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Autore: Touch the sound    19/10/2014    2 recensioni
Dei lunghi capelli neri su quella pelle così pallida, i suoi occhi erano chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti.
[Chris-Ricky]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1-Over and over again.
La cena a casa Cerulli era il momento di riunione della famiglia per eccellenza. La colazione era un momento pieno di silenzi colmati solo da lunghi sbadigli, dal volume leggermente alto della tv e dal rumore delle stampelle che era costretto a portare suo fratello per colpa della sua malattia; il pranzo non era come in tutte le famiglie quel momento in cui tutti si riuniscono e si fanno domande del tipo "Cosa avete fatto oggi a scuola?" oppure "Allora, avete fatto nuove conoscenze?", a quell'ora la famiglia Cerulli era sparpagliata per la città. La cena, quindi era l'unico momento in cui la famiglia non veniva colpita da attacchi di sonno o da emergenze improvvise. Al tavolo si sedeva sempre Michael Cerulli, un uomo di circa quarantacinque anni, lo seguiva Bettsy Cerulli, l'ultima della famiglia, poi quasi sempre arrivava Christopher Cerulli e infine, aiutato da sua madre Adele, si sedeva il secondogenito affetto da una grave forma di autismo, Jonathan Cerulli.
«Chris, com'è andato il compito di matematica?» gli chiese sua madre mandando giù un boccone di pollo che lei stessa aveva tentato di cucinare al meglio.
«Non abbiamo ancora avuto i risultati» rispose il ragazzo tenendo la testa bassa ma rivolgendo lo sguardo verso sua madre. Era una postura che assumeva spesso, scomoda, ma gli veniva naturale.
Riprese a mangiare ignorando le altre chiacchiere, il suo pensiero era fermo a quella domanda. Era una settimana che i suoi genitori aspettavano i risultati di quella verifica, lui continuava a rimandare per non dirgli che quel compito non l'aveva fatto e che a scuola non ci stava andando più. Non voleva distruggere quell'armonia che si era creata da due settimane a quella parte. Di solito più che sorrisi e parole di circostanza, si sentivano parecchie urla e rumori di oggetti rotti. Ma i suoi genitori avevano deciso di provare a sembrare una bella famiglia. Chris poteva dire che si stavano impegnando, non li sentiva più litigare e questo lo stava quasi spingendo a credere che quella pace fosse vera, autentica.

Quella sera aveva ricevuto una chiamata e si era messo in tiro. Bè, per Christopher Cerulli "mettersi in tiro" significava indossare dei pantaloni super aderenti, una camicia senza maniche e un chiodo, tutto del medesimo colore: nero.
Betsy, una ragazzina dai capelli neri e gli occhietti vispi, interruppe suo fratello mentre era intendo a stendersi un fondotinta chiarissimo che facesse da contrasto con i suoi occhi castani con sfumature color miele contornati di ombretto nero.
«Dove vai?» gli chiese sedendosi sul bordo della vasca.
«A fare un giro» 
«E tu ci vai così a fare un giro?» chiese Betsy scettica. Chris sospirò poggiando la spugnetta che teneva in mano nello scatolo stracolmo di trucchi.
«Ti ha mandato mamma?»
La ragazza scosse la testa e Chris decise di crederle.
«Ho un appuntamento»
«Con chi?» chiese Betsy interessata. Chris le si avvicinò inginocchiandosi davanti a lei che, di corporatura, era estremamente più piccola di lui.
«Questi non sono affari tuoi» concluse ritornando davanti allo specchio. La sorella sembrò molto contrariata da quella risposta allora si alzò e scomparve dal bagno in un lampo.
Chris si sistemò i capelli che da un anno portava rasati su un lato e poi uscì di casa. La temperatura esterna era nettamente diversa da quella interna, non sembrava che stesse per piovere ma il tempo era rigido e freddo. Infatti, per le strade, lui e altre poche persone passeggiavano, per il resto si vedevano solamente auto scorrazzanti.
Ad un isolato di distanza da casa sua abitava Jane Woods, una biondina di diciannove anni con la passione della pallavolo. Quello che piaceva a Chris, invece, era vederla nei pantaloncini aderenti e nel top con effetto push up che le lasciava la pancia scoperta.
Sorrise al solo pensiero e si affrettò ad arrivare alla porta della ragazza che da qualche mese abitava da sola. Appena suonò il campanello Jane corse ad aprire. Indossava dei jeans che fasciavano le sue gambe affusolate e una maglietta rossa, non aderente ma forse di una taglia in meno alla sua, pensò Chris. Ma constatò che anche con i capelli legati, scalza e con davvero poco trucco fosse bellissima, in fondo non aveva bisogno di acconciarsi molto visto che madre natura era stata generosa con lei. Spesso si era chiesto per quale ragione una ragazza come lei volesse uscire con lui o semplicemente essere sua amica. Non era nè ricco, nè bello. Aveva capito che però quella ragazza andava in cerca di protezione e nessuno, con un cervello funzionante, si sarebbe sognato di fare del male ad una ragazza che andava in giro con uno alto due metri e con un aspetto alquanto inquietante. 
«Christopher» cominciò Jane con la sua voce leggermente acuta, ma non fastidiosa. «Ti ho sempre detto che è vietato essere più sexy di me» disse a denti stretti, come ad esprimere una rabbia chiaramente fasulla.
«Il problema è che io ti trovo molto più sexy di me» si oppose lui.
«Vediamo... quindi io dovrei punirti non solo perchè sei molto più attraente di me» disse Jane mentre, lentamente, si alzava la maglietta e si sfilava una cintura nera che le stringeva i pantaloni sui fianchi. «Ma anche perchè mi stai contraddicendo»
Chris la osservò mentre si avvicinava a lui con cautela e gli metteva la cintura intorno al collo. La ragazza strinse la presa e Chris reclinò la testa all'indietro e si morse il labbro inferiore. Jane lo attirò a se e gli baciò le labbra. Fu un bacio parecchio casto rispetto alla situazione in cui si trovavano.
«Perchè? Perchè ti voglio così tanto?» sussurrò la ragazza tenendo i suoi occhi puntati in quelli di Chris. Poi si fiondarono l'uno sull'altro. Le loro lingue si intrecciarono quasi furiosamente e la porta si chiuse provocando un rumore sordo. Le mani di Chris scivolarono sul corpo atletico e sodo della ragazza che lo trascinò nella sua camera tappezzata di foto di lei e delle sue amiche e con i peluches sparsi per terra. 
Jane spinse Chris sul letto e si mise a cavalcioni su di lui liberandolo dalla cintura. Si spogliarono a vicenda, erano bramosi di aversi, si desideravano. Lei voleva averlo dentro di se e Chris assecondava ogni suo movimento e ogni sua voglia, anche le più strane. Era una ragazza che fantasticava molto, sul sesso soprattutto. Le piaceva usare tanti oggetti che Chris non avrebbe mai pensato che potessero essere inseriti in un rapporto sessuale. Come cibi avevano usato: Nutella, panna montata, miele (con un effetto ceretta terrificante), caviale, limone e qualche mentina; come oggetti avevano utilizzato di tutto, dalla cintura ad un frustino, da un paio di manette ad un fermacarte di vetro. Tutte quelle idee le tirava fuori lei. Chris si lasciava trasportare, cercava di divertirsi.

«Ti è piaciuto?» gli chiese Jane spegnendo la sua sigaretta nel posacenere che avevano messo sul letto, fra di loro.
«Questo dovrei chiedertelo io» rispose Chris aspirando e soffiando via quel fumo grigiastro. A quella sua affermazione seguì qualche minuto di silenzio, poi Jane scoppiò a ridere.
«Pensavo che tu fossi gay» sibilò fra le risate. Chris ebbe un fremito e il suo intero corpo si ricoprì di brividi. Si sforzò di fare un sorriso che sembrasse divertito.
«Mi dispiace deluderti, non lo sono»
«A me non dispiace per niente e comunque sei stato all'altezza del tuo compito, Christopher» disse la ragazza azzardando un tono malizioso. Chris le rivolse uno sguardo languido e riprese a fumare. Di solito non gli piaceva essere chiamato Christopher, ma lei l'aveva sempre chiamato così e lo pronunciava sempre lentamente, con un tono di voce basso... era quasi eccitante.

Chris aprì la porta di casa e la scena che si trovò davanti agli occhi non fu delle migliori, ma l'aveva vista talmente tante volte che ormai gli sembrava normale. Sì, per lui era normale vedere qualche bicchiere rotto a terra e sua madre distesa sul divano, in preda ad un pianto disperato.
Sospirò. Si sentiva sconfitto, non poteva fare nulla per fermare quella rabbia che i suoi genitori si urlavano contro. E anche lui era arrabbiato, arrabbiato perchè quelle due persone che l'avevano messo al mondo litigavano senza ritegno e poi fingevano di voler provare ad essere una bella famiglia, ma in una serata qualunque l'inferno ricominciava. Sempre.
Ripulì il pavimento dai pezzi di vetro sotto gli occhi lucidi e assenti di sua madre. Oltre ad essere privi di amore erano anche degli incoscienti, quei due. Sapevano che Jonathan si alzava spesso durante la notte per scorrazzare in casa e parlare con i suoi amici immaginari, se l'avesse fatto prima del suo arrivo probabilmente avrebbe calpestato il vetro e si sarebbe fatto male.
Chris strinse i denti e lasciò sua madre lì. Andò a controllare i suoi fratelli, apparentemente dormivano quindi decise di non svegliarli. La camera da letto era vuota, suo padre era uscito, era via chissà dove.
Si fece una doccia. Sotto il getto d'acqua quasi bollente tentò con tutte le sue forze di non piangere e non perchè per l'ennesima volta era stato deluso dai suoi genitori, ma semplicemente perchè non capiva, non riusciva a spiegarsi perchè tutte le persone che conosceva potessero avere una bella famiglia e lui doveva vivere così. Si faceva pena.
Strinse forte gli occhi e scosse la testa. Non era più un bambino, doveva smetterla di autocommiserarsi. L'aveva fatto per anni, finchè non aveva capito che quella era la situazione in cui si trovava e che gli piacesse o meno non poteva cambiarla. Doveva solo accettarla e proseguire per la sua strada.
In un paio di boxer e con la pelle ancora umida uscì dal bagno e andò a mettersi nel suo letto facendo attenzione a non svegliare Jonathan e Betsy. Dormivano tutti nella stessa stanza e svegliarne uno significava svegliare anche l'altro. Era sempre così, come una reazione a catena e era da evitare altrimenti non ci sarebbe stato verso di far addormentare di nuovo Jonathan.

«Chris» lo chiamò Mike dal bancone. Il ragazzo si voltò verso quell'uomo sulla trentina, robusto e pieno di tatuaggi che gli fece segno con la testa verso un ragazzo che lo aspettava in piedi con le mani nelle tasche dei jeans. Chris si alzò dalla sedia e andò verso il ragazzo, cercò in tutti i modi possibili di metterlo a suo agio e ispirargli fiducia, in fondo di lì a poco gli avrebbe bucato la faccia con un ago.
Chris eseguì ogni movimento con meticolosità sotto lo sguardo di Grace. Lui la definiva la sua insegnante. Grace era una piercer con molta più esperienza di lui, lavorava in quel settore da sette anni mentre Chris era alle prime armi. Tatuaggi e piercing erano la sua passione e da un pò di tempo aveva deciso di provarci. Mike non voleva assumerlo, dopo le prime due settimane di prova voleva mandarlo via, ma Chis non si era arreso, voleva quel lavoro e aveva convinto Mike ad assumerlo come apprendista.
Finì di torturare quel povero ragazzo e si allontanò portandogli uno specchio così che potesse vedere il suo lavoro compiuto.
«Come va?» gli chiese mentre ripuliva gli attrezzi usati e li metteva in ordine.
«Mi piace» disse il ragazzo guardandosi il labbro con soddisfazione. Ogni volta che vedeva quelle espressioni sui clienti si sentiva fiero di se stesso perchè all'inizio non sapeva fare assolutamente niente. In poco tempo aveva imparato a trattare con i clienti, a fare un lavoro che richiedeva precisione e, per quanto possibile, delicatezza.
Quando il ragazzo uscì dal negozio, Grace si avvicinò a Chris e gli diede un pugno sulla spalla.
«Le mani non ti tremano più, ragazzino» disse la donna con la sua voce rauca. Chris le sorrise. Aspettava quelle parole dal primo giorno quando, prendendo un ago in mano, gli cadde per il troppo tremare. 
«Hey, non ti pago per restare lì impalato, pulisci qui e poi puoi andare» disse Mike distogliendolo dai suoi pensieri. Chris si passò una mano fra i capelli, poi andò a ripulire il bancone senza obbiettare. Grace e Chip, il tatuatore, gli avevano detto che finchè Mike non l'avesse visto di buon occhio, avrebbe sempre pulito quello che lui lasciava in disordine. Purtroppo però avevano aggiunto che Mike era uno che diffidava parecchio e che probabilmente avrebbe smesso di sfruttarlo fra quattro o cinque anni.
Finito di mettere tutto in ordine, Chris si diresse nel piccolo studio di Mike. Stringeva con nervosismo un raccoglitore che poteva essere la sua salvezza o la sua rovina. Ma era convinto di quello che stava per fare.
Si schiarì la voce per richiamare l'attenzione di Mike impegnato a scrivere qualcosa su un figlio prestampato.
«Se hai finito puoi andare, ci vediamo domani» disse Mike senza nemmeno alzare lo sguardo. Chris rimase immobile accanto alla porta per qualche secondo, poi prese coraggio e con due lunghi passi arrivò alla scrivania e vi poggiò il raccoglitore. Mike lo guardò scettico.
«Cos'è?» 
«Tu mi hai chiesto sei disegni e io te li ho portati»
Mike si accigliò e sospirò appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Quanti sono?»
«Credo una quarantina»
«Sono tanti, li guarderò e ti farò sapere che ne penso»
Chris non sapeva se sentirsi sollevato perchè per una volta Mike gli aveva dato retta o essere teso per il responso. 
Se ne andrò mordicchiandosi l'unghia dell'anulare destro. Se quei disegni non gli sarebbero piaciuti probabilmente Mike non gli avrebbe dato altre possibilità di dimostrare che lui poteva benissimo essere un bravo tatuatore. In fondo nessuno gli aveva insegnato a disegnare, quello che sapeva fare l'aveva appreso stringendo una matita con un foglio bianco davanti. Ma disegnava da quando era piccolo e sperava che quello che aveva imparato fosse abbastanza. Abbastanza per Mike che, dopo sei mesi di lungo girovagare per trovare un lavoro come quello, gli aveva dato una possibilità.
Aprì la porta. Era così preso dai suoi pensieri che andò a sbattere contro qualcuno che stava entrando. Lo guardò per un attimo e fu colpito dall'aspetto di quel ragazzo che, a sua volta, lo stava osservando. Aveva dei lunghi capelli neri, la pelle pallida e i suoi occhi erano così chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti, lo affascinavano. Sembravano così delicati e fragili, ma allo stesso tempo davano al viso un aspetto freddo e soprattutto misterioso.
«Scusa» disse tenendogli la porta aperta per farlo entrare.
«Figurati» rispose l'altro entrando e lasciando Chris fermo accanto alla porta. Poi, dopo qualche secondo, scosse la testa e corse a casa. Non vedeva l'ora di mangiare qualcosa e mettersi a letto, ovviamente dopo essersi assicurato che tutti, in quel manicomio che chiamava casa, fossero sani e salvi.

Il giorno successivo, Chris si svegliò di buon umore. Aveva il presentimento che quella sarebbe stata una bella giornata, la sua giornata. Non appena chiuse la porta del negozio alle sue spalle, Mike lo chiamò dicendogli di andare dritto nel suo studio. Chris ebbe un colpo al cuore e subito dopo un fremito. 
Mentre la distanza fra la porta d'ingresso e quella dell'ufficio diminuiva, Chris pensava che Mike avrebbe stroncato la sua carriera da tatuatore prima che questa cominciasse o, ancora peggio, che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe messo piede lì dentro. Ma se quella era una delle sue giornate "sì", si ripeteva Chris, nulla sarebbe andato male.
«Chiudi la porta e siediti» gli disse Mike, seduto dietro la sua scrivania in ferro. Chris eseguì l'ordine come un soldatino e attese che Mike gli dicesse qualcosa. I suoi disegni erano sparsi sul ripiano difronte ai suoi occhi. Forse era l'ansia, ma gli sembravano più brutti di come li ricordava.
«Christopher, questi non sono disegni di un esperto» disse con quel tono tanto serio che fece irrigidire Chris sulla sedia già scomoda di suo. «E, credimi, mi ferisce molto dirti che purtroppo non fanno schifo quanto vorrei io»
Chris strinse i pugni tutto il tempo quasi fino a farsi male, ma quella rivelazione finale gli fece rilassare tutti i muscoli e qualcosa esplose dentro il suo stomaco e velocemente si impossessò di tutto il suo corpo.
«Quindi?»
«Quindi trova qualcuno che ti insegni a tatuare e forse smetterai di lavare i cessi»
«Grazie» esultò Chris.
«Ho detto forse quindi non cantare vittoria»
Quelle parole non toccarono minimamente Chris che continuò a sorridere. Dopo qualche parola di circostanza, Mike lo fece uscire riconsegnandogli i suoi disegni. Chris chiuse la porta dello studio e subito dopo tirò un sospiro di sollievo. Si sentiva bene, finalmente apprezzato da qualcuno.
«Che ti ha detto?» gli chiese Grace.
«Gli sono piaciuti»
La donna gli rivolse uno sguardo quasi emozionato. Grace l'aveva sempre trattato bene, più di tutti voleva davvero aiutarlo a trovare uno sbocco in quel lavoro che aveva deciso di intraprendere.
«Adesso mi serve solo qualcuno che mi insegni a tatuare»
«Tu già sai come si fa, hai anche dei tatuaggi e questo ti aiuta, ti serve solo un pò di pratica»
«Secondo te posso chiedere a Chip?»
«Non direi, ha giornate pienissime fino al mese prossimo e non credo che tu avrai pazienza fino ad allora»
«Infatti» disse Chris sospirando.  Aveva una voglia matta di mettersi all'opera.
«Perchè non provi a chiedere a Mike?»
Chris fece spallucce, come a dire che Mike non l'avrebbe mai aiutato.
«Provaci Chris, non hai niente da perdere»
Il ragazzo rimase in silenzio. Avere Mike come Maestro era un sogno e probabilmente sarebbe rimasto tale. Chris non lo conosceva bene, ma gli dava l'impressione di essere una persona molto rigida, uno che sa il fatto suo e che vuole circondarsi solo di persone come lui. Forse però aveva anche un lato nascosto. Forse l'avrebbe aiutato.





Rieccomiii!!! Spero che il capitolo sia stato di vostro gusto e che non ci siano troppi errori, l'ho riletto ma sono le 03:20 del mattino quindi non mi fido molto della mia vista hahaha
Ditemi cosa ne pensate, sono aperta a tutto u.u
Al prossimo capitolo, bacioni c:
  
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