantesche curve corazzate che si lanciano in avanti, arretrano, aggirano e fiancheggiano l’avversario come uno sciame di api assassine; bordate che farebbero evaporare un oceano vengono schivate con noncuranza, altre vengono incassate, simulando danni e difficoltà di manovra, per trarre in inganno il nemico più vicino attirandolo in trappola. Non riusciamo a renderci pienamente conto dell’andamento della battaglia: da dove ci troviamo, in corsa attraverso una foresta di emettitori e antenne sensorie, è praticamente impossibile cogliere l’intera complessità delle strategie dispiegate dai due avversari; proprio mentre sto per sorpassarla a volo radente, una sezione di un’ottantina di metri quadri si ritrae sotto il guscio principale, scoprendo gli sbocchi di decine di pozzi di lancio. Missili? mi chiedo Di che genere? Cosa possono ottenere delle armi fisiche là dove l’energia stessa delle stelle non riesce a penetrare?  Domanda oziosa: quelli che vedo partire sono vettori di testate G, micro singolarità gravitazionali tenute in stasi; i loro contenitori le trasporteranno in vicinanza degli scudi avversari per poi rilasciarle di colpo, generando delle distorsioni nel continuum locale abbastanza intense da deformarne e forse frantumarne i campi di forza costituenti.
Se così fosse, le aree indifese verrebbero immediatamente tempestate dall’artiglieria … che Nave avesse già pianificato il tutto? Certo è così, perché Nave ha già affrontato in passato nemici dotati di scudi, nemici non Nave, ovvio. Questo è diverso, questo …
Oddio! Mi volto verso il supervisore, leggo la mia stessa incertezza, la mia stessa intuizione sul suo viso: scrutiamo assieme il vuoto che ci circonda, cerando, cercando … trovando!
Eccoli! Lunghi oggetti neri stagliati contro la luminosità diffusa dalle salve ad alta energia e dalle esplosioni!
Non c’è tempo per comunicare con qualcuno, Nave deve leggere direttamente i dati dai nostri sensi, sperando che non si confondano nel bailamme che già intasa i canali: vettori G nemici in avvicinamento, ormai hanno quasi raggiunto il punto di rilascio, confusi e nascosti nel caos che si espande per chilometri cubici tutto attorno a noi. Provo una sensazione strana, quasi una risata divertita, nel profondo del mio essere, che però non è mia: io non sto ridendo, non trovo nulla di buffo o divertente nel vedere la morte precipitarsi veloce verso di me, quasi mi stesse puntando di proposito! Nel medesimo istante, mentre arrivo a sfiorare il portello esterno della camera stagna, la superficie del Petalo intorno a me, di tutti i Petali all’unisono, si illumina di un lucore rossastro, pulsante di energia: mi volto appena in tempo per vedere, in lontananza, lo spesso guscio corazzato fendersi e ritrarsi, aprire la via.
Per cinque secondi, la scena intorno a me si congela, l’unico movimento/rumore essendo il treno di onde sincrone che percorre i Petali come un brivido di inumano piacere; l’apocalisse che ne segue è terrificante: novantasei fasci di alta energia erompono all’unisono dalle bocche dei sun-busters  come acqua da un geiser, ciascuno più largo del Petalo che lo ha generato, ciascuno diretto contro l’unico bersaglio veramente importante in tutta questa folle danza. L’Ovarium della Nave nemica non resiste neppure una frazione di secondo: viene letteralmente vaporizzato mano a mano che la salva lo investe, un centimetro alla volta, lungo l’asse, divorandolo con gusto.
Scacco matto! Abbiamo vinto!
Mentre volo via nel vuoto, trascinato dall’onda d’urto che mi ha strappato il cavo d’ormeggio, incredibilmente riesco a pensare solamente a questo. Abbiamo vinto!
Hurrà!

Lacera tela in putrido vento,
Rossa di porpora, rossa di sangue.
Fango al ginocchio cosparso di amici,
Fango al ginocchio intriso di noi,
Tutti caduti. Perché?
Per la vittoria? Per la nazione?
No.
Perché i soldati combattano ancora …
Ora e per sempre!


Ora Nave è più bella: distrutta la coscienza dell’Avversario, ha assorbito ed integrato le sue membra come preda di guerra, rendendole parte di sé. Nessuna aveva subito danni rilevanti, ci credereste? Un balletto, una partita sottile fatta di finte nelle finte nelle finte, giocata da due campioni, con una posta altissima in gioco: la sopravvivenza. E il proseguimento della missione, certo! Nave sapeva, prima ancora di conoscere l’identità dell’Avversario; per questo motivo aveva iniziato a caricare i calibri principali: aspettava unicamente l’occasione propizia. È buffo: ora che il mio corpo macina centinaia di chilometri al secondo diretto chissà dove, nello spazio, mi sono risvegliato qui, nella Sala del Consiglio, una delle migliaia di coscienze che fluttuano perennemente nei percorsi neurali che ne innervano la superficie: noi siamo il Consiglio! Noi, i caduti. Nave ci parla, Nave ci accudisce, Nave prova sommo rispetto per noi, coloro che hanno scoperto il suo segreto, senza poterlo rivelare a nessuno.
Nave ora ha quasi duecento Petali, graziosamente disposti in morbide corone attorno ai suoi dodici Stami abitativo-produttivi : vanitosa com’è, per non guastare troppo l’armonia delle sue forme, li ha incorporati in alternanza, uno rivolto verso prua, il successivo rivolto verso poppa, quasi fossero immense radici pensili tese a succhiare l’energia dell’universo …
Ed è probabile che questa sia una delle ragioni alla base della sua decisione, per quanto ne so: quante altre Navi saranno rimaste, in giro per questo nostro universo?
Ho scoperto che, in origine, ognuna delle dodici Navi progettate nasceva con tre soli Stami e quarantotto Petali …

Correte, bastardi, correte!
Altro non siete che miseri pedoni,
Carne da cannone sacrificata in
Un gioco più grande di voi!


(Anonimo, ca. 3115 d.C.)
   
 
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