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Autore: Airesis    19/10/2014    0 recensioni
Annabeth è un Vampiro, una ragazza riservata che parla poco del suo passato. Sembra aver vissuto una vita solitaria finché non prende con sé Vincent, un Cucciolo appena trasformato da lei medesima e si imbarca in un'intricata ricerca con l'inquietante Beatrix, ultracentenario Vampira dall'età apparente di 16 anni, sorella del migliore amico di Annabeth.
Cosa sta veramente cercando questa scaltra fanciulla? E cosa vuole ottenere la nostra protagonista da questa ambigua collaborazione?
Per scoprirlo non vi resta che leggere, accompagnati dai tentativi grafici del l'autrice di accompagnarvi nel mondo della sua immaginazione.
1 capitolo nuovo ogni domenica
E sulla pagina facebook ( www.facebook.com/vincolidisangueairesis ):
Durante la settimana 1 disegno sull'ultimo capitolo + 1 disegno casuale + 1 disegno a richiesta dai fans
Saltuariamente tavole esplicative per i più curiosi o per chi ha bisogno di fare un po' di chiarezza sul mondo dei vampiri + qualche disegnino speciale per aiutare la trama o solo per divertimento
E ora godetevi il viaggio :)
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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La pioggia flagellava il suolo con la sua paziente furia. Grosse gocce si schiantavano sull'asfalto penetrandone le fessure, usurando lentamente le opere costruite dall'uomo.
Elia camminava rapido, senza ombrello a coprirlo dal picchiettare dell'acqua, le mani infilate in profondità nelle tasche e la testa bassa. Era stanco, si era alzato da poco e pure sarebbe già tornato sotto le lenzuola.
Vicino a lui qualcuno gridò qualcosa attraverso il muro d'acqua che si riversava sulla città, ma lui non lo udì.
I suoi pensieri erano alla visita di quella mattina; era passato quasi un anno da quella precedente, troppo, ma aveva dovuto occuparsi del funerale della madre e non aveva avuto tempo per pensare alla sua salute, non sarebbe comunque migliorata. Il responso avrebbe dovuto essere una doccia gelida per chiunque, ma non per lui, era preparato: non sarebbe arrivato a trent'anni, non era molto se si considerava che ne aveva già ventotto.
Il clacson e l'imprecazione del guidatore lo riportarono alla realtà appena in tempo per non essere travolto da un taxi. Si guardò attorno prima di attraversare di corsa la strada e svoltare a destra.
Lo schizzo di una pozzanghera investita da una moto in corsa lo prese in pieno andando a infradiciare qualsiasi brandello di pelle ancora asciutto sotto la spessa giacca a vento.
Non se la presa, non ne vale a la pena. Tirò un poco in avanti il cappuccio e proseguì spedito verso la meta.
Gli piacevano i giorni di pioggia. Nonostante non riuscisse mai a tornare a casa asciutto, nonostante quello fosse il quinto ombrello che gli rubavano e nonostante lavorasse dall'altra parte della città, continuava ad amare i giorni di diluvio. Gli davano l'impressione che tutto attorno a lui precipitasse in un'atmosfera surreale, inghiottito da un'ovattato rumore bianco che spegnava tutti gli altri suoni e diluiva i prepotenti colori della periferia, nascondendo alla vista lo squallore degli edifici fatiscenti e delle strade sudicie. 
Ma la cosa migliore era l'odore: un odore di terra, di fresco, di vita che per un po' metteva a tacere il tanfo dei gas di scarico, delle fognature, delle friggitorie, dell'urina e del vomito di chi la sera prima aveva bevuto troppo. Un breve sollievo prima che ricominciasse tutto da capo.
Le scale della metropolitana apparvero davanti ad Elia così all'improvviso, nel momento in cui la folla si aprì per farlo passare, che per poco non scivolò giù per i gradini viscidi. Si riprese appena in tempo afferrando il corrimano d'acciaio e pentendosene subito dopo al pensieri di quante e quali mani potessero averlo toccato prima di lui.
Fece il resto della gradinata con calma.
Accanto a lui volti anonimi sfilavano silenziosi, la musica o la voce di un cellulare dentro le orecchie, facce assenti, distanti.
Un tempo l'aveva fatto anche lui, era vissuto un po' nella sua testa, sospeso in un mondo a metà tra il sogno e la realtà, ma da quando la sua vita aveva cominciato a correre con foga verso l'ultimo giorno aveva smesso di perdersi nell'irrealtà dei suoi pensieri e aveva cominciato ad assaporare ogni momento come meglio poteva, per rubare al mondo ancora un briciolo di esistenza prima della fine.
La metropolitana si stava svuotando, non erano rimaste più di una dozzina di persone in tutto. 
Si andò a sedere su una panchina per riprendere un po' di fiato, respirando a pieni polmoni un po' per riossigenare il sangue, un po' per abituare il naso al tanfo di urina e alcol che impregnava l'aria.
Alzò la testa per osservare le luci sfarfallanti che illuminavano la stazione sotterranea. Erano così da mesi, ma nessuno si era preoccupato di sostituirle, come nessuno si era preso la briga di sistemare il distributore di bevande che qualche teppista aveva ammaccato con una mazza, piegandolo tutto su un fianco e sfondando lo sportello delle monete. Anche la biglietteria automatica era distrutta da mesi e ormai ne era rimasto solo il supporto inglobato nel cemento e i gusci di plastica dei fili di rame. 
Elia si voltò per controllare lo stato dei cestini per i rifiuti e si ritrovò a sobbalzare per la sorpresa.
Immerso nel suo controllo quotidiano della stato di squallore della stazione non si era accorto che una ragazza si era seduta accanto a lui.
Lei non si scompose alla sua reazione, girò appena gli occhi di un blu così lucente da risultare quasi innaturale verso di lui, il mento poggiato pigramente sul palmo della mano. Era molto bella e non doveva essere del posto: indossava una bella camicia bianca, con collo alla coreana e maniche che si allargavano in fondo per poi chiudersi con un polsino stretto, fermato de un bel bottone d'argento. Sopra la camicia indossava un gilet stretto da donna, con un largo scollo, mentre ai piedi portava dei bei stivali di pelle nera, eleganti e di buona fattura. Non era del posto.
Elia si schiarì la voce.
- È la prima volta che di vedo a questa fermata, sei nuova del posto?-
Gli piaceva attaccare bottone con gli sconosciuti, lo trovava un modo piacevole di passare il tempo durante l'attesa, ma non tutti erano della stessa opinione. Anzi, in genere non lo era quasi nessuno.
La ragazza gli sorrise leggermente, un sorriso serio, ma sincero. Aveva lunghi capelli di un rosso carico, denso, lo stesso colore del sangue. Pareva così innaturale, eppure non sembrava che fosse una tinta.
- In un certo senso. Vengo da fuori, viaggio molto.-
- Beh, allora devi sapere che questo non è il quartiere migliore per visitare la città...e neanche la linea giusta. Ti conviene scendere tra due fermate e cambiare.-
Lei si strinse nelle spalle volgendo lo sguardo alle rotaie.
- Scendo al capolinea. Vado a trovare un amico.-
- Oh, beh, in tal caso...- rispose lui con un sorriso, mentre le guance gli si facevano rosse per la figuraccia.
La ragazza si passò le dita fra i morbidi riccioli rossi.
- Tu dove scendi?- chiese.
- Capolinea. Sono veterinario, lavoro in una clinica da quelle parti.-
- Ti piacciono gli animali?-
- Molto. Soprattutto i gatti e i rettili...e i roditori...- rise -in realtà un po' di tutto.-
- Vegetariano?-
- Dio, no. Ma mi piacciono gli animali.-
- Lei annuì.
- Mi sembra giusto.- disse.
Era strana. Aveva un'aria fredda eppure gentile, distaccata ma cortese. Teneva le gambe accavallate e faceva dondolare il piede come se avesse fretta o stesse seguendo un qualche ritmo nella sua testa.
- E tu?- chiese lui - Ti piacciono gli animali.-
- Ho molti gatti.- disse lei - Li raccolgo per strada da cuccioli e li tengo con me. Sono animali piacevoli e piuttosto indipendenti. E non ho mai problemi di ratti o insetti.-
Lo guardò e sorrise di nuovo.
- Sei gentile.- disse.
Elia aggrottò le sopracciglia.
- Gentile?- chiese.
Lei fissò il vuoto con sguardo sognante.
- Al giorno d'oggi la gente è così di fretta, così impegnata in tante cose che si è perso il piacere di parlare l'uno accanto all'altro al solo scopo di occupare il tempo.- sospirò - Arriva.-
Passarono una manciata di secondi prima che anche Elia sentisse la metro arrivare. Gli altoparlanti rotti non avevano potuto annunciare l'il mezzo in avvicinamento. Prima o poi qualcuno si sarebbe fatto del male, di nuovo. Erano già morte sei persone che avevano attraversato tranquillamente i binari prima di essere investite brutalmente. Le autorità non potevano neanche dire che se la fossero cercata. Il passaggio che portava all'altra banchina era bloccato da tempo immemore e attraversare era l'unico modo per poter dirigersi verso la parte est della città. Sempre che qualcuno ci volesse andare.
Le porte automatiche dello scassato e maleodorante mezzo che di fermò davanti a loro si aprirono cigolando. Non c'era un solo sedile che non avesse l'imbottitura squarciata o un volgare graffito disegnato con la bomboletta spray. 
Elia si dette dove gli pareva che il sedile fosse messo meglio e la misteriosa ragazza si accomodò accanto a lui.
- Quante fermate sono?- domandò.
- Otto...più la stazione fantasma, ma lì non si ferma mai nessuno se non qualcuno assunto da poco.-
- Abbiamo ancora un po' di tempo allora. Dimmi, piove così tanto e così spesso da queste parti?-
Parlarono di sciocchezze ancora per il resto del viaggio. Erano solo argomenti superficiali, ma Elia fu contento di avere qualcuno con cui scambiare due chiacchiere. Era un morso di vita in più, un assaggio che si portava dietro prima della fine. Non aveva paura, solo non voleva lasciare il mondo senza poter dire di essersene preso almeno una briciola e averla fatta sua.
Il capolinea arrivò fin troppo in fretta.
Saltando giù dalla carrozza penso a qualcosa da dire per non sembrare patetico.
- Beh, mi ha fatto piacere incontrarti. Se ci dovesse capitare di riprendere la metro insieme dobbiamo rifarlo.- disse arrossendo un poco per l'imbarazzo.
Non voleva darle l'idea di provarci, ma non aveva il tempo per sperare di rincontrarla per caso un altra volta e sperava che lei si sarebbe fatta trovare.
- Sono certa che ci sarà occasione.- rispose lei.
Lui fece per aggiungere qualcosa, ma l'attenzione della ragazza era stata catturata da qualcos'altro. Vicino alle scale che conducevano all'uscita un'uomo dall'aspetto singolare pareva aspettare qualcuno. Era vestito in modo distinto, forse un poco antico, ma dava come l'impressione che nessun altro stile sarebbe stato giusto per lui. Tuttavia quello che spiccava maggiormente e gli dava un aspetto così singolare erano i lunghi capelli platino e gli occhi di un colore verde acqua così chiaro e brillante da rendere il suo sguardo inquietantemente magnetico.
Mentre la ragazza lo raggiungeva per salutarlo baciandolo sulle guance, al che l'uomo ricambiò baciandola in fronte, Elia si accorse che in tutto ciò la cosa più sconvolgente era realizzare quanto quei due fossero incredibilmente fuori dal contesto.
Pareva fossero circondati da una misteriosa aura di eleganza che strideva rumorosamente con il contesto dismesso e squallido della stazione.
Vedendoli conversare tra loro il ragazzo imboccò la gradinata limitandosi a un cortese cenno della mano per salutare la ragazza. A ciò lei si rivolse verso di lui e gli lanciò un enigmatico sorriso.
- Alla prossima.- disse.
Elia si tirò su il cappuccio e si calò nuovamente sotto la fredda pioggia autunnale. Respirò a fondo l'odore fresco della città e sorrise. Sarebbe stata una buona giornata, ne era certo.

- Ci vediamo domani.-
Il tintinnio del campanello della porta dell'ambulatorio mise fine alla suo giornata di lavoro.
Era stata una buona giornata, come predetto: un paio di castrazioni, un cane con una piccola ferita infetta, un pappagallo con la mania di ingoiare monetine...era stata un buona giornata.
Elia infilò le mani in tasca e accelerò il passo. Erano quasi le dieci e quello non era un quartiere raccomandabile, soprattutto la notte.
La pioggia che aveva battuto torrenziale sulle finestra tutto il giorno aveva deciso che non gli avrebbe dato tregua neanche al ritorno. Durante la giornata aveva avuto modo di cambiarsi e asciugare i vestiti della mattina per poterli riutilizzare al ritorno, ma sapeva bene che probabilmente sarebbero stati fradici al suo arrivo a casa. Sperò solo che la caldaia non fosse saltata e di trovare un bel tepore al suo rientro.
In strada non c'era nessuno, l'intero quartiere sembrava deserto. Nessuno usciva a quell'ora e generalmente anche lui non si attardava mai oltre le otto. Tuttavia quella sera si era fermato a parlare con Sean, in ragazzo del turno di notte che viveva a un paio di minuti dall'ambulatorio, e tra una cosa e l'altra aveva fatto tardi. D'altro canto gli faceva piacere passare del tempo con un amico: tra il lavoro, la dialisi e la distanza erano pochi i momenti che poteva passare con i suoi colleghi. Magari avrebbero dovuto organizzare una cena nel fine settimana.
Svoltò a sinistra, allungando il passo mentre costeggiava il recinto di una discarica per auto abbandonata dove sapeva si svolgevano traffici poco legali. Solo quando l'ebbe superata riprese fiato, svoltò a sinistra e si trovò a costeggiare una strada illuminata, almeno in teoria. In realtà la metà dei lampioni era fulminata e dei restanti un paio funzionavano a intermittenza mentre una buona metà sfarfallava vistosamente.
La pioggia aveva allagato la strada e le fogne si erano intasate formando pozze profonde ai lati vicino ai marciapiede. Il tanfo era quasi soffocante, ma Elia non era un tipo schizzinoso, era abituato a quei quartieri.
Stava passando in un'area buia quando una voce lo fece trasalire.
- Ehi.- 
Si voltò di scatto pronto a dover tirare fuori il portafoglio e alzare le mani quando si trovò davanti la ragazza della metropolitana.
- Ehi, ciao.- la salutò a metà tra il sorpreso e il sollevato.
Lei se ne stava sotto un ombrello rosso come i suoi capelli con un'aria incuriosita sul volto.
- Pare con oggi ci incontriamo spesso.- disse.
- Già, è curioso.- confermò lui - Non è consigliabile girare a quest'ora in questo quartiere.-
Lei si lanciò un'occhiata in torno.
- In effetti no. Vuoi che ti accompagni alla metro?-
Lui rise. Trovava buffo che lei pensasse che fosse lui ad avere bisogno di protezione. L'avevano rapinato più di una volta da quelle parti e ormai lo conoscevano tutti come veterinario, quindi correva molti meno rischi di una donna sconosciuta e per di più ben vestita e di bell'aspetto.
- In realtà penso di cavarmela.- rispose - Piuttosto vuoi che facciamo la strada insieme?-
Lei scosse la testa con quel su sorriso sulle labbra.
- Mi fermo da amici. Sto andando a comprare la cena, poi torno da loro. Ma ci sta che mi serva compagnia per domani.-
- In tal caso a domani allora.- rispose lui esibendosi in un goffo mezzo inchino.
Lei ridacchiò e gli restituì l'inchino prima di attraversare la strada.
- A domani.-
- Aspetta.- la chiamò lui.
Lei si fermò in mezzo alla strada e si voltò.
- Come ti chiami?- le chiese.
- Annabeth, ma puoi chiamarmi Anna. Tu?-
- Io...-
Elia lasciò la frase in sospeso.
Un macchina aveva appena svoltato a tutta velocità da un vicolo.
Scattò in avanti mentre la ragazza si voltava verso i fanali accesi, corse in mezzo alla corsia e la spinse via.
La ragazza cadde a terra mentre l'ombrello volava lontano dalla sua mano.
Il veicolo non rallentò neanche. L'impatto fece volare Elia sopra il cofano, lo fece rotolare sopra il tettuccio prima che si schiantasse sull'asfalto.
Tutto rallento: il ragazzo sentì il paraurti spezzargli le gambe, il parabrezza andare in frantumi insieme alla sue costole e al braccio sinistro e infine il cranio schiantarsi al suolo.
Tutto si fece sfocato, indistinto, mentre il sangue si affrettava a uscire dal suo corpo da ogni apertura. I suoi polmoni si riempirono o di sangue, la vista si annebbiò.
La pioggia cadeva inclemente incurante di quello che stava accadendo.
L'ultima cosa che vide mentre il suo corpo si contraeva in spasmi di agonia fu l'immagine sfocata di Annabeth che si chinava su di lui, poi solo l'oblio.
   
 
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