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Autore: TheGreyJon    16/10/2014    1 recensioni
"Unitevi a noi, fratelli e sorelle. Unitevi a noi nell’oscurità dove resistiamo vigili. Unitivi a noi poiché compiamo il dovere che non può essere rinnegato. E semmai doveste morire, sappiate che il vostro sacrificio non sarà dimenticato. E che un giorno, noi ci uniremo a voi..."
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Non-con
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CAPITOLO 8: Il Primo Passo
 
  Mi risvegliai all'improvviso, ma non riuscii a liberarmi subito dalle spire del sogno in cui ero imbrigliato.
  Quando il gelo della notte mi ricondusse alla realtà, fissai con gli occhi sgranati il manto stellato sopra la mia testa, mentre il mio corpo tornava lentamente a rilassarsi. Con un sospiro cercai di calmarmi mettendomi a sedere sul giaciglio. Ripensavo terrorizzato alle terribili immagini che ancora danzavano davanti ai miei occhi, ma che già iniziavano a sfumare. Era stato come essere immerso in una sorta di nebbia. Tutto mi era apparso sfocato e confuso, fatta eccezione per una cosa: il male. Si trattava di qualcosa di terribile e oscuro, corrotto quasi fin dentro l'anima. Capii che probabilmente avevo appena sognato l'Arcidemone. Nei miei incubi, così strani e difficili da ricordare, appariva sempre allo stesso modo, ovvero come un enorme drago nero, una macchina di morte fatta di scaglie, zanne e artigli. Da quando questa mia avventura era iniziata, non avevo più ricevuto la benedizione un sonno tranquillo, ma quella sera si era trattato di qualcosa di davvero difficile da sopportare...
  "Brutti sogni, vero?" Commentò Alistair, seduto dall'altra parte del falò. Era già vestito in armi e fissava sereno la danza silenziosa delle fiamme. In quel momento invidiai la sua calma.
  "Deve essere qualcosa che ho mangiato" borbottai. Potrà apparirvi sciocco, ma non volevo che Alistair sapesse quanto mi sentissi frustrato da queste notti tormentate, né quanto alcune di queste visioni mi perseguitassero. Era un pensiero davvero stupido.
  Con un sorriso, il ragazzo rispose: "... o bevuto, più probabilmente! Il sangue di prole oscura, ricordate?" Difficile dimenticare una cosa del genere. Questa doveva essere una punizione per aver accettato la corruzione della bestia dentro di noi, ne ero certo. "Sapete..." continuò Alistair. "Dopo l'Unione ebbi degli incubi davvero terribili. Ma dopo un po',  molti di noi imparano a bloccarli."
  "Capisco" risposi. "È solo che sembrava così reale..."
  "Ciò che avete visto... era l'Arcidemone. Lo so, perché anche io l'ho sognato. Lui parla ai prole oscura... e noi Custodi riusciamo a sentirlo. È per questo che abbiamo la capacità di avvertire la loro presenza."
  L'Arcidemone... Duncan me ne aveva parlato, raccontandomi cosa queste creature fossero in realtà. Secondo quanto sosteneva la Chiesa, si trattava degli antichi dei del Tevinter, mostri terribili che sottraevano gli uomini al culto dell'unico vero dio, il quale, adirato, li rinchiuse in mistiche prigioni sotterrane. Tuttavia i maghi dell'Impero sfruttarono la magia del sangue appresa dalle loro deità per entrare nell'Oblio e dare la caccia alla Città d'Oro del Creatore. Per questo oltraggio, essi vennero maledetti e scacciati, diventando i primi prole oscura. La corruzione della loro anima e dei loro costumi li tramutò nelle bestie sanguinarie che sono oggi, il cui unico istinto è la distruzione. Si rifugiarono sotto terra e iniziarono a proliferare, fino a quando non trovarono una delle prigioni degli Dei del Tevinter. I prole oscura corruppero la sua essenza ed esso diede inizio al primo Flagello, diventando un Arcidemone. Ogni volta che un antico dio viene scoperto, la storia si ripete. Non saprei dire quanto di questo fosse vero, ma Duncan sembrava ritenere questa versione abbastanza attendibile, dunque io facevo altrettanto.
  "Non è che ricordi molto..." replicai.
  "È normale. Però, alcuni dei Custodi più anziani dicevano di riuscire a capire ciò che diceva... Io di certo non ci riesco. Comunque, già che siete sveglio, che ne dite di iniziare a smontare il campo? Manca poco all'alba e ieri non abbiamo percorso molta strada." Era vero. Avevano lasciato Lothering ormai sul far della sera e ci eravamo accampati subito dopo il tramonto, dunque non avevamo camminato che un paio d'ore.
  Svegliai gli altri mentre Alistair iniziava a preparare la colazione per il gruppo. Sten e Leliana avevano montato le loro tende a pochi passi dalle nostre, mentre Morrigan si era costruita una sorta di piccolo accampamento il più lontano possibile dal nostro... una stravaganza che mi aveva strappato più di un sorriso. In ogni caso, fummo in breve pronti per rimetterci in cammino verso Redcliffe.
 
2
 
  La marcia attraverso la campagna non era difficile e procedeva spedita, ma io preferivo evitare di spronare troppo il gruppo. Dopo venti giorni passati in una gabbia, temevo che Sten potesse aver bisogno di riposo, quindi effettuammo pause frequenti. Giunti all'ora di pranzo, mi avvicinai al Qunari, vigile ed in disparte ai margini del nostro campo con le braccia conserte.
  "Allora..." dissi. "Com'è la tua nuova spada?"
  Quando avevamo lasciato Lothering, ci eravamo imbattuti quasi subito in una coppia di mercanti, due nani. Eravamo riusciti a salvarli da un branco di prole oscura intenti a saccheggiare le campagne. Non era raro che pochi esemplari isolati si separassero dal grosso dell'orda per compiere razzie e che riuscissero a superare indisturbati anche villaggi e insediamenti. Così, Bodahn Feddic, il più anziano dei due mercanti, ci aveva ricompensati regalandoci una grossa spada per il nostro nuovo compagno. Era un buon pezzo d'acciaio, per quanto non avesse nulla di particolarmente eccezionale. Semplice, pratica e abbastanza cattiva da fare il suo lavoro in battaglia, mi era sembrata l'arma perfetta per l'esotico soldato.
  "Andrà bene" rispose il Qunari senza scomporsi.
  Annuii silenzioso, non sapendo esattamente come attaccare discorso. "Senti..." cominciai. "Possiamo scambiare due parole?"
  Sten sbuffò infastidito, scoccandomi un'occhiata insofferente. "Tutte queste pause sono davvero necessarie? Stiamo perdendo tempo..."
  "Beh, sei stato un bel po' in quella gabbia."
  "Sei preoccupato?" Si sorprese il Qunari. "Non serve. Sono perfettamente in grado di combattere."
  "Impressionante." commentai sorpreso, ma senza scompormi. Se davvero dopo un periodo tanto lungo di privazione del cibo, Sten riusciva a conservare il suo vigore, beh... sicuramente sarebbe stata un'aggiunta preziosa. "Hai detto che eri nell'esercito, ma non perché sei stato mandato a Sud."
  "Per rispondere ad una domanda." Ancora una volta, Sten, credendo di essere stato esauriente, replicava ad un quesito con un tono di voce secco, tipico di chi non si aspetta che la conversazione debba continuare.
  "Sì... E qual era la domanda?"
  "L'Arishok ha chiesto cosa fosse il Flagello. Per la sua curiosità, ora mi trovo qui."
  Attesi che aggiungesse altro, ma il poderoso soldato rimase in silenzio diversi secondi, fissando assorto l'orizzonte davanti a sé.
  "E... non dovresti fare rapporto...?"
  Notai l'espressione di Sten mutare leggermente, quasi un barlume di rimorso o rimpianto gli avesse adombrato il viso. Per un attimo ebbi l'impressione che una grande tristezza lo stesse tormentando, ma forse era un sentimento più profondo.
  "Sì." Rispose infine.
  "Quando lo farai?" Domandai, sicuro che una persona con la sua disciplina avrebbe trovato il modo di portare a termine il suo compito prima o poi.
  "Non lo so..." abbassò lo sguardo pensieroso.
  Lo scrutai alcuni secondi, poi decisi di riprendere una questione lasciata irrisolta. "Ora mi dirai cosa ci facevi in quella gabbia?"
  Sten mi squadrò inarcando un sopraciglio e rispose: "Stavo seduto..."
  "Molto divertente..." ribattei sarcastico.
  "Grazie!" Rispose, sinceramente grato per quello che aveva percepito come un complimento... Non rilevai ironia. Mi sembrava impossibile che non avesse colto il mio sarcasmo, ma era ancora più strano pensare che un personaggio criptico come lui fosse in grado di simulare tanto bene sentimenti come la gratitudine. In ogni caso, non ottenni altre risposte e decisi di riprendere il cammino al più presto.
  Aumentammo il passo e riducemmo drasticamente le pause, in modo da percorrere quante più leghe possibili prima di doverci nuovamente fermare.
  Mentre Sten e Morrigan tendevano ad essere di natura piuttosto taciturni, trovai strano l'improvviso silenzio in cui Alistair si era ritirato. Camminava spesso in fondo al gruppo, rispondendo a monosillabi e solo quando interpellato. Giudicai che questo suo comportamento dovesse essere legato al recente lutto e, dal momento che potevo comprendere perfettamente il suo dolore, decisi di non infastidirlo. Tuttavia, una di quelle sere fu Leliana ad approcciarsi a me. Io e lei non avevamo parlato molto fino a quel momento, forse perché ero spesso impegnato a guidare il gruppo durante il viaggio e pianificare il tragitto del giorno successivo alla sera. O più semplicemente, nessuno dei due aveva sentito particolarmente il bisogno di dare confidenza all'altro, trattenuti dall'inevitabile timidezza che contraddistingue due persone che si sono appena incontrate.
  "Sapete, sono un po' preoccupata per Alistair..." mi disse mentre ero intento a preparare la cena, accovacciato accanto al fuoco.
  Alzai lo sguardo su di lei, incuriosito. "E perché mai, Leliana?"
  "Beh..." proseguì, acquattandosi a sua volta nei pressi del focolare. "Mi è subito sembrato un ragazzo solare e aperto, eppure di recente lo vedo spesso assorto nei suoi pensieri, silenzioso, triste... Temo che abbia il morale atterra. Voi lo conoscete da più tempo, magari saprete cosa fare o cosa gli passa per la testa."
  Sospirai, attizzando il fuoco con un pezzo di legno. "Vedete, non lo conosco affatto da molto tempo: siamo finiti assieme solo recentemente. Secondariamente... sapete cosa è successo ad Ostagar e che lì ha perso buona parte delle persone a lui care. Credo stia cercando di... elaborarlo, diciamo. In questi casi, una persona ha solo bisogno di tempo, fidatevi."
   La ragazza sorrise con fare rassicurante. "Sembra che parliate per esperienza personale... Posso chiedervi...?"
  "No" tagliai corto io, non avendo alcuna intenzione di discutere con lei del mio passato. Leliana mi guardò seria, ma comprensiva. Alla fine annuì e fece per andarsene. "Non alzatevi..." intervenni. "Non ce n'é bisogno." Sospirai, non volevo apparire scortese o scontroso. "Come avete intuito, sì, parlo per esperienza personale, ma è una questione che ancora non ho risolto. Magari un giorno ve ne parlerò, ma... non oggi." Per quanto cercassi di restare concentrato, il massacro della mia famiglia era una ferita ancora aperta e parlarne era come spargerci sopra del sale. Come Alistair, avevo fatto fatica ad accettare la cosa. Durante il viaggio verso Ostagar, avevo avuto Duncan con me, che, a dispetto del mio gelo nei suoi confronti, mi aveva spronato a superare il trauma. Ancora oggi uno dei miei più grandi rimpianti è non potermi sdebitare con quell'uomo. "Gli parlerò..." dissi infine. "Male non potrà fargli."
  "Vi ringrazio" sorrise lei.
  "Leliana..." proseguii, intercettandola prima che se ne andasse. "Credo che dovremmo parlare di quella vostra visione."
  La ragazza sospirò abbassando lo sguardo. "Sapevo che prima o poi sarebbe saltato fuori questo argomento." Non sembrava affatto ansiosa di raccontare di ciò che l'aveva spinta ad unirsi al mio gruppo. Rimase in silenzio diversi secondi, disegnando con il dito cerchi vaghi sul terriccio, forse cercando le parole giuste. "Da dove posso cominciare...? Diciamo che... ho avuto un incubo." Al sentire pronunciare quelle parole, subito levai lo sguardo su di lei, sorpreso. Con tutti quelli che avevo avuto, per un attimo fui portato a pensare che quella non potesse essere una semplice coincidenza, ma decisi che era il caso di ascoltare  cos'altro avesse da dire. "... ed in questo sogno c'era un'oscurità impenetrabile, così densa... così reale. E c'era un rumore, un rumore terribile. Io ero su un'altura e osservavo l'oscurità inghiottire ogni cosa, ma quando la tempesta ha travolto anche l'ultimo raggio di luce... sono caduta e l'oscurità mi ha avvolto..." Il volto della ragazza era incredibilmente serio mentre aggrottava le sopraciglia nello sforzo mnemonico. Nei suoi occhi, però, leggevo un sentimento familiare, un sentimento che mi afferrava il cuore ogni volta che mi svegliavo di soprassalto nel pieno della notte.
  "Quindi... Avete sognato il Flagello?"
   Leliana si strinse nelle spalle. "Immagino di sì. Quello era l'oscurità, no? E quando mi sono svegliata, mi sono precipitata nel giardino della Chiesa, come facevo ogni mattina, ma quel giorno notai che un cespuglio era fiorito. Tutti sapevano che quella pianta era morta. Era grigia e secca... la più brutta cosa che avessi mai visto, eppure quel giorno una singola rosa era apparsa fra i suoi rami, rossa e bellissima. È stato come se il Creatore avesse voluto dirmi che anche in queste ore oscure si può trovare la bellezza... la speranza."
  Il Creatore... Un dio nel quale ero stato educato a credere e che veneravo ormai solo per abitudine. Forse c'era effettivamente una vita dopo la morte o qualche divinità che ci riconoscesse come suoi figli... ma che si trattasse proprio del Creatore? O del Creatore così come lo vedeva la Chiesa? Difficile dirlo. Se effettivamente era proprio così... beh, non avrebbe forse dovuto trattarsi di un dio lontano e adirato che più nulla voleva avere a che fare con l'uomo? Questo predicava la Chiesa. Francamente a queste domande non avevo alcuna risposta. Forse il Creatore ci amava e aveva davvero inviato Leliana per aiutarci... o forse no. Forse Leliana era semplicemente una fanatica... o forse no. Forse era pazza. O forse no. Tutto ciò era davvero fuori dalla mia portata.
  "Capisco..." dissi. "Francamente non so se quelle fossero solo la rappresentazione delle vostre speranze o se davvero qualcuno abbia voluto che voi faceste parte di un piano più grande. Tuttavia... beh, ormai siete qui..."
  "Già, ci sono. Non avrei potuto starmene in disparte mentre il Flagello divorava tutto, no?"
  Mi limitai a sorriderle educatamente. "Certamente... Ora chiamate gli altri: direi che la cena è pronta."
  Dopo un paio di giorni, raggiungemmo finalmente le terre di Arle Eamon, ma io ancora non avevo parlato con Alistair. Speravo che fosse lui a confidarsi o che semplicemente riuscisse a lasciarsi tutto alle spalle per conto suo, ma invece era diventato ancora più silenzioso. Non sapevo bene cosa dirgli, come approcciare il discorso... Anche se comprendevo i suoi sentimenti, non mi sentivo la persona migliore per consolarlo. Tuttavia, una mattina, quando ormai il castello di Redcliffe, arroccato sulle sponde del lago Calenhad, si stagliava nitidamente all'orizzonte, mi avvicinai a lui.
  "Alistair..." dissi io. "State bene? Mi sembrate un po' strano da qualche giorno..."
  Il ragazzo mi fissò con i suoi occhi nocciola per alcuni secondi, aggrottando le sopracciglia, quasi fosse impegnato a prendere qualche decisione difficile. Alla fine sospirò. "Sentite, devo dirvi una cosa... un cosa che probabilmente avrei dovuto dirvi prima."
  Dirmi prima? Cos'era a turbarlo se non la morte di Duncan e di tutti i Custodi?
  "Perché ho la sensazione che non piacerà quello che sto per sentire...?" Domandai retoricamente con uno sguardo penetrante.
  "Io... non saprei..." Alistair distolse lo sguardo, visibilmente imbarazzato. Alla fine prese un lungo respiro e cominciò: "Vi ho detto che conoscevo Arle Eamon, ma non vi ho detto come. Beh, ecco... diciamo che... mia madre era una delle servette del castello... E... sì..."
  Inarcai un sopracciglio. "Che c'è? Volete dirmi che siete un bastardo di Eamon?" Volli tagliare corto. La notizia non mi avrebbe affatto sorpreso. I figli illegittimi erano molto comuni tra i nobili e spesso ricevevano un'ottima educazione e potevano diventare cavalieri... o Templari, appunto. Tuttavia, non capivo perché vergognarsene...
  "Non esattamente..." rispose, ancora più imbarazzato. "Il fatto è che, sì, sono un bastardo, ma... mio padre... Lui era Re Maric..." Ricevere un calcio nei denti sarebbe stato più piacevole.
  "Cooooosa?!" Esclamai io, interrompendolo. "Non vi è venuto in mente che forse era il caso di dirmelo prima, maledizione!?!"
  "Io... avete ragione... Ma... è solo che... per tutti doveva restare un segreto. Arle Eamon mi ha cresciuto come fossi suo figlio, ma mi ha sempre insegnato a tenerlo nascosto, poiché non voleva che fossi una minaccia per il trono di Cailan. Insomma, non mi è mai piaciuto parlarne ed in più non sapevo come dirvelo..."
  "Che ne dite di 'Ehi, è pronto lo stufato. E, oh, a proposito, sono il dannatissimo erede al trono!'"
Questo avrebbe potuto cambiare tutto. Tutto! Se lui era l'ultimo uomo rimasto con il sangue di Re Maric, beh... gli equilibri dello scacchiere su cui ci trovavamo venivano stravolti. Letteralmente!
  "Avete ragione, ma... Ah, non lo so..."
  Presi un profondo respiro e mi massaggiai le tempie cercando di calmarmi. Dovevo restare lucido, pensare razionalmente. Dopotutto, anche se tardiva, restava una bella notizia. "Loghain..." dissi infine. "Lui lo sa?"
  "Non ne sono sicuro, ma... immagino che sia possibile."
  Digrignai i denti: questo poteva complicare le cose. "Allora dovremmo stare più attenti..."
  "Mi dispiace, avrei dovuto dirvelo subito..."
  Sospirai e assestai al compagno una pacca sulla spalla. "Coraggio, non pensiamoci più per adesso... a meno che non abbiate altre rivelazioni dell'ultimo minuto da farmi. Che ne so, magari Duncan vi aveva consegnato un veleno-uccidi-arcidemone, o qualcosa del genere."
  "No... direi che a parte il mio sacrilego amore per il formaggio e l'ossessione pei i miei capelli, questo è tutto. Sapete... cose da principi." Mi sorrise timidamente, nella speranza di strappare anche a me un sorriso. In qualche modo ci riuscì. "Alistair..." dissi io, cercando di restare serio. "Vi rendete conto che ciò fa di voi l'erede al trono, vero?"
  "Oh, spero proprio di no. Sarei un pessimo re!" Rise lui. "Coraggio, andiamo... Se qualcuno deve succedere al trono, questo dovrebbe essere Arle Eamon. Era lo zio di Cailan, dopotutto, ed un uomo amato. Quindi, sbrighiamoci a salvarlo." E con un peso in meno sullo stomaco, il ragazzo continuò a camminare, lasciandomi indietro di qualche passo con i miei pensieri. Lui l'aveva buttata sul ridere, ma io ero serio. Lui era l'erede, ed in quanto tale aveva un dovere, una responsabilità. I Custodi fanno il loro dovere, sempre, non importa quanto sia alto il prezzo. Presto anche Alistair avrebbe dovuto rendersene conto.  
 
3
 
  Il borgo di Redcliffe era un piccolo insediamento di quasi settecento anime, nato nei dintorni del castello, lungo le rive del lago Calenhad. Il villaggio era piuttosto umile e viveva soprattutto di commerci e pesca, in quanto la terra brulla dei dintorni non era particolarmente fertile o adatta all'agricoltura. L'insediamento si sviluppava sulla scoscesa riva ovest e si arrampicava lungo la scogliera. La piazza principale sorgeva davanti alla Cappella e su di essa si affacciavano le principali botteghe e attività commerciali. Il grosso dell'abitato era stato edificato a ridosso dell'acqua tramite moli e palafitte, che davano vita ad un piccolo porto. Risalendo la stradina principale lungo la scarpata, ci si imbatteva nella tavernetta di paese, piccola ma accogliente. Ancora più in altro, era presente un mulino a vento, arroccato sulla cima del picco. Da lì, il sentiero conduceva alla strada principale e al Castello di Redcliffe, silenzioso e addormentato nell'aria del primo pomeriggio.
  Superato il ponte che segnava il confine del borgo, avevamo iniziato a scendere lungo il pendio, quando ci imbattemmo in un ragazzo che piantonava la strada. Doveva avere sui quindici, massimo sedici anni, molto magro, con il volto affilato ed i capelli lunghi. "Viaggiatori..." commentò con la bocca spalancata, come se non avesse mai visto estranei in vita sua. "Siete qui per aiutarci?"
  A quella domanda, ci fermammo, scambiandoci sguardi curiosi. "In un certo senso..." rispose Alistair. "...se è delle condizioni di salute di Arle Eamon ciò a cui vi riferite."
  Sul volto del ragazzo comparve un'espressione confusa. "Arle Eamon?" Ci chiese, quasi avesse solo una vaga idea di chi stessimo parlando. "Potrebbe essere morto per quanto ne sappiamo! Non riceviamo notizie dal castello da giorni, ormai."
  "Ma di che diavolo stai parlando?" Intervenni io.
  "Non... non ne sono sicuro! Ci sono delle cose... cose morte... Ogni notte scendono dal castello e vengono ad attaccarci, ma io... non..."
  "Calmati!" Lo interruppi. "Perché non siete andati a cercare aiuto?"
  "Ci abbiamo provato!" Rispose lui energicamente. "Abbiamo perfino provato ad evacuare il villaggio, ma... ogni volta che qualcuno prova ad andarsene... quelle cose attaccano! Anche se è giorno!"
  Ci guardammo tutti, sempre più confusi, non sapendo esattamente che pesci pigliare. "Morrigan..." dissi infine. "Hai idea di cosa stia succedendo?"
  La ragazza si strinse nelle spalle. "Sembrerebbe magia del sangue, ma senza saperne di più è difficile a dirsi..."
  Dovevo vederci più chiaro... e quel ragazzino spaventato non era certo la migliore fonte di informazioni. "Senti... chi è che comanda qui?"
  "Bann Tegan! Lui! Lui ci ha salvati!"
  Bann Tegan era il fratello minore di Arle Eamon e, per quanto ne sapevo, suo erede. Con le condizioni di Eamon sempre più incerte, era di importanza cruciale riuscire a parlargli e salvarlo. Non era né rispettato né potente quanto il fratello, ma era una persona giusta, a sentire mio padre, e si sarebbe ritrovato al comando di un esercito piuttosto ampio, se l'Arle non si fosse ripreso al più presto. Rimaneva comunque la nostra migliore possibilità. "Portaci da lui..."
  Il ragazzo annuì ed iniziò a farci strada. Mentre scendevamo lungo il sentiero, iniziai a chiedermi con preoccupazione cosa diavolo stesse succedendo. Era chiaro che qualche terribile maledizione affliggeva la brava gente di Redcliffe, ma io avevo una missione di importanza vitale: avrei fatto il possibile per aiutare i locali, ma nella mia testa il Flagello restava la priorità. Per quanto difficile fosse, dovevo compiere il mio dovere.
  In breve raggiungemmo il centro del villaggio. Da dietro le sconquassate porte di legno e le finestre sprangate, sguardi più spaventati che curiosi scrutavano il nostro incedere; un gruppo di bambini sporchi di fango ci squadrò per qualche secondo, prima di dileguarsi dietro le banchine, mentre per il resto silenzio e desolazione erano i sovrani indiscussi del posto. "C'è più allegria in un cimitero..." commentò Leliana, guardandosi attorno circospetta.
  Entrammo in chiesa. Era un piccolo ma solido edificio in pietra, che presentava tre navate e, sul fondo, uno spazio più ampio in concomitanza con l'altare. All'interno, vidi parecchie donne e bambini, con diversi anziani. La maggior parte di quelle persone avevano sguardi vacui e spenti, e nei loro occhi la speranza era solo un lontano ricordo. Sembravano già morte.
  Ci avvicinammo al fondo dell'edificio, dove notammo un uomo sui trent'anni che discuteva animatamente con un'anziana sacerdotessa. "...vi prego, Madre... Potrebbe davvero fare la differenza..." Stava dicendo, stringendo le mani della donna tra le sue.
  "Mi dispiace, Bann Tegan..." rispose lei con espressione contrita. "È qualcosa che semplicemente non posso fare. Sono davvero addolorata."
  Con un sospiro, Tegan annuì. "Capisco. Andate, non vi infastidirò oltre." L'uomo si sedette sui gradini dell'altare con aria stanca, reggendosi il volto tra le mani.
  "Chiedo scusa..." esordii, avvicinandomi. "Siete voi Bann Tegan?"
  L'uomo alzò appena lo sguardo su di me. Il volto era sciupato, con profonde occhiaie scure a cerchiargli lo sguardo, e i capelli rossi tipici della sua famiglia erano parecchio scompigliati. "Io... Sì. Chi siete voi?"
  Chinai leggermente il capo. "Velor, Mio Signore. Sono un Custode Grigio." Inutile mentire a riguardo.
  "Un Custode?" Si sorprese l'uomo. Sembrava che stentasse a seguire i nostri discorsi, evidentemente stremato dalla privazione di sonno.
  "Tegan, forse vi ricorderete di me..." intervenne Alistair. "Anche se l'ultima volta che mi avete visto ero decisamente più giovane e coperto di fango."
  "Coperto di fango...?" Tegan scrutò il mio compagno, confuso, poi il volto gli si illuminò. "Alistair! Siete voi, vero? Siete vivo! Che splendida notizia!"
  "Perdonate, Mio Signore" mi intromisi rispettosamente. "Di certo avrete udito le calugne che Loghain ha messo in giro su di noi."
  "Naturalmente. Io ero a Denerim quando è ritornato con il suo esercito. Vorrebbe farci credere che i Custodi hanno tradito il Re... È un peccato che però siano tutti morti con Cailan, mentre lui è riuscito a non perdere neppure un soldato! Come se non fosse abbastanza, si è dichiarato reggente in nome di sua figlia, la Regina Anora. Se continuerà a tirare così tanto la corda, scoppierà una guerra civile."
  Mi fece piacere sentirlo così profondamente schierato dalla nostra parte. Mi portava ad essere un po' più ottimista per il futuro. "Sono felice che la vediate così. Posso chiedervi come sta Arle Eamon? Sapevo che era malato."
  L'uomo si alzò in piedi faticosamente e con gli occhi lucidi. "Non riceviamo notizie dal castello da diversi giorni, ormai. Nessuna guardia pattuglia le mura e nessuno risponde alle mie grida. Poi... sono cominciati gli attacchi..." L'uomo sembrava scosso dal ricordo degli eventi che avevano tormentato il villaggio le notti precedenti. "Ogni notte, cose... malvagie sorgono dal castello e vengono a portare la morte su di noi. Fin'ora li abbiamo respinti, ma... abbiamo perso così tanti dei nostri! Non so se riusciremo a resistere ancora una notte."
  "Che genere di creature sono?" Chiese Morrigan con un punta di curiosità.
  "Alcuni di noi li chiamano... morti viventi." Rispose Bann Tegan inorridito. "Cadaveri macilenti in avanzato stato di decomposizione tornati in vita con una sacrilega fame di carne umana..." L'uomo ci fissò stremato. "Alistair, odio dovervelo chiedere, ma abbiamo disperato bisogno di aiuto. Potreste davvero fare la differenza qui."
  "Non riguarda solo me..." rispose Alistair, mordendosi il labbro. "Però senza Redcliffe non abbiamo molte speranze."
  Non era la nostra battaglia, certo, ma cosa potevamo fare? Senza il sostegno di Eamon o Tegan, non vedevo come poter vincere all'Incontro dei Popoli. Se un gruppo di paesani erano riusciti a resistere tanto a lungo, con il nostro supporto la vittoria forse era a portata...
  "Immagino non ci sia modo di entrare nel castello, vero?"
  Bann Tegan scosse il capo con decisione. "Non per il momento, non abbiamo i numeri per un attacco frontale. Tuttavia, se riuscissimo a resistere ancora una notte, potremmo tentare domani mattina."
  Sospirai, era come pensavo. "Molto bene, vi aiuteremo." 
 
4
 
  Si preannunciava una giornata di duro lavoro. Bann Tegan ci aveva ragguagliato velocemente sulla situazione, comunicandoci con precisione il numero di uomini a sua disposizione e le condizioni del villaggio. La Chiesa era di gran lunga l'edificio più solido ed era lì che si sarebbe radunata la popolazione al calare delle tenebre. Lui sarebbe rimasto con i cittadini per proteggerli ed organizzare un'eventuale ultima linea di difesa. Fui contento di sapere che Tegan non si sarebbe esposto durante lo scontro, in questo modo era più probabile che sopravvivesse. In ogni caso, Tegan ci aveva suggerito di parlare con Murdock, il sindaco della città, e Sir Perth, uno dei cavalieri mandati alla ricerca dell'Urna delle Sacre Ceneri, recentemente di ritorno.
  Usciti all'esterno, trovammo un uomo nel cortile, intento ad istruire alcuni paesani al tiro con l'arco. Era un individuo non molto alto, dai lunghi capelli bruni e i folti baffi. Camminava tra i pochi uomini disposti alla bella e meglio, con sguardo severo, dando loro ordini perentori con una voce profonda e ruvida, che risaltava terribilmente il feroce accento contadino.
  "Murdock, presumo..." dissi avvicinandomi all'individuo. L'uomo si voltò verso di me, squadrandomi con un sopraciglio inarcato, quasi avesse a che fare con chissà quale curioso ed eccentrico personaggio. "Aye..." rispose con voce graffiante. "E voi dovete essere gli stranieri di cui ho sentito parlare."
  "Sì, siamo Custodi Grigi..." intervenne Alistair alle mie spalle.
  "Custodi, eh? Avevo sentito che erano tutti morti con il Re a Ostagar dopo averlo tradito... ma voi non avete l'aria di fantasmi. Comunque sia, accetterò qualunque aiuto mi offrirete, non prendetemi per un ingrato o cose del genere."
  "Com'é il morale?" Domandò Leliana.
  Murdock la squadrò per qualche istante, confuso. "Non sapevo che accettassero anche donne tra i Custodi... Bah, di questi tempi se ne vedono di tutti i colori."
  "Non fa parte dei Custodi. Ci accompagna e basta." Tagliai corto io con impazienza. "Però rispondete alla sua domanda."
  Il sindaco indicò gli uomini che lo circondavano con un gesto ampio del braccio. "Il morale non è altissimo, ma potrebbe andare peggio. Questi sono bravi ragazzi ed imparano in fretta, ma non sono soldati. Tuttavia abbiamo retto fino a questo momento e con voi qui credo che potremmo avere qualche possibilità. Gli uomini sono nervosi e io posso solo provare a renderli meno incompetenti, purtroppo."
  "Come potremmo aiutare?"
  "Beh... Abbiamo costruito delle barricate e le disporremmo nel cortile a breve. Suppongo che qualcuno esperto di guerra saprebbe darci qualche buon consiglio. Ma il vero problema è un altro. Abbiamo ripulito di tutta la ferraglia di cui avevamo bisogno la bottega di Owen, il nostro fabbro,  ma ormai le armature si sono danneggiate e cadranno a pezzi se non si deciderà a ripararle."
  "E perché mai non dovrebbe?" Domandò Leliana.
  "Perché è un somaro testardo, ecco perché! Sua figlia era al castello quando tutto è cominciato e ora vuole che andiamo a riprenderla... Bah, come se fosse possibile entrare nel castello!"
  "Capisco." Risposi. "Vedrò se riesco a convincerlo."
  "Aye, chissà che voi non possiate mettergli un può di buon senso in quella zucca vuota che si ritrova..." concluse poi, allontanandosi.
  Mi voltai verso Sten. "Ascolta, voglio che tu dia una mano con quelle barricate. Vedi se riesci a migliorare un po' la situazione e aiuta a disporle, per piacere..."
  "Non ci sono prole oscura qui." Ribatté lui.
  "Questo lo vedo..." risposi, non del tutto convinto di cosa quel commento significasse.
  "E allora perché restiamo qui? È una perdita di tempo."
  "Concordo..." intervenne Morrigan. "Perché rischiare la vita per queste persone? C'è chiaramente una forza malvagia e potente al lavoro qui, non ha senso rischiare."
  "Questo non è degno di voi..." intervenne Leliana, con sguardo severo. "Non credete che quelle persone meritino di essere protette?"
  "No, se non sono capaci di proteggersi da sole." Ribatté Sten glaciale. "Ogni uomo, donna o bambino in grado di reggersi in piedi dovrebbe essere qui fuori. Chi non è in grado di combattere le proprie battaglie e si rifugia dietro gli altri non è poi così attaccato alla propria vita."
  Leliana sembrava molto contrariata. "Come potete pensarlo?! Voi Qunari non avete mai bisogno di aiuto?"
  "Basta!" Intervenni io. "Stiamo sprecando tempo. Sten, ci serve il supporto di Arle Eamon per combattere il Flagello, quindi difenderemo queste persone. Sono stato chiaro?" Fissai Sten negli occhi, il quale ricambiò il mio sguardo con un'espressione corrucciata. "Forse hai ragione." Concesse infine.
  "Bene..." sospirai. "Leliana, fate ciò che potete per la popolazione. Tutti voi, cercate di rendervi utili. Io sbrigherò alcune commissioni. Ci vediamo qui tra un paio d'ore, chiaro?"
  Con risposte di assenso più o meno soddisfatte, i membri del gruppo si dispersero nella piazza cittadina ed io mi diressi alla bottega del fabbro.
 
5
 
  "Andate via!" Urlò qualcuno dall'interno con voce lamentosa. Non un gran ché come inizio, mi dissi.
  Trovare la bottega del fabbro non si rivelò difficile, mi fu sufficiente chiedere a qualcuno del posto. Entrare sembrava un'impresa ben più ardua, però. Non avevo neppure bussato alla porta che qualcuno mi aveva intimato di andarmene, percependo, probabilmente i miei passi all'esterno.
  "Scusate, siete voi Owen?"
  "Io... Chi? Chi siete, voi? Vi manda Bann Tegan?"
  "Preferirei non parlare attraverso una porta, se non vi dispiace. " Risposi con gentilezza.
  "Io... Ehm... capisco. Va bene, entrate!" Rispose quello, iniziando ad armeggiare con la serratura. Quando la porta venne aperta, sulla soglia comparve un uomo anziano e con la pancia. Aveva una lunga barba grigia, unta e sporca, e capelli ugualmente poco curati.
  Si scostò per farmi passare con un sorriso un po' impacciato. Entrai nel negozio e subito un forte odore di chiuso e vinaccia aggredì le mie narici. Il posto puzzava come una distilleria e sembrava che nessuno pulisse da parecchi giorni. Il locale era piccolo e in disordine, ma rastrelliere e manichini erano del tutto spogli.
  "Bene" disse. "Volevate parlare? Ora parlate." La sua voce era stonata e acuta, storpiata probabilmente dall'ebbrezza alcolica del vino, di cui sembrava aver fatto eccessivo uso.
  "Sarò breve, non ho tempo da perdere." Risposi, piantandogli gli occhi addosso. "Ho bisogno che ripariate le armature della milizia e che lo facciate subito."
  L'uomo sbuffò contrariato. "Perché dovrei aiutare Bann Tegan o Murdock se loro non vogliono aiutare me?"
  "Perché se non lo farete, nessuno di noi vedrà il sole di domani. Ecco perché. Quindi che ne dite di mettervi al lavoro?"
  L'uomo scosse il capo. "Io voglio mia figlia, Valena!"
  "Mi spiace per vostra figlia" risposi. "Ma non vedo cosa potremmo farci!"
  "Voglio una promessa!" Insistette quello. "Voglio che la troviate..."
  Sospirai. "Sapete che al momento nessuno può entrare nel castello."
  "Lo so, ma Bann Tegan dice che presto dovrà provarci. Quando accadrà, voglio che mi giuriate che andrete con lui e che cercherete mia figlia."
  Lo squadrai per un attimo con sguardo indagatore. "Cosa mi impedisce di mentirvi?"
  "Il vostro dannato onore!" Abbaiò lui in risposta. "O la vostra coscienza, sempre che ne abbiate una!"
  Non mi sembrava una richiesta irragionevole. Era comunque mia intenzione entrare nel castello e nel farlo non mi costava niente tenere gli occhi aperti per cercare la figlia di Owen.
  "Molto bene. Avete la mia parola."
  L'uomo mi guardò con gli occhi lucidi, anche se non saprei dire se per la commozione o l'alcol. "Grazie. Per me è sufficiente. Grazie, di cuore! Dite a Murdock che mi porti le corazze danneggiate: mi metterò subito al lavoro."
  Mi avviai verso Chiesa. Mi ero occupato abbastanza velocemente della questione ed ero curioso di sapere se c'era altro che potessi fare. Nel cortile la milizia continuava ad allenarsi sotto lo sguardo vigile di Murdock. Mi avvicinai all'uomo e gli comunicai che avevo convinto Owen a riaprire i battenti della sua fucina.
  "Davvero?" Si sorprese lui. "Beh, che io sia dannato se questa non è una buona notizia! Gli porterò subito tutto l'equipaggiamento."
  Mentre Murdock si dirigeva verso la bottega del fabbro, notai Morrigan avvicinarsi a me con passo deciso e sguardo determinato. "Custode" iniziò lei. "Dobbiamo parlare."
  "Se siete venuta per insistere che dovremmo andarcene, risparmiate il fiato. Ho già preso la mia decisione."
  La donna sbuffò incrociando le braccia. "Se davvero dobbiamo compiere questa follia, almeno ascoltatemi!"
  Abbassai lo sguardo, sospirando. "Naturalmente." Risposi. "Parlate pure."
  "Non sono un'esperta di magia del sangue, ma credo di aver capito di che genere di nemici si tratta..."
  La guardai con improvviso interesse, grattandomi la barba. "Interessante. Proseguite."
  "Sono cadaveri rianimati con un rituale potente e pericoloso, questo è certo... come è certo che un cadavere non potrà mai diventare più morto di quello che è..."
  "Non sono certo di capire... Sono immortali?"
  "No. Sono morti. C'è una bella differenza." Rispose levando gli occhi al cielo con impazienza. "Sentite, una freccia nel cervello sarà del tutto inefficace. L'unica soluzione è ridurli talmente male da non essere più in grado di muoversi. Decapitazioni, smembramenti, ossa fracassate... tutti rimedi eccellenti. E data la difficoltà che queste creature hanno nel muoversi, non dovrebbe essere complicato riuscire ad inabilitarle."
  "Ha senso, suppongo..." commentai sovrappensiero.
  "Certo che ce l'ha!" Rispose lei, impaziente. "Ma c'è dell'altro. Questi cadaveri sono particolarmente vulnerabili al fuoco. Sarà questa la nostra carta vincente, capite?"
  "Morrigan..." risposi con un sorriso. "Siete brillante almeno quanto bella!" Era un commento come un altro, uscitomi fuori quasi spontaneamente, avendo passato 19 anni a rivolgermi in questo modo alle molte dame di corte.
  "Piantatela!" Rispose fulminandomi con lo guardo ed allontanandosi con fare seccato...
 
6
 
  Entrai nella cappella e subito notai un cavaliere intento in un'animata lite con un nano. Era un uomo alto e decisamente robusto che indossava una pesante armatura completa, mentre il nano... beh... era un nano. Basso per la media umana ma ben piazzato, portava una folta barba nera ed indossava un'armatura a scaglie nanica.
  "... e allora che siete venuto a fare qui?" Si stava scaldando il cavaliere.
  Il nano si strinse con noncuranza nelle spalle. "Davo solo un'occhiata. Non mi pare che sia vietato."
  "Siete un codardo!" Abbaiò l'uomo. "Sapete combattere meglio di chiunque nella milizia, siete un veterano, maledizione! E ogni notte vi chiudete nella vostra dannata casa lasciando che siano gli altri a morire."
  "Mi pare di ricordare che Bann Tegan abbia espressamente e chiaramente deliberato che avrebbe accettato solo volontari. Prendetevela con lui, non con me..."
  Il cavaliere sbiancò per l'offesa. Era davvero ad un passo dal mettere mano alla spada per infilzare il compare. "Lui... Lui... Come osate!?"
  La gente attorno a loro guardava la scena preoccupata e allarmata, come se già non avessero abbastanza preoccupazioni. Decisi che dovevo intervenire. "Calmiamoci tutti!" Dissi facendomi avanti. "Questa è una chiesa, non una taverna in cui scatenare risse. Spiegatemi qual è il problema."
  "Nessuno..." rispose il nano con tono pacato. "Il cavaliere sembra semplicemente duro di comprendonio e non riesce a farsi i fattacci suoi, un difetto che sembra piuttosto comune tra voi umani."
  Ignorai la provocazione. "Non volete combattere?"
  "Bravo ragazzo! Non era difficile da capire, vero?" Rispose sorridendo.
  "Razza di codardo!" Insistette il cavaliere.
  Con un gesto della mano gli intimai di calmarsi. "Eppure avete combattuto in passato. Perché non volete aiutare questo villaggio?"
  Il nano si strinse nelle spalle. "Un tempo ero un soldato, mi battevo per Orzammar, ma... Bah, non fa per me quella vita. Oggi sono un mercante... io parlo solo di affari."
  Un nano di superficie, dunque... Avevo sentito parlare del sistema di caste in vigore ad Orzammar, l'ultima e più grande città dei nani, e della politica di chiusura che il loro Re aveva deciso di adottare. Ogni nano nasceva in una casta che identificava la sua professione, ma i nani che venivano esiliati o decidevano di abbandonare la città, andando ad abitare in superficie, venivano considerati dei "senza casta" ed era per loro impossibile fare ritorno. Molti di loro diventavano mercenari o mercanti... e non era raro trovare tra loro gente interessata solamente al profitto.
  "Capisco... dunque non credete che ne avreste a guadagnarci a combattere per noi?"
  Il nano mi squadrò divertito. "Finalmente un umano che parla la mia lingua! Spiegami perché dovrei rischiare la mia vita per voi là fuori..."
  "Beh, se il villaggio cade, voi morirete comunque, tanto per cominciare. Inoltre, presumo che sappiate che Bann Tegan è un uomo potente. Se parlassi con lui, potrei fargli notare il ruolo importante giocato da voi in questa battaglia."
  "Certo, un Bann grato sarebbe positivo, ma... non credi c'abbia già pensato, ragazzo?" Il nano si concesse una grassa risata. "Nay, penso che il gioco non valga la candela..."
  Scossi il capo. "Non riesco a credere che un guerriero nanico non abbia lo stomaco per combattere. Dove sono finiti gli ideali di gloria e onore del vostro popolo?"
  L'uomo mi fissò con uno sguardo penetrante. "Onore? Gloria? Pensi che ne sia rimasto qualcosa ad Orzammar? No... Te lo spiego io cos'è rimasto in quel buco di città: solo un mucchio di vecchi con la barba bianca troppo impegnati a scannarsi a vicenda in attesa che i prole oscura li divorino. Uno dedica la propria vita a difenderli, a spargere sangue in loro nome e nel nome di antenati che ormai ci hanno dimenticato almeno quanto noi abbiamo dimenticato loro, per poi essere messo da parte come... come fosse una semplice arma troppo usurata per venire riparata. Nay, Custode, io ho smesso di combattere per gli ideali, sono concetti astratti in cui solo gli idioti e gli illusi credono davvero. L'oro, invece... l'oro è concreto. Ti conviene impararlo, ragazzo, prima che la vita ti riservi un pieno di calci in culo."
  Il mercante non mi lasciò neppure il tempo di rispondere che si voltò e si avviò verso l'uscita.
  "Vi ringrazio per il tentativo..." commentò mestamente il cavaliere alle mie spalle. "Ma niente riuscirà a convincere Dwyn ad unirsi allo scontro."
  "Siete uno dei cavalieri mandati a cercare l'Urna?" Domandai allora.
  "Sì" rispose. "Sir Perth, al vostro servizio. Voi dovete essere uno dei Custodi Grigi."
  "Sì, mi chiamo Velor. Siete qui da solo?"
  L'uomo scosse il capo e si sedette stancamente su una delle panche. "No, sono qui con altri cavalieri e mi coordino con Bann Tegan e Murdock per i preparativi dell'assedio."
  Mi sedetti al suo fianco, sospirando. "E come va?"
  "Meglio del previsto..." rispose con un mezzo sorriso, un po' troppo incerto per essere del tutto sincero. "I vostri compagni si sono messi al lavoro, sapete? Alistair e quella ragazza dai capelli rossi sono riusciti a convincere la Reverenda Madre a raccontare a questa brava gente che il Creatore li proteggerà. All'inizio non era d'accordo, sosteneva si trattasse di un inganno e neppure Bann Tegan era riuscito a convincerla, però i vostri compagni sono stati piuttosto persuasivi, devo ammetterlo."
  "Il morale è un'arma potente. Se gli abitanti saranno convinti che il Creatore li proteggerà fisicamente sarà tutto più facile, senza dubbio."
  "Già. Uh, e poi... c'è quel grosso... Ehm... Uomo?"
  "Parlate di Sten?" Domandai preoccupato. "Non ha creato problemi, spero..."
  "Oh, no!" Si affrettò Sir Perth. "Tutt'altro! Dopo aver aiutato con le barricate si è messo ad insegnare agli uomini come combattere. Conosce bene l'arte della guerra... anche meglio di me, temo. Ci sarà utile questa notte."
  "Sono d'accordo..."
  
NOTA DELL'AUTORE:


Finalmente ci siamo, un altro capitolo. Chiedo scusa per il ritardo, ma in questi giorni, con tutti i casini che sono successi qui a Genova, ho avuto parecchio da fare e la stesura della ff è crollata in fondo alla lista delle priorità. Non ho scritto quasi niente e sono stato costretto ad utilizzare una delle "ghiande messe da parte". In ogni caso, ci siamo.

Anche questo è un po' un capitolo di transizione, dove succedono poche cose, dunque ne ho approfittato per approfondire un minimo i rapporti tra i personaggi. Spero solo che tutto il processo non vi sia risultato troppo macchinoso nel complesso. Comunque, sto dando il massimo per caratterizzare i vari comprimari, ma diavolo se è difficile! Voglio dire, hanno tutti già un carattere e, senza trasportare proprio di peso i dialoghi, è una prova ardua riuscire a mantenerlo fedele.

Passiamo ad altro... lo so Bodahn Feddic è solo una comparsa, ma vi assicuro che dietro questa scelta ci sono ragioni importanti. Se ci fate caso, è un personaggio abbastanza trascurabile ai fini della trama (sto parlando del primo capitolo) ed anche molto difficile da gestire, in quanto come farei a giustificare la sua presenza o assenza in alcune parti della trama? No, già è difficile gestire il cane, figuriamoci inserire anche i due nani... Quindi, mi spiace, ma niente ENCHANTMENT per voi.
Mi è piaciuto di più concentrarmi su altri personaggi secondari, tra cui Dwyn... che non so perchè mi ispira simpatia in una maniera tutta sua xD Detto questo, rimane un dannato opportunista.

Fatemi sapere che ne pensate, commentate, criticate, insultate se ciò aumenta la vostra autostima, ma comunque sono ansioso di sapere che vi passa per la testa :)
 
  
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